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I pericoli di Eduscopio

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Stefano Stefanel & Aluisi Tosolini  

               Anche quest’anno, come ormai accade da una decina d’anni, per alcuni giorni dell’autunno le cronache giornalistiche e i social saranno avvolti dai risultati di Eduscopio, il centro di ricerche finanziato dalla Fondazione Agnelli che fa le classifiche delle scuole superiori. Eduscopio agisce in regime di monopolio, perché il Ministero nelle sue varie denominazioni (Pubblica Istruzione, Istruzione, Istruzione Università e Ricerca, Istruzione e Merito) si rifiuta di mettere i dati a regime e di pubblicarli ufficialmente facendo solo trapelare dati parziali dentro indicazioni generali sempre molto controverse (combattere la dispersione ed essere più rigorosi nel bocciare, fornire educazione e formazione e punire il più possibile, insegnare il cognitivo e progettare il metacognitivo) e lasciando, quindi, ad Eduscopio il monopolio dell’informazione sull’orientamento post diploma della Scuola superiore.
La ricerca di Eduscopio è condotta in modo rigoroso, ma parte da un punto di vista settoriale e dunque analizza solo una parte del sistema scolastico. Continua a leggere

L’umiliazione dei licei: secondo il Ministero sono scuole poco impegnative e facili da gestire

di Stefano Stefanel

Una delle prime cose che si insegna a tutti i docenti che vogliono diventare dirigenti scolastici è che ogni provvedimento della Pubblica Amministrazione deve rispondere a canoni di efficienza, efficacia ed economicità.

Se almeno una di queste tre caratteristiche non è soddisfatta allora è meglio lasciar perdere.
Di recente, improvvisamente e a sorpresa, il MIM ha emanato una divisione degli Istituti scolastici in fasce al fine della retribuzione dei dirigenti scolastici.
La retribuzione dei dirigenti scolastici prevede una parte fissa uguale per tutti, eventuali assegni ad personam legati a situazioni del passato transitati nella dirigenza (che residua per non tantissimi casi) e due retribuzioni variabili: una “di posizione” (la complessità della scuola che si dirige) e una “di risultato” (a seguito della valutazione obbligatoria del dirigente scolastico).

Poiché anche i dirigenti scolastici non vogliono farsi valutare a fini stipendiali (come del resto in Italia praticamente tutti ad eccezione degli studenti) e in questo vengono spalleggiati sia dai sindacati generalisti (per intenderci CGIL, CISL, UIL, Snals, ecc.) sia da quelli di categoria (citerei solo ANP) dalla nascita della dirigenza scolastica (1999) nessuno è stato valutato a fini stipendiali. Continua a leggere

Il dirigente scolastico oggi

di Stefano Stefanel 

La preparazione del dirigente scolastico, prima di essere assunto come tale tramite concorso ordinario o tramite straordinarietà varie o sentenze giudiziarie, verte su due elementi che si contrappongono:

  1. la conoscenza teorica e manualistica delle norme del sistema scolastico italiano e la loro declinazione in una struttura perfettamente funzionante dove doveri, obblighi, progetti, controlli e poteri organizzativi si armonizzano in un’idea di scuola come comunità educante coesa e ben inserita nel contesto territoriale;
  2. l’esperienza personale fatta come docente quasi sempre impegnato nella gestione della propria scuola, nello sviluppo di progetti, nella organizzazione del microcosmo autonomo che si colloca dentro il proprio istituto.

Appena assunto in ruolo il dirigente scolastico si accorge, invece, di due cose diverse:

  1. la teoria non coincide con la pratica, perché l’autonomia scolastica ha reso il sistema, in quanto tale, illeggibile e dunque ogni scuola ha una sua chiave di lettura;
  2. l’esperienza pregressa si manifesta subito come un elemento negativo, perché le procedure di una scuola difficilmente si adattano ad un’altra scuola, magari di ordine diverso.

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Valorizzazione dell’autonomia scolastica, ma anche del centralismo e altri esempi di strabismo politico

di Stefano Stefanel

Ci sono tre locuzioni che stanno quasi come “motto” sopra le scuole, perché costituiscono la cornice ovvia entro cui situare l’autonomia funzionale delle scuole italiane: sono le “finalità generali del sistema”, gli “obiettivi generali del sistema formativo”, i “livelli essenziali delle prestazioni”.  Le prime due locuzioni si trovano nel DPR 275/1999 e la terza alla lettera m) dell’art. 117 della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale n° 3 del 2001. Chi sta fuori dal sistema scolastico nazionale può immaginare di trovarsi di fronte ad un libro in cui finalità, obiettivi e livelli essenziali delle prestazioni siano definiti in modo chiaro ed enciclopedico. Tutto numerato e ordinato, con precisi riferimenti normativi, contratti del personale firmati regolarmente di conseguenza, nessuna sovrapposizione o contraddizione. E invece, il sistema si ordina per salti, senza nessun documento che definisca tutto quello che è in vigore e che deve essere applicato (o disapplicato), con anche le modalità di applicazione.

Forse in un momento così convulso, com’è quello attuale, può essere interessante comprendere perché il sistema si sia ordinato in questo modo e non come una semplice enciclopedia che tutti (giudici inclusi) possono, alla bisogna, consultare. Solo quest’anno il sistema scolastico italiano ha licenziato (finora) le Linee guida per l’orientamento,  la nomina dei tutor e del tutor orientatore, il Liceo Made in Italy che convive con Liceo Economico Sociale, dopo che era stato annunciato che l’avrebbe assorbito, il percorso di 4 e non 5 anni per gli Istituti Tecnici su base vocazionale (scelta delle scuole e scelta delle famiglie), lo sviluppo piuttosto senza regole degli ITS, l’attuazione del PNRR, il PNRR sui “divari territoriali”, i D.M. 65 e 66, il personale ata assunto fino a dicembre sul PNRR e poi prorogabile con le modalità decise dal ministero, ma pagato coi fondi delle scuole, il concorso straordinario per dirigenti scolastici aperto a chi ha perso l’ultimo concorso ma ha fatto ricorso e, poi, molto  altro di varia entità. Continua a leggere

La filosofia: come insegnarla (o NON insegnarla). Un bel libro di Massimo Mugnai

Stefaneldi Stefano Stefanel 

Premessa biografica
Mi sono laureato in filosofia a Trieste nel 1979 con una tesi su Ernst Mach e la filosofia della scienza dal titolo Per un dibattito sui rapporti tra il machismo e il materialismo dialettico (relatore Pier Aldo Rovatti) con 110/110. Nel 1981 mi sono diplomato a Padova nella Scuola di specializzazione in Filosofia (indirizzo Estetica) con 70/0 e lode e una tesi dal titolo Percorsi filosofici tra Mach e Musil[1] (relatore Giangiorgio Pasqualotto), poi pubblicata col medesimo titolo. Ho anche partecipato ad un concorso universitario arrivando al terzo posto ma con 100/100 di voto complessivo nelle tre prove (40/40 e 40/40 nei due scritti: uno sull’ontologia in Kant e Hegel e l’altro sulla critica alla metafisica in Nietzsche e Heidegger; 20/20 nell’orale), ma con meno titoli di chi mi ha superato. Ho poi superato 5-6 concorsi a cattedra in filosofia, rinunciando sempre al ruolo nei Licei che avevo vinto per continuare a insegnare alle Scuole medie. Poi dal 2001 ho iniziato a fare il dirigente scolastico e dal 2012 dirigo un Liceo scientifico (quello che ho frequentato da studente). La scelta di rimanere alle medie ha avuto due motivazioni: la prima era che mi sentivo più vicino alla didattica dei Lehrjahren (“veder crescere l’apprendimento dalla parte delle radici” dicevo parafrasando il titolo di un libro degli anni Settanta); la seconda che non intendevo insegnare Storia della filosofia e che per non insegnarla al Liceo avrei dovuto mettermi in conflitto con scuola, colleghi, studenti e famiglie. E quindi ho “fatto” filosofia alle medie (Kinderphilosophie) finché sono diventato dirigente. Oltre al libro sopra citato ho pubblicato molti articoli su riviste filosofiche (Edizione della Società Filosofia Italiana – Sezione Friuli-Venezia Giulia di cui sono stato fondatore e Presidente per 7 anni; Testi & Contesti, Bollettino della SFI Nazionale e altre riviste).

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Il motivo per cui ho tediato il lettore con la tiritera di cui sopra è che il libro di Massimo Mugnai uscito da pochissimo dal titolo Come NON insegnare la filosofia[2] (Raffaello Cortina Editore, Milano 2023) racconta la mia storia ed esprime il mio pensiero come meglio non avrei saputo fare.

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Gli apprendisti stregoni dell’autonomia differenziata applicata alla scuola

di Stefano Stefanel

Nel generalizzato disinteresse generale si sta sviluppando sotterraneamente e mediaticamente l’applicazione dell’autonomia differenziata, inserita in Costituzione nel 2001 con la legge costituzionale n° 3 del 12 marzo 2001 emanata il 18 ottobre 2001 a seguito del referendum popolare confermativo del 7 ottobre 2001 (10.433.574 voti favorevoli, 5.816.527 voti contrari, 229.376 schede bianche e 363.943 schede nulle).
L’autonomia differenziata riguarda molti settori e quello scolastico non si sottrae a questo esperimento di ingegneria costituzionale che non pare riuscito finora benissimo, almeno a livello teorico.
L’autonomia differenziata è una novità per quindici regioni italiane, mentre di fatto già c’era negli statuti speciali per le cinque Regioni individuate dalla Costituzione del 1948 (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta), anche se tre delle cinque regioni hanno applicato le norme anche sulla scuola soprattutto per l’applicazione di trattati internazionali (il Trentino Alto Adige per la sola provincia di Bolzano, il Friuli Venezia Giulia per la minoranza di lingua slovena, la valle d’Aosta per le norme di collegamento con la Francia) e una sola (il Trentino Alto Adige per la sola provincia di Trento) ha realmente regionalizzato la scuola per decisione non derivata da norme internazionali con la legge n° 5 del 7 agosto del 2006.

In questo momento l’autonomia differenziata applicata alla scuola viene rivendicata da poche Regioni e – tra tutte – solo il Veneto pare avere le idee chiare su cosa fare e pretende una totale regionalizzazione del sistema scolastico, uscendo di fatto dal sistema scolastico nazionale. Ci sono delle parti politiche interessate all’autonomia differenziata e parti che sono ostili anche alla sola idea inserita in Costituzione (queste ultime sono soprattutto forze di centro sinistra e sindacali, che paiono essere diventate nemiche dell’autonomia differenziata pur avendola inventata). Ma nel complesso l’opinione pubblica non è interessata alla cosa, la sente distante e non guarda con interesse oltre la scuola frequentata dai propri figli.

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Scuola bene comune, un libro che spiega perché la nostra scuola è malata e cosa fare per farla stare meglio

di Stefano Stefanel

È uscito da poco un libro di Aluisi Tosolini, dal titolo molto intelligente: “Scuola bene comune” (Edizioni EMI, Brescia 2023), che parla di scuola e sulla scuola. Che la scuola sia realmente un “bene comune”, come l’acqua, è cosa molto chiara all’Europa, ma molto meno chiara all’Italia, dove riforme raffazzonate e politiche incomprensibili hanno supportato gli interventi della politica, nel complesso tutti tesi a smontare quello che il compianto Luigi Berlinguer aveva costruito. Prevenendo e prevedendo la crisi sistematica dei sistemi dell’istruzione l’Europa ha avviato percorsi di analisi (i “libri bianchi” ed “Education at Glance”, il “periodico” annuale sulla scuola dell’OCSE), poi programmi ambiziosi (Lisbona 2010, EU 2020 e l’attuale Next Generation Eu da noi ribattezzato, chissà perché, PNRR), infine linee di progetto con ampi finanziamenti al seguito. In Italia la risposta è stata inizialmente ottima con la trasformazione della scuola italiana nell’ambito di un’autonomia di rango costituzionale per poi perdersi dentro riforme partitiche, settoriali, casuali. L’Europa ha fatto il suo percorso con una linearità e una consecuzione che Aluisi Tosolini ricostruisce mirabilmente, rimandando ad una serie di importanti documenti con grande precisione e attenzione. Se si segue la linea narrativa di Tosolini si può ricostruire con attenzione il quadro d’insieme che ha portato l’Italia dove è ora (cioè, nelle parti basse dei sistemi dell’istruzione dell’area Ocse). Ma si può anche comprendere come il sistema scolastico italiano, dentro i suoi quotidiani contorcimenti tra modalità ripetitive e ferrei diritti sindacali difficilmente potrà in tempi brevi uscire dalla crisi.

MA COS’E’ QUESTA CRISI

Lasciamo la parola a Tosolini: “il quadro complessivo segnala oggi un aumento significativo a livello mondiale della disuguaglianza in tutti gli ambiti e settori” (pag. 35). Questa disuguaglianza fa il paio con la drammatica ascesa delle povertà educative: “la correlazione tra povertà e povertà educativa è nota e conclamata” (pag. 44) e tutto questo porta ad una progressiva perdita di learning loss, ovvero “perdita di apprendimento” (pag. 45). Questo corto circuito sta avvelenando i sistemi dell’istruzione, a cominciare dai più fragili, cioè da quelli come il nostro. E tutti i soldi che vengono trasmessi oggi alle scuole, senza un quadro di riferimento chiaro, poco potranno fare. Continua a leggere