Se mi ritrovo a pensare ai miei primi anni di insegnamento, immediatamente mi viene in mente la sofferenza dell’inizio e le potenzialità che invece ho intravisto quando durante l’anno 1963 ho incontrato un “movimento” che ha segnato la mia salvezza professionale.
Era il secondo anno che insegnavo come docente di ruolo alla scuola elementare e ricordo che una mattina, mentre stava nevicando con un turbinio di fiocchi stupefacente, sono entrata nella classe della docente della classe accanto per commentare.
Vidi scritto alla lavagna l’espressione: “La neve vola come api bianche!”
Rimasi colpita dalla sintesi e dalla metafora poetica. Rimasi però ancora più affascinata quando seppi che era una frase appena creata in un “testo libero” da un bambino che in quel momento vidi affaccendato, insieme ad un gruppetto di compagni, intorno ad un oggetto particolare.
Fu così che feci la conoscenza del “limografo”, al quale stavano lavorando quei bambini, intenti a passare un rullo inchiostrato per stampare il famoso giornalino.
La maestra, di cui divenni molto amica – ma che mancò molto giovane dopo pochi anni, colpita da una embolia cerebrale – si chiamava Alda Calzavara e mi introdusse al Movimento di Cooperazione Educativa al quale mi iscrissi subito.
L’MCE
L’incontro con l’MCE costituì nella mia formazione professionale la scintilla che accese in me una motivazione fortissima alla ricerca continua del miglioramento della mia didattica. Ho scoperto ante litteram cosa significava “una comunità professionale di pratica” insieme al desiderio appassionato ed effettivo di mettermi in gioco per riuscire ad attivare veramente il piacere di apprendere, comprendere e pensare, in quei bambini che mi venivano affidati e che un po’ alla volta si aprivano al mondo. Erano bambini di campagna, figli di contadini o di operai, molto avidi però di conoscere ed imparare.
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