Francesco De Bartolomeis: la pedagogia oltre la pedagogia
È davvero ampio, non solo come arco temporale, il contributo di Francesco De Bartolomeis alla pedagogia della seconda metà del ‘900 e degli anni a seguire. Molti temi sono noti, tanti ancora da esplorare. Avendo avuto la fortuna di stringere con lui un rapporto di sincera amicizia, vorrei provare a tratteggiare il profilo dell’uomo, e dell’uomo di scienza, attraverso qualche nota che va oltre, pur rimanendo assolutamente coerente, l’ambito strettamente pedagogico.
De Bartolomeis è noto nella storia della pedagogia italiana come uno dei principali interpreti dell’attivismo e come il teorico dell’”antipedagogia”, intesa come antidoto alla mera trasmissione del sapere quando questo serve solo ad affermare l’egemonia di una cultura dominante classista e reazionaria.
Molti di meno sono quelli che hanno conosciuto il De Bartolomeis attratto dal mondo fatto di problemi, enigmi, domande, esplorazioni, sperimentazioni di cui si nutre l’esperienza artistica.
Insignito a 99 anni del titolo di “Accademico ad honorem” della storica Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, è stato tra i più attenti estimatori e studiosi del genio di Lucio Fontana[1], col quale trascorse lunghe giornate a osservarlo nel suo studio per comprenderne il lavoro.
È stato anche tra i pochi a dichiarare con onestà e senza infingimento alcuno, che i famosi “tagli” dell’artista – tratto di riconoscimento divenuto marchio internazionale – ad un certo punto hanno assunto interesse da supermercato a dispetto di tanti altri ambiti di ricerca di Fontana molto più promettenti sul piano della capacità di indagine dei problemi formali dell’arte. Un atteggiamento che lo ha sempre portato ad esprimersi con radicale e autentica onestà rispetto alla qualità dell’arte e degli artisti, con quella stessa limpidezza mentale e di coscienza che lo condusse a sviluppare argomentazioni critiche sull’idealismo di Benedetto Croce, il quale pure gli scrisse “… il suo lavoro è ben altro che dei soliti” [2], rintracciando peraltro una consonanza col suo pensiero che in verità De Bartolomeis non ha mai avuto. Ma erano tempi in cui, probabilmente, l’onestà intellettuale e la sincerità dei rapporti avevano un valore almeno pari alla tensione all’affermazione di sé e delle proprie idee.
Ha scritto tanto di arte e – come ebbe a dichiarare in un breve saggio [3] – ha dipinto anche lui, proprio per quella sua tendenza a discutere solo di ciò di cui “realmente” aveva contezza. Oltre al merito di aver contribuito alla conoscenza del lavoro di Fontana, è opportuno ricordare saggi quali: L’esperienza dell’arte (1989); La tridimensionalità nell’arte contemporanea (2004); Con l’arte con gli artisti, amici, parole, segni (2004); Arte oggi: il nuovo, il banale, l’offensivo (2007); Insieme agli artisti cerco di capire (2017); Se Lucio Fontana non avesse fatto buchi e tagli (2021); La cultura dell’arte (2022); La realtà dell’arte (2022); I bambini, l’arte, la cultura (2022).
Per tornare al lavoro di pedagogista e formatore, a lui si devono alcune “invenzioni” come la formula ante litteram scuola dell’infanzia sostitutiva dell’anacronistica e fuorviante scuola materna; l’idea del sistema formativo integrato, anticipatore dei concetti di continuità orizzontale e verticale; l’idea di una scuola-laboratorio, che traduce l’attivismo in forme di lavoro cooperativo attraverso quelli che oggi chiamiamo “compiti di realtà”; la necessità di considerare come corpo unico il sistema 0-6, oggi all’attenzione delle riforme finanziate con il PNRR. E ancora giova ricordare le collaborazioni con Ernesto Codignola – di cui fu assistente –, Lamberto Borghi, Loris Malaguzzi. Non vado oltre per non lasciare dietro tanti altri nomi di spicco del panorama nazionale.
Mi sia consentito di ricordare un episodio che forse racconta meglio di ogni altro esempio il profilo umano – non dissociabile da quello scientifico – di Francesco De Bartolomeis. Il 15 novembre del 2005 ebbi il mio primo incontro con Francesco. Ebbi la fortuna e l’onore di averlo ospite a Salerno nell’ambito di un convegno, del quale curai l’organizzazione, dal titolo “Pedagogia, arte, epistemologia”. Nel corso del convegno ci fu spazio anche per la presentazione di un mio libro appena pubblicato che trattava proprio delle intersezioni tra pensiero artistico e prospettive pedagogiche. Fu l’ispettore Umberto Landi, al quale non finirò mai di essere grato, a proporre di invitare De Bartolomeis, sapendo del suo interesse per l’arte. Con mio stupore e piacere, accettò l’invito anche perché fu per lui l’occasione di ritornare nei suoi luoghi di origine (Pellezzano, Comune in provincia di Salerno). Si trattenne qualche giorno e, ovviamente, volle visitare il suo paese. Era la sera che precedeva l’evento. Un saluto istituzionale del Sindaco nella Casa Comunale e poi la visita al luogo della sua casa natia. Quando arrivammo sul posto l’edificio – una sorta di casolare di campagna – era ancora lì. Francesco lo osservò attentamente, poi mi guardò e disse: “Lo ricordavo più piccolo, sarà la mia tendenza a ridimensionare ogni cosa”.
Una risposta che va decisamente contro l’esperienza comune di ogni adulto che, a distanza di anni, rivede i luoghi della sua infanzia, inevitabilmente sovradimensionati nella percezione fisica ed emotiva di un bambino. Una risposta “controcorrente”, come la sua antipedagogia. Una risposta intrisa di umiltà, modestia, senso della realtà, consapevolezza dei limiti delle nostre tesi.
Da quel momento ci siamo incontrati diverse altre volte a casa sua a Torino. Il piacere di ascoltare il racconto di un secolo di storia della cultura del nostro Paese dalla viva voce di chi quegli episodi li aveva vissuti dall’interno e con grande coinvolgimento, era per me un incredibile dono. In tutti questi anni gli ho scritto spesso e ogni volta, puntualmente, mi ha risposto col linguaggio asciutto di chi sa che è sempre meglio dire con dieci parole ciò che vorremmo dire con cento. Abbiamo discusso di scuola, di politica e di arte. Non gli ho mai telefonato. Con una sorta di implicito accordo, abbiamo costruito il nostro dialogo coltivando l’esperienza sempre più marginale e sincopata della scrittura epistolare, capace di dare la forma migliore alle idee prima di esprimerle, dotandole di quel senso che altrimenti rischierebbe di evaporare.
Francesco De Bartolomeis ci consegna il testimone di una ricerca senza fine. Temi su cui continuare a riflettere, “Pensieri su cui pensare” (De Bartolomeis, 2022) e per i quali vale la pena continuare a spendersi.
[1] F. De Bartolomeis, Segno antidisegno in Lucio Fontana, Edizioni d’arte Pozzo, Torino, 1967.
[2] F. De Bartolomeis, Percorsi educativi nelllo spazio e nel tempo, Zeroseiup, Città di Castello, 2022, p. 8.
[3] F. De Bartolomeis, Io e l’arte. Riflessioni Fantasie Disorientamenti, Comune di Pellezzano, novembre 2005.