Vent’anni dopo: la tecnica resta politica

di Marco Guastavigna e Stefano Penge Proprio in questi giorni ricorrono i due decenni di Framasoft, gruppo di attivisti che si propongono un obiettivo operativo, ma soprattutto etico, virtuoso: (se) Dégoogliser en toute facilité. Slogan assolutamente condivisibile, in particolare se per “google” si intende l’intero insieme degli oligopolisti che hanno recintato le infrastrutture e colonizzato l’immaginario, spacciandosi per l’unico soluzionismo futurista possibile in natura. Siamo insomma nella sfera dell’autentica condivisione equa e solidale della conoscenza, del free software, dei contenuti aperti, della federazione delle istanze collettive, della non centralizzazione, del rifiuto della profilazione, dell’implementazione di risorse e infrastrutture in funzione di esigenze effettive e non di pseudo-efficientismo astratto, che si incarnano in soggetti riconoscibili, che sono magari tra loro in autentica relazione e non solo in connessione. Bene; abbiamo un’altra notizia. Comincia ad affacciarsi la possibilità di utilizzare l’assistenza operativa delle macchine predittive anche SENZA doversi assoggettare al capitalismo cibernetico e alla sua visione del mondo, delle tecnologie e dei rapporti tra gli esseri umani. Continua a leggere

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Temi in classe

[post-views] di Stefano Penge Ma allora cosa si può fare con questa benedetta intelligenza artificiale generativa nell’educazione? Va scansata, ignorata altezzosamente? Certo che no. Perché al di là della sua forma attuale (il prompt appunto) si tratta di un passaggio importante non solo tecnico, ma culturale e sociale. La frenesia con cui persone che hanno ignorato fino a ieri l’esistenza stessa di software “intelligenti” si sono buttate a creare testi e immagini sulla base di ricette ha una radice che merita di essere studiata e capita.   Si potrebbero “importare” alcuni dei temi toccati fin qui all’interno delle materie e delle lezioni tradizionali. Le storie (della filosofia, della letteratura, dell’arte ) sono discipline in cui è facile trovar loro posto. Per esempio:

  • i prodotti dell’IA generativa sono analitici o sintetici? A priori o a posteriori?
  • il symbolum niceno-costantinopolitano e la differenza tra generazione e creazione;
  • copiare è bello: novità e tradizione tra classicismo e romanticismo;
  • automi nella letteratura, da Esiodo a Čapek;
  • Narciso e l’amore per la propria immagine, da Caravaggio a Freud;
In sostanza si tratterebbe di ricondurre la novità nell’alveo della tradizione. Un procedimento tipico della scuola, che tranquillizza tutti, ma a mio avvisto rischia di non porta a grandi passi avanti. Forse si può fare qualcosa di più. Intanto la discussione che precede e segue l’uso del prompt può più essere utile e interessante. Probabilmente questa è la parte più importante di ogni utilizzo didattico di tecnologie non create esplicitamente per l’apprendimento, dai laboratori linguistici alle LIM: ricostruirne la genesi e gli obbiettivi, provare a capirne il funzionamento, valutarne il bilancio guadagni-concessioni. Continua a leggere

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Didattica del prompt

di Stefano Penge Secondo le opinioni degli insegnanti intervistati dagli autori di ChatGPT [https://openai.com/blog/teaching-with-ai], il prompt si può usare a scuola in tanti modi:

  1. far esercitare gli studenti in un debate
  2. preparare quiz e lezioni
  3. tradurre testi per studenti non perfettamente a loro agio nella lingua dell’insegnante
  4. insegnare agli studenti come usare internet responsabilmente.
Probabilmente a noi europei, più centrati sulla nostra storia delle letteratura che sui problemi linguistici degli immigrati, questi suggerimenti sembrano ingenui e comunque non praticabili nel contesto della didattica quotidiana, a parte il secondo, che attrae irresistibilmente con la sua promessa di far risparmiare tempo al docente. Il quarto punto (far crescere il senso critico dei ragazzi) è invece interessante. Curiosamente cita internet, e non i servizi intelligenti, come se i rischi fossero legati a cattivi hacker in agguato là nella notte della dark web; ma è interessante proprio perché non è un suggerimento che viene da qualche agenzia culturale luddista e anti-tecnologica, ma da chi spinge per il progresso veloce e inarrestabile a qualunque costo. Sembra un’etichetta di una bevanda alcolica che recita “Bevi responsabilmente” o di un pacchetto di sigarette “Il fumo provoca il cancro”. Continua a leggere

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Il prompt prima del prompt

di Stefano Penge In fondo “scrivere prompt” è solo una particolare forma di programmazione. Si dice ad un computer (no, ad un software, anzi all’interfaccia di un software) quello che si vuole che faccia. Se questo sembra lontano dalla programmazione tradizionale forse è solo perché non la si conosce a fondo e si pensa invariabilmente a una serie di stupidi comandi dati ad uno stupido robot che li esegue. Si pensa che programmare significhi specificare esattamente il risultato e il modo di raggiungerlo passo passo (l’algoritmo). Che i prompt possano usare parole italiane, anziché astrusi comandi in un simil-inglese separati da segni di interpunzione usati a casaccio, non è nemmeno tanto strano: la storia dei linguaggi di programmazione ha già visto tanti tentativi di staccarsi dalle lingue specialistiche per avvicinare alla programmazione anche le persone normali: è il caso del COBOL, inventato negli anni ‘60 per far programmare anche i contabili e non solo gli ingegneri. L’idea poi che i linguaggi di programmazione debbano per forza assomigliare all’inglese è falsa; ci sono linguaggi basati sull’arabo, sul cinese e persino sul latino [https://www.codeshow.it/Linguaggi/Linguaggi_nazionali].

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Ma nemmeno è detto che programmare sia per forza “dare ordini”. Ad esempio, nella programmazione detta “orientata agli oggetti” si definiscono le conoscenze e le abilità di un tipo di oggetti. Più oggetti insieme, collegati gerarchicamente oppure messi in relazione tramite la possibilità di scambiarsi informazioni, costituiscono un modello. Una volta costruito, il modello viene eseguito e se la vede da solo, senza interazioni con gli umani. E’ come scrivere il copione e poi mettere in scena una rappresentazione teatrale. Continua a leggere

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Macchine che fingono di essere intelligenti

Composizione geometrica di Gabriella Romano[/caption] di Stefano Penge In questi ultimi anni si sta diffondendo un approccio che epistemologicamente e eticamente sembra mettere in discussione tutto quello che abbiamo saputo o creduto di sapere. Un passaggio che vale la pena di evidenziare e di discutere, anche e soprattutto in ambito educativo.

Fino a poco fa, i computer erano al nostro fianco nell’esplorazione dell’universo, più precisi di noi, instancabili, più determinati nel non commettere errori e non trarre conclusioni avventate. Gli affidavamo il calcolo delle traiettorie degli aerei, sulla base della matematica e della fisica che avevamo verificato nel corso due millenni precedenti, perché eravamo certi che avrebbero fatto meno pasticci di noi. Li immaginavamo come servi affidabili e incorruttibili. Un po’ come il primo Terminator impersonato da Arnold Schwartzenegger: magari brutale, ma efficace e soprattutto fedele.

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Invece è arrivata un’altra generazione di Terminator, più sottile, elegante, fluida. Il modello di software intelligente che va di moda oggi è bravo a fare molte cose, ma soprattutto una in particolare: fingere, cioè cambiare aspetto e assumere quello di chiunque altro. Non sa risolvere un problema o creare un minuetto partendo dalla regole della musica occidentale settecentesca, però può produrre degli artefatti che non sembrano artificiali, che assomigliano a qualcosa che avrebbe potuto produrre un essere umano. Di fatto, assomigliano a molte cose che esseri umani hanno prodotto, contemporaneamente. Continua a leggere

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Macchine che sembrano intelligenti

di Stefano Penge Immaginate un bel seminario dal titolo accattivante: “Le macchine intelligenti e la scuola: conflitto o opportunità?”. Si presenta come obiettivo, imparziale; non è acritico ma lascia intravvedere la direzione in cui occorre procedere (dalla rilevazione dei rischi alla costruzione di possibilità operative). Ottimismo della ragione e curiosità non vi mancano, siete pronti a iscrivervi? Un attimo. Già in questo titolo sono visibili alcuni limiti tipici dell’impostazione più diffusa. Prima di tutto, macchine e scuola: due soggetti, due entità che inevitabilmente si confrontano. Come se ci fosse una natura artificiale che cresce, si sviluppa, produce i suoi frutti (le macchine appunto); e come se la scuola si trovasse in questo giardino incantato, novella Eva, e dovesse decidere come coglierli e mangiarli. Lieto fine: dopo qualche esitazione colpevole ogni invenzione viene assorbita dalla scuola, malgrado l’opposizione dei tecnofobi arretrati e miopi.

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E’ vero che non sono molte le tecnologie per l’educazione nate dentro la scuola, come la tavoletta di cera riscrivibile dei romani o la lavagna di ardesia (che sembra sia stata introdotta negli Stati Uniti nell’Ottocento nel quadro della formazione degli insegnanti: una tecnologia meta-educativa). Dalla tipografia alle fotocopie, dalle diapositive alla LIM: nessuna di queste tecnologie nasce per l’educazione e nemmeno per la formazione, ma tutt’al più nel quadro della comunicazione aziendale, per la diffusione rapida, economica ed efficace di informazioni. Continua a leggere

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Perchè i docenti studiano l'intelligenza artificiale?

Composizione geometrica di Gabriella Romano[/caption] di Stefano Penge Come in ogni occasione in cui qualche strumento viene inventato e proposto sul mercato delle professioni della conoscenza, ancora prima che parta l’ennesimo progetto nazionale per la trasformazione delle classi tradizionali in ambienti innovativi dove gli studenti si preparino alle  le professioni digitali del futuro e il personale scolastico alla transizione digitale, alcuni insegnanti si sentono in dovere di aggiornarsi e di prepararsi al nuovo che avanza. Questo va ovviamente ascritto a loro merito: invece di lamentarsi del tempo perso necessario per imparare a usare questa o quella stravaganza voluta dal ministero, invece di laudare le tecnologie naturali di una volta e rimpiangere le buone vecchie LIM, si lanciano a studiare,  giocare e sperimentare coinvolgendo la famiglia, gli amici e gli studenti. Sono docenti ottimisti, entusiasti, curiosi e insieme coscienziosi.

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Le ragioni di questo interesse didattico sono diverse: dalla difesa dei “nostri” nei  mercati del lavoro internazionali alla risposta rapida alle trasformazioni culturali in arrivo, con una quota di orgoglio professionale o semplicemente un desiderio inconscio di allinearsi alla moda del momento. Stavolta non si tratta di afferrare la meteora del Metaverso, ma di preparare gli studenti a usare l’intelligenza artificiale, cioè le interfacce dialogiche di OpenAI, cioè i prompt.  I tre concetti sono spesso percepiti come uno solo: se il prompt di ChatGPT coincide con l’intelligenza artificiale, imparare a usarlo significa avere una patente che permette di entrare nel Paese dei Balocchi intelligenti. Continua a leggere

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Intelligenza artificiale: perché pone interrogativi etici e sui nostri diritti di cittadini?

di Rodolfo Marchisio e Stefano Penge Dopo aver introdotto il tema, averlo approfondito  vediamo di spiegare un po’ di più gli aspetti critici dal punto di vista della cittadinanza. Un intervento educativo (formazione di competenze e cultura digitale) è possibile solo se si supera la visione della digitalizzazione come un processo di democratizzazione spontanea dell’accesso delle informazioni oggi non più possibile. Agenda digitale. E come un processo “magico” e spontaneo di riforma della scuola in senso democratico grazie alle tecnologie Quale IA L’Europa ha stabilito i limiti da porre allo sviluppo della IA per tutelare i cittadini: AI Act. Riguardano i modelli fondativi alla base di grandi sistemi di AI e il ricorso alla sorveglianza biometrica e alla (ipotizzata) polizia predittiva. L’AI Act, inquadra i diversi sistemi di intelligenza artificiale pone paletti, proibisce alcune applicazioni e introduce procedure di salvaguardia per mettere al riparo i cittadini dell’Unione da abusi e violazioni dei diritti fondamentali. L’attenzione è: 1- sui modelli fondativi, quelle forme di intelligenza artificiale generali in grado di svolgere compiti diversi (come creare un testo o un’immagine) e allenati attraverso un’enorme mole di dati non categorizzati. Si è lavorato ad una applicazione preventiva delle regole su sicurezza informatica, trasparenza dei processi di addestramento e condivisione della documentazione tecnica prima di arrivare sul mercato. Wired. 2- La UE è arrivata ad un compromesso sull’uso dell’AI per compiti di polizia e di sorveglianza. Sul riconoscimento biometrico in tempo reale, ma si era discusso anche di polizia predittiva poi vietata. Ossia usare gli algoritmi per prevedere le probabilità con cui può essere commesso un reato, da chi e dove? Quali diritti verrebbero violati con questa delega? AI Act Europa (Wired) Continua a leggere

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CodeFest 2021: una grande manifestazione per capire come funziona il digitale

di Stefano Penge Digitale ovunque. Nella scuola, nel lavoro, nel divertimento. Digitale come servizio, come risorsa a disposizione di tutti, appena girato l’angolo di Google. Tempo fa [1] scrivevo che ci sono tre miti che circolano sulla rete: 1) che sia un ambiente naturale, 2) che le risorse che offre sono gratuite e 3) che siano infinite. Un supermercato infinito, con scaffali pieni di ogni ben di dio, senza nessuno alla cassa. Tanta formazione alla “didattica digitale” si poggia proprio su questi miti. C’è ancora chi proprio non riesce ad adeguarsi al flusso mainstream e si domanda: cosa rende possibile tutto questo?  I computer, certo, i cavi e i satelliti, senz’altro. Ma cos’altro c’è, sotto la superficie? In un senso, sotto ci sono interessi, soldi, potere, che governano questo come altri campi, con buona pace di chi vedo solo futuri rosei in cui intelligenze artificiali e persone andranno a braccetto. Non è per amore della condivisione della conoscenza che possiamo fare ricerche, scambiarci email, tradurre, condividere agende, parlarci a distanza. Ed è curioso che quasi nessuno – in un mondo così attento al profitto, alla conquista di ogni possibile mercato – metta in questione tutta quest’abbondanza di risorse gratuite; non solo quelle create e condivise da docenti-artigiani di buona volontà, ma anche quelle che richiedono enormi centri di calcolo solo per essere distribuite. Cosa ottengono le grandi imprese in cambio di questi servizi gratuiti? Da dove traggono le risorse economiche per restare in piedi? Per quanto tempo questi servizi resteranno gratuiti? In un altro senso, sotto tutti questi servizi c’è il codice sorgente: un testo che fa funzionare i computer, raccoglie e trasforma dati, inventa mondi e connette persone. Anche oggi, nell’era delle interfacce ammiccanti, dei podcast, dei videotutorial, quello che c’è sotto è sempre un testo. Proprio così: solo lettere, numeri e segni di interpunzione, perché è di questo che sono fatti tutti i programmi che fanno girare il mondo, dagli smartphone ai satelliti. Continua a leggere

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La videoconferenza è nata per comunicare, non per insegnare

rete_numeridi Stefano Penge La DaD è un altro caso di *misuse*, di uso in ambito educativo e scolastico di tecnologie nate per altri scopi e contesti.
La videoconferenza è nata per comunicare, non per insegnare. Gli ambienti come MS Teams o GSuite sono nati per la collaborazione dei gruppi, non delle classi di bambini.
Sono nati per fare altro ma vengono forzati ad un uso molto lontano da quello per cui erano stati progettati e realizzati. Non ne faccio un problema etico: è che quando si progetta un software si parte dai casi d’uso, dai bisogni degli utenti, e si realizzano funzionalità per soddisfare quelli. Quello stesso software che è perfettamente adatto in un contesto funziona malissimo in un altro. Per esempio: voglio fare un quiz e uso uno strumento che serve a fare i sondaggi. Sembra quasi uguale, ma è pensato in maniera completamente diversa: punta ai risultati aggregati, alle statistiche; probabilmente permette solo tipi di domande molto semplici, non quelle a cui avrei pensato (cloze, corrispondenze, trascinamenti). Continua a leggere

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