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Ritorno al futuro del tempo pieno nella città educativa

di Ermanno Morello
(per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare)

 Scrivo di tempo pieno sulla base dell’esperienza personale di insegnante di scuola media che, per sorte fortunata prima e scelta motivata poi, ha sempre lavorato in classi a tempo pieno e prolungato.

Nel cinquantenario della sua istituzione si sta avviando una riflessione articolata da parte di molti soggetti e associazioni: ripercorrerne la storia per individuare principi ispiratori e impianto didattico è fondamentale per riflettere, oggi, sul tempo e sulle modalità per l’ apprendimento, almeno nel primo ciclo di istruzione.

Il rapporto della scuola con la città è fondamentale, sotto il profilo strutturale e culturale (…)  nel tempo pieno si sono gettate le basi per la futura integrazione tra scuola e territorio, che ha portato ad un vero e proprio Progetto Educativo di Territorio. [1]


Data la complessità del fenomeno, in questo contributo proverò a entrare solo nell’aspetto del rapporto tra la scuola e la comunità educativa territoriale, vissuto direttamente a metà degli anni settanta del secolo scorso a Torino, quando lavoravo alla scuola media G.Baretti in Barriera di Milano, quartiere storico della periferia operaia in quegli anni sottoposto all’impatto con una immigrazione massiccia e disordinata dal sud d’Italia, come ancora accade oggi con persone provenienti da altre terre.

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La scuola “normale” è la grande “malata” e va cambiata

arcobalenodi Ermanno Morello

 Il documento a firma di Italo Fiorin e altri esperti pone una serie di questioni che riguardano la scuola “normale” , quella di prima del covid.
La scuola dell’emergenza (cosa ben diversa dalla DaD) ha solo agito da lente di ingrandimento: in essa non vedo indicazioni innovative, men che meno la “classe rovesciata”; l’unico dato positivo è l’impegno di quella parte di insegnanti (solo una parte) che ha cercato, con approssimazioni progressive (non improvvisando “a muzzo”) soluzioni da adeguare alla situazione per mantenere un contatto significativo con gli allievi, anche sul piano dell’apprendimento.
Sono gli insegnanti che stanno “pensando”, per modificare e verificare il proprio agire in una realtà sconosciuta (qualcuno anche con i pochi colleghi più vicini, sparita già prima l’idea stessa di collegialità); moltissimi altri si sono solo buttati a capofitto sulle piattaforme, continuando imperterriti a praticare la distanza già presente in classe.

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