Digitale ovunque. Nella scuola, nel lavoro, nel divertimento.
Digitale come servizio, come risorsa a disposizione di tutti, appena girato l’angolo di Google.
Tempo fa [1] scrivevo che ci sono tre miti che circolano sulla rete: 1) che sia un ambiente naturale, 2) che le risorse che offre sono gratuite e 3) che siano infinite. Un supermercato infinito, con scaffali pieni di ogni ben di dio, senza nessuno alla cassa. Tanta formazione alla “didattica digitale” si poggia proprio su questi miti.
C’è ancora chi proprio non riesce ad adeguarsi al flusso mainstream e si domanda: cosa rende possibile tutto questo? I computer, certo, i cavi e i satelliti, senz’altro. Ma cos’altro c’è, sotto la superficie?
In un senso, sotto ci sono interessi, soldi, potere, che governano questo come altri campi, con buona pace di chi vedo solo futuri rosei in cui intelligenze artificiali e persone andranno a braccetto. Non è per amore della condivisione della conoscenza che possiamo fare ricerche, scambiarci email, tradurre, condividere agende, parlarci a distanza. Ed è curioso che quasi nessuno – in un mondo così attento al profitto, alla conquista di ogni possibile mercato – metta in questione tutta quest’abbondanza di risorse gratuite; non solo quelle create e condivise da docenti-artigiani di buona volontà, ma anche quelle che richiedono enormi centri di calcolo solo per essere distribuite. Cosa ottengono le grandi imprese in cambio di questi servizi gratuiti? Da dove traggono le risorse economiche per restare in piedi? Per quanto tempo questi servizi resteranno gratuiti?
In un altro senso, sotto tutti questi servizi c’è il codice sorgente: un testo che fa funzionare i computer, raccoglie e trasforma dati, inventa mondi e connette persone. Anche oggi, nell’era delle interfacce ammiccanti, dei podcast, dei videotutorial, quello che c’è sotto è sempre un testo. Proprio così: solo lettere, numeri e segni di interpunzione, perché è di questo che sono fatti tutti i programmi che fanno girare il mondo, dagli smartphone ai satelliti.
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