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Un voto non si nega a nessuno

di Stefanio Stefanel

Ha fatto molto scalpore in questi giorni la questione del Liceo Morgani di Roma, dove il Collegio docenti con una votazione pressoché paritaria (37 a 36), ha eliminato la sezione “senza voti” operativa da anni.
Personalmente ritengo un grave errore aver portato una simile questione in collegio docenti, visto che stava già nel PTOF che si chiude il 31 agosto 2025 e, inoltre, non andava ad intaccare la valutazione finale che deve per legge essere numerica.
Rimane il messaggio molto esplicito che questa scelta ha trasmesso, cui credo abbia molto nuociuto l’esposizione mediatica data alla sperimentazione in una sola sezione, che ha trasformato, per l’opinione pubblica, tutto il Liceo Morgani di Roma in una scuola senza voti, creando, dunque, una presa di posizione avversa dei docenti che non condividevano la scelta fatta da quella sezione.

La querelle sul Liceo Morgani fa, però, il paio con le varie prese di posizione di esponenti politici della destra, che da tempo vogliono il ritorno dei voti numerici anche nelle scuole primarie, aboliti dall’Ordinanza Ministeriale 172 del 2020, andata a regime nell’ambito di una grande azione formativa del Ministero conclusasi da poco.

Ci sono poi vari personaggi pubblici apertamente conservatori come Paola Mastrocola o apparentemente progressisti come Viola Ardone che lodano il “2” e la sua potenza salvifica e benefica.
Diciamo che le truppe dei donmilaniani sono ben agguerrite, ma in palese fase di ritirata più o meno strategica.
Reginaldo Palermo in un simpatico intervento (Ci vuole una regola chiara: si usa il voto quando governa il centro-destra e il giudizio con il centro-sinistra, 2 novembre 2023, su “Tecnica della scuola”) ha scritto che, quando governa il centro sinistra nelle scuole primarie si valuta con i giudizi, quando governa il centro destra con voti. Continua a leggere

Intelligenza artificiale, libri di testo, riassunti

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Stefano Stefanel

L’intelligenza artificiale e, soprattutto, il suo uso umanistico ha preso alla sprovvista tutti. La scuola, come sempre avviene, tende ad arretrare davanti ad ogni novità e la scandaglia con i crismi della conservazione, chiedendosi, piuttosto attonita, in che modo la sua tradizionale concezione del sapere venga scossa da ogni nuova “diavoleria” in arrivo. L’intelligenza artificiale, sotto le spoglie nemmeno troppo anonime di Chapt A.I., sta dando alle certezze della scuola una scossa quasi pari a quella data dalla pandemia, che ha trasformato in una settimana gli insegnanti in “esperti” sull’utilizzo delle piattaforme digitali, con modalità di apprendimento molto veloci anche se un po’ caserecce e artigianali.

La prima domanda che ci dobbiamo porre è quella relativa alla proprietà di un testo e quindi al confine che deve esistere tra plagio, citazione, rielaborazione. Il plagio è quando copio qualcosa da qualcuno e non dico che l’ho copiata; la citazione è quando copio qualcosa da qualcuno ed evidenzio chiaramente che cosa ho copiato e dico pubblicamente da chi l’ho copiato (di solito in nota), la rielaborazione è quando prendo spunto da qualcosa scritta o detta da qualcuno, la rielaboro e me ne approprio (e a volte “questo qualcuno” lo cito, mentre altre volte non lo cito). Personalmente sono stato convinto da quanto sosteneva San Tommaso D’Aquino, l’ho imparato all’Università quasi cinquant’anni fa, non ho mai avuto dubbi che alla base di ogni corretta pedagogia ci fosse quel pensiero.
Durante i quolibet all’Università di Parigi nel Trecento gli studenti dovevano sostenere una discussione su un tema introdotto dal San Tommaso. Lo dovevano fare appoggiandosi alle autorità del passato classico o alla contemporaneità del sapere cristiano, spesso contaminata da elementi arabi.
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Autonomia scolastica, autonomia differenziata, Pnrr

Stefaneldi Stefano Stefanel

Il primo anno scolastico “regolare” dopo la pandemia finisce in un turbine di scadenze, adempimenti, progetti, che determinano, nei dirigenti scolastici e nelle scuole, una sovrapposizione tra pareri personali e azioni istituzionali.
Proviamo dare una forma sintetica ed ordinata all’obiettivo disordine che circonda le scuole:

  • PNRR Classroom e Labs, cioè gli acquisti per la transizione digitale nelle scuole: entro il 30 giugno (ma tutti sperano, auspicano, brigano per uno slittamento del termine di almeno tre mesi) bisogna chiudere la procedura negoziale per finanziamenti cospicui che si contano a centinaia e non a decine di migliaia di euro.
  • PNRR “divari territoriali” (D.M. 170/2022), cioè le azioni per contrastare la dispersione scolastica nelle scuole individuate dal Ministero appoggiandosi soprattutto ai risultati nell’Invalsi da strutturare e organizzare secondo target definiti, ma con sfumature interpretative non da poco e che devono essere organizzati per partire quanto prima.
  • PNRR Poli Formativi per la transizione digitale che devono raggiungere un target specifico di soggetti formati (docenti e ata) per attività formative connesse alla transizione digitale, comunque non obbligatorie.
  • Piano Nazionale Scuola Digitale – STEAM che dovrebbe concludere al 30 giugno le sue attività formative sempre di carattere non obbligatorio (con una patologia evidente che permette ai docenti di iscriversi anche a 20 corsi contemporaneamente e poi a non frequentarne nessuno, abbassando il target minimo e rendendo inattuabile il corso).
  • DOCENTI TUTOR da individuare entro il 31 maggio e poi da avviare ad una formazione estiva per poi iniziare le attività di tutoraggio a settembre.
  • PIANO NAZIONALE DI FORMAZIONE 2023 finanziato ai primi di aprile che deve concludersi entro il 31 agosto con ingenti somme non spendibili viste le tempistiche (anche qui è necessaria, logica, indispensabile una proroga a fine novembre).
  • Attività formative finanziate anche qui con oltre centomila euro di media per scuola con i DM 65/2023 – “Nuove competenze e nuovi linguaggi” e DM 66/2023 – “Didattica digitale integrata e formazione alla transizione digitale per il personale scolastico“.
  • Liceo del Made in Italy, avviato con una certa fretta operativa che va a scontrarsi con un’offerta formativa che dovrebbe essere ponderata soprattutto in rapporto ai numeri molto decrescenti degli studenti.

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Valutare uno studente e misurare un divario non sono la stessa cosa

di Stefano Stefanel

Il dibattito sul merito è subito scivolato sul de-merito. È di questi giorni lo scambio mediatico sull’uso dei voti inferiori al quattro, che ha avuto nel Ministro Valditara uno dei suoi protagonisti. La questione del demerito e dei voti inferiori al quattro rientra in quella passione tutta italiana per la docimologia del negativo che sta letteralmente facendo cadere la questione del merito nella gabbia (non salariale, ma non meno divisiva di quella) del de-merito. I sistemi scolastici più evoluti, come quelli nordici, tendono a diminuire l’esistenza o l’impatto delle valutazioni negative, perché fortemente interessati a quelle positive. Ma anche i sistemi scolastici più selettivi (come quelli dell’estremo oriente asiatico) utilizzano strumenti misurativi per selezionare in ingresso e poi impongono standard di rendimento altissimo, che vedono le valutazioni negative come semplici elementi di blocco al prosieguo degli studi.
Il sistema scolastico italiano invece si definisce inclusivo e ha come suo principale obiettivo la lotta alla dispersione scolastica, per cui non si comprende come la questione della docimologia del negativo venga posta in maniera così sommaria. Mi sfugge, cioè, come sia possibile pensare che uno studente in difficoltà riceva uno sprone a fare meglio da una serie 2 o di 3 dati con l’intento di punire incoraggiando, cioè creando un ossimoro valutativo-punitivo, che dovrebbe fare orrore a chiunque si occupi di pedagogia.

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Disciplinarismo e pedagogia

di Stefano Stefanel

Il dibattito sulla valutazione formativa, i richiami alla valorizzazione del merito, l’idea che lo studente migliore è quello che studia sulla carta e solo se autorizzato va sul web, il concetto di apprendimento inteso come forma guidata di conoscenza, i miliardi riversarti sul digitale ma collegati ad una cultura proibizionista sull’uso dei dispositivi di proprietà, il concetto vago di divari territoriali collegato ad azioni di recupero finanziate prima ancora di essere decise, la richiesta di finalizzare il sapere al proprio futuro anche se nessuno sa indicare quale sarà sono tutti elementi dell’attuale contemporaneità che cozzano contro lo scoglio da aggirare: la pedagogia.

In teoria disciplinarismo e pedagogia dovrebbero essere strettamente collegate: se voglio insegnare qualcosa devo avere a che fare con un contenuto e questo contenuto sta per forza dentro una disciplina, che, a sua volta, richiede un determinato metodo per essere insegnata, cioè la pedagogia dovrebbe servire per transitare contenuti (e abilità e competenze che ne seguono) dalla mente di un sapiente alla mente di un non sapiente. Difficilmente vado ad imparare qualcosa che già so, difficilmente qualcuno mi insegna ciò che pensa io sappia o ritenga io debba sapere (i prerequisiti).

Da oltre cento anni la pedagogia è stata considerata una “materia” a sé stante, non necessariamente collegata al suo compito: far apprendere. Infatti, in alcune scuole si studia la pedagogia come una forma di pensiero filosofico minore, interessante, ma con valore più storico-sociale che metodologico. Il problema, però, è un po’ più complesso e va a toccare le discipline così come sono state codificate e così come si sono imposte, le uni a scapito delle altre. Da questo punto di vista Le parole e le cose di Michel Foucault ha dimostrato che le discipline sono strumenti di potere (politico) e che talune hanno preso il sopravvento, mentre altre vivono nell’ombra. In Italia questa evidente stortura ha dato vita al costrutto artificiale delle “classi di concorso”, una struttura di sapere che è diventata struttura di potere con un valore economico molto forte, strettamente collegato ai posti di lavoro che è in grado di farsi riconoscere.

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Divari territoriali, valutazione senza voti, bocciature

Stefaneldi Stefano Stefanel

In questa fase della scuola italiana, che coincide con l’avvio del PNRR, sulla scuola si stanno abbattendo alcuni dibattiti solo apparentemente distanti tra loro, che ruotano tutti attorno ad un’unica “ragione sociale”: selezionare o includere. Tutto quanto viene discusso, però, lo è in maniera un po’ convulsa e non sempre gli obiettivi del sistema sembrano essere chiari a tutti.

Per i così detti divari territoriali un congruo numero di scuole ha ricevuto complessivamente 500 milioni di euro dallo stato (circa 250.000 euro a scuola), con uno stanziamento comunicato a giugno, quasi come un fulmine a ciel sereno, visto che le scuole nulla avevano chiesto. Anche i parametri indicati dal Ministero, per decidere il finanziamento, hanno individuato situazioni di criticità non ritenute critiche da molte scuole e hanno fatto pervenire cospicui finanziamenti per sanare situazioni problematiche che alcune scuole non ritenevano di essere tali. In attesa delle Linee guide sull’argomento sono però già trascorsi quasi cinque mesi dall’invio della comunicazione e l’anno scolastico 2022/23 ha già percorso un tratto della sua strada. In questo clima e con il passaggio del ministero alla destra si sta sviluppando anche un dibattito sul voto numerico e la sua eliminazione, sul concetto di valutazione formativa in contrapposizione a quella sommativa. La valutazione attraverso voto numerico e il concetto stesso di bocciatura (ripetere nell’anno successivo tutto quello che si è fatto nell’anno precedente) vanno nella direzione di aumentare i divari territoriali e la dispersione e dunque un ragionamento sulla valutazione sta in stretto rapporto con gli elementi da introdurre per recuperare questi divari.

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Il discorso sul merito

di Stefano Stefanel 

Merito e Meritocrazia sono due nomi che, in questi giorni, fanno discutere, da qualunque parte li si voglia considerare. Poiché il Merito è diventato il nuovo logo del Ministero dell’Istruzione e del Merito credo che, almeno in questa fase, sia meglio attenersi al mondo della scuola, visto che analogo trattamento non hanno ricevuto, ad esempio, i ministeri della Funzione Pubblica, dell’Università e delle Ricerca, degli Interni, ecc.

Se ci fermiamo dunque al Ministero dell’Istruzione e del Merito sono quattro le categorie interessate alla questione:

  • gli studenti
  • i docenti
  • i dirigenti
  • il personale ATA

LA PERICOLOSA CHINA DEL MERITO COME CONTRALTARE DEL DE-MERITO

Cominciamo dagli studenti che, a tutt’oggi, nel mondo della scuola sono gli unici ad essere valutati in maniere, comunque, troppo disomogenee e molto poco eque. Va immediatamente sgomberato il campo da un possibile equivoco e cioè che tutto ciò che non è de-merito, per sua stessa natura sia merito. Per dirla in modo molto semplificato: se prendo 5 de-merito, se prendo 6 merito: questo è un modo proprio perverso di ragionare. La docimologia italiana è la base strutturale della sua dispersione, perché scambia misurazioni sommarie ed arbitrarie con i processi di valutazione. Bisogna, quindi, sgomberare il campo – immediatamente – dal de-merito, categoria legata a situazioni sociali, personali, culturali, motivazionali che si vanno ad intrecciare spesso con didattiche frontali ed obsolete, ossessione per compiti in classe e interrogazioni, interesse per i risultati dei prodotti e non per quelli dei processi. Il merito deve, dunque, essere qualcosa che dimostra particolari capacità degli studenti che devono essere premiate nell’ambito di un’azione meritocratica, che parte cioè dagli oggettivi risultati di coloro che riescono a sollevarsi dalla media. Dunque, il merito dovrebbe essere la ricerca degli elementi di eccellenza in un sistema che deve, contemporaneamente, avere attenzione ai bisogni di inclusione, supporto, accompagnamento, azioni dirette sulle persone.

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