Homeschooling, perchè non sceglierla

di Riccarda Viglino

Premesso che ogni scelta va rispettata soprattutto nel caso in cui ci sia alla base la volontà di proteggere la salute dei propri figli, ci sono alcune ragioni, di diverso ordine, che non mi permettono di ritenere utile e proficua questa scelta.

La prima, senza dubbio di carattere educativo e didattico è che essa trascura la dimensione sociale dell’apprendimento. Non solo la socialità intesa come relazione con adulti e pari al di fuori della cerchia famigliare, quella socialità allargata e strutturata fondamentale per la crescita emotiva e la maturazione di adeguate competenze sociali della persona, ma proprio l’aspetto dell’imparare “con gli altri”, e anche per mezzo degli altri. E gli altri sono la classe, nella sua eterogeneità e complessità, quella che oggi spaventa molti genitori ma che è la risorsa fondamentale per l’apprendimento di tutti.

Solo attraverso il confronto con gli altri infatti si prende atto progressivamente delle proprie competenze e specificità, si apprendono strategie, idee, conoscenze e punti di vista diversi dal proprio, si acquisiscono apprendimenti duraturi. La possibilità di imparare nel gruppo dei pari, consente al singolo di andare oltre i propri limiti e di apprendere con maggiore facilità, come hanno dimostrato Vygotsky e l’approccio di Reggio Emilia, che sulle sue osservazioni ha fondato uno dei migliori metodi pedagogici moderni.

La seconda riguarda l’aspetto sociale della scuola, la possibilità che essa offre agli studenti fin dalla prima infanzia, di far parte di un ambiente sociale diverso da quello famigliare, con le sue regole, un proprio spazio- tempo strutturato ed organizzato, adulti professionisti con i quali entrare in relazione; nella quale i bambini ed i ragazzi possono confrontarsi con l’autorità e la responsabilità individuale. Una scuola che può diventare risposta accogliente e plurale all’individualismo esasperato espandendo i confini dell’IO in progetti del NOI. Un microcosmo sociale che può diventare palestra quotidiana di “allenamento” alla democrazia attiva.

Una terza motivazione riguarda l’aspetto di giustizia sociale che la scuola è chiamata a perseguire; pur nelle imperfezioni del sistema, in classe si è diversi ma tutti uguali: le stesse opportunità, gli stessi strumenti, lo stesso ambiente di apprendimento. La scuola italiana ha dimostrato nella sua storia di essersi impegnata in molte realtà a colmare le diseguaglianze perseguendo l’equità delle opportunità di formazione sostenendo l’apprendimento di tutti con attenzione particolare ai più deboli riconoscendo l’eterogeneità e diversità dei propri studenti e creando spazi in cui sviluppare il potenziale umano di ognuno di essi. Se la scelta dell’homeschooling dovesse diffondersi, le disuguaglianze sociali verrebbero ancora una volta rafforzate, come la didattica a distanza ha già purtroppo messo in evidenza.

Un’ultima motivazione marginale sotto forma di domanda: quindi siamo davvero convinti che chiunque possa insegnare?  Secoli di studi, di ricerca filosofica, pedagogica, didattica, dibattiti, confronti… Inutili. La verità è dunque banale: chiunque può fare l’insegnante. Magari la mamma che ne dite? La crisi sta rimandando a casa le donne, d’altra parte è quello il luogo dove devono stare, quindi si prendano cura finalmente della casa e dei figli, anche della loro istruzione. Anzi, no. Diamo loro anche lo smart working che è così di moda e di smart non ha proprio nulla, come abbiamo visto durante questi mesi. Aumentiamo il carico di lavoro delle donne, ma soprattutto teniamole in casa.

O forse stiamo pensando di tornare ai precettori….. Questa potrebbe essere la nuova sfida.

 




Distanziamento sociale? Semmai “distanza di precauzione”. Le parole sono importanti

di Riccarda Viglino

Da insegnante appassionata della lingua e della potenza dei suoi significati, rabbrividisco ogni volta che sento parlare anche in ambito scolastico di distanziamento sociale e mi arrabbio proprio quando qualcuno mi spiega con condiscendenza, quella che si usa inopportunamente con i bambini e con gli anziani, che si tratta della traduzione dell’inglese social distancing.
Anche perchè purtroppo lo so molto bene e non è questo il punto.
Al massimo questo fatto, aggiunge la beffa al danno, inducendomi a constatare che ancora una volta copiamo pedestremente un termine senza interrogarci sul suo significato più profondo.
Quale società civile può auspicare e promuovere un distanziamento sociale? E quale scuola? Entrambe sono intessute e formate da relazioni diverse e molteplici, le relazioni ne sono il cuore pulsante.
La pandemia richiede di tenere le distanze dagli altri come precauzione per possibili contagi, di certo non impone di azzerare le relazioni sociali che fortunatamente hanno trovato in questi mesi strumenti e modi per realizzarsi: videochiamate, messaggi, telefonate, internet, cartelli e striscioni, poesie, musica dai balconi….
Tutto ci ha aiutato a rispondere al nostro bisogno innato di socialità, a sentirci connessi con gli altri e con il mondo, ad uscire dall’isolamento per sentirci meno soli. E gli altri ci sono mancati, la socialità quella vera, come l’aria, tanto da farne scorpacciate irresponsabili appena ne abbiamo avuto modo.
Allora usiamo le parole dando loro il giusto peso, e soprattutto a scuola. Insegniamo ai nostri alunni a tenere la giusta distanza fisica di precauzione ma ricerchiamo ed inventiamo mille modi per mantenere ed incrementare le relazioni sociali all’interno ed all’esterno dell’aula.
Promuoviamo e coltiviamo l’intelligenza sociale, fatta di empatia ed abilità sociali diverse ed indispensabili, intessuta di emozioni che come insegnanti dovremo saper accogliere e dar loro risposte.