Dare un valore all’apprendimento. Come cambiare rotta verso una valutazione formativa

di Daniele Scarampi

Il termine “valutazione” ha le sue radici nel participio passato latino di valére, ovverosia quel vàlitus che rimanda a un concetto ben preciso: avere un prezzo, riconoscere un valore.
Tale premessa non può che presupporre la prospettiva sistemica – globale, situata e omnicomprensiva – della valutazione, che rispecchia essenzialmente un processo formativo in itinere piuttosto che limitarsi alla rilevazione o alla semplice misurazione di singoli episodi didattici.
In quest’ottica, valutazione, progettazione e azione didattica sostanziano un paradigma d’apprendimento che, come ben ha raccontato la scuola di Barbiana, dà piena cittadinanza a quei saperi che non si imparano tra banchi di scuola, ma stando a contatto con la realtà in cui si vive; un apprendimento che dal reale prende lo spunto affinché ognuno acquisisca gli strumenti necessari di base per poter essere un cittadino consapevole.

In altre parole, la valutazione degli apprendimenti – eredità dell’esperienza di don Milani – precorre quel concetto di competenza che, partendo dalla sperimentazione e dalla laboratorialità, fonda (o dovrebbe fondare) il modello psicopedagogico della scuola odierna; modello nel quale l’alunno di viene messo alla prova non tanto per rimediare un voto o una certificazione, quanto piuttosto per capire se il sapere acquisito è sfociato in un saper essere e, di conseguenza, in un saper interagire con gli altri.

Questa prospettiva valutativa, che s’attaglia tanto alle attitudini dell’alunno quanto al suo stile di apprendimento e dà spazio alla relazione e alla costruzione condivisa dei saperi, concretizza l’Assessment for learning, ossia la valutazione per l’apprendimento, permettendo di monitorare in modo continuo e puntuale le acquisizioni dei discenti.
L’Assessment for learning è un vero e proprio processo educativo e formativo che sprona gli studenti a riflettere su quanto hanno imparato, in prospettiva metacognitiva, permettendo al docente di avere una maggiore consapevolezza del livello di ciascuno e si pone in alternativa all’Assessment of learning, che di fatto cerca di trarre informazioni sulla didattica mediante la somministrazione delle prove di verifica.

La valutazione dell’apprendimento mostra cosa si è memorizzato o assorbito e sovente offre una fotografia di una situazione parziale, legata al momento, in quanto mira a garantire la “contabilità” del profitto scolastico. Invece la valutazione per l’apprendimento si prefigge di migliorare il processo d’apprendimento, esplora le potenzialità dello studente e ne promuove costantemente i progressi.

Ora, fermo restando il fatto che le Ordinanze Ministeriali n.52 e n.53 del 3 marzo 2021 (a proposito di esami conclusivi del primo e del secondo ciclo d’istruzione) nonché la Nota n. Prot. 699 del 6 maggio 2021 (a proposito della valutazione periodica e finale delle classi intermedie nel primo e nel secondo ciclo d’istruzione), seppur in regime derogatorio abbiano ripristinato diversi passaggi dei due riferimenti normativi fondamentali sulla valutazione nel primo ciclo (D.lgs 62/2017) e nel secondo ciclo (DPR 122/2009), ci si auspica che almeno le attività didattiche/ricreative connesse con il Piano Scuola Estate 2021(Nota n.643 del 27 aprile scorso) possano svincolarsi dall’Assessment of learnig e approdare all’interno dell’Assessment for learning.

Infatti, come ben hanno scritto per il portale Pavone Risorse prima Marco Bollettino e poi Paolo Fasce, sarebbe importante che – almeno limitatamente alle fasi 1 e 3 del Piano Estate – si potessero riscoprire tutte le potenzialità inespresse del processo valutativo, liberando la valutazione da prassi obsolete e deleterie, scorie di un passato gentiliano che l’ha incatenata al congruo numero di verifiche scritte, orali e pratiche.

Bibliografia e sitografia

L’eredità di Barbiana, su www.edscuola.it
Giulia Abbiati, L’Assessment for Learning e la Dynamic Classroom  su it.pearson.com
La valutazione per l’apprendimento e per gli alunni disabili su european-agency.org Castoldi, Valutare a scuola. Dagli apprendimenti alla valutazione di sistema, Roma, Carocci, 2012

 




Ricomporre le esperienze socio-educative in un’epoca frammentata

Stefaneldi Daniele Scarampi

 VERSO UNA RINNOVATA ALLEANZA TRA SCUOLA E TERRITORIO

Occorre uno sforzo sinergico e corale per poter emergere dagli abissi nei quali l’emergenza sanitaria ha gettato la nostra già fragile società; sforzo corale e compatto, orientato al bene comune e al pubblico interesse, altrimenti inutile ed egoista, se gestito in modo individuale o estemporaneo, come don Milani aveva intuito qualche decennio fa.

Stefano Versari, neo capo Dipartimento, ha di recente indicato la via sulla quale la scuola dovrà mettersi in cammino per ricomporre la frammentazione delle esperienze vissute da ciascuno nel corso di questi terribili mesi pandemici; frammentazione accompagnata da deprivazioni didattiche, forti squilibri sociali e disgregazione dei livelli cognitivi.

Infatti la Nota n.624, emanata dal Ministero allo scopo di dettagliare gli aspetti di maggior rilevanza disposti dal DL n.52 del 22 aprile 2021, sottolinea che le istituzioni scolastiche sono chiamate a uno sforzo massiccio che consenta, attraverso le forme di flessibilità offerte dall’autonomia nonché i cospicui sostegni materiali previsti dalla specifica normativa di settore (art. 231-bis e 235 del DL 34/2020, art. 32 del DL 104/2020, art. 31 del DL 41/2021), di ricucire gli strappi causati dalla fase emergenziale, che ormai si sta protraendo da oltre un anno: rimodulazione della didattica, interventi di edilizia “leggera”, incremento del fondo di funzionamento delle scuola, utilizzo spazi esterni o alternativi, progettazione di peculiari esperienze realizzate di concerto con gli Enti Locali.

Il testo in discussione, inoltre, al di là dei suggerimenti di carattere operativo e metodologico forniti nella prima parte, incoraggia nel finale studenti e operatori scolastici a comprendere, accettare e superare i numerosi disagi (didattico, organizzativo, sociale, psicologico) correlati al difficile bilanciamento del diritto all’istruzione con quello alla salute. Gli effetti della pandemia – si legge nelle parole di Versari – continuano a minacciare l’Io e il Sé di studenti e operatori scolastici; ne consegue che, nell’esercizio della propria funzione educativa, la scuola debba prendersi cura di ogni studente, nel tentativo di appianare le difficoltà vissute e cancellare il più possibile i disagi patiti soprattutto dalle categorie più fragili fisicamente, emotivamente o socialmente.

L’essenza di ciò che la Nota ministeriale n.624 si auspica in preparazione di quello che sarà il prossimo anno scolastico e, prima ancora, del periodo estivo che precederà il ritorno nelle aule, è stato colto appieno da un prezioso instant book, edito di recente dall’Associazione Gessetti Colorati e curato, con sapienza e ingegno, da Raffaele Iosa e Massimo Nutini: L’Estate Educativa, Scuola in comune e fuori dal comune nei Patti di Comunità e dopo l’emergenza COVID-19.

L’E-book di Iosa e Nutini – introdotto da Reginaldo Palermo – raccoglie ampi materiali di riflessione sul tema dei Patti di Comunità e delle attività socio-educative da svolgere a partire dal prossimo mese di giugno (come peraltro previsto dall’articolo 31 del decreto legge 41/2021), nella speranza che il tema del rapporto fra scuola e territorio torni al centro del dibattito politico, culturale e pedagogico attraverso nuove idee, progettazioni e sperimentazioni a cura di tutti gli attori coinvolti nella scuola (dirigenti, personale docente, tecnico e amministrativo), in sinergia con Enti Locali, Associazioni e vari altri stakeholders.

Purtroppo i devastanti effetti provocati dalla crisi sanitaria hanno procurato un’ampia frattura esistenziale, sociale e cognitiva nelle esperienze di crescita degli studenti di ogni ordine e grado. Ora, per fronteggiare efficacemente questa emergenza, oltre alle risorse ordinarie di cui le scuole e gli enti locali dispongono, ci sono i finanziamenti specificamente stanziati dal decreto legge Sostegni, dal Piano Operativo Nazionale PON Per la scuola, dal ministero per la famiglia per il potenziamento dei centri estivi e, infine, dall’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Italiane ACRI per il contrasto della povertà educativa. L’insieme di tutte queste variegate risorse costituisce un’opportunità unica per l’attivazione – nella prossima estate 2021 – di iniziative educative e formative che affianchino il tradizionale recupero scolastico, mediante esperienze educative e proattive facenti capo soprattutto ai Patti di Comunità, che a loro volta chiamano in causa Comuni, Province e Città Metropolitane per la condivisione di esperienze, eventi, spazi o specifici progetti.

Come ben hanno argomentato Iosa e Nutini, si tratta quindi di promuovere quel sistema formativo integrato (già teorizzato da Bruno Ciari, uno dei fondatori del Movimento di Cooperazione Educativa) capace di valorizzare al meglio l’autonomia delle scuole attraverso ampliamenti significativi dell’offerta formativa, allo scopo di tessere una valida sinergia tra tutti i soggetti che si occupano di educazione e cultura.

Il tutto orientato verso una nuova alleanza politica e pedagogica tra scuola e territorio, che coniughi le risposte ai bisogni dei singoli con le risposte ai bisogni collettivi; la svolta proposta dal Governo e dal Ministero è inedita e coraggiosa e non va disattesa: sfruttare l’estate 2021 per l’organizzazione di attività animativo-sociali, co-progettate e co-programmate; attività sociali ed esperienze culturali che sfruttino con acume e lungimiranza tutte le potenzialità offerte dal territorio.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

  1. Nota Ministeriale Num. Prot. 624 del 22 aprile 2021
  2. Raffaele Iosa, Massimo Nutini, L’Estate Educativa, Scuola in comune e fuori dal comune nei Patti di Comunità e dopo l’emergenza COVID-19, edizioni Gessetti Colorati, 2021

 

 

 




Ritorno al futuro: la valutazione nella scuola primaria, sospesa tra voti e giudizi

di Daniele Scarampi

L’insegnante più accanita era irremovibile – reminescenze di Barbiana, lontane nel tempo eppur assai attuali – e protestava: “Se un compito è da quattro io gli do quattro!”; ma non capiva, poveretta, che proprio di questo era accusata, ché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti eguali tra diseguali.
Don Lorenzo le aveva intuite a fondo tutte le contraddizioni di una scuola slegata dalla vita reale, frutto acerbo di programmi nozionistici o concettosi, lungi dall’esser funzionali alla cittadinanza attiva e in aperta antitesi con la realizzazione di quell’uguaglianza sostanziale auspicata dal terzo articolo del dettato costituzionale.
La scuola di Barbiana aveva poi denunciato, tra le tante incoerenze, l’aspetto discriminatorio del voto numerico, considerato uno strumento di lavoro non adeguato a una valutazione efficace e inadatto al miglioramento, volto unicamente a monopolizzare la sfera emotiva del discente, prigioniero di una prestazione da ottenere e da dimostrare.

Il voto, dunque, vexata quaestio: per anni peculiare competenza del capo d’Istituto (leggasi al riguardo il Regio Decreto n. 653 del 1925), esso assume una dimensione collegiale (dal 10, “eccellente” al 6 “voto di sufficienza”) solo con i “Decreti Delegati”, emanati in ottemperanza della Legge 30 luglio 1973, n.477.
Solo quattro anni più tardi, con la L.517, arriva una svolta di rilievo: il primo ciclo d’istruzione introduce i giudizi sintetici, sotto forma dei celebri aggettivi, dall’ottimo al non sufficiente (poi divenuti, in via transitoria, delle lettere alfabetiche nel 1993); svolta prodromica, con la fine degli anni ’80, al definitivo passaggio dalla “pagella” alla “scheda personale di valutazione”, che traduce l’andamento didattico in un giudizio personalizzato redatto in triplice copia.

Con l’avvento della Riforma Gelmini, di cui all’art. 64 della L.133/2008, e mediante la L.169/2008 ricompare – lupus in fabula – il voto in decimi nella scuola Primaria e nella scuola Secondaria di primo grado. Il ritorno al voto, figlio senza dubbio di un’idea di scuola che “insegna-istruisce” o trasmette nozioni e non di una scuola che “educa e forma” l’uomo e il cittadino (G. Adernò, 2020), viene a lungo salutato come un sensibile alleggerimento delle procedure negli scrutini intermedi e finali e, al contempo, come un segno di maggior chiarezza nelle comunicazioni scuola-famiglia a proposito di rendimento scolastico.

Tuttavia, se la valutazione sommativa risponde principalmente a due necessità, ossia descrivere ciò che il discente sa o sa fare e posizionare ogni materia di studio su un livello sintetico in base a una scala definita, nel tempo è apparso sempre più chiaro come entrambe queste finalità possano esser assolte attraverso una descrizione verbale analitica. Invece utilizzando un voto, ovvero una sequenza di aggettivi, è certamente possibile esprimere in modo più semplice il “posizionamento” delle materie di studio in una scala di riferimento, ma resta assai difficoltoso informare sulle competenze acquisite dagli studenti (Paolo Mazzoli, 2020).

Di recente, com’è noto, la valutazione periodica e finale degli apprendimenti – limitatamente alla scuola Primaria – è tornata ad esser espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, in attuazione dell’art. 1, comma 2-bis del DL 22 (convertito nella L.41/2020), evoluzione normativa poi completata dall’OM n.172 e relative Linee Guida dello scorso 4 dicembre.

Qualche giorno più tardi, in data 15 dicembre 2020, l’introduzione (o meglio, la reintroduzione) del giudizio descrittivo nella scuola Primaria è stata discussa e presentata attraverso i canali Social del Ministero dell’Istruzione, alla presenza della ministra Azzolina, della vice ministra Ascani, del capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione Max Bruschi e della prof.ssa Elisabetta Nigris, coordinatrice del gruppo di lavoro che ha condotto alla redazione delle sopracitate Linee Guida.

Il presupposto di fondo, vero leit motiv della riforma, è stato quello di ridisegnare un percorso valutativo completo e più vicino alle esigenze formative dei bambini, attento al raggiungimento di quegli obiettivi educativi specifici afferenti ai diversi stili d’apprendimento.

La valutazione del resto – per dirla con Max Bruschi – è uno strumento di lavoro che dà “valore” a ciò che si esamina, ma non ha una funzione sanzionatoria; è semmai orientato a quel miglioramento continuo che permette allo studente di posizionarsi al centro del processo d’insegnamento-apprendimento.

Il nuovo progetto valutativo pertanto – come Elisabetta Negris ha più volte sottolineato – dovrà precedere, accompagnare e seguire l’intero percorso d’insegnamento-apprendimento, in un’ottica formativa. Le Linee Guida, del resto, che hanno come riferimenti ideologici le Indicazioni Nazionali (di cui al D.M. 254/2012) e i vari Curricoli trasversali d’Istituto (che a loro volta esplicitano le progettazioni didattiche), si sono ascritte in questa prospettiva formativa, l’unica che permette di conoscere a fondo il percorso didattico di ogni bambino.

Nella nuova scheda di valutazione andranno inserite le varie materie d’insegnamento, quindi gli obiettivi didattici, almeno quelli strategici o più significativi (che potranno essere a loro volta compattati in nuclei tematici); dopodiché andranno inseriti i livelli d’apprendimento e i rispettivi giudizi descrittivi analitici. Gli obiettivi dovranno essere ben osservabili e, di conseguenza, facilmente descrivibili. Essi prevederanno certo i contenuti disciplinari, ma dovranno essere integrati con la descrizione del processo cognitivo che gli alunni mettono in atto per arrivare al successo formativo.

Ora, l’impianto metodologico introdotto dall’O.M. n.172, lungi dall’arenarsi in un mero e vacuo adempimento burocratico, dovrà esser accompagnato da una capillare progettazione formativa (peraltro prevista dal Ministero): la valutazione, infatti, che va sempre considerata nella sua unitarietà, è un affascinante percorso di ricerca; non può e non deve ridursi a operazione aritmetica, al contrario deve saper descrivere coscienziosamente lo sviluppo degli apprendimenti, anche in chiave metacognitiva, allo scopo di fissare quei traguardi di sviluppo che ogni studente deve mirare ad ottenere.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

L. 517/1977 – L.148/1990 – L. 133/2008 – L.41/2020 – OM n.172/2020

Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1968
Paolo Mazzoni, Tra voto in decimi e giudizio, www.giuntiscuola.it del 4/12/2020
Giuseppe Adernò, Scuola Primaria, stop ai voti: tornano i giudizi, www.tecnicadellascuola.it del 21/7/2020
Mario Maviglia, Scuola Primaria: voto sì, voto no, forse, in parte…, www.giuntiscuola.it del 1/10/2020
Giancarlo Cerini, Valutazione formativa e giudizio descrittivo, per leggere gli apprendimenti, www.giuntiscuola.it del 30/9/2020




Dalla didattica a distanza alla didattica digitale integrata

di Daniele Scarampi

C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti (Henry Ford)

La didattica digitale concretizza ormai da tempo quel processo d’insegnamento/ apprendimento capace di superare la metodologia tradizionale costruita sulla centralità del docente  – in luogo di quella dell’alunno – e sulla trasmissione frontale dei saperi (cfr. PNSD, 2015), poiché l’ambiente di apprendimento non coincide più con il solo spazio fisico  delimitato dall’aula, ma si realizza anche in ambiente virtuale, in cloud. Di più: le potenzialità del digitale realizzano una prospettiva metodologico-didattica in grado di condurre verso la comunicazione multicanale (che raggiunge contemporaneamente più persone anche molto distanti tra loro) e, soprattutto, verso una società della conoscenza (la knowledge society ipotizzata già nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000) basata sullo sviluppo delle nuove tecnologie e sui più innovativi metodi d’apprendimento.

Con il DPCM emanato l’8 marzo scorso, in piena emergenza epidemiologica, il Governo si è espresso sia sulla possibilità di programmare lezioni a distanza sia sulla necessità di non intendere tali lezioni solo come una mera trasmissione di consegne e di compiti da svolgere a casa; saranno poi, più nel dettaglio, la Nota dipartimentale 17 marzo 2020 n.388 e il DL 25 marzo 2020 n.19 a dare le prime indicazioni operative in merito alle attività didattiche a distanza e a riconoscere la necessità di estenderle a tutte le scuole di ogni ordine e grado. Infine interverranno il DL 8 aprile 2020 n.22 (convertito nella Legge 41/2020) a sancire l’obbligatorietà di attivare percorsi didattici strutturati a distanza e il DL 19 maggio 2020 n.34 (il cosiddetto Rilancia Italia) a finanziare interventi utili a potenziare gli strumenti tecnologici in dotazione alle scuole, in ausilio a studenti e famiglie.

Ora, nelle intenzioni del legislatore è apparsa sin da subito lampante la volontà di puntualizzare il seguente concetto: la didattica a distanza (DAD), a tratti vista come un’àncora di salvezza a tratti invece aspramente osteggiata, non è da considerarsi come la semplice riproduzione delle pratiche tradizionali con strumenti virtuali, ovvero non è una mera replica della lezione tradizionale con il supporto di strumenti tecnologici. Le enormi potenzialità dell’informatica e della digitalizzazione della didattica erano note al mondo della scuola ben prima dell’emergenza da Covid-19: la DAD dunque è sempre stata considerata, almeno dalla normativa che l’ha introdotta, come l’insieme delle attività formative che si possono svolgere a prescindere dalla presenza fisica di docenti e discenti nel medesimo luogo. Al centro di tali attività formative ci sono certamente le tecnologie informatiche e audiovisive (videolezioni, piattaforme multimediali, applicazioni tematiche), tuttavia esse sono funzionali a una formazione ad hoc per gli studenti, mirata e continua, che stimoli l’apprendimento in autonomia.

La DAD ha avuto col tempo un’evoluzione concettuale dai risvolti pragmatici e operativi, verso l’idea di una didattica digitale integrata (DDI); il Decreto Ministeriale n.39, del 26 giugno 2020, ha infatti fornito un quadro di riferimento nel quale progettare la ripresa scolastica di settembre e ha palesato la necessità per le scuole di dotarsi di un Piano per la didattica digitale integrata; recentemente il Piano è stato dettegliato dalle Linee Guida per la DDI, divenendo di adozione obbligatoria per le scuole del secondo ciclo d’istruzione (nelle quali la DDI sarà una modalità complementare alla didattica in presenza) e altresì per tutte le altre scuole – di qualsiasi grado – qualora si rendesse necessaria un’ulteriore sospensione della frequenza scolastica a scopo di contenimento del contagio (in questo caso, estremo, con il supporto operativo degli USR).

Le istituzioni scolastiche, dopo le necessarie rilevazioni connesse al fabbisogno di strumentazione tecnologica e di connettività, progettano e deliberano (per poi integrare il Ptof e il Regolamento d’Istituto) le modalità di realizzazione della DDI, tenendo conto dei propri contesti peculiari e assicurando un adeguato livello di inclusività, con particolare attenzione per gli studenti con disabilità o altri bisogni educativi speciali (nel caso specifico di fragilità delle condizioni di salute, dovranno essere previsti percorsi d’istruzione domiciliare condivisi con le famiglie e con le strutture sanitarie territoriali).

La scuola, pertanto, attraverso il Collegio dei docenti fissa e predispone le modalità d’erogazione della didattica digitale integrata (utilizzo strumentazione digitale, piattaforme, registri, repository in cluod), al fine di inserirla in un contesto pedagogico e metodologico condiviso, a tutela sia della qualità dell’insegnamento sia delle esigenze delle famiglie.

Inoltre dovranno essere tutelati i ritmi d’apprendimento dei discenti, mediante un meditato bilanciamento tra le attività sincrone e quelle asincrone, soprattutto quando l’attività digitale è complementare a quella in presenza; invece, nel caso di un nuovo e infausto lockdown – è forse questa la novità più discussa del Piano – saranno previste quote orarie settimanali minime di lezione: nella scuola dell’infanzia le attività digitali dovranno essere calendarizzate in modo oculato, cercando di mantenere il legame educativo a distanza con i bambini; le scuole del primo ciclo d’istruzione dovranno garantire almeno quindici ore settimanali di didattica in modalità sincrona (dieci limitatamente alle classi prime della Primaria), erogate con flessibilità e interdisciplinarità; diversamente, le scuole del secondo ciclo assicureranno venti ore settimanali, ferma restando la possibilità di prevedere ulteriori attività specifiche per gruppi ristretti di studenti.

Quanto alle metodologie da preferire e agli strumenti per la verifica (e la valutazione), il setting dell’aula virtuale incentiva il ricorso alla cosiddetta “didattica breve”, alla flipped lesson o all’apprendimento cooperativo, metodologie situate e fondate sulla costruzione attiva e partecipata del sapere da parte degli studenti. Sarà poi compito dei docenti (e dei singoli consigli di classe/interclasse) individuare i più idonei strumenti di verifica degli apprendimenti, a seconda della strategia didattica preferita; la valutazione, invece, continua e trasparente, si riferirà ai criteri deliberati dai Collegi dei docenti e inseriti nei Ptof.

Nella sezione conclusiva, infine, il Piano per la didattica digitale integrata – dettagliato dalle recenti Linee guida – raccomanda alle istituzioni scolastiche di predisporre un percorso di formazione del personale aderente alle esigenze della DDI (utilizzo corretto delle strumentazioni digitali, modelli innovativi e inclusivi per la didattica, ecc.) e, soprattutto, suggerisce di rinvigorire il Patto Educativo di Corresponsabilità, pietra angolare del rapporto scuola-famiglia, in modo che ogni approccio metodologico o educativo venga totalmente condiviso e supportato.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Legge 107/2015, art. 1, commi 56-58
Decreto -legge 8 aprile 2020, n.22 convertito con modificazioni nella Legge 6 giugno 2020, n.41
Decreto del Ministero dell’Istruzione 26 giugno 2020, n. 39
Linee Guida per progettazione del Piano scolastico per la didattica digitale integrata (DDI)
Cos’è davvero la didattica a distanza e perché è diversa da quella tradizionale, in L’Orientamento (magazine per la scuola, l’università e il lavoro), www.asnor.it




Ripartire dall’infanzia. Il documento d’indirizzo per il sistema 0-6 anni

di Daniele Scarampi
(Dirigente Scolastico dell’I.C. di Vado Ligure, Sv)

Lo sviluppo delle capacità creative e innovative, è noto, ha radici profonde nella prima infanzia. E ben lo aveva arguito il menestrello della parola Gianni Rodari, nella sua fortunatissima Grammatica della fantasia: il bambino, già a partire dalle primissime esperienze ludiche, non è solamente un artificialista (ossia una specie di demiurgo che plasma sempre nuove storie), ma è un vero e proprio scienziato creativo; manipola oggetti e concetti uscendo dallo spazio angusto di schemi precostituiti e la forza dell’immaginazione che lo sorregge, scomponendo e ricomponendo la realtà, crea logiche combinatorie sempre nuove, capaci a loro volta di condurre verso significative esperienze d’apprendimento.

Ora, in ragione di quanto premesso, i servizi educativi e le scuole dell’infanzia, oltre a rappresentare per i bambini il primo approccio alla vita di società, rappresentano uno spazio di relazioni multiple da vivere e sperimentare creativamente (leggasi al riguardo gli Orientamenti pedagogici sui LEAD, i Legami Educativi a Distanza, elaborati lo scorso mese di maggio dalla Commissione per il Sistema integrato di educazione e istruzione), per poi condividerle con gli altri. Di più: si tratta di uno spazio di sperimentazioni e di acquisizioni successive, nel quale – manipolando oggetti e costruendo nuove esperienze – i bambini incontrano il prossimo, sviluppano le prime autonomie personali e costruiscono la propria identità in un contesto sociale.

Già il Piano Scuola 2020/21, pubblicato il 26 giugno, aveva enucleato una serie di linee metodologiche per la ripartenza a settembre delle attività in presenza nella scuola dell’Infanzia; esse si muovevano lungo tre direttrici: garantire un protocollo efficace per un rientro in sicurezza (distanziamento, igienizzazione, modalità di funzionamento del servizio, segnaletica orizzontale e verticale), valorizzare e impiegare tutti gli spazi interni o esterni (riprogettando ambienti o riconvertendo locali o pertinenze), nonché costruire gruppi didattici stabili e omogenei, formando adeguatamente gli educatori, gli insegnanti e i collaboratori scolastici di riferimento.

Coerentemente con quanto previsto dal Piano Scuola 2020/21, lo scorso 31 luglio è stato emenato il Documento d’indirizzo e orientamento per la ripartenza delle attività in presenza dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia”, focalizzato sulla necessità di garantire la ripresa e lo svolgimento in sicurezza di tutti i servizi afferenti all’infanzia (di cui all’art. 2 del D.lgs 65/2017), assicurando i consueti tempi di erogazione e l’accesso del medesimo numero di bambini, così come disposto dalle previgenti normative regionali o dalle norme tecniche sull’edilizia scolastica.

Il Documento in parola, che oltre al Piano Scuola ‘20/’21 si rifà alle indicazioni del CTS del 28 maggio 2020 (così come dettagliate nel successivo Verbale n.94 del 7 luglio), è articolato in dieci punti programmatici, a partire dalla corresponsabilità educativa, condicio sine qua non per una sinergica ripartenza delle attività in presenza, perché un “patto” d’alleanza educativa tra scuola e famiglia ha un ruolo cardine nei servizi del sistema integrato 0-6 e, in fase emergenziale, il dialogo, l’empatia e il mutuo soccorso non possono che giovare soprattutto alle famiglie più in difficoltà, economica e sociale.

Il secondo punto si concentra sulla stabilità dei gruppi: se è vero che relazione e socialità sono aspetti irrinunciabili sia dei servizi da 0 a 3 anni sia delle scuole da 3 a 6 anni, è altrettanto vero che, per non compromettere la qualità dell’esperienza educativa e garantire la sicurezza, è necessario che il personale educativo, docente e ATA non ruoti e costituisca un riferimento fisso e – al tempo stesso – i gruppi/sezioni siano organizzati in modo omogeneo e identificabile, evitando attività promiscue o comuni.

Il terzo punto programmatico, invece, decisivo per gli aspetti logistici del servizio, afferisce all’organizzazione degli spazi, che giocoforza dev’essere funzionale alla già citata omogeneità dei gruppi/sezioni. Sarà importante strutturare gli ambienti in aree non promiscue, anche atrraverso una ragionata disposizione degli arredi; tutti gli spazi disponibili, compresi saloni, atrii e laboratori, dovranno essere separati e distinti; si dovrà inoltre valorizzare al megli lo sfruttamento degli spazi esterni, attivando mirate allenaze col territorio allo scopo di reperire eventuali spazi aggiuntivi.

Il quarto punto, a proposito degli aspetti organizzativi, riprendendo quanto già disposto dal Piano Scuola ‘20/’21, poggia sulla salvaguardia dei bisogni dei bambini e sull’opportunità di conciliarli con le esigenze lavorative dei genitori. Il servizio di pre o post scuola andrà strutturato opportunamente; accessi e uscite dai locali didattici saranno regolamentati e differenziati; sarà opportuno redigere una tabella di programmazione delle attività, alla quale allegare un registro di presenze giornaliero dei bambini, del personale scolastico e di quallo esterno.

Considerata l’esigenza di non limitare il numero di bambini nelle strutture né l’offerta formativa e il tempo scuola, il quinto punto del Documento prevede la necessità di individuare ulteriori figure professionali a supporto delle attività didattiche, assegnare alle scuole dotazioni organiche aggiuntive e tutelare i lavoratori “fragili”, nel rispetto della normativa di settore in materia di salute e sicurezza (D.lgs 81/2008 e s.m.i.) e di quella legata all’emergenza, con particolare attenzione al DL 34/2020, convertito con modificazioni nella L.77/2020.

Il sesto e il settimo punto prevedono la regolamentazione di refezione e riposi pomeridiani (turnazioni, possibilità di consumare i pasti nelle aree didattiche, opportuna areazione e sanificazione dei locali) e la stesura di efficaci protocolli di sicerezza (regole per l’igiene personale, utilizzo corretto dei DPI, attività peculiari di igienizzazione); l’ottavo punto di fatto ribadisce una serie di prescrizioni già ben sottolineate nella normativa previgente, a proposito di modalità di formazione/informazione del personale, erogabili anche a distanza; il nono punto, invece, focalizza l’attenzione sulla necessità – indispensabile dai punti di vista sociale ed emotivo – di curare le attività inclusive, per garantire una totale ripresa ai bambini con disabilità cerrtificata. Il decimo punto, quello conclusivo, è un allegato tecnico che riprende ed enuclea le indicazioni igienico-sanitarie basilari, utili al contenimento del contagio nelle strutture scolastiche.

L’impostazione del Documento d’indirizzo del 31 luglio, è bene rammentarlo in conclusione, si concentra sul rinvigorire il patto educativo tra personale docente/educativo e genitori, così come avevano caldeggiato gli Orientamenti pedagogici sui LEAD. Il rientro di settembre, soprattutto per i servizi afferenti all’infanzia, deve garantire anzitutto la sicurezza, ma deve altresì mirare alla ricostruzione del rapporto tra docenti/educatori e bambini, condizione necessari all’educazione e all’apprendimento profondo.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

1) Vittoria Striato, Come la creatività può favorire l’acquisizione di competenze, in Dirigere la Scuola, Euroedizioni, luglio 2020
2) Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2021, del 26 giugno 2020.
3) Orientamenti pedagogici sui LEAD: legami educativi a distanza, un modo diverso per fare nido e scuola dell’infanzia, a cura della Commissione Infanzia Sistema Integrato zero-sei, maggio 2020
4) “Documento d’indirizzo e orientamento per la ripartenza delle attività in presenza dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia”, del 31 luglio 2020.




Promuovere la cittadinanza attiva e consapevole

di Daniele Scarampi

Le persone considerano l’educazione come qualcosa che va portata a termine per poi non pensarci più, lo scriveva Isaac Asimov: proprio come si percepiscono i momenti di transizione o i riti di passaggio, nei quali si compiono azioni che sono  considerate come superate, quasi vetuste e non vengono ripetute perché date per acquisite.

Diversamente, all’interno del complesso mondo educativo, l’educazione civica mira anzitutto a determinare il ruolo dei cittadini nella vita pubblica, a formarne la personalità o a incentivarne comportamenti responsabili e queste operazioni – ambiziose e strategiche – necessitano di un lungo percorso; di certo non costituiscono un momento transitorio, bensì una lenta e continua acquisizione successiva.

L’educazione civica prende vita dalla lungimirante intuizione politica di Aldo Moro, riferibile a un sostrato etico che richiama i principi della Carta Costituzionale: essi non vanno solo salvaguardati, ma vanno applicati in toto perché rappresentano l’ideale morale della democrazia; pertanto l’educazione civica rammenta la funzione decisiva della democrazia nell’intuire e comprendere gli interrogativi della società; oggi, per esempio, di fronte a qualunque problema sociale (dalla crisi dell’economia ai razzismi e alle intolleranze) ci si riferisce sempre all’educazione, perché evidentemente tutti gli altri approcci volti a tutelare scelte e comportamenti democratici sono falliti.

Don Milani, del resto, lo aveva arguito con precisione: esiste una sostanziale differenza tra istruire e formare, in quanto l’educatore efficace non si può limitare a impartire nozioni ai suoi discenti, deve piuttosto accompagnarli all’interno della vita pubblica e della comunità entro le quali essi saranno chiamati a vivere, formandoli a scegliere e a discriminare con ponderatezza.

Dunque l’educazione civica afferisce ai profili sociali, economici, civici e ambientali della società, è insomma la disciplina trasversale per eccellenza proprio per la sua attitudine a integrare esperienze extrascolastiche, ammiccando al mondo del volontariato e del Terzo Settore.

Ma ripercorriamone le tappe, per sommi capi: il DPR 13 giugno 1958, n. 585, a firma di Giovanni Gronchi e Aldo Moro, dispone l’integrazione dei programmi di storia – relativi agli Istituti d’istruzione secondaria – con quelli afferenti all’educazione civica; questo nuovo insegnamento, manifestamente ispirato alla Carta Costituzionale e di chiaro respiro interdisciplinare, mirava a stimolare negli studenti esperienze di vita democratica, inserendo la scuola nel sostrato socio-culturale di quegli anni.
Più tardi, tra gli anni ’80 e ’90, il Ministero e la scuola furono indotti ad affrontare una serie di crisi sociali, alle quali risposero con specifici progetti in parte inglobati nelle sei educazioni della Riforma Moratti, poi semplificate dal dicastero Fioroni.
Quindi la L.169/2008, targata Gelmini, e la successiva L.222/2012 sostituiscono l’educazione civica (o meglio l’educazione alla convivenza civile, come si legge nel D.lgs 59/2004) con la nuova dicitura Cittadinanza e Costituzione, ancorché nelle programmazioni d’area letteraria resti traccia della vecchia denominazione.

Oggi i principi e i valori di Cittadinanza e Costituzione, passando per la Cittadinanza attiva e democratica auspicata dalla Legge 107, sono confluiti nuovamente nell’Educazione Civica, di cui alla L. 92/2019: nelle scuole del primo ciclo, l’insegnamento è affidato in contitolarità ai docenti, mentre nel secondo ciclo le scuole fanno leva sull’organico dell’autonomia e, nello specifico, sui docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche. Inoltre è individuato un docente coordinatore che ha l’onere di formulare la proposta di voto, acquisendo ogni elemento conoscitivo suggerito dagli altri docenti.

Recentemente il Ministero dell’Istruzione ha diramato le Linee Guida (già accolte favorevolmente dal CSPI) propedeutiche al definitivo decreto che sancirà l’avvio dell’Educazione civica, a partire dal prossimo mese di settembre.
Le Linee Guida, concentrate sulla trasversalità del nuovo insegnamento, indugiano su tre nuclei portanti (ben espressi negli articolo 3,4 e 5 della L.92/2029): la conoscenza dei principi costituzionali, lo sviluppo della sostenibilità ambientale (ma anche, per esempio, sociale ed economica) e la cittadinanza digitale; per ognuno di questi tre assi imprescindibili, le Linee individuano i rispettivi traguardi di competenza, integrando così il profilo delle competenze al termine del primo ciclo d’istruzione (di cui al DM 742/2017) e il P.E.CU.P. dello studente al termine del secondo ciclo. In questo scenario, il nuovo insegnamento trasversale dell’Educazione civica dovrebbe costruire una sorta di “sfondo integratore” capace d’interconnettere gli interventi didattici e di attivare una convergenza educativa di tutte le discipline di studio e di ogni aspetto della vita scolastica (Michele Di Filippo, 2020).

Tuttavia, per formare futuri cittadini responsabili, occorre inoltre aiutare gli studenti ad esercitare i propri giudizi in modo consapevole, educandoli alla convivenza e alla cultura democratica, nonché al rispetto della diversità culturale, dell’equità e dell’uguaglianza. Ora, il concetto di convivenza civile s’interseca con i saperi della legalità, che a loro volta afferiscono alla conoscenza storica e alla conoscenza del contesto sociale nel quale i discenti vivono e si muovono.
Non solo: essere cittadini attivi significa anche tutelare la sostenibilità ambientale e promuovere lo sviluppo socio-economico, poiché compiere scelte economico-finanziarie adeguate – o intuirle – significa ottenere il benessere individuale e, al contempo, contribuire a quello sociale del Paese.

Pertanto, in conclusione, a prescindere da quelle che saranno le difficoltà logistiche d’attivazione del nuovo insegnamento, l’Educazione civica dovrebbe costituire finalmente un vero e proprio valore aggiunto, fondamento e linfa vitale del curricolo, pietra d’angolo di ogni esperienza d’insegnamento-apprendimento.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

  1. Di Filippo, L’educazione civica: nomen omen?, in Dirigere la Scuola, Euroedizioni, 2020
  2. Adernò, Educazione civica, storia della “Cenerentola” della scuola, in www.tecnicadellascuola del 13 settembre 2019

Aldo moro e l’educazione civica a scuola, in www.interris.it

Nuova Educazione Civica, come insegnarla: tutte le aree di formazione, in www.orizzontescuola.it del 22 giugno 2020

Legge 92/2019 e s.m.i.




Valutare ai tempi della didattica a distanza

votidi Daniele Scarampi

– dirigente scolastico dell’IC di Vado Ligure (SV)

Fa quel che può, quel che non può non fa, stigmatizzava laconicamente il celebre maestro Manzi, nel lontano 1981, sull’allora scheda di valutazione della scuola Elementare.
Sberleffo provocatorio, sicuro, eppur utile lezione anche per la scuola di oggi, invischiata nella palude di un’mergenza planetaria che sta minando certezze e consolidati paradigmi didattici e pedagogici.

Del resto, non è mai troppo tardi per prendere coscienza dell’opportunità di un robusto cambio di prospettiva e, all’epoca della didattica a distanza (DAD), la valutazione degli apprendimenti offre un fertile esempio su cui riflettere.
Ora, che cos’è la valutazione? Ma soprattutto: che cosa si valuta? Il voto è un numero e un numero è un indice sintetico, non narrativo; certifica qualcosa, ma di fatto racconta poco o nulla. La valutazione invece è un processo, un’argomentazione, la rilevazione di un prodotto, di un’azione.
In sintesi, è la determinazione di un giudizio di merito, del valore di qualcosa (Scriven, 1991). Per valutare, dunque, non basta misurare un sapere, occorre piuttosto attuare un processo di ricerca che dia un valore estrinseco a ciò che viene preso in considerazione, dimodoché la rilevazione possa avere una dimensione operativa ed efficace.


Da sempre, in tema di valutazione, si sono scontrati (a volte amalgamandosi, a volte entrando in conflitto) due paradigmi ben distinti: quello docimologico, inscindibilmente legato alla valutazione certificativa, parziale o sommativa, e quello regolativo, associato invece alla valutazione educativa e formativa.

La valutazione docimologica misura gli apprendimenti in base al raggiungimento di specifici obiettivi; la valutazione regolativa, invece, va oltre la misurazione della prestazione ed è funzionale alla formazione degli studenti perché innesca processi riflessivi e metacognitivi, attraverso i quali ognuno è in grado di ripercorrere le tappe del proprio apprendimento, capire gli eventuali errori commessi e prendere consapevolezza del percorso effettuato.

La valutazione formativa, pertanto, stimola la riflessione sui processi d’apprendimento in modo da poterli orinetare o modificare consapevolmente.

Sic stantibus rebus, alla dimensione metacognitiva a quella pro-attiva della valutazione il passo è breve: solo così i problemi che si incontrano nell’apprendimento possono essere sviscerati e decodificati, alla ricerca di soluzioni adeguate e condivise, per nulla sanzionatorie. Siamo dinanzi a una sorta di “cultura della valutazione”, orientata verso lo sviluppo dell’identità dei ragazzi mediante la pianificazione di azioni performanti e successive, che ha le sue radici nelle Indicazioni Nazionali di cui al DM 254/2012, così come rinvigorite dalle Linee Guida Miur del gennaio 2018 (Nota n.312) e – soprattutto – dalle Indicazioni Nazionali e “nuovi scenari” del marzo 2018.

L’odierna didattica a distanza (DAD), prima consigliata e poi resa obbligatoria dagli interventi normativi succedutisi sulla scorta della crisi epidemiologica in atto, fino al recentissimo D.L. 22/2020, presuppone – va da sé – una valutazione a distanza (VAD): in questo contesto del tutto peculiare la partita tra paradigma docimologico e paradigma regolativo assume un’importanza decisiva, quasi epocale: in ballo, infatti, c’è un cambio di prospettiva, dall’educare a imparare all’educare a pensare e a riflettere su quanto prodotto.

Di valutazione a distanza parla per la prima volta, in modo esplicito, la Nota ministeriale n.279/2020 che, di fatto, rimanda alla professionalità dei docenti, alla libertà d’insegnamento e alla cornice normativa all’interno della quale ogni PTOF imposta il protocollo valutazione, ovvero il DPR 122/2009 e il D.lgs 62/2017.
Tuttavia è con la successiva Nota n.388 del 17 marzo 2020 che si fa strada, in modo più robusto, la necessità di una valutazione regolativa, fondata sull’approfondimento e sulla valorizzazione, capace di dar lustro al processo formativo dei discenti, stimolandone la pratica dell’autovalutazione. Il passaggio è nodale perché dalla misurazione di una prestazione ideale, in chiave certificatoria, si passa alla necessità di attestare i progressi successivi compiuti dagli studenti, peraltro occasione di cooperazione tra docenti, alunni e famiglie, già architrave del patto educativo di corresponsabilità.

Ne consegue che, in ottica formativa, ogni errore debba essere considerato una leva di miglioramento e non un deterrente; i voti o i giudizi – elaborati anche mediente rubriche o dossier esplicativi – debbano riferirsi non a specifiche contingenze, bensì alla fotografia complessiva del processo di crescita e di maturazione dello studente, con un’attenzione particolare allo sviluppo di eventuali nuove competenze, in linea con il concetto di imparare a imparare, sostrato fondamentale di ogni cittadinanza attiva e consapevole.

Il paradigma regolativo applicato alla VAD presuppone anzitutto la rilevazione della partecipazione, della disciplina dimostrata e del rispetto delle consegne assegnate; presuppone altresì la capacità dimostrata dai ragazzi di interagire, comunicare, superare le difficoltà, risolvere i problemi e, non in ultimo, riflettere metacognitivamente sui prodotti realizzati.

Certo, la valutazione dei contenuti – soprattutto nella scuola Secondaria – non può essere totalmente disattesa, tuttavia dev’essere un mezzo piuttosto che un fine e va gestita mediante l’utilizzo di prove destrutturate o semistrutturate (capaci di stimolare i collegamenti, le riflessioni, il probelm solving, lo sviluppo di competenze intese come l’amalgama di contenuti e saperi già acquisiti) oppure i colloqui in modalità sincrona e in collegamento a distanza.

La scuola, pertanto, chiamata a una nuova e complessa sfida metodologica, gioca con la DAD (e la relativa VAD) una partita decisiva, proiettandosi verso un orizzonte didattico che potrebbe delineare gli scenari del futuro, a breve e a lungo termine.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

D. Parmigiani, L’aula scolastica, Franco Angeli, 2014
D. Parmigiani, L’aula scolastica 2, Franco Angeli, 2018
Nota ANP “Come attuare la valutazione a distanza?”