Premesso che ogni scelta va rispettata soprattutto nel caso in cui ci sia alla base la volontà di proteggere la salute dei propri figli, ci sono alcune ragioni, di diverso ordine, che non mi permettono di ritenere utile e proficua questa scelta.
La prima, senza dubbio di carattere educativo e didattico è che essa trascura la dimensione sociale dell’apprendimento. Non solo la socialità intesa come relazione con adulti e pari al di fuori della cerchia famigliare, quella socialità allargata e strutturata fondamentale per la crescita emotiva e la maturazione di adeguate competenze sociali della persona, ma proprio l’aspetto dell’imparare “con gli altri”, e anche per mezzo degli altri. E gli altri sono la classe, nella sua eterogeneità e complessità, quella che oggi spaventa molti genitori ma che è la risorsa fondamentale per l’apprendimento di tutti.
Solo attraverso il confronto con gli altri infatti si prende atto progressivamente delle proprie competenze e specificità, si apprendono strategie, idee, conoscenze e punti di vista diversi dal proprio, si acquisiscono apprendimenti duraturi. La possibilità di imparare nel gruppo dei pari, consente al singolo di andare oltre i propri limiti e di apprendere con maggiore facilità, come hanno dimostrato Vygotsky e l’approccio di Reggio Emilia, che sulle sue osservazioni ha fondato uno dei migliori metodi pedagogici moderni.