Didattica a distanza, docenti e pandemia.
In quanto membro del gruppo “Condorcet-ripensare la scuola”, che per primo ha proposto la rimodulazione dell’anno scolastico, seguo con particolare interesse il dibattito pubblico intorno alla proposta ventilata da Mario Draghi di portare la chiusura dell’anno scolastico a fine giugno, a causa evidentemente dei danni portati dalla pandemia.
Per ora Draghi non ha detto nulla di preciso, ma per quanto riguarda quella di Condorcet, è da novembre che mi confronto con colleghi e addetti ai lavori. L’ostilità di queste ore, quindi, non mi giunge nuova. Oltre a cercare di convincere gli scettici, però, è importante per me sottolineare che la questione del calendario, pur centrale, non è isolata.
Fin dai suoi inizi, la pandemia è stata, ed è, una sorta di violento stress test che ci sta costringendo, nostro malgrado, a ripensare numerosi elementi del nostro lavoro. Cosa è emerso dal mondo degli insegnanti italiani in questi mesi? Come è stata affrontata dai docenti italiani questa battaglia? E’ di questo che vorrei occuparmi qui, pur consapevole tutti i limiti che un tale quadro complessivo del genere comporta.
Capitolo I: primavera 2020
La didattica a distanza (DAD d’ora in avanti) prima di marzo scorso non esisteva. Poi, da un giorno all’altro, è diventata l’unico canale attraverso il quale la scuola pubblica italiana ha potuto continuare ad esistere. Per i docenti non c’era un chiaro inquadramento contrattuale, nessuna obbligatorietà e, almeno all’inizio, nessun regolamento. Nessuna formazione specifica era mai stata fatta per qualcosa che nessuno s’era mai immaginato.
In questo frangente i tre sindacati confederali, sia pure con sfumature diverse, sottolineano tutti l’eccezionalità della DAD e ne denunciano i limiti, ribadendo di contro il valore della didattica in presenza. La nota 388 del governo, con cui si cerca di disciplinare e indirizzare la DAD, viene respinta dai sindacati confederali, che la considerano illegittima.
Nel vademecum alla DAD della FLC/CGIL il giudizio sulla DAD non è ottimista: “Va poi evidenziato che non è pensabile che la didattica a distanza possa surrogare appieno la didattica in presenza. I contenuti e gli obiettivi didattici vanno pertanto opportunamente rimodulati ed adeguati alla nuova situazione“.
Su toni simili anche Maddalena Gissi per la CISL, che aveva addirittura preferigurato una chiusura tout court della scuola italiana, in attesa di tornare in presenza: “guai a pensare che la didattica a distanza possa modificare il senso profondo della scuola, come luogo privilegiato e insostituibile dell’incontro fra generazioni. Tutto ciò che riusciremo a mettere in campo nei prossimi giorni deve aiutarci a riflettere su come stare in aula una volta che potremo tornarci: solo così si può ben sperare che questi non siano giorni vuoti di senso.” (neretto nell’originale).
Alla fine dell’anno si arriva con comprensibile fatica. La cronaca racconta ora di alcuni eccessi di singoli docenti (Antonio Vigilante su “Gli Stati Generali” arriva a parlare di “aguzzini della valutazione“), ora delle furbizie degli studenti per sfuggire al volto telematico dei propri docenti. Le modalità emergenziali della maturità e la promozione generalizzata, seguita da Piani di integrazione dell’apprendimento (PIA) e Piani di apprendimento individualizzato (PAI), suscitano qualche dubbio, ma prevale il principio che non si possano addebitare agli studenti le profonde lacune lasciate da tre mesi di scuola a distanza.
Almeno in parte dell’opinione pubblica e del mondo della scuola, la DAD viene vista come un’esperienza conclusa che non va ripresa. Il comitato “Priorità alla scuola“ (che già ad aprile ha raccolto decine di migliaia di firme in calce ad un appello per la riapertura delle scuole) ed altre associazioni organizzano per il 3 giugno una protesta pubblica contro la DAD in numerose città italiane.
Sempre sugli Stati Generali, Antonio Vigilante riassume efficacemente in calce all’articolo scritto da una madre scontenta della DAD l’animus di molti docenti: “Nessuno vuole continuare con la didattica a distanza. Anche perché non è il nostro lavoro: abbiamo firmato un contratto per insegnare in aule fisiche, non come docenti a distanza“.
Capitolo 2: Il ritorno a scuola
A settembre si ricomincia. L’estate è stata spesa a parlare di plexiglas, banchi a rotelle, sdoppiamenti, nuove sedi, ma alla fine quel che rimane è il blando vincolo del metro tra le ormai celeberrime rime buccali, mentre non si registrano progressi sui trasporti pubblici. I PIA e i PAI si perdono un po’ per strada e l’idea di cominciare il primo settembre almeno con i recuperi naufraga nella grande maggioranza delle scuole.
La situazione precipita rapidamente. I contagi riprendono e l’opinione pubblica non riesce a farsi un’idea chiara del ruolo delle scuole nella diffusione del contagio. Fioccano analisi contrastanti mentre le rassicurazioni del ministero, pur continue, vengono accolte con scetticismo.
Ciononostante, ad ottobre da uno studio di ottobre della CGIL emergono le perplessità dei docenti all’idea di tornare in DAD. Due docenti su tre riferiscono di un carico di lavoro aumentato (in primavera), ben tre su quattro dichiarano che la didattica in presenza è insostituibile e quella a distanza può essere solo una soluzione temporanea.
Il governo cerca di insistere sulla presenza, ma intervengono i governatori regionali e in un modo o nell’altro, con ritmi diversi da regione a regione, si torna in DAD, anche se di solito soltanto dalla terza media in su.
Il lavoro didattico nel primo trimestre esce martoriato da questa situazione: il governo, a causa del rinnovo delle graduatorie che non ha voluto posticipare, non è riuscito a garantire i supplenti necessari all’attività didattica. Fino a novembre migliaia di cattedre rimangono scoperte, con una perdita devastante di ore di lezione che non possono neanche essere recuperate in DAD, perché in quei casi non c’è un docente che la DAD la possa fare. Alle solite cattedre scoperte, problema strutturale della scuola italiana, si aggiungono quelle dei docenti dichiarati fragili e quelle delle classi sdoppiate, che faticano a partire o non partono del tutto, perché nessuno vuole prendere supplenze che rischiano di saltare non appena lo sdoppiamento venisse revocato. Quando si ritorna ad una DAD tombale, a fine ottobre, l’umore nelle scuole è comprensibilmente piuttosto basso.
Nel frattempo è stato aggiornato il contratto e ora sono obbligatorie almeno 20 ore di attività sincrona (video-lezioni). Non ci sono più vuoti normativi, ma i vincoli ministeriali sono pesanti. La video-lezione diviene, per scelta ministeriale, il canale prevalente della DAD, mentre rimangono non colte le possibilità della didattica a distanza in asincrono. Questa scelta rende la DAD ancora più gravosa, poiché le video-lezioni richiedono connessioni di buon livello che spesso mancano e sono particolarmente faticose sia per docenti che studenti. Solo le vacanze di Natale riescono a portare un po’ di sollievo a lungo agognato.
Ad un mese dalla fine delle vacanze di Natale, si arriva alla situazione attuale, con la scuola sì in presenza, ma al 50%. Questo ritmo singhiozzante non è l’ideale già di per sé, ed inoltre espone gli studenti ad un ingorgo di prove scritte e orali cui sono sottoposti nei giorni in presenza. Di contro, per i docenti è importante riappropriarsi di una valutazione considerata più affidabile di quella in DAD. Se e quando si potrà tornare ad una situazione stabilmente normale, al 100% in presenza, ancora non si sa.
Capitolo 3: il recupero
A questo punto ritorniamo a Mario Draghi e alla sua proposta, trapelata in maniera molto vaga. Noi di Condorcet a novembre avevamo parlato di una rimodulazione, con l’inserimento di pause o con l’allungamento delle vacanze di Natale e di Pasqua. Abbiamo anche sottolineato più volte la necessità di riposo dalla stanchezza imposta dalla DAD, proprio in virtù dello sforzo eccezionale che ha richiesto tanto ai docenti quanto agli studenti. Abbiamo anche rimarcato che la perdita non riguarda solo chi tra gli studenti è in difficoltà, ma tutti, perché il tempo scuola è stato ridotto e disarticolato da mille ostacoli e ne sono stati danneggiati anche gli studenti più autonomi.
La reazione, dicevamo prima, è stata di ostilità. Gli argomenti a sostegno di questa ostilità sono diversi, anche se spesso si accavallano: la stanchezza degli studenti, dei docenti, il caldo, il fatto che poi, alla fine, due settimane sono troppo poche per fare la differenza, ma soprattutto il fatto che, in realtà, da recuperare non c’è nulla, perché si è ampiamente sopperito con la DAD.
Abbiamo citato precedentemente Antonio Vigilante e la sua delusione per la DAD, vista come strutturalmente estranea al lavoro dei docenti. A fronte della proposta Draghi, la sua posizione è questa: “Il bilancio è nel complesso tutt’altro che allarmante.”
Maddalena Gissi, segretaria CISL di cui abbiamo riportato i dubbi, risponde invece così: “Allungare a prescindere il calendario scolastico significa far credere che con la Dad la scuola ha scherzato“. Contrarietà piuttosto netta è espressa anche da FLC/CGIL e da un po’ tutti i sindacati scolastici.
Sui giornali vengono riportate molte dichiarazioni di docenti contrari. Su La Stampa del 10/02 Raffaella Soldà, di un istituto di La Spezia, dichiara: “E’ come dirci non avete fatto nulla“. E’ una posizione che ci è stata spesso ribadita nei commenti della nostra pagina, e che ricorre anche nell’articolo di Vigilante citato prima.
Non so spiegare perché la nostra proposta, nata per ovviare a quella Via Crucis che è stata l’ultimo anno scolastico, equivalga a disprezzo per il lavoro svolto dal personale scolastico (quali noi di Condorcet peraltro siamo).
Non so neanche spiegare perché i docenti stessi non ricordino più le difficoltà e i limiti della DAD che denunciavano qualche mese fa. Che un prolungamento possa arrivare a valle di un anno già faticoso non è un argomento privo di senso: ma è un ostacolo su cui si può lavorare e al quale abbiamo posto mente suggerendo non un allungamento, ma una rimodulazione del calendario. C’è stato anche chi ci ha accusato di non aver pensato a delle pause extra, il che rivela che tra i detrattori ci dev’essere qualcuno che si è fermato ai titoli.
Mi riesce infine insondabile perché due settimane debbano essere poche, o perché il tempo della didattica debba essere considerato una variabile indipendente. Con la sua consueta eleganza di toni, Cristiano Corsini contesta la nostra proposta ricordandoci, sulla base di Dewey, Pontecorvo e Fusé, che l’apprendimento non avviene a ritmo regolare o a comando del docente, ma con esplorazione continua, costruzione di relazioni ed esperimenti ad ampio spettro. A me questo sembrerebbe dimostrare che il tempo è prezioso e ne serve il più possibile (perché a un discente non si può metter fretta), mentre lui ne ricava che il tempo sia un’allegra invenzione da burocrati e che non abbiamo capito niente. E devo concordare sul fatto di non aver capito la logica della sua obiezione, tanto più se penso che per le esplorazioni e le relazioni la DAD non può che essere un collo di bottiglia.
Non è neanche detto, peraltro, che la rimodulazione debba essere l’unica soluzione o che non si possa ragionare più a lungo termine -come noi peraltro abbiamo fatto sin da novembre. Eppure la protesta si ferma qua: il docente italiano è ferito nell’onore e stanco, ancora abbastanza reattivo per protestare, ma non per fare proposte alternative.
Il mio timore è che questo muro di critiche finisca per offuscare lo sforzo che è stato fatto e ingeneri nell’opinione pubblica sospetto e diffidenza verso le istanze legittime dei docenti. Per notare la distanza tra docenti e resto dell’opinione pubblica è sufficiente vedere la differenza di toni tra i commenti alla nostra proposta postati in calce al post del blog “Mammadimerda”, che ci rilancia e dove commentano genitori e famiglie, e quelli in calce a Orizzonte Scuola, dove la nostra proposta la commentano i docenti.
E’ una voragine che mi preoccupa.