Revisione Indicazioni Nazionali: c’è Commissione e Commissione

di Aluisi Tosolini

Mettere mano agli indirizzi generali di un sistema educativo è sempre questione complessa che richiede moltissima attenzione e cura. Spesso si tratta, infatti, di dar corpo a documenti che segnano la cultura di un paese per decenni. E che per definizione vengono in genere affidati ad altissime e riconosciute personalità.
Per fare solo un esempio, pochi sanno che il concetto di post-moderno che ha segnato decenni della cultura contemporanea si deve all’opera di Jean-François Lyotard che nel 1979 pubblicò il volume La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir che gli fu commissionato dal Canada in vista della revisione del proprio curricolo di studi. Lo stesso accadde con Edgar Morin e il volume I sette saperi necessari all’educazione del futuro, commissionato dall’Unesco.

Per questo quando in Italia sento parlare di “revisione delle indicazioni nazionali” mi vengono i sudori freddi, soprattutto se le persone di cui si parla come componenti del gruppo incaricato di procedere alla revisione non brillano certo per essere personalità di altissimo ed indiscusso livello intellettuale e culturale.
Così, riflettendo sul caso italiano e dopo aver letto la precisissima ricostruzione fatta da Cinzia Mion del percorso del gruppo di lavoro che ha portato alle indicazioni nazionali sin dal suo avvio con Ceruti (e l’immediato collegamento con Morin e la sua proposta culturale e metodologica) sino all’aggiornamento del 2012 curato da Italo Fiorin ho pensato di confrontarmi con la precedente proposta nata un decennio prima su impulso del Ministro Luigi Berlinguer.

La commissione dei Saggi e la sintesi di Roberto Maragliano

Sono così andato a rileggermi il volume “Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni I materiali della Commissione dei Saggi” pubblicato nel 1997 dagli Annali della Pubblica Istruzione (il testo è reperibile in rete)

Tre sono le cose che mi hanno impressionato:

  1. Le precise domande – “questioni” poste dal ministro alla commissione dei saggi ed il brevissimo tempo dato loro per produrre risposte concrete
  2. L’elenco dei saggi che hanno partecipato alla commissione: si tratta del gotha degli intellettuali e degli esperti (di ogni tendenza culturale) di quel periodo. Riporto in nota l’elenco dei componenti della commissione così come desunto dall’art. 2 del decreto istitutivo. Invito a leggere l’elenco per capire l’altissimo livello delle personalità cui il ministro chiedeva un pare su quali fossero le conoscenze fondamentali per l’apprendimento nei prossimi decenni
  3. La sintesi di Roberto Maragliano che, come adesso si vedrà, è attualissima ancora oggi

Per quanto riguarda la sintesi proposta di Maragliano riporto qui i sette nodi sui quali la Commissione ha centrato prevalentemente la sua attenzione (pp 73).

I nodi sono:

  1. le questioni relative alla sfera dell’identità: dell’individuo che si intende formare, del nostro paese (e delle sue tradizioni storiche, rilette in chiave internazionale), dei processi in atto di globalizzazione (vale a dire europeizzazione e mondializzazione) della cultura, della comunicazione, dell’economia, della politica;
  2. l’esigenza di dare un significato etico ed empirico all’obiettivo di «educare nella e alla democrazia»: l’ultima riforma complessiva dell’istruzione, in Italia, è avvenuta più di settant’anni fa; sia il contenuto di tale riforma, sia la sua distanza temporale dall’Italia e dal mondo contemporanei continuano in varie forme a far sentire il loro peso;
  3. la dialettica che, in ordine all’organizzazione dei contenuti della formazione scolastica, si apre tra un’impostazione curricolare, affidata alla solidità dei quadri disciplinari di base (gli elementi istituzionali delle materie d’insegnamento), e una visione di tipo «reticolare», orientata ad individuare criteri più mobili di aggregazione delle future conoscenze e competenze dei giovani;
  4. il problema della sostenibilità sociale, culturale e ambientale delle dinamiche dello sviluppo, in ordine all’esigenza di coniugare le risorse disponibili con il bisogno di sicurezza e di aspettativa individuale e collettiva nel futuro;
  5. la messa in discussione di una visione esclusivamente «conoscitiva», «verbale» e «acorporale» dell’esperienza individuale e collettiva, e la conseguente promozione di elementi basilari di un sapere pratico, manuale e operativo;
  6. la questione del ruolo della cultura del lavoro nello sviluppo di un nuovo modello educativo;
  7. la sfida che l’innovazione tecnologica e la moltiplicazione delle fonti di informazione e di conoscenza pongono all’azione scolastica e all’individuo in crescita;

Come si può vedere si tratta di nodi attualissimi e sfide non risolte che si ripropongono ogni giorno nel mondo dell’educazione in Italia.

Il tema dell’identità e la sua dimensione plurale

Sul tema “identità”, che oggi è ancora più centrale,  Maragliano scrive:
“molto si è discusso di identità, e lo si è fatto il più delle volte usando il termine al plurale. Nella società del presente, ampiamente differenziata e aperta a un mutamento costante, l’individuo deve orientarsi sulla base di un gran numero di modelli, talvolta anche contrastanti e, lungo tutto il corso della sua vita, deve assumere, di volta in volta, ruoli diversi, a seconda dei contesti di esperienza e di attività. È dunque assai più difficile, oggi, proporre e far sì che un individuo mantenga una sua identità definita: i suoi quadri di riferimento saranno forniti dalla mediazione delle forme sociali e culturali, ma anche da processi centrifughi rispetto a queste, basati sulla possibilità di far leva su una elaborazione cosciente della sua personale esperienza di vita. In questo senso, il problema dell’identità individuale e delle forme di appartenenza dovrà essere al centro dell’attenzione di una scuola rinnovata.
E ciò lo si potrà ottenere sia concedendo un’importanza fondamentale agli aspetti metodologici della conoscenza (si tratta di fornire gli strumenti linguistici, interpretativi, operativi che meglio rispondono alle esigenze attuali di un’alta mobilità tra le diverse forme di specializzazione culturale e professionale) sia lavorando a promuovere un fondamento di solidarietà universale che si anticipi alla definizione delle identità particolari e favorisca il riconoscimento reciproco delle differenze” (pag. 74).

Verso una inedita retrotopia

Negli anni successivi sia la commissione Ceruti e che Fiorin si sono mosse lungo lo stesso sentiero coniugando nel glo-cale la pluralità di appartenenze che derivano dall’eterogeneità dei gruppi in cui le identità si sviluppano.
Certamente – come ha espressamente indicato il Ministro –  rispetto al tema dell’identità cla lettura Valditara si colloca in dimensione diametralmente contraria sia al percorso italiano Maragliano – Ceruti – Fiorin che al percorso internazionale Morin – Unesco (Re-immaginare il nostro futuro assieme. Un nuovo contratto per l’educazione, 2021) – ONU (Transforming Education , 2022) e ONU 2024, Summit per il futuro.

E’ un ideologico guardare all’indietro. Esattamente quello che Zygmunt Bauman in uno degli ultimi suoi saggi chiamò Retrotopia. Ovvero la fuga dal presente percepito come incerto e insicuro per rifugiarsi in un passato tanto rassicurante quanto inesistente perché mitizzato e ricostruito ad hoc. Un’utopia al contrario.

I componenti della commissione dei saggi
(DD.MM. n. 50 del 21 gennaio 1997 e n. 84 del 5 febbraio 1997)

Prof. Evandro Agazzi Docente Università Genova
Dr. Giuliano Amato Presidente Commissione Antitrust
Prof. Achille Ardigò Sociologo
Prof. Carlo Bernardini Docente Università «La Sapienza» Roma
Prof. Maurizio Bettini Docente Università Siena
Prof. Carlo Bo Rettore Università Urbino
Dr. Carlo Borgomeo Presidente Soc. imprenditorialità giovanile
Prof.ssa Liliana Borrello Ispettrice Ministero Pubblica Istruzione
Dr. Carlo Callieri Vicepresidente Confindustria
Prof. Carlo Cipolla Docente Università Pavia
Prof. Vittorio Cogliati Dezza Legambiente
Prof. Franco Crespi Docente Università Perugia
Prof. Francesco Dal Co Architetto
Prof. Paolo Damiani Presidente Associazione Italiana Jazz
Prof. Tullio De Mauro Docente Università Roma
Dr. Giuseppe De Rita Presidente CNEL
Prof. Gianfranco Dioguardi Docente Università Bari
Prof. Umberto Eco Docente Università Bologna
Prof. Paul Ginsborg Docente Università Firenze
Prof.ssa Rita Levi Montalcini Presidente Istituto Enciclopedia Italiana Roma
Prof. Mario Luzi Docente Università Firenze
Prof. Roberto Maragliano Docente Università Roma III
Prof. Umberto Margiotta Docente Università Venezia
Dr. Mario Martone Regista
Dr. Alfredo Carlo Moro Magistrato
Prof. Riccardo Muti Teatro alla Scala Milano
Dr. Maurizio Nichetti Regista
Prof.ssa Caterina Petruzzi Ispettrice Ministero Pubblica Istruzione
Prof. Giovanni Polara Docente Università Napoli 2
Prof.ssa Clotilde Pontecorvo Docente Università Roma
Prof. Antonio Portolano Ispettore Ministero Pubblica Istruzione
Prof. Luigi A. Radicati di Brozolo Docente Università Normale Pisa
Prof. Giovanni Reale Docente Università Cattolica Sacro Cuore Milano
Prof. Luisa Ribolzi Docente Università Genova
Suor Enrica Rosanna Preside
Dr. Eugenio Scalfari Giornalista
Prof. Emanuele Severino Docente Università Venezia
Dr. Antonio Tabucchi Scrittore
Prof. Silvano Tagliagambe Docente Università «La Sapienza» Roma
Card. Ersilio Tonini
Prof. Nicola Tranfaglia Preside Facoltà di Lettere Università di Torino
Prof. Uto Ughi Musicista
Prof. Mario Vegetti Docente Università Pavia
Prof. Edoardo Vesentini Docente Università Normale Pisa




IC Iqbal Masih di Pioltello: lode all’autonomia scolastica ed altre storie

di Aluisi Tosolini

In questi giorni divampa la polemica sull’Istituto Comprensivo di Pioltello che ha “adattato” il proprio calendario scolastico inserendo un giorno di chiusura in concomitanza la conclusione del Ramadan, anche in considerazione che circa il 40% degli studenti del comprensivo festeggia tale giornata.
Il ministro, come ha scritto Tecnica della scuola, ha accusato il comprensivo di aver stabilito una nuova festività, cosa non legittima.
Ma cerchiamo di capire come funziona il tutto partendo dalle norme e poi raccontando la prassi derivante da 20 anni di esperienza da dirigente scolastico.

La normativa: autonomia scolastica e calendario scolastico regionale

Il calendario scolastico viene annualmente deliberato dalle singole Regioni. Nel caso dell’anno 2023/24 la regione Lombardia ha pubblicato il 20 aprile 2023 la delibera Prot. N.R1.2023.5812 che così scrive: “come definito con la DGR 3318/2012, permangono stabilite le festività fissate dalla normativa nazionale ed i tradizionali periodi di chiusura natalizi, pasquali e di carnevale, come di seguito specificato (segue elenco)”.

In chiusura la delibera ricorda che “le Istituzioni scolastiche e formative, nel rispetto del monte ore annuale previsto per le singole discipline ed attività obbligatorie, possono disporre gli opportuni adattamenti del Calendario Scolastico d’Istituto – debitamente motivati e deliberati – comunicandoli tempestivamente alle famiglie entro l’avvio delle lezioni”.

Il DPR 275/99 ( Autonomia Scolastica) all’articolo 5 (autonomia organizzativa), comma 2 e 3 al riguardo scrive:

  1. Gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta formativa nel rispetto delle funzioni in materia di determinazione del calendario scolastico esercitate dalle Regioni a norma dell’articolo 138, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
  2. L’orario complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività sono organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una programmazione plurisettimanale, fermi restando l’articolazione delle lezioni in non meno di cinque giorni settimanali e il rispetto del monte ore annuale, pluriennale o di ciclo previsto per le singole discipline e attività obbligatorie.

Come si può vedere è del tutto evidente che il Consiglio di Istituto si è mosso dentro i binari fissati dalla normativa.

Infatti

  1. La singola scuola, dice la norma, può, rispettando le prerogative della Regione, adattare il calendario scolastico in relazione alle esigenze del PTOF;
  2. Le prerogative regionali sono state rispettate perché viene rispettata sia la data di avvio che di chiusura dell’ano scolastico e di certo nella delibera dell’IC Pioltello sarà stato previsto sia il rispetto del monte ore annuale che la tempestiva comunicazione alle famiglie.

Per quanto riguarda le esigenze del PTOF di un comprensivo che è intitolato a Iqbal Masih (bambino operaio e attivista pakistano, simbolo della lotta contro il lavoro infantile) non vi è dubbio che esistano e che siano anche significative e pregnanti.

Per chi lo volesse verificare di persona consiglio la lettura del PTOF dell’Istituto. Se proprio non lo si vuole leggere tutto basta andare a pagina 19 dell’estratto grafico dove leggo: “L’ Istituto da sempre pone attenzione al contesto multiculturale in cui opera, promuovendo azioni intenzionali e sistematiche che riguardano la promozione della formazione di conoscenze e atteggiamenti che favoriscono rapporti dinamici tra le culture; predispone un clima relazionale positivo nella classe, nella scuola e in spazi extrascolastici, favorevole al dialogo, alla comprensione e alla convivenza civile. La Scuola si avvale del nuovo Protocollo di Accoglienza, documento che definisce le azioni con cui attuare e sostenere l’inserimento scolastico degli alunni stranieri, sia di quelli che si iscrivono prima dell’inizio delle lezioni sia di quelli che si iscrivono ad anno scolastico iniziato. Tiene conto del quadro legislativo di riferimento. Esso è il risultato del lavoro della Commissione Intercultura ed è parte integrante del PTOF dell’Istituto comprensivo

Insomma, nessuna festività religiosa o nazionale inventata dal nulla ma corretto esercizio dell’autonomia scolastica entro i parametri definiti dalla normativa in vigore.
Ed è per questo che l’attacco che il Ministro ha rivolto all’istituto è particolarmente preoccupante: perché è ideologico e ottusamente chiuso nei confronti delle nuove realtà sociali e culturali che caratterizzano l’Italia contemporanea e perché dimostra di non conoscere la normativa (cosa questa abbastanza preoccupante se si è ministri dell’istruzione !!).

Breve ed ironica narrazione di come si costruisce la delibera annuale sull’adattamento del calendario scolastico

Ma come viene fatta annualmente la delibera sul calendario scolastico da parte delle singole scuole?
Beh…. 20 anni di esperienza da dirigente scolastico mi permettono di fare qualche esempio ironico (ma mica tanto).
In primo luogo occorre capire in che regione si vive. Ad esempio la Regione Emilia Romagna ha pensato di fare, anni fa, una delibera permanente (neanche fosse il calendario gregoriano) che poi annualmente è costretta a integrare perché succede sempre qualcosa che fa saltare i piani scolpiti nella roccia dai legislatori di Bologna.
Comunque sia, a differenza della delibera della Lombardia, i singoli istituti non possono, in Emilia Romagna, cambiare la data di inizio delle lezioni. Così chi lo ha fatto (la scuola che ho diretto, ad esempio) ha sempre dovuto inventarsi delle ragioni più o meno plausibili per farlo (ad esempio per il PCTO, oppure solo per il quadriennale, oppure ecc) in una sorta di gara alla creatività ermeneutica.

In secondo luogo appena si sa com’è il calendario fissato dalla regione sia i docenti che i genitori si scatenano nell’analisi del calendario dell’anno successivo (ad esempio del 2025 oltre che dell’autunno 2024 per l’anno scolastico 24/25) alla ricerca di tutti i ponti possibili e immaginabili così da proporre chiusure della scuola in concomitanza dei ponti stessi.

In alcuni casi la cosa è proprio sensata, in altri molto tirata. Una volta identificati i possibili ponti da fare (quindi i corrispondenti giorni di sospensione delle lezioni) occorre capire come recuperare le ore di lezione di quei giorni. Non è infatti pensabile di saltarle a più pari: su questo la normativa  di cui sopra è chiarissima. Ovviamente anche qui si va di fantasia: chi già ha il calendario su 5 giorni alla settimana ha gioco facile inserendo ad esempio qualche rientro al sabato per attività di tipo campionati studenteschi, giochi di qualcosa, festa dell’istituto ecc.  Chi invece lavora su 6  gironi è costretti ad un di più di creatività: chi ragiona di viaggi di istruzione che durando giorni interi occupano comunque molte ore e quindi costituiscono un recupero dei giorni di ponte, chi giurando che ci saranno dei rientri pomeridiani in più (tanto poi magari nessuno controlla e amen…. ) e così via…

In altre situazioni sono gli stessi enti locali che supplicano perché siano attuate determinate chiusure. Ad esempio per evitare in pieno inverno l’accensione del riscaldamento in un giorno infrafestivi.

E’ persino accaduto che la provincia dove io vivo abbia insistito per diversi anni per convincere tutte le scuole superiori a chiudere il sabato adottando il calendario scolastico su 5 giorni così da risparmiare in riscaldamento e costi di trasporto. Che poi la cosa risulti complessa per ragazzi e ragazze che frequentano istituti con più di 30 ore settimanali obbligando a prevedere persino 3 rientri pomeridiani (in assenza spesso di mensa e spazi adeguati) non pareva essere di interesse di qualcuno. Come se l’apprendimento non fosse propriamente al centro degli interessi di chi ragiona di scuola….

C’è poi il caso del Carnevale. In alcune regioni si fa vacanza perché cos’ ha deciso la determina regionale (ad esempio Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata), in altre proprio no. Ad esempio a Viareggio le scuole sono aperte durante il carnevale.

Poi ci sono i casi dei comuni che hanno il santo patrono (ps: santo patrono !! giusto per stare nella laicità !) che ricorre in piena estate e quindi la festa/chiusura della scuola salta. Oppure i comprensivi che si stendono su 4 o 5 comuni (ne ho diretto uno su 5 comuni di montagna, una intera valle, un feudo!) con 4 o 5 diverse festività del patrono e conseguenti complessità organizzative.

Insomma, come si può vedere, per fortuna che c’è l’autonomia scolastica che, ben regolata e mitigata entro gli argini della legge che assegna alle regioni la potestà sui calendari scolastici che tuttavia permettono adattamenti a cura delle singole scuole.
Nel caso dell’IC Iqbal Masih poi le ragioni sono davvero significative, apprezzabili e degne di lode!
Di certo più inclusive che una sospensione delle lezioni per permettere la settimana bianca o il week end lungo al mare a chi se lo può permettere !
Altro che invenzione di festività !

 




La scuola del merito di Valditara: per gli studenti prove Invalsi difficili, per i docenti test di concorso facili e imbarazzanti

di Aluisi Tosolini

In questi giorni si stanno svolgendo le prove scritte (test computer based) dei concorsi docenti di ogni ordine e grado.
E, sempre in queste settimane, si discute moltissimo di valutazione accusando spesso la scuola di non essere abbastanza difficile, di non pretendere abbastanza dagli studenti e di essere preda di un rammollitismo ideologico le cui origini sono ritrovate dal Ministro, stando al suo ultimo libro sulla scuola, nell’ideologica sinistra e sinistroide del 1968. Insomma la scuola del merito e dei talenti deve essere più difficile, deve alzare l’asticella.
Se dunque la scuola è accusata di essere troppo facile – mi sono detto – chissà come saranno le prove scritte (test) dei concorsi per docenti. Sarà una strage.

La stessa preoccupazione è stata espressa, ad esempio, da La Repubblica che l’11 marzo 2024 così scrive:  “Concorsi al via. È la settimana delle prove a quiz per chi sogna una cattedra di ruolo. Hanno fatto domanda in 372.804 per 44.654 posti di cui 15.588 sul sostegno. Entreranno poco più di uno su dieci. Al netto della disomogeneità dei posti disponibili rispetto alle domande e soprattutto delle bocciature che nel test selettivo da 50 quesiti hanno tassi sempre molto elevati

Ma è davvero così?
Siamo andati a vedere. Ma prima di darvi l’esito della nostra ricerca facciamo il punto sulla prova scritta.

In cosa consiste la prova scritta?

La prova consiste in un test computer based di 50 quesiti a risposta multipla (4 risposte, una sola corretta). La prova ha una durata di 100 minuti.
I 50 quesiti sono organizzati per aree o ambiti 

Ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico-metodologico

  • 10 quesiti di ambito pedagogico
  • 15 quesiti di ambito psicopedagogico (inclusione inclusa)
  • 15 quesiti di ambito metodologico didattico (valutazione inclusa)

Lingua inglese: 5 quesiti a risposta multipla, livello B2.

Competenze digitali: 5 quesiti sull’uso didattico delle tecnologie e dispositivi elettronici multimediali

I quesiti si basano sui programmi dell’allegato A al DM n. 206 del 26 ottobre 2023 e allegato A al dm n. 205 del 26 ottobre 2023 rispettivamente per infanzia primaria e secondaria.

Come si supera la prova

Il punteggio massimo per la prova scritta è di 100 punti. Ogni risposta esatta vale 2 punti. La risposta errata o non fornita vale zero. La prova è superata con il punteggio complessivo non inferiore a 70 punti, ovvero con 35 risposte esatte su 50. Il punteggio del test (prova scritta) è conteggiato nel punteggio complessivo che è costituito da punteggio prova scritta, punteggio prova orale (max 100) e punteggio titoli (max50) per un totale massimo di 250 punti.

La prova scritta: difficilissima, difficile, facile, facilissima, …… o imbarazzante ?

Una gentilissima dirigente amica mi ha recapitato i 50 test cui sono stati sottoposti i docenti delle scuole secondarie (di primo e secondo grado) in uno dei giorni scorsi. Ricordo che in quella giornata la stessa prova è stata somministrata a tutti i concorrenti in tutta Italia (l’unica variazione è infatti nella disposizione random dei quesiti)

I 50 quesiti sono scaricabili qui.

Invito tutti prima a mettersi mentalmente alla prova e poi a rispondere ad un’unica domanda al seguente link https://forms.gle/c7Vxd4FTravxXKPQ6  dove esprimere il proprio parere sulla complessità della prova.

Una valutazione dei quesiti

In realtà gli argomenti di molti quesiti sarebbero anche interessanti e si presterebbero a quella ipotizzata strage di cui parla Repubblica. Il problema è che tra le 4 risposte possibili tre sono proprio sbagliatissime ed in sostanza è impossibile non azzeccare la risposta giusta.
Ad esempio la domanda 50 chiede quale tra i seguenti NON è un organo collegiale di cui al Dlgs 297/1994. E fornisce le seguenti opzioni

  • Piano triennale dell’offerta formativa
  • Collegio dei docenti
  • Consiglio di interclasse
  • Consiglio di intersezione

Ora, anche se una viene da Marte (ma conosce la lingua italiana) non può che rispondere correttamente spuntando PTOF che, essendo un Piano triennale, è difficile sia un organo collegiale.
E lo stesso si può dire per quasi tutti (se non tutti ! ) i quesiti. Alcuni poi sono di una semplicità imbarazzante, come quello della domanda 7. Altri gridano vendetta al cospetto di Dio, e penso al quesito sulla pedagogia della cura dove anche mio nipotino di 2 anni e mezzo risponderebbe correttamente.
Taciamo poi, per carità di patria sui quesiti riferiti a pedagogisti e affini (Piaget, Dewey, Bloom,..).

Insomma, una persona che conosca la lingua italiana e legga con attenzione le domande, difficilmente riesce a sbagliare più di 15 risposte e quindi a non accedere all’orale, dove barcamenarsi pronti ad andare in cattedra negli anni successivi.
Ignorantissimi o preparatissimi non è dato sapere, visto che certo questa prova scritta non ci permette di capirlo.
Ma certo pronti ad essere cattivissimi con gli studenti e le studentesse che, secondo moltissimi Catoni contemporanei, non sanno niente e che non hanno voglia di imparare nulla.

Una modesta proposta

Magari – modestissima proposta da parte mia – potremmo chiedere agli studenti di quinta superiore di svolgere il test che vi ho proposto (invece che il test invalsi) così da verificare quanti prendono più di 70 ed abbuonare a questi l‘esame di stato. Tanto, ne sanno come i futuri docenti.
E magari ai docenti facciamo fare il test invalsi….. e allora forse sarà davvero una strage !

 

 

 

 




Il diritto al disagio e la sua rappresentazione. La fuga dai licei

di Piervincenzo Di Terlizzi  – dirigente scolastico ISIS Zanussi – Pordenone
e Aluisi Tosolini – filosofo dell’educazione

Un ampio articolo a pagina 21 de “Repubblica” del 30 marzo 2023 pone l’attenzione sulla “fuga dai Licei”, cioè sul numero significativo di richieste, ad anno scolastico in corso, di trasferimento in uscita da alcune delle scuole più note delle maggiori città italiane. L’ansia che “devasta”, dice il richiamo del titolo, appare la causa di questo fenomeno.

La narrazione giornalistica della scuola italiana, si sa, ha come centro dell’attenzione i Licei di Roma e Milano e (meno frequentemente) degli altri centri principali: pure questo articolo ne è conferma, individuando, tra le cause possibili della questione, la (nuova, attuale) fragilità degli studenti di fronte alle (usuali) difficoltà richieste dallo studio impegnativo.

Sembrerebbe, dunque, che in buona parte di questi casi la scelta conseguente sia quella di cercare contesti in cui si studi “meno”.
Questa interpretazione, oltre che riduttiva rispetto ai casi individuali di disagio e fragilità, oltre che generica (è una spiegazione che può andare bene in tanti altri tempi e contesti) è anche ingenerosa nei confronti delle altre scuole, e pare basarsi implicitamente sul trito e insuperato assunto socioculturale per cui esistano i contesti “di serie A” (Licei) e quelli “di serie B, o C” (Tecnici e Professionali).

Sennonché, il disagio non pare pensarla alla stessa maniera, e non è di serie A o B o C: se allarghiamo appena un poco lo sguardo, o se, giornalisticamente, andiamo a interrogare chi lavora in scuole che non siano i Licei delle grandi città, il tema si ripresenta anche nelle scuole degli altri ordini, ed anche nelle fasce di età minore, e non si lascia risolvere con la retorica dell’”arrendersi al primo ostacolo”.
C’è disagio all’Università, come hanno segnalato gli stessi studenti all’apertura dell’anno accademico a Padova.
E c’è disagio anche ai Tecnici e ai Professionali, potremmo dire, semplificando; ma è, appunto, una semplificazione, e piuttosto abbiamo da chiederci che cosa stia accadendo di nuovo.

Due rapporti fanno luce sul disagio oggi in Italia

Prendiamo, a tal proposito, due documenti usciti quasi contemporaneamente, in questi stessi giorni: il dossier dell’Ufficio scuola della CEI, intitolato “In pieno inverno. Disuguaglianze e fragilità nel sistema educativo” (link) ed il Rapporto Disuguaglianze della Fondazione CARIPLO, sottotitolato “Superare gli ostacoli nell’età della formazione” (link). Entrambi mettono il lettore a contatto con la dura e stratificata dimensione delle ragioni del disagio attuale: economiche, sociali, familiari.
Leggiamo ad esempio, dal primo testo, questa considerazione, basata su uno studio dei comportamenti degli studenti toscani dopo la pandemia: “In chi già viveva una situazione di marcata privazione di opportunità, come nel caso di molti studenti degli istituti professionali, è presumibile che la pandemia abbia indotto cambiamenti meno evidenti che non in chi, invece, prima dell’emergenza poteva contare su risorse tali da consentirgli di coltivare una progettualità futura che adesso rischia di venire meno” (p. 23). La questione pare, ragionevolmente (e inquietantemente) spostarsi sulle attese per il futuro, sull’idea stessa di futuro possibile da parte degli studenti. Dal secondo testo, cogliamo questa osservazione di Valentina Amorese (p. 75): “Stiamo quindi assistendo ad una crescita delle distanze nelle prospettive di vita delle persone. Questa tendenza contribuisce a costruire e rafforzare un contesto di frammentazione all’interno del Paese”, che ci mette di fronte ad un altro aspetto fondamentale di cui le manifestazioni di disagio sono una sorta di termometro: la polverizzazione delle esperienze, con una perdita secca degli spazi (esteriori ed interiori) di socialità.

Frammentazione, crisi del senso e disuguaglianza  

La frammentazione sociale e la crisi di senso di certo ha anche a che fare con l’aumento delle disuguaglianze attestate in modo plastico da due infografiche, la prima ripresa dal dossier Caritas ( pag. 5) e la seconda dal XIII Atlante dell’infanzia a rischio pubblicato a novembre da Save the Children (link – pag. 30)

Ma di tutto questo, ovviamente, non è il caso di parlare, per non disturbare il manovratore e la classe dirigente (i cui figli, come dice l’articolo di Repubblica del 30 marzo, frequentano i licei dove si è scoperto esistere il disagio).

Allargare l’orizzonte

Se poi vogliamo allargare l’orizzonte possiamo scorrere le pagine del rapporto The state of the global education crisis: a path to recovery frutto della collaborazione tra Unesco, Unicef e Banca Mondiale pubblicato nel 2021 (link). Il rapporto è stato poi ampiamente confermato dallo studio ONU 2022 sul livello di raggiungimento dell’Obiettivo n. 4 dell’agenda sostenibilità (Istruzione di qualità per tutti – link -) che possiamo riassumere nei seguenti dati riferiti a inizio 2023:

  • nel mondo, sei bambini su 10 dell’età di dieci anni non sono in grado di leggere e comprendere una semplice storia;
  • 244 milioni di bambini e adolescenti non vanno a scuola
  • 617 milioni di bambini e adolescenti non sanno leggere e non hanno le competenze matematiche di base;
  • meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completa la scuola secondaria inferiore e circa quattro milioni di bambini e giovani rifugiati non vanno a scuola.
  • si stima che 147 milioni di bambini abbiano perso più della metà dell’istruzione in classe negli ultimi due anni a causa della chiusura delle scuole causata dalla pandemia COVID-19
  • la percentuale di giovani che completano la scuola secondaria superiore è passata dal 54% nel 2015 al 58% nel 2020, con un rallentamento dei progressi rispetto al quinquennio precedente.
  • la maggior parte dei Paesi non ha raggiunto la parità di genere nella percentuale di bambini che soddisfano gli standard minimi di apprendimento in lettura e nel tasso di completamento della scuola secondaria inferiore[1];
  • Nel 2020, circa un quarto delle scuole primarie a livello globale non aveva accesso a servizi di base come elettricità, acqua potabile e servizi igienici di base.
  • Circa il 50% delle scuole primarie ha accesso a servizi come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le infrastrutture adatte ai disabili.
  • Nel 2020, circa 12 milioni di insegnanti di scuola pre-primaria, 33 milioni di insegnanti di scuola primaria e 38 milioni di insegnanti di scuola secondaria lavoravano nelle classi di tutto il mondo e l’83% degli insegnanti di scuola primaria e secondaria avevano ricevuto formazione adeguata
  • nel corso dell’emergenza Covid solo il 20% dei Paesi ha intrapreso misure significative per fornire ulteriore salute mentale e supporto psicosociale agli studenti dopo la riapertura delle scuole;

Supporto psicologico?

Eccoci, fermiamoci a questo ultimo dato, riferito al supporto psicologico che anche in Italia è stato ampiamente attivato in tempo covid e che ancora oggi è alla base di molti percorsi pensati entro il PNRR anti dispersione.
In questo caso la domanda deve essere precisa e radicale: il supporto psicologico a che cosa serve e deve servire? A rendere sopportabile questa scuola a questi studenti? Quasi un antidepressivo anestetizzante rispetto al disagio imperante?
Oppure a cambiare questa scuola per renderla luogo nel quale iniziare a prendere davvero in mano il proprio futuro per costruirlo assieme, diverso?

Il disagio ha infatti a che fare proprio con l’idea di futuro, o della sua precarietà e, addirittura, mancanza.
Mancanza di futuro e spazi di socialità infranti: sono profonde domande di senso, che si possono verificare, del resto, anche in coda al supermercato.
Il “disagio” degli studenti non si semplifica con un movimento tra una scuola e un’altra, perché è il nostro disagio.




Intelligenza artificiale, chatGPT e l’inafferabilità dell’umano

Aluisi Tosolini
Coordinatore del comitato scientifico Casco Learning

n questi ultimi mesi il dibattito sull’Intelligenza artificiale si è accesso con una fortissima fiammata che ha coinvolto anche l’opinione pubblica “generalista”, i quotidiani, le televisioni, i settimanali, e le radio.
Al centro del dibattito ChatGPT, il chatbot promosso da OpenAI e basato su intelligenza artificiale, lanciato il 30 novembre 2022 ha raggiunto un milione di utenti in 5 giorni e chiunque voglia può sperimentarlo, previa iscrizione partendo dall’ indirizzo https://chat.openai.com/chat .

Prima di ragionare sulle ricadute educative è bene cercare di capire bene di che cosa si tratta.
Proviamo a farlo con alcuni rapidi passaggi e link per l’approfondimento.

Che cos’è un chatbot?

La prima cosa da chiedersi è che cos’è un chatbot.

La definizione offerta da Oracle è la seguente: software che simula ed elabora le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. I chatbot possono essere semplici, come i programmi rudimentali che rispondono a una semplice interrogazione (query) con una singola riga, oppure sofisticati come gli assistenti digitali che apprendono e si evolvono per fornire livelli crescenti di personalizzazione quando raccolgono ed elaborano le informazioni.
Guidati da Intelligenza Artificiale (AI), con regole automatizzate, elaborazione in linguaggio naturale (NLP) e machine learning (ML), i chatbot elaborano i dati per fornire risposte a richieste di ogni tipo.

Sempre Oracle ne distingue due tipologie

  • dichiarativi: dedicati ad attività molto specifiche
  • predittivi: basati sui dati di conversazione

sottolineando i limiti e le potenzialità di ognuno e ribadendo l’importanza di una buona messe di dati e di una AI il più possibile evoluta per il loro funzionamento ottimale.

La stessa Oracle (ma è solo un esempio tra i tanti) propone anche un percorso di accompagnamento finalizzato alla costruzione e implementazione di un chatbot.

Da dove viene ChatGPT ?

Cerchiamo di spiegarlo con le parole chiarissime di Paolo Benanti:ChatGpt è un prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning sviluppato da una realtà specializzata nella conversazione della macchina con utente umano (OpenAI, appunto). ChatGpt appartiene a una famiglia di intelligenze artificiali basate sul machine learning utilizzando una tecnica di deep learning nota come transformer, che consiste nell’utilizzare una rete neurale per analizzare e comprendere il significato di un testo. Nello specifico, ChatGpt fa parte della famiglia degli InstructGpt, modelli formati tramite deep learning ma poi ottimizzati tramite il rinforzo umano”.

Aggiungiamo anche una spiegazione riferita al deep learning che viene così definito, ad esempio, da bigdata4innovation.itun apprendimento automatico e gerarchico, un segmento della branca di machine learning e artificial intelligence (AI) che imita il modo in cui gli umani acquisiscono alcune tipologie di conoscenza. Si tratta di un metodo ad hoc di machine learning che ingloba reti neurali artificiali in strati successivi per apprendere dai dati in maniera iterativa. Dunque, il deep learning è una tecnica per apprendere esponendo le reti neurali artificiali ad ampie quantità di dati, in modo da imparare a eseguire i compiti assegnati.

Di chi è ChatGPT ?

La società OpenAI è stata fondata nel 2015 da Elon Musk e Sam Altman: Successivamente Musk si fece da parte per il rischio di conflitto di interessi a partire dall’utilizzo di una intelligenza artificiale proprietaria correlata alla guida automatica delle auto Tesla. Secondo voci giornalistiche Microsoft sarebbe pronta ad acquistare il 49% della società investendoci circa 10 miliardi di dollari per rilanciare così anche il suo motore di ricerca Bing.

Come funziona ChatGPT e cosa produce

Molto semplicemente: io faccio domande e lui risponde con un testo più o meno articolato (si può chiedere un testo più o meno lungo, più o meno approfondito).
Per chi volesse farsi una idea generale consiglio un articolo di Wired che costituisce un’ottima presentazione di ChatGPT

I giornali italiani si sono sbizzarriti a riportare le risposte più o meno corrette e precise del chatbot GPT sottolineando in sostanza che

  1. si tratta di risposte più o meno precise a seconda dell’argomento e quindi anche delle conoscenze che il chatbot ha acquisito (va comunque detto che interrogandolo lo si “allena” e quindi proprio l’uso migliora il suo rendimento)
  2. attualmente le risposte sono sostanzialmente simili ad un bignami
  3. il testo di risposta dipende molto dalla precisione e dalle tipologia della domanda (il prompt). Ad esempio, a richiesta, può scrivere diverse tipologie di poesie sullo stesso tema ed assumendo stili diversi (stile Montale, stile Ungaretti, stile Petrarca, ecc).
  4. ChatGPT rischia di mandare in soffitta molti lavoratori della comunicazione perché in sostanza confeziona articoli, relazioni, presentazioni, testi, temi, scrittura di contenuti per il web, … Sui rischi e sulle conseguenze per il mondo giornalistico e della scuola consiglio lo stupendo podcast prodotto dalla Rai, il n. 7 della serie Codice Beta con l’intervista a Michele Mezza.

Il collega Di Terlizzi ha chiesto a ChatGPT di spiegare in quali situazioni un testo scritto da un essere umano può essere considerato superiore a un testo generato da un modello di IA come ChatGPT.
Ecco la risposta: “Un testo scritto da un essere umano può essere più originale e creativo, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto. Un testo scritto da un essere umano può essere più adattato alle esigenze specifiche del lettore o del contesto, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto.
Un testo scritto da un essere umano può essere più attento alle questioni sociali, etiche e culturali, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto.
Un testo scritto da un essere umano può essere più efficace nel comunicare emozioni, sentimenti e toni, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto.
In generale, i modelli di IA come ChatGPT sono molto potenti per generare testi di alta qualità e possono essere utilizzati per generare testi in molti campi. Tuttavia, ci sono alcune situazioni in cui un testo scritto da un essere umano può essere preferibile perché è più originale, creativo e adattato alle esigenze specifiche del contesto”.

Che dire…. non male.

Continuando “il dialogo”, assieme  a Di Terlizzi abbiamo chiesto a chatGPT di fornire i riferimenti delle sue affermazioni. Ecco la (strabiliante) risposta:

  1. “Generative Pre-training for Language Understanding” di Alec Radford, Jeffrey Wu, Rewon Child, David Luan, Dario Amodei e Ilya Sutskever. Questo articolo introduce un modello di generazione di testo chiamato GPT (Generative Pre-trained Transformer) e mostra come esso può essere utilizzato per una varietà di compiti di generazione di testo.
  2. “Language Models are Unsupervised Multitask Learners” di Alec Radford, Karthik Narasimhan, Tim Salimans e Ilya Sutskever. Questo articolo mostra come i modelli di linguaggio possono essere utilizzati per una varietà di compiti di generazione di testo e di comprensione del linguaggio.
  3. “Fine-Tuning Pre-Trained Language Models for Domain-Specific NLP Tasks: A Survey” di Jieyu Zhao, Jing Liu, Xipeng Qiu, Xuedong Huang. Questo articolo fornisce una panoramica delle tecniche utilizzate per adattare i modelli di linguaggio pre-addestrati per compiti specifici del dominio.
  4. “Exploring the Limits of Language Modeling” di Tom Brown, Benjamin Mann, Nick Cammarata, Christopher Hesse, Mark Chen, Eric Sigler, Ryan Sepassi, Noam Shazeer, Alexander Alemi. Questo articolo analizza i limiti dei modelli di generazione di testo e le sfide future per lo sviluppo di questi modelli.
  5. “Human-like Text Generation” di Yizhe Zhang, Siqi Sun, Michel Galley, Chris Brockett, Xiang Gao, Jianfeng Gao. Questo articolo esplora le tecniche utilizzate per generare testi che si avvicinano al modo in cui scrivono gli esseri umani.

Spero che questi riferimenti bibliografici ti siano utili nella tua ricerca.

Ovviamente i riferimenti potrebbero essere errati e cosi ho provato a vedere se i riferimenti sono reali e ho trovato pronta ed immediata conferma. Esemplifico con i link agli articoli citati 1; 3 e 5. Ovviamente per me studi completamente incomprensibili !

OpenAI e Google: rischio disruption ?

Nell’economia (digitale e non solo) si parla di Disruptive innovation per indicare le innovazioni che cambiano radicalmente ed alla massima velocità un mercato mandando in soffitta aziende affermate.
Secondo molti chi ha più da temere da OpenAI è proprio Google. La differenza sostanziale è la seguente: io faccio la stessa domanda a tutti e due i servizi ma mentre ChatGPT mi risponde fornendomi una risposta in sé già completa (per quanto semplice e da verificare nella sua correttezza)., google mi fornisce un elenco di link che considera pertinenti. Ovviamente anche Google ha una sua intelligenza artificiale e potrebbe benissimo fare la stessa cosa che fa OpenAI solo che….. se lo facesse il suo modello di business salterebbe per aria. Google infatti guadagna con la pubblicità connessa alle ricerche on line. Scrive Paolo Benanti: “se un chatbot risponde alle domande con frasi stringate, le persone hanno meno motivi per cliccare sui link pubblicitari. Circa l’81% dei 257,6 miliardi di dollari di entrate di Google nel 2021 proveniva dalla pubblicità, in gran parte dagli annunci pay-per-click”.
Chi volesse ulteriormente approfondire questo aspetto può leggere l’interessante analisi di Ignacio De Gregorio intitolata emblematicamente “Can chatgpt kill google?

Rischi, opportunità, limiti, valutazioni

Tra i moltissimi commenti ho letto con grande interesse e divertimento l’articolo del filosofo Ian Bogost intitolato Una chiacchierata artificiale e pubblicato in italiano da Internazionale nel numero del 16 dicembre 2022.
Bogost evidenzia tutti i limiti di chatGPT e del modello di intelligenza artificiale sotteso riassumendo la sua valutazione nella seguente affermazione: “Forse ChatGpt e la tecnologia alla sua base non riguardano tanto la scrittura persuasiva, quanto l’abilità di dire cazzate in maniera superba. Un ciarlatano manipola la verità con cattive intenzioni, cioè per ricavarci qualcosa. La reazione iniziale a ChatGpt è più o meno quella che si ha davanti a un ciarlatano: si presume che sia un arnese progettato per aiutare le persone a cavarsela con una tesina per la scuola, un articolo di giornale e via discorrendo. È una conclusione facile per chiunque pensi che l’intelligenza artificiale sia progettata per sostituire la creatività umana e non per esaltarla.
E ancora: “L’intelligenza artificiale non capisce né può comporre uno scritto, ma offre uno strumento per scandagliare il testo, per giocarci, per modellare una quantità infinita di frasi relative a un’ampia gamma di ambiti – dalla letteratura alla scienza fino agli insulti su internet – plasmandole in strutture in cui possano essere posti nuovi interrogativi e, occasionalmente, prodotte alcune risposte”.

Algoretica

Non va poi taciuto l’aspetto etico della questione.

Paolo Benanti, francescano che insegna alla Pontificia Università Gregoriana, scrive: “Gli effetti e il potere di questo nuovo Bignami degli anni 20 di questo secolo può farne non solo uno strumento che rispecchia nei risultati il senso comune ma il vero nuovo produttore dell’opinione pubblica. La sfida è lanciata. Troverà l’algoretica uno spazio in questa battaglia? Un tema del quale si è discusso in questi giorni in Vaticano per la firma della «Rome Call for AI Ethics», documento sottoscritto dalle tre religioni abramitiche, curato dalla Fondazione RenAIssance e promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita: «Si tratta di vigilare e di operare affinché non attecchisca l’uso discriminatorio di questi strumenti a spese dei più fragili e degli esclusi», ha detto il Papa ai partecipanti all’incontro (tra loro Brad Smith, presidente di Microsoft, e Dario Gil, vicepresidente globale di Ibm), auspicando che «l’algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, sia sempre più presente, oltre che nel dibattito pubblico, anche nello sviluppo delle soluzioni tecniche”.

E su questo tema non si può non rimandare a tutti gli studi di Luciano Floridi (si veda il suo ultimo volume Etica dell’intelligenza artificiale Sviluppi, opportunità, sfide) e al suo impegno a livello istituzionale con l’Unione Europea per definire nuovi standard per l’intelligenza artificiale.

ChatGPT e la scuola

Ovviamente non potevano mancare articoli più o meno allarmati sulle ricadute scolastiche di ChatGPT.
Il dibattito italiano, dopo un primo articolo su Tecnica della scuola, è proseguito, con scarsissima fantasia, recuperando articoli ed esperienze statunitensi e canadesi piuttosto preoccupate per il rischio, in sostanza, di copiatura da parte degli studenti.

Rischio decisamente ridicolo per due diversi ordini di motivi:

  1. Il primo, che è anche alla base di un interessante articolo di Kevin Roose pubblicato dal New York Times il 14 gennaio 2023, è che vietare l’uso di chatGPT a scuola è assolutamente inutile: si tratta piuttosto di utilizzarlo come banco di prova,  come sfida. L’articolo si conclude così: “I grandi modelli linguistici non diventeranno meno capaci nei prossimi anni”, ha dichiarato Ethan Mollick, professore alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania. “Dobbiamo trovare un modo per adattarci a questi strumenti, non solo per vietarli”.
    Questa è la ragione più importante per non bandirli dalle aule, perché gli studenti di oggi si diplomeranno in un mondo pieno di programmi di intelligenza artificiale generativi. Dovranno conoscere questi strumenti, i loro punti di forza e di debolezza, le loro caratteristiche e i loro punti deboli, per poter lavorare al loro fianco. Per essere buoni cittadini, avranno bisogno di un’esperienza pratica per capire come funziona questo tipo di I.A., quali tipi di pregiudizi contiene e come può essere usato in modo improprio e come arma.
    Questo adattamento non sarà facile. Raramente i cambiamenti tecnologici improvvisi lo sono. Ma chi meglio dei loro insegnanti può guidare gli studenti inquesto nuovo mondo?”
  2. Il secondo è ben messo in risalto da Ian Bogost quando scrive, irridendo buona parte del sistema di valutazione statunitense ma anche italiano: “che senso ha preoccuparsi del destino di esami basati sugli elaborati da scrivere a casa? È un formato stupido che tutti detestano, ma che nessuno ha il coraggio di abbandonare. …Certo, possiamo approfittare di tutto questo per barare a scuola o per ottenere un lavoro con l’inganno. È quello che farebbe una persona noiosa, e quello che un computer si aspetterebbe. I computer non sono mai stati strumenti della ragione capaci di risolvere problemi spiccatamente umani. Sono apparecchi che strutturano l’esperienza umana attraverso un metodo peculiare e molto potente di manipolazione dei simboli. Questo li rende oggetti estetici tanto quanto funzionali. Gpt e i suoi cugini ci offrono l’occasione di prenderli per quello che sono e usarli non tanto per svolgere determinati compiti, ma per giocare con il mondo che hanno creato. O meglio, per distruggerlo”. Per inciso sottolineo qui la “vetustità” – per essere gentili dell’armamentario docimologico e valutativo della scuola italiana.

E quest’ultima riflessione di Bogost mi riporta ad un messaggio whatsapp di Piervincenzo Di Terlizzi che in modo lapidario mi ha scritto: A me (chatGPT) interessa perché la vedo come un asintoto. Più si affina in quello che noi pensiamo originalmente umano, ma che è in realtà deposito formulare, più l’umano, secondo me, brilla nella sua inafferrabilità.

Piervincenzo è un grecista, dirige l’istituto professionale e tecnico Zanussi a Pordenone, e la sua affermazione fa il paio con la conclusione dell’ultimo libro di Kevin Roose. Kevin Roose infatti che sostiene che “le persone possano prosperare nell’era delle macchine ripensando il loro rapporto con la tecnologia e rendendosi insostituibilmente umane”.

Ecco la sfida della scuola: insegnare alle persone a rendersi insostituibilmente umane, facendo brillare proprio la specificità e l’inafferabilità dell’umano.




Trasformare l’istruzione, costruire il nostro futuro

di Aluisi Tosolini

Il vertice delle Nazioni Unite Transforming Education è stato convocato in risposta a una crisi globale dell’istruzione, che riguarda l’equità e l’inclusione, la qualità e la pertinenza. Spesso lenta e invisibile, questa crisi sta avendo un impatto devastante sul futuro dei bambini e dei giovani di tutto il mondo allontanando il raggiungimento dell’obiettivo 4 dei “Goals per lo sviluppo sostenibile” (SDG 4).

Il Vertice offre un’opportunità unica per portare l’istruzione in cima all’agenda politica globale e per mobilitare l’azione, l’ambizione, la solidarietà e le soluzioni per recuperare le perdite di apprendimento legate alla pandemia e gettare i semi per trasformare l’istruzione in un mondo in rapida evoluzione.
Il vertice è nato anche sulla spinta del lavoro della commissione  International Commission for the future of education dell’Unesco che nel novembre 2021 ha pubblicato un fondamentale rapporto dal titolo “Reimagining our futures together: A new social contract for education” .

La discussione del vertice è stata ampiamente preparata nel corso dei mesi passati grazie al lavoro svolto su 5 Action track, ovvero cinque percorsi tematici e tracce d’azione

Gli Action Track cercano di mobilitare nuovi impegni, mettendo in evidenza gli interventi politici che funzionano e sfruttando le iniziative e le partnership esistenti, comprese quelle emerse in risposta alla pandemia di COVID-19.

Vediamo analiticamente i 5 action track riprendendone la descrizione dal sito del summit

Action Track 1: Scuole inclusive, eque, sicure e sane

L’istruzione è in crisi. La povertà, l’esclusione e la disuguaglianza di genere continuano a impedire a milioni di persone di apprendere. In aggiunta a ciò, il COVID-19 ha messo in luce le disuguaglianze nell’accesso e nella qualità dell’istruzione. Inoltre, sono aumentati la violenza, i conflitti armati, i disastri e l’inversione dei diritti delle donne.

L’educazione inclusiva e trasformativa serve a garantire che tutti gli studenti abbiano pieno accesso e prendano parte all’istruzione. Che gli studenti siano sani e salvi, liberi da violenza e discriminazione.

Problemi chiave

  • Inclusione ed equità
  • Educazione trasformativa di genere
  • Scuole sicure
  • Salute e alimentazione scolastica
  • Educazione nelle emergenze e nelle crisi prolungate

Action Track 2: Apprendimento e competenze per la vita, il lavoro e lo sviluppo sostenibile 

C’è una crisi nell’apprendimento di base. Mancano competenze di alfabetizzazione e calcolo tra i giovani studenti. Nel 2020, oltre 770 milioni di persone non avevano competenze di alfabetizzazione di base. Due terzi dei quali erano donne.

Trasformare l’istruzione significa conferire agli studenti conoscenze, abilità e valori. Costruire atteggiamenti per essere resilienti, adattabili e preparati per il futuro incerto. Contribuire al benessere umano e planetario e allo sviluppo sostenibile.

Problemi chiave

  • Apprendimento fondamentale (dalla prospettiva dell’apprendimento permanente)
  • Competenze per l’occupazione e l’imprenditorialità
  • Educazione allo sviluppo sostenibile compresa l’educazione ambientale

Action Track 3: Insegnanti e professione docente

Gli insegnanti sono essenziali per raggiungere i risultati dell’apprendimento e per raggiungere l’SDG 4. Ma l’istruzione deve far fronte a carenza di personale, mancanza di opportunità di sviluppo professionale e basso status.

Accelerare il progresso verso l’SDG 4 e trasformare l’istruzione richiede un numero adeguato di professionisti. Insegnanti e personale educativo formati, motivati e supportati. Per raggiungere questo obiettivo, l’istruzione ha bisogno di finanziamenti e politiche forti.

Problemi chiave

  • Carenze di insegnanti
  • Sviluppo professionale iniziale e continuo – pedagogie
  • Condizione professionale e condizioni di lavoro
  • Leadership educativa, innovazione

Action Track 4: apprendimento e trasformazione digitale

La crisi del COVID-19 ha portato innovazioni senza precedenti nell’apprendimento a distanza sfruttando le tecnologie digitali. Allo stesso tempo, i divari digitali hanno escluso molti dall’apprendimento. Più di due terzi degli studenti in età scolare (1.3 miliardi di bambini) non avevano accesso a Internet da casa. Queste disuguaglianze nell’accesso hanno fatto sì che alcuni gruppi, come giovani donne e ragazze, fossero esclusi dalle opportunità di apprendimento.

La trasformazione digitale richiede lo sfruttamento della tecnologia come parte di sforzi sistemici più ampi. Rendere la tecnologia più inclusiva, equa, efficace, pertinente e sostenibile.

Problemi chiave

  • Trasformazione digitale dei sistemi educativi
  • Connettività/riduzione del divario digitale; tecnologie inclusive/assistenziali
  • Contenuti di formazione digitale gratuiti, aperti e di alta qualità
  • Cittadinanza digitale, benessere, privacy e sicurezza

Action Track 5: finanziamento dell’istruzione

La spesa globale per l’istruzione è cresciuta, ma è ostacolata dall’elevata crescita della popolazione. La gestione dell’istruzione durante la pandemia di COVID-19 e la riduzione degli aiuti ha lasciato l’istruzione con un grave divario finanziario.

In questo contesto, il primo passo verso la trasformazione è esortare i finanziatori a reindirizzare le risorse all’istruzione per colmare il divario di finanziamento. In seguito, i paesi devono disporre di finanziamenti maggiori e sostenibili per raggiungere l’SDG 4. Queste risorse devono essere allocate e monitorate in modo equo ed efficace.

Affrontare le lacune nel finanziamento dell’istruzione richiede una politica in:

  • Mobilitare più risorse, soprattutto domestiche
  • Aumentare l’efficienza e l’equità degli stanziamenti e delle spese
  • Miglioramento dei dati sul finanziamento dell’istruzione

La determinazione di quali aree devono essere finanziate e come sarà informata dalle raccomandazioni di ciascuno degli altri quattro binari.

Problemi chiave

  • Finanziamenti adeguati e sostenibili adeguati alle esigenze del Paese
  • Equità ed efficienza della spesa per l’istruzione

The Youth Declaration on trasforming education

Uno dei documenti chiave presentati al Summit è la Dichiarazione dei giovani presentata come contributo dei giovani alla Sintesi della presidenza del Vertice sulla trasformazione dell’istruzione.
L’obiettivo della dichiarazione è quello di stimolare l’impegno politico sulla necessità di trasformare l’istruzione e di far sì che i giovani si approprino di questo processo.
La dichiarazione (disponibile in inglese al seguente link ) è costituita da un preambolo, 25 richieste specifiche ai decisori politici, e cinque impegni che i giovani assumono direttamente e che chiudono il documento.
Ne riportiamo qui la traduzione (effettuata automaticamente con DeepL)

Guidati dai principi, dagli scopi e dalle richieste di cui sopra, noi – i giovani del mondo – ci impegniamo a:

  1. Continuare a essere solidali con tutti i giovani in tutto il mondo e in tutta la loro diversità, in particolare con le giovani donne e le ragazze, i giovani LGBTIQ+, i giovani con disabilità, i giovani rifugiati e migranti, i giovani indigeni e altri gruppi vulnerabili ed emarginati, per trasformare l’istruzione;
  2. Continuare a sostenere la trasformazione dell’istruzione individualmente e collettivamente attraverso movimenti sociali, organizzazioni della società civile, soluzioni guidate dai giovani e altro ancora;
  3. Continuare a ritenere i responsabili delle decisioni, in particolare gli Stati membri, responsabili durante l’intero processo di progettazione, esecuzione, consegna, monitoraggio e valutazione delle richieste di cui sopra, assicurando che i nostri quadri di responsabilità siano trasformativi dal punto di vista del genere;
  4. Lanciare un piano d’azione coordinato dalla Rete dei Giovani SDG4 per portare avanti le suddette richieste oltre il Vertice, mobilitare le parti interessate per continuare a far crescere un movimento globale per la trasformazione dell’istruzione e dotare i giovani delle competenze necessarie per sostenere un’istruzione di qualità sia a livello locale che globale;
  5. Promuovere il dialogo e la cooperazione intergenerazionale, interculturale e interreligiosa nei sistemi educativi di tutte le comunità, paesi e regioni per creare un mondo migliore costruito sulla solidarietà, la diversità, l’empatia, la comprensione reciproca e il rispetto.

Link al documento: https://www.un.org/sites/un2.un.org/files/2022/09/tes_youthdeclaration_en.pdf




Ius scholae, un dibattito quasi lunare

di Aluisi Tosolini

Si dibatte (anche molto aspramente) in questi giorni della proposta di legge definita jus scholae che interviene sul tema della cittadinanza.

La mia personalissima impressione – dal punto di osservazione in cui mi trovo – è che il dibattito in realtà abbia qualcosa di lunare, marziano, sia fuori dal mondo.

Sto facendo in questi giorni il presidente di commissione degli esami di stato in un grande e notissimo centro della provincia di Parma dove la percentuale dei cittadini stranieri residenti (quindi sia comunitari che extra comunitari) è pari al 21,2% (una persona su 5).
Nella provincia di Parma i cittadini stranieri sono il 14,7%, mentre a livello regionale la percentuale è pari al 12,6%  della popolazione contro l’8,4 di media nazionale (e l’Emilia Romagna è la prima regione in Italia per incidenza di stranieri residenti).

Gli studenti delle classi che stanno facendo gli esami rispecchiano la composizione sociale della popolazione della zona. Con diversi candidati abbiamo discusso anche della proposta di legge sulla cittadinanza che si sta dibattendo in parlamento.
Trovarsi davanti candidati 19enni, nati in Italia e che conoscono benissimo la lingua italiana, ben inseriti nel tessuto sociale, molti con un contratto di lavoro già in tasca presso le aziende del distretto che senza lavoratori stranieri sarebbero costrette a chiudere, fa impressione.
Sono italianissimi (certo più italiani di molti discendenti di antichi emigrati in sud America che per lo jus sanguinis potrebbero ottenere la cittadinanza italiana senza fatica) ma non sono cittadini.
A loro manca un diritto fondamentale, quello della partecipazione alla vita sociale e politica da soggetti attivi, votanti. Manca il sentirsi davvero a casa, il non essere e il non percepirsi come ospiti, cittadini di serie B.
Hanno frequentato le scuole in Italia, molti dalla scuola dell’infanzia in avanti e quindi ben più dei 5 anni richiesti dalla legge e che Fratelli d’Italia anni fa chiedeva fossero 8. Prenderanno il diploma, diversi si iscriveranno all’università.
Perché non dovrebbero avere la pienezza della cittadinanza italiana se lo chiedono e lo desiderano?

Una questione di coesione sociale

Personalmente credo che riconoscere queste persone come cittadini italiani sia non solo doveroso dal punto di vista etico e politico ma anche necessario dal punto di vista socio-economico. Sono questi i cittadini che terranno in piedi l’economia italiana nei prossimi anni. Sono loro che con il loro lavoro che finanzieranno l’INPS. Sono loro la linfa vitale della nostra società futura. Chi sostiene, surrettiziamente e ricorrendo alla solita tecnica del benaltrismo, che i problemi dell’Italia d’oggi sono altri, e nello specifico la crisi economica, i salari, l’inflazione il costo della vita, non si accorge che proprio a motivo di questi problemi economici sarebbe interesse dell’Italia riconoscere la cittadinanza a chi vive da anni in Italia.

La loro posizione pecca di iper-culturalismo ovvero l’opposto di quanto dicono. Appartengono a quanti farneticano attorno alle teorie della sostituzione etnica senza accorgersi che il declino della società italiana è già in atto e vede come responsabili primi proprio gli italiani stessi.
Da qui la necessità di riconoscere come nuovi italiani quanti hanno fatto un percorso scolastico in Italia: è una questione di coesione sociale. Infatti solo chi è pienamente cittadino fa parte compiutamente della società e può essere chiamato ad operare per il suo miglioramento, la sua crescita, il suo sviluppo ma anche il suo cambiamento, la rinegoziazione delle norme e delle regole del convivere sociale. Chi non è cittadino è ospite e come ospite non è tenuto a connettersi compiutamente alla rete sociale secondo logiche solidaristiche.

La centralità della scuola

La legge proposta, sin dal titolo, riconosce la centralità della scuola nella formazione di una persona e di un cittadino. Si tratta di una valorizzazione della cultura nel processo di acculturazione che conduce a condividere la lingua, le regole della convivenza, i valori di fondo che tengono assieme il tessuto sociale.
E’ il riconoscimento che la scuola forma in primo luogo cittadini e a questo scopo utilizza i saperi, le conoscenze e le competenze organizzandole dentro percorsi significativi di crescita umana, sociale, politica.
La proposta di legge riconosce alla scuola un compito e un valore spesso nascosti o negati dall’opinione pubblica che della scuola ha spesso una concezione distorta e decisamente parziale come il dibattitto di questi mesi ha più volte evidenziato con la richiesta di ritornare alla scuola di un tempo, quella che dava vere e solide conoscenze, quella che bocciava, che usava i voti come mannaia, quella che creava dispersione e abbandono Una scuola di classe tesa a sorvegliare e punire piuttosto che a formare cittadini critici e partecipi.

E’ di noi che qui si parla….

Così la discussione sulla legge è in realtà la discussione su noi stessi. Su chi siamo e su chi vogliamo essere. Sul presente e sul futuro della nostra società e della nostra scuola.
E, stando alle posizioni viste in questi giorni, l’orizzonte è abbastanza depressivo

https://www.giuseppebrescia.it/ius-scholae-ecco-il-testo-per-una-nuova-legge-sulla-cittadinanza/