La “potenza” della psicologia dell’apprendimento per la professionalità docente

di Cinzia Mion

Più volte ho raccontato che la mia salvezza professionale come docente la devo all’incontro con il Movimento di Cooperazione Educativa al mio secondo anno di ruolo.
Non intendo ora riprendere l’elogio delle tecniche Freinet ma sottolineare il fascino incredibile che ha esercitato su di me l’approccio con la PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO (o dell’educazione che dir si voglia) che sarebbe la riformulazione della vecchia PSICOPEDAGOGIA. Non va confusa con la Psicologia dello sviluppo (chiamata un tempo “psicologia dell’età evolutiva) e nemmeno con la Pedagogia. Sono stata iniziata a questa avvincente avventura cognitiva da Lydia Tornatore. Sulla scia poi ho continuato con la prof.ssa Metelli di Lallo, all’università di Padova, poi con Piero Boscolo che è subentrato dopo di lei , e via via con Clotilde Pontecorvo , Anna Maria Ajello, e il loro gruppo fino al recente Wiggins con la sua intrigante progettazione finalizzata alla COMPRENSIONE PROFONDA E DURATURA.
Naturalmente la strada era stata aperta dal grande Bruner cui mi sono abbeverata fino alla fine delle sue produzioni. Il pensiero che “va oltre l’informazione data (! )” e “le idee strutturali delle discipline”, definite più recentemente come “impianti epistemologico disciplinari”, sono stati i suoi pilastri, insieme alle “motivazioni intrinseche “ verso l’apprendimento, che nessun altro come lui ha saputo rendere più coinvolgenti. Ecco, credo che quelli che altre volte ho definito “brividi mentali” io li abbia provati anche alla lettura di Bruner , dopo aver capito che ciò che da allora mi ha contraddistinto è stata una motivazione fortissima alla CURIOSITA’ EPISTEMICA che, come una febbre benigna e stimolante , non mi ha più lasciato.

Ho colto subito che queste ricerche mi permettevano di rendermi conto che la didattica non è mai neutra. Risponde ad un modello soggiacente di psicologia dell’apprendimento che privilegia o sottovaluta o addirittura esclude quel fenomeno magico che coincide con la funzione mentale della “COMPRENSIONE”.
Quella comprensione che va oltre alla risposta esatta e che qualche volta addirittura viene deviata dall’immediatezza di tale risposta che potrebbe essere un automatismo, perché noi sappiamo che si apprende anche per “stimolo/risposta/rinforzo”: un apprendimento automatico, spesso per imitazione, indispensabile per la sopravvivenza, ma non illuminato dalla luce della mente che produce quella meraviglia che si chiama PENSIERO RIFLESSIVO.
E’ per questa serie di ragioni, che ho cercato qui di riassumere che, leggendo il DECRETO-LEGGE N°36 all’articolo 44, dove si affronta l’argomento della formazione iniziale e continua dei docenti della scuola secondaria (ma questo che andrò a dire vale anche per la primaria!) sono rimasta prima basita, poi delusa alla fine arrabbiata. Al secondo capoverso , lettera a) (dove si enumerano le competenze indispensabili per una formazione iniziale dei docenti) si elencano quelle: culturali, disciplinari, pedagogiche, didattiche e metodologiche, specie quelle dell’inclusione, rispetto ai nuclei basilari dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti….
Non si accenna minimamente alla PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO.
Ma come è possibile che si possa pensare di formare un professionista dell’INSEGNAMENTO, consapevole e RIFLESSIVO (come si auspica da tempo) se non gli si forniscono gli strumenti, le chiavi di lettura, per cogliere l’incisività o meno degli stimoli che va a proporre agli studenti attraverso la sua didattica, al fine o meno di sollecitare quelle che VYGOTSKIJ chiamava le funzioni mentali superiori? Perché è questo che la scuola deve sollecitare, altrimenti diventa un APPRENDISTATO banale e poco significativo. Queste chiavi di lettura le può dare solo la PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO.
Prima di preoccuparmi della carriera dei docenti (argomento sia pure interessantissimo ed urgente ) io mi preoccuperei dei fondamentali del futuro docente vero professionista, della sua motivazione a scegliere questa professione, di quanto risulta contagiato (per poter a sua volta contagiare gli studenti) dalle “motivazioni intrinseche” ( della CURIOSITA’ EPISTEMICA e del DESIDERIO DI COMPETENZA) oppure impermeabile alle stesse, per cui per continuare a formarsi ha bisogno di essere pagato!!!
La formazione continua non dovrebbe nemmeno essere definita “obbligatoria”, dovrebbe essere un BISOGNO VITALE. Ve lo immaginate un medico che non si aggiorna? un paziente può rimetterci la vita. Nel nostro caso avviene quella che un tempo chiamavamo la MORTALITA’ SCOLASTICA…. (oggi declassata alla più mite , ma non meno deleteria, DISPERSIONE SCOLASTICA ; oppure alla consapevolezza dello scadimento della competenza degli studenti a” comprendere” ciò che leggono….)
I docenti italiani hanno diritto tutti ad uno stipendio decoroso, non come quello percepito ora, ma VANNO FORMATI MEGLIO INIZIALMENTE E IN ITINERE E SCELTI CON PIU’ ATTENZIONE . La Scuola non è una agenzia di collocamento. Non mi stancherò di dirlo. Deve essere una prima scelta (vedi anche Tuttoscuola).
La Scuola ha bisogno dei migliori e di quelli motivati, se vuole recuperare i problemi che si stanno verificando.
Dobbiamo superare, caro Ministro, quel patto scellerato al tempo della DC per cui il messaggio implicito fu ”Ti pago poco, ma ti chiedo poco”. (è stato allora che i docenti maschi hanno disertato la scuola, con grave ripercussione sulla maturazione dell’identità di genere sia di maschietti che di femminucce: l’identità infatti è il frutto di dinamiche sia di identificazione che di differenziazione!).
Ora i docenti vengono pagati poco ma si chiede loro molto sul piano dell’ arida ed ingombrante burocrazia, come a riempire un vuoto di “senso”. Burocrazia che depotenzia ogni eventuale passione residuale!
Ci vuole un atto di coraggio! Ora o mai più….
Raccomando inoltre alle varie lobby che esistono all’interno delle Università di lasciar perdere interessi di categoria. Qui è in ballo non solo la Scuola ma il Paese.
E se viene indicata la LUNA, vi prego non fermatevi al DITO. Se succede significa che siete miopi o non avete chiavi di lettura per “distinguerla”….




Ma da dove arrivano i consulenti ministeriali che propongono un concorso così strampalato?

di Cinzia Mion

Caro Ministro, cerchi di soprassedere a questo “caro” così confidenziale, mi consideri una vecchia zia , dirigente scolastica in pensione, un po’ fissata con la Scuola. A dire il vero l’ho amata molto e continuo ad amarla, questa povera e bistrattata Scuola… Per questo oggi provo a parlarLe per esprimere ciò che sto provando.

Stiamo assistendo all’espletamento di un concorso ordinario per docenti della scuola secondaria. Concorso atteso da anni in presenza di una scuola sguarnita di docenti ed estremamente in difficoltà. Non solo per la mancanza di questi ultimi (ecco perché i concorsi vanno fatti regolarmente, costi quel che costi, e non vanno messi nel dimenticatoio, altrimenti rispuntano le vecchie abitudine dissennate delle sanatorie dei precari, inaugurate ancora dal governo Malfatti, ed allora buonanotte al secchio) ma soprattutto per la mancanza atavica della volontà autentica di innovarla.
Volontà di innovarla profondamente non darle una spolveratina di digitalizzazione e lasciarla nelle didattica e metodologia ferma a trent’anni fa. Trent’anni fa? Ma trent’anni fa c’era già stato Bruner, il cognitivismo, il socio culturalismo di Vygotskij.
Nei primi anni del 2000 sono apparsi poi Wiggins e McTighe con la loro rivoluzionaria “progettazione a ritroso” ma soprattutto con l’accento forte e vigoroso per cui, visto che nell’epoca dei social e di Internet una semplice risposta esatta si becca in tempo reale con un click, la Scuola deve lavorare per la COMPRENSIONE PROFONDA E SIGNIFICATIVA ….ripeto “comprensione profonda significativa”, nonché duratura, non effimera…

Non ce l’ho con Lei Signor Ministro, Lei è il Capo che deve pensare ad altro in questo momento, ce l’ho con i collaboratori che Le stanno accanto. Ma dove li ha pescati? Nelle retrovie degli anni 50, quando la scuola lavorava sull’onda del comportamentismo, prima che arrivasse Bruner (anni 60) a spazzare via con le sue intuizioni sui “processi conoscitivi” la psicologia precedente che affermava che della mente non si può sapere niente perché è una “scatola nera” per cui si possono osservare solo i comportamenti, le “risposte agli stimoli”?…Le ricorda qualcosa? Lasciamo perdere Pavlov, che era uno scienziato con i fiocchi o Skinner con il suo esperimento del topo affamato che impara per “prove ed errori”…

Ma non mi aspettavo di trovare rispolverato il neocomportamentismo così d’emblée nelle prove concorsuali anche se qualche avvisaglia allarmistica l’avevo avvertita in una recente norma che riproponeva “comportamenti osservabili”.
Sa, Ministro, alla mia età ci sono delle antennine che vibrano al minimo accenno se nella propria vita professionale, cominciata proprio nel 1962, si è combattuto subito per il rinnovamento della scuola, criticando insieme al primo Bruner proprio il comportamentismo. Questa corrente ha avuto poi in Italia, non in America dov’era nata ma dove era stata abbandonata dagli anni 50, una recrudescenza al tempo della programmazione curricolare, a metà degli anni 70, per cui si è fatta una sbornia di Mager e dei suoi obiettivi.

Per fortuna però i docenti più sgrezzati, come quelli del Movimento di Cooperazione Educativa (cui appartengo dal 1963) o delle altre Associazioni professionali come il CIDI o l’Aimc, hanno controbattuto contro la visione opaca e miope del neo-comportamentismo, vedendo con piacere il sorgere delle tassonomie (Bloom, Guilford,ecc) che, per fortuna mitigavano la stretta osservanza di tale modello di psicologia dell’apprendimento sostituendo agli obiettivi nudi e crudi , riassumibili in “saper emettere una determinata risposta ad una domanda stimolo”, degli obiettivi definiti cognitivi, sociali, psicomotori e declinandoli attraverso attività di pensiero.
Facciamola breve : a questo tipo di programmazione curricolare – lineare, costruita a tavolino, che partiva dai prerequisiti e poi attraverso una gerarchia di sotto obiettivi, dal più specifico al più generale, arrivava attraverso la stessa strada a far percorrere a tutti il medesimo percorso – si sostituì la PROGETTAZIONE RETICOLARE.
Progettazione che doveva partire da una problematizzazione del sapere, quindi da una motivazione intrinseca dovuta alla CURIOSITA EPISTEMICA per il sapere e non da una semplice trasmissione, e il comportamentismo , nei suoi aspetti più triti fu abbandonato anche in Italia.
I nuovi programmi del 1979 per la scuola media e quelli del 1985 per la scuola elementare sono ispirati dal pensiero di Bruner e Vygotskij, implementato in Italia da quella grande studiosa della psicologia dell’apprendimento che è Clotilde Pontecorvo, seguita da Annamaria Ajello e Pietro Boscolo.
Dopo l’Autonomia tutte le Indicazioni e le Linee Guida sono ispirate a questi modelli socio-culturali interattivi, su cui recentemente c’è stato il riconoscimento scientifico dovuto alla scoperta dei neuroni specchio e la conseguente Intersoggettività precoce, che ci caratterizza tutti dalla nascita.
E improvvisamente scopriamo che per selezionare i nuovi docenti , quelli che dovranno svecchiare la Scuola nel terzo millennio, riuscendo il più possibile a sollecitare il PENSIERO RIFLESSIVO nelle nuove generazioni, (non soltanto lo scontatissimo ”pensiero riflettente” di ripetizione delle idee degli altri), cercando soprattutto di far approdare alla COMPRENSIONE SIGNIFICATIVA E PROFONDA LE IDEE PORTANTI delle diverse branche del sapere, noi usiamo i test a risposta multipla ispirati al più bieco nozionismo? Aggiungiamo il fatto che la formazione iniziale universitaria per i docenti della scuola secondaria è molto carente da quando è stata abolita la SSIS…e in più che la formazione in servizio, da quando inopinatamente è stato abolito l’obbligo, è completamente evaporata.
Non ci potevo credere quando sono venuta a conoscenza dell’impostazione delle prove concorsuali . Ed ora sono qui a scriverLe.
All’inizio ero scandalizzata ed ora sono molto molto amareggiata. Perché? Perché il correttivo che metterete a questo obbrobrio, per cui troppi docenti sono rimasti esclusi, sarà la soluzione che accontenta tutti: farete todos caballeros.
Contenti i docenti graziati, contenti i sindacati che aspettano questo da tempo, contento il Suo sottosegretario che perora questa soluzione . L’unica scontenta è la Scuola , quella vera, autentica, quella che dovrebbe salvare il Paese.
E scontenta sarò ovviamente io, ma poco male. Non solo sono l’ultima ruota del carro ma di un carro…. che ben presto verrà demolito. Dura lex ( naturale), sed lex.




Inclusione e dintorni, a 30 anni dalla legge 104

di Cinzia Mion

Il mio caro amico Reginaldo Palermo, direttore di PavoneRisorse, mi ha posto una domanda cruciale e difficile, cui vorrei provare a rispondere. Mi ha chiesto : come mai in Italia con una storia dell’inclusione che arriva da lontano – con la L.118/1971, ma soprattutto nel 1977 con la famosa L.517 eppoi con la L.104/92 e successive ‘manutenzioni’ – oggi la situazione sta peggiorando invece di migliorare?
La domanda mi sollecita ricordi professionali a bizzeffe ma mi trattengo dal dare loro la stura e cerco di soffermarmi sull’essenziale .
Ricordo degli anni 70 il fervore ideale e l’entusiasmo fermentativo intorno alle grandi discussioni, tra cui la dialettica tra il concetto di normalità/diversità che approderà, nel mondo civile, alla famosa Legge 180/1978, chiamata legge Basaglia, che ha destrutturato l’ospedale psichiatrico di Trieste. Riporto, per chi non avesse vissuto quegli anni , le innovazioni scolastiche che cercheranno di realizzare i dettati costituzionali: in primis l’articolo 3 sull’uguaglianza, stella polare per ogni impegno politico/istituzionale ma nel nostro caso per la Scuola.
Riassumo : la scuola media unica (1962), la legge 820/1971, istitutiva del Tempo Pieno contro lo svantaggio socio-culturale, la legge istitutiva della scuola materna statale (L.444/1968).
La pubblicazione di Lettera a una professoressa di don Milani aprì poi la critica sociopolitica alla ‘valutazione scolastica sommativa tradizionale’ e il Movimento studentesco del ’68 fece da cassa di risonanza a tale critica sottolineando che, se la valutazione scolastica emarginava ed escludeva le fasce più deboli (figli dei contadini e degli operai ), fasce per cui la Costituzione aveva creato il Diritto allo Studio, allora era meglio che non valutasse….
Fu la Legge 517/77 che affrontò sia il problema della valutazione, offrendo l’idea rivoluzionaria della Valutazione formativa, (puntualmente sconfessata fino quasi ai giorni nostri, ma questa è un’altra storia!) sia l’attenzione ai più fragili, con il dettato legislativo che parla non più solo di inserimento nelle classi comuni della scuola dell’obbligo – come fa la L.118/1971 che si riferisce ai soggetti con invalidità lieve, invalidi o mutilati civili, senza però accennare alla didattica speciale – ma si parla di vera e propria attività di integrazione degli alunni con forme di handicap (art.2) abolendo nel frattempo le classi differenziali.

Dall’integrazione all’inclusione.

La legge 517, con l’individuazione di modelli didattici flessibili, l’auspicio delle classi aperte e soprattutto l’arruolamento degli insegnanti specializzati, ha permesso l’affacciarsi lentamente di un progressivo cambiamento dal semplice inserimento all’integrazione. A quel tempo l’integrazione dei soggetti portatori di handicap (definiti successivamente ’diversamente abili’, ora ‘persone con disabilità’) ha costituito un miglioramento rispetto a tutti i bambini, per quanto attiene la formazione dei docenti nei confronti degli aspetti psicopedagogici e didattici. Uno di questi è stata l’attenzione agli stadi di sviluppo piagetiani, precedentemente solo incontrati nei libri, utilizzata per decodificare i dati delle diagnosi. Un altro aspetto è stato l’attivazione dell’attività psicomotoria, precedentemente destinata solo ai bambini disabili, estesa invece in alcuni istituti a tutti i bambini. Questo è avvenuto per esempio nelle scuole del secondo circolo di Conegliano, nel cui territorio sorgeva l’Istituto ‘La nostra Famiglia’, circolo di cui dall’anno 1974 all’anno 1994 sono stata direttrice didattica.


L’integrazione è una parola ‘grossa’ ed impegnativa che ha impiegato molto tempo per realizzarsi. Ha ricevuto pieno riconoscimento dalla L.104/1992 la quale ha promosso l’integrazione per tutti e per ogni ciclo, compresa l’Università. E’ stata questa legge a far intravedere la diversità come valore – a dire il vero già i Nuovi Programmi per la scuola elementare del 1985 avevano sottolineato che le ‘diversità andavano valorizzate, a patto che non fossero a rischio di ‘disuguaglianza’- ed inoltre aveva anche fatto la sua comparsa la necessità che ogni soggetto con disabilità diventasse protagonista della propria vita.

L’INCLUSIONE

La grande novità però è avvenuta con le ‘Linee guida’ sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità (4/8/2009). Compare qui infatti il termine INCLUSIONE. Si afferma, a proposito del ruolo del dirigente scolastico, che la riorganizzazione del sistema in funzione di tale finalità rappresenti un’occasione di crescita per ‘tutti’. L’inclusione diventa perciò un valore fondativo, un nuovo assunto culturale. Tralasciamo quelle che sono state le sollecitazioni che sono scaturite da tale importante documento (ICF, progetto di vita, coinvolgimento di tutta la scuola non solo dell’’insegnante di sostegno, ecc) da cui sono scaturite a cascata le altre disposizioni legislative successive(L.170, BES, formazione referente BES, attivazione PAI, ecc).
Il senso profondo del processo di ‘inclusione’ ha fatto man mano però fatica ad affermarsi secondo le intenzioni del legislatore.
Affinchè i processi di tale aspetto valoriale diventassero modalità in grado coinvolgere tutta la comunità educativa del contesto, definita da Coleman ‘capitale sociale’ (famiglie, EELL, associazioni culturali del territorio, ecc) dovevano essere presenti alcune condizioni che vedremo un po’ alla volta invece evaporare.
Si pensava infatti che i processi di inclusione autentica, caratterizzati da una didattica considerata terreno fertile, in grado di far crescere uno spazio di vera e propria educazione alle differenze, valorizzazione solidale e incentivo al raggiungimento delle pari opportunità in tutti i sensi, potesse trasformare, attraverso cerchi concentrici, tutti gli altri sistemi sociali a partire dal sistema scuola (Brofenbrenner). [1]
Proprio qui invece il sistema ha dovuto incontrare molte difficoltà.
Non mi soffermo sull’aumento abnorme delle certificazioni e dei posti di sostegno, sulla progressiva medicalizzazione delle difficoltà di apprendimento di cui molti si sono già occupati in modo egregio. Desidero affrontare il problema delle ‘derive sociali’ che hanno cominciato a depotenziare la spinta verso l’inclusione ed anzi hanno dato il via a strategie di stampo furbesco, diseducative e, direi, soprattutto regressive.

L’individuo senza passioni

Così recita un famoso testo di Elena Pulcini [2] ,la filosofa fiorentina mancata prematuramente, portata via dal Covid. Una delle derive sociali, cui facevo riferimento, è infatti un diffuso individualismo regalatoci inopinatamente da una sbornia di neoliberismo che ci sta affiggendo da quasi trent’anni. Naturalmente questo sfacciato individualismo, accompagnato da altrettanta dilatata indifferenza verso l’altro, non può che portare a ripiegarsi su se stessi, attraverso un autocompiacimento definito narcisismo, come hanno dichiarato recentemente sia Canevaro che Iosa. Per non parlare dell’aumento dell’intolleranza, del razzismo e dell’omofobia. Ce n’è abbastanza per connotare una società di cui tutto possiamo dire tranne che sia benevola, solidale e in grado di stemperare le disuguaglianze, portandoci verso quella che ci stavamo augurando fosse la direzione di una sana inclusione.
Pensavamo che la scuola potesse diffondere all’esterno i suoi valori costituzionali e sta avvenendo invece il contrario. Le derive sociali stanno permeando la scuola che non è più in grado di frapporre una diga, dei filtri, per depennare la responsabilità educativa degli adulti tutti, chiamati in causa senza scusanti . Tutti : genitori e docenti, dirigenti scolastici e tecnici. La responsabilità è di tutti. A partire dai vertici che procedono come se in periferia la situazione corrispondesse alle norme varate. Poi di chi avrebbe il compito ‘istituzionale ed intenzionale’ di educare le giovani generazioni ai valori costituzionali (magari sono gli stessi che in classe predicano l’educazione civica!).
Nessuno può far finta di non sapere che, alla faccia dell’inclusione, sono tornate le classi di serie A e di serie B (per le quali negli anni 60/70 ci siamo battuti tanto!). E non ditemi che non è vero: Dirigenti che si vantano che nei loro Istituti non frequentano né stranieri né disabili! Tutti sanno che la scuola ormai è ritornata una scuola di classe [3] e non solo a partire dall’Orientamento. A partire dall’Inclusione tradita.
Troppo difficile? Certamente. Nessuno ha mai promesso e certificato che fare l’insegnante oggi sia una professione facile. E’ una professione molto difficile ma vivificante. Chi la intraprende deve saperlo. Alcuni tutor universitari, che seguono i docenti per la formazione al sostegno, garantiscono che questi escono preparati a puntino per lavorare per l’Inclusione….Sono gli altri che, contrariamente a quello che ci si aspetta da anni, non hanno ricevuto la formazione iniziale ed in servizio adeguata ad accompagnare questa innovazione .
Che accade infatti? Si afferma che Il sistema si pone come uno schiacciasassi che rimane inesorabilmente impermeabile. Tranne qualche eccezione che per fortuna esiste e che però fatica a poter perseverare ..
Dario Janes, che da sempre si interessa di inclusione, afferma che bisognerebbe rompere gli schemi: del curriculum a tutti i costi, dell’orario, dei ruoli, delle aule…Nemmeno con l’autonomia didattica, approvata nel 2000, calata nella realtà di un sistema scuola con scarsa presenza della cultura progettuale e senza una seria formazione di tutti i docenti, è cambiato molto. L’inclusione dei disabili rimane una cosa separata. Il PAI è accanto al PTOF. La normativa è rimasta solo illusoriamente inclusiva, nei fatti è rimasto un sistema duale, nel quale convivono il modello di scuola per tutti e quello ‘in perenne sperimentazione’ per gli alunni con disabilità. Avere una quantità di risorse dedicate ai disabili, non sempre aiuta l’inclusione, perché, aggiunge Janes, “spesso è proprio l’insegnante di sostegno che si autoesclude dalla classe”. Qualche volta per sopravvivere.

[1] Brofenbrenner U.,(1979)Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino.
[2] Pulcini E., (2001)L’individuo senza passioni. Individualismo moderno
[3] Romito M., (2016)Una scuola di classe. Orientamento e disuguaglianze nelle transizioni scolastiche,Guerini Scientifiche.




Lettera aperta ai docenti non vax e no green pass

di Cinzia Mion

Cari docenti, (cari si fa per dire!) mi rivolgo a voi come dirigente scolastica, molto datata, direi esplicitamente anziana, che alla Scuola ha sempre pensato per tutta la vita e non ha ancora smesso. Entro subito nel merito della questione e cercherò di scandire in modo schematico il mio appello:

– la prima cosa: non camuffatevi da “NO GREEN PASS” avendo annusato da bravi benaltristi che nascondersi dietro slogan altisonanti come LIBERTA’ E DEMOCRAZIA forse vi può dare una patente di NOBILTA’ che il radicalismo dei no-vax storici ha perso per strada;

– ricordatevi che voi siete insegnanti tout-court e per questo dovete avere consapevolezza di essere l’ESEMPIO (in primis di cittadinanza) per cui all’interno dell’educazione civica, che vi riguarda tutti, dovete (sì dico proprio “dovete”) essere esempi di COERENZA TRA LE PREDICHE E LE PRATICHE (non invece della famigerata DOPPIA ETICA):


– rimanendo sempre all’interno del SENSO DI CITTADINANZA dovreste essere l’incarnazione delle scelte di vita che illuminano tutte le vostre azioni verso la realizzazione del BENE COMUNE (per raggiungere il quale dovete insegnare a RINUNCIARE al personale “tornacontismo”) non invece verso l’individualismo sfrenato ed egoistico, tipico di chi non vive all’interno di una comunità ma in un eremo dove non deve rendere conto; spero sia chiaro, ma forse è meglio esplicitarlo, che il Bene Comune in una pandemia significa vaccinarsi per proteggere noi stessi ma anche e soprattutto GLI ALTRI; aggiungo solo che, almeno in Italia, la democrazia attuale, cui tanto credete di aspirare mantenendo la vostra posizione, è una democrazia malata proprio perché ha perso la bussola del BENE COMUNE per rincorrere il CONSENSO, invece di meritarlo; se ,dopo tutto, la comunità cui vi siete artificiosamente AFFILIATI è quella dei No-Vax, cercate di prendere velocemente le distanze perché la radicalizzazione dogmatica che caratterizza questa “setta” è inquietante;

– vi ricordo inoltre che, all’interno delle Competenze chiave previste dal Parlamento Europeo e riprese dalle Indicazioni Nazionali, ci sono anche quelle DIGITALI. Per dettato esplicito delle norme scolastiche avete perciò il compito di insegnare a saper distinguere le notizie ATTENDIBILI da quelle FASULLE: se non lo sapete fare voi come presumete di insegnarlo ad altri?

non offrite il fianco alle malelingue che potrebbero affermare che quando avete scelto di fare gli insegnanti avete scambiato la Scuola per una Agenzia di collocamento, già non godete nell’opinione pubblica tanta considerazione in genere come corpo docente. Questo a dire il vero è molto ingiusto soprattutto per tutti quei docenti rispettosi delle regole e che si ammazzano di fatica per la SCUOLA.

– ancora: se volete avere dalla vostra parte i genitori, già abbastanza messi a dura prova da due anni di pandemia, chiusure a aperture a singhiozzo, DAD ed effetti collaterali, delusione per risultati scadenti delle prove Invalsi, non sognatevi di accettare di essere destinati a compiti non di insegnamento, come mi pare abbia il coraggio di suggerire qualche sindacato “spericolato” che a dire il vero sembra non aver colto la gravità della situazione;
non fidatevi di chi in questo momento vi sta in un certo senso “TUTELANDO”, come ho letto stamani sul Corriere della Sera, in una intervista concessa addirittura da una sottosegretaria del Ministero dell’Istruzione che non ha fatto ancora un bagno di sanificazione dal corporativismo docente di cui è affetta, dimenticandosi che non è lì per difendere i docenti ma la SCUOLA.
non mi soffermo a spiegarvi in che cosa consiste la LIBERTA’ in questo contesto: pensate un po’ che l’ha perfino spiegato Sallusti a Borghi dalle pagine di LIBERO dell’altro ieri.
Spero vi basti.




L’idea di Brunetta sui concorsi, ovvero come affossare del tutto la scuola pubblica

di Cinzia Mion

Si sta discettando in giro della cosiddetta proposta Brunetta intorno ai concorsi pubblici.
Pare che questo “pateracchio”, definito proposta, abbia la funzione di “sbloccare” i concorsi già a bando, e non completati, insediando competenti commissioni esterne…
Beh se è vero quello che riporta la stampa “Dio ce ne scampi e liberi”.
Io faccio riferimento qui ai concorsi della scuola.

Per quel che è dato sapere sembra che il progetto di avviare una sanatoria più o meno camuffata (qualcuno nega che lo sia ma non c’è da fidarsi) stia per essere portato a termine.
Si sa che non si può sputare su un buon numero di voti “leghisti” o su un altrettanto buon numero di tessere….Oddio, mi è scappato….Ma si sa “che a pensar male…” diceva qualcuno che se ne intendeva!
E’ il medesimo sistema di quello inaugurato (quanti anni fa?) dal Ministro Malfatti come sanatoria per i precari. Ed insieme a questo vulnus, destinato purtroppo a ripetersi, a quel tempo è stato anche varato un patto “implicito”, scellerato: “ti chiedo poco e ti do poco”!
Da quel momento la professione dell’insegnante è diventata poco appetibile per il genere maschile con conseguente progressiva femminilizzazione del ruolo docente e relativa mancanza di positivi modelli identitari maschili per bambini e adolescenti..
Oggi la sanatoria cui facevo riferimento possiamo benissimo chiamarla CONDONO.
Vi richiama alla mente qualcosa? Soltanto molto più grave e discutibile perché consumato alle spese della Scuola.

Il PRIVILEGIO per i docenti precari diventa perciò DANNO per la scuola e di riflesso per i ragazzi.
Caro Ministro dell’Istruzione BIANCHI, spero che Lei non si faccia mettere nel sacco! Alcuni amici emiliani, molto noti nell’ambiente scolastico, che La conoscono bene, garantiscono per Lei. Spero abbiano ragione.
Presidente del Consiglio DRAGHI, stia attento perché anche questo significa SALTARE LA FILA!!!

Il deficit di ETICA PUBBLICA nel nostro Paese ha raggiunto livelli insopportabili ma qui non si tratta dei furbetti delle tasse, o del quartierino, o del tornacontismo del familismo amorale, in altri termini del “profitto pecuniario”.
Qui si tratta del polmone culturale del Paese: la SCUOLA.
Di una scuola che dovrebbe essere INCLUSIVA ! e per una scuola inclusiva le competenze professionali, culturali, metodologico-didattiche dei docenti dovrebbero essere innovative, aggiornatissime, approfondite, molto più di quelle di una scuola elitaria….A meno che non si parli con la lingua biforcuta: si affermi una cosa e se ne pratichi un’altra…!

Facciamo finta di non vedere che la scuola è diventata (rimasta?) una SCUOLA DI CLASSE? O peggio : rischia di non essere più scuola?
Qui si tratta del progetto di picconare ancora una volta la scuola pubblica, l’unica Istituzione cui possiamo ancora rivolgerci per invocare il rispetto della Costituzione e nella fattispecie del suo splendido articolo “3”.
Qui si tratta di salvare il salvabile dopo che questa povera scuola l’abbiamo dilapidata, trascurata, vilipesa, depotenziata.
La povertà educativa sta crescendo in modo esponenziale e noi ci prendiamo il lusso di mettere in ruolo ope legis (o giù di lì) personale di cui non sentiamo il bisogno di accertare la preparazione? . “Todos Caballeros” (dicevamo un tempo…)
Siamo allo stesso punto? Ma l’esperienza non insegna niente?
La SCUOLA oggi ha bisogno delle migliori risorse del Paese, ha bisogno di docenti eccellenti, selezionati, che stiano scegliendo questa professione e su questa siano disponibili ad investire energie intellettuali, studio , ricerca, che avvertano costantemente la “curiosità epistemica “ che li spinga verso la PADRONANZA del Sapere, non che si accontentino della “PRESTAZIONE” minima e che una volta raggiunto la“sistemazione” magari non prendano più in mano un libro per aggiornarsi…e che magari siano ben contenti che la formazione dei docenti in Italia non sia ancora obbligatoria!!!
O che si sentano finalmente accomodati e l’unica preoccupazione sia quella di raggiungere la sede sotto casa, altrimenti si sentono “deportati”.
Scusate, precari e precarie di Italia, se invece siete tra quelli preparati (e so benissimo che ce ne sono moltissimi anche tra quelli che conosco e stimo!), allora che timore avete di una prova concorsuale? Io al posto vostro la pretenderei!!!
E i concorsi ordinari?
Come si stanno declassando? Che destino avranno i giovani che stanno aspettando questo concorso da tempo per cui si stanno preparando? Stiamo ammannendo loro una pseudo-prova che li sta già penalizzando. Senza pudore alcuno stiamo inventando un “falso” concorso solo su titoli (di servizio ed accademici) per cui ancora una volta potranno essere premiati gli eventuali “furbetti”. Non solo quelli più attempati (e passi) ma anche quelli che nel frattempo hanno accumulato titoli (che titoli?)
L’anno scorso a Treviso sono stati “licenziati” parecchi collaboratori scolastici con “titoli falsi”…
Ma perché non vogliamo vederli in faccia questi giovani docenti, saggiare la loro eventuale passione, la loro predisposizione all’insegnamento ( e non dite che non si capisce!!!), la loro preparazione seria o pressappochista; perché non vogliamo sottoporli ad una prova di didattica per saggiare la loro competenza?

Perché non approfittiamo del nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nella parte, che riguarda la scuola e l’investimento nel programma di DIGITALIZZAZIONE, comprese le competenze di docenti e studenti, per svecchiare autenticamente la scuola? Tenendo però presente che la didattica deve essere innovata profondamente a prescindere dalla digitalizzazione . Se la lezione è trasmissiva tale rimane anche se offerta con la DAD!
La scuola FORSE non merita questa ATTENZIONE?

E un pensiero anche al Ministro Brunetta: pensi pure agli amministrativi ma la Scuola la lasci a chi la conosce, la pratica, la ama. All’interno del paradigma culturale della Complessità proporre delle SCORCIATOIE semplificatorie significa essere fuori dal tempo o fuori dalla Cultura.
Io non ci sto e grido tutto il mio sdegno.
Mi rivolgo alle ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI che hanno ancora a cuore il destino di questa Istituzione, mi rivolgo a tutti i docenti e le docenti (che sono moltissimi) che credono ancora in ciò che ogni giorno stanno portando avanti con fatica e passione, e li sollecito a sollevare le loro voci, farsi sentire, prima che questo sfacelo venga portato a termine.




Galli della Loggia, ovvero la nostalgia del voto numerico

di Cinzia Mion

L’esimio professore dal nome ricorrente, quando si tratta di entrare a gamba tesa sui provvedimenti del Ministero dell’Istruzione, che non sono per lui abbastanza “gentiliani”, ci è ricascato….
Se ne è uscito il 20 febbraio 2021, sul Corriere della sera”, con una specie di “invettiva ad orologeria” (chi c’è dietro, forse il Gruppo di Firenze?) che infarcita di parole sprezzanti, come si addice alla sua spocchia, ha attaccato il Ministero per la recente ordinanza e le allegate Linee guida, che hanno abolito i voti numerici alla scuola primaria.
Se la prende all’inizio perfino con il termine “primaria” (che ha soppiantato elementare) tanto che subito sembra un attacco all’uso della lingua da parte dei ministeriali.
Non è però questa l’intenzione del noto professore emerito di storia contemporanea, senz’altro molto nostalgico della cosiddetta scuola elitaria che scremava le eccellenze (il merito dice lui), perché l’obiettivo vero è quello di rivolgersi al nuovo Ministro, invitandolo a ragionare con i piedi per terra (???) cominciando con il dichiararsi sconsolato perché già a partire dal 1977 (però la storia della scuola allora la conosce!!!) sono stati aboliti i voti sostituiti dai giudizi.

Povero professore, allora è dal 1977 che lei si sente depresso…
Probabilmente avrà pensato a quanti bei “10” sprecati in questo lasso di tempo. Si nota il fastidio da “primo della classe” per la definizione del livello “in via di prima acquisizione” , definita dal nostro: patetica perifrasi buonista pur di non usare aggettivi terribili come “insufficiente”o “scarso” (traspare la soddisfazione con cui etichetta i bambini, perché si tratta di bambini, che stanno provando magari il “disagio” di non apprendere subito, e prima di tutti, naturalmente, come sarà successo a lui alle elementari ed…oltre!).
Questa volta nominando la “pagella” (sostituita ora dalla scheda di valutazione) ironizza su questo termine – che il provvedimento ministeriale ha dichiarato in qualche modo decaduto – affermando che usare ancora questo termine, PER NOI CHE DIFENDIAMO LA SCELTA DEL MINISTERO, “equivale più o meno a dichiarare la propria iscrizione al partito nazista”.
Se lo dice lei, professore, che di storia se ne intende….

Ho notato la pedanteria cavillosa con cui è stata condotta l’analisi linguistica del testo, quasi da correttore di bozze, fornito di lente di ingrandimento e pazienza certosina (cui prodest?) senza tenere presente che esistono dei lessici specifici di ogni disciplina che non solo “ha” un suo linguaggio ma “è” un linguaggio (com’è per la storia!). Forse la pedagogia e la didattica non hanno la dignità di saperi disciplinari?

Spero che il nuovo Ministro Bianchi sia affaccendato in compiti molto più nobili CHE NON stare a sentire i VARI nostalgici del voto, ma che , anzi, estenda il medesimo provvedimento a tutta la scuola.
Perché, caro professor Galli della Loggia è da mo’ (mammamia chissà se questa interiezione è italiano oppure espressione “gergale”) che la scienza della MISURAZIONE che si chiama DOCIMOLOGIA ha affermato con un forte megafono che la MISURAZIONE (perché non è “valutazione” se non vengono esplicitati i criteri) QUANDO SI USANO A SCUOLA I VOTI NUMERICI SU SCALA DECIMALE E’ ARBITRARIA.
I voti infatti vengono considerati abitualmente come vere e proprie unità di misura di una scala perfetta, con intervalli tra loro assolutamente uguali.
Anche il più sempliciotto uomo della strada sa che questo NON E’ POSSIBILE!
Una umile dirigente scolastica in pensione.




Vi racconto di quando incontrai un Movimento che fu la mia salvezza professionale

di Cinzia Mion

Se mi ritrovo a pensare ai miei primi anni di insegnamento, immediatamente mi viene in mente la sofferenza dell’inizio e le potenzialità  che invece ho intravisto quando durante l’anno 1963 ho incontrato un “movimento” che ha segnato la mia salvezza professionale.
Era il secondo anno che insegnavo come docente di ruolo alla scuola elementare e ricordo che una mattina, mentre stava nevicando con un turbinio di fiocchi stupefacente, sono entrata nella classe della  docente della classe accanto per commentare.

Vidi scritto alla lavagna l’espressione: “La neve vola come api bianche!”
Rimasi colpita dalla sintesi e dalla metafora poetica. Rimasi però ancora più affascinata quando seppi che era una frase appena creata in un “testo libero” da un bambino che in quel momento vidi affaccendato, insieme ad un gruppetto di compagni, intorno ad un oggetto particolare.
Fu così che feci la conoscenza del “limografo”, al quale stavano lavorando quei bambini, intenti a passare un rullo inchiostrato per stampare il famoso giornalino.

La maestra, di cui divenni molto amica – ma che mancò molto giovane dopo pochi anni, colpita da una embolia cerebrale – si chiamava Alda Calzavara e mi introdusse al Movimento di Cooperazione Educativa al quale mi iscrissi subito.

L’MCE

L’incontro con l’MCE costituì nella mia formazione professionale  la scintilla che accese in me una motivazione fortissima alla ricerca continua del miglioramento della mia didattica. Ho scoperto ante litteram cosa significava “una comunità professionale di pratica” insieme al desiderio appassionato ed effettivo di mettermi in gioco per riuscire ad attivare veramente il piacere di apprendere, comprendere e  pensare, in quei bambini che mi venivano affidati e che un po’ alla volta si aprivano al mondo. Erano bambini di campagna, figli di contadini o di operai, molto avidi però di conoscere ed imparare.

Conobbi così le tecniche Freinet (corrispondenza interscolastica, limografo e tipografia, giornalino di classe,  il terrario, la strumentazione per la meteorologia, il calcolo vivente,ecc) e attraverso di esse il significato della pedagogia “popolare” finalizzata alla scuola democratica e a quella che oggi chiameremmo didattica inclusiva.

La formula collaudata di formazione innovativa avveniva durante la cosiddetta scuola estiva del Movimento di Cooperazione Educativa.
La modalità vincente  di formazione era quella di coinvolgere esperti di chiara fama della disciplina scelta, affiancati dalla professoressa Lydia Tornatore dell’Università di Firenze.
Lydia era una notissima docente di psicologia dell’apprendimento che  ci  faceva lavorare in maniera laboratoriale, per tradurre in una didattica accessibile ai bambini della scuola elementare, i concetti disciplinari epistemologicamente corretti ed i nuclei fondanti  delle discipline stesse.
Le idee bruneriane infatti erano allora appena state diffuse all’interno del movimento e noi eravamo tutti presi dal sacro fuoco dell’innovazione. Il clima era caratterizzato da una grande passione e come sempre ci davamo appuntamento nelle varie parti d’Italia, laddove fosse stata organizzata la scuola estiva, ogni volta con il medesimo entusiasmo dei neofiti, spinti dalla fermentativa idea di cambiare la scuola ed insieme il paese…

Durante l’estate del 1963 frequentai appunto una scuola estiva, sempre organizzata dal Movimento, dove conobbi il professor Mauro Tomassini, docente di matematica di un liceo di Pescara, che insieme a  Lydia Tornatore mi inoltrarono, insieme agli altri corsisti venuti da tutte le parti d’Italia, verso una didattica molto innovativa che riguardava la matematica. Ricevetti così le prime conoscenze della cosiddetta matematica moderna che andava sotto il nome di “Insiemistica”.  Mi appassionai subito a tale metodologia  che si reggeva sulla convinzione che bisognava padroneggiare, prima degli algoritmi delle operazioni aritmetiche , che rappresentavano ancora il famoso o famigerato “far di conto”, la comprensione profonda dei concetti matematici e prima di ogni altra cosa dl concetto di NUMERO. Puntavamo soprattutto alla chiarificazione dei processi cognitivi soggiacenti che già Piaget aveva investigato ma che noi affrontavamo dal punto di vista operativo

Nel corso degli incontri pomeridiani a Treviso, che avvenivano con scadenza settimanale, durante  l’anno scolastico  insieme ad Alda Calzavara ho conosciuto subito anche Luisa Tosi, insegnante storica del MCE, recentemente premiata dal Comune di Treviso con il “Riflettore –donna”.
Luisa, insieme ad Alda, è stata la mia mentore . Ci trovavamo presso una stanza in un palazzetto rosa, signorile, di via  Stangade n.14  dove abitava una zia di Alda che ci ha ospitato provvisoriamente nel seminterrato .
Fu lì che conobbi Ines Casanova e Bonetto, due insegnanti all’avanguardia di Santa Maria di Sala che si appoggiarono a lungo al gruppo di Treviso. In quel periodo io insegnavo già a Codognè perché eravamo già nell’anno 1964. La sede successiva dei nostri incontri pomeridiani fu in vicolo Oriani, n.2, in una stanza che ricordo molto disadorna e disagiata, ma l’unica di cui forse potevamo sostenere il modesto affitto.

Progressivamente ho conosciuto anche Maria Marconi, altra insegnante famosa all’interno del Movimento, che è rimasta sempre la custode reale e simbolica della storia del MCE a Treviso. Pervicace, assidua, resiliente
Ricordo le riunioni in questo “bugigattolo” con un misto di nostalgia e di malessere. Erano anni difficili per la mia vita privata e gli incontri con il gruppo erano momenti di grande slancio ideale che mi risarcivano delle sofferenze affettive. Riuscivo ad aspettare con ansia questi incontri, che mi sembravano riunioni carbonare dove ci sentivamo tutti accomunati dalla stessa passione. Avvicinai al Movimento anche Beppa Grava che conobbi andando a far scuola a Codognè, dove ci recavamo in macchina insieme!
Ad un tratto comparvero anche Renata Troncon e Piero Fabris. Rammento un aspetto molto particolare di Renata: lavorava a maglia in continuazione  ma ascoltava tutto con interesse ed interveniva sempre a proposito.
Di Piero ricordo poco. Forse eravamo già verso la fine degli anni 60 ed io mi ero iscritta all’Università insieme a Luisa Tosi e Beppa Grava. La scuola militante, l’università e la figlia da mantenere e di cui aver cura (ero ormai separata) mi fecero diradare gli incontri in vicolo Oriani. Dopo il ‘ 68, fra l’altro,  parte del Movimento prese una piega soprattutto politica su cui in linea di principio ero d’accordo ma non sul piano dell’impegno attivo che per me rimaneva pur sempre la scuola e il rinnovamento della sua didattica. Ormai però avevo integrato profondamente , come un faro interno, gli insegnamenti acquisiti negli anni d’oro della mia militanza.

Ad una  scuola estiva però  avevo già incontrato una docente che teneva un libro come un “breviario”. Era il testo di Bruner “Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture”.
Ne rimasi incantata. Un transfert fortissimo nei confronti di questo autore  che non ho mai elaborato. Una “cotta” intellettuale.

La corrispondenza interscolastica .

Tra le modalità didattiche ispirate alla scuola popolare di Freinet ci fu subito un grande terrario,   che troneggiò in classe per quattro anni , suscitando  immediatamente un grande interesse fermentativo da parte dei  bambini. Poi giunsero anche gli strumenti per la meteoreologia, collocati in cortile: pluviometro, manica a vento per la sua direzione e inoltre un anemometro rudimentale, ecc. Ma fu la corrispondenza interscolastica che , con il senno di poi, mi procurò la più grande soddisfazione. Appena trasferita a Codognè cercai infatti il nominativo di qualche docente che fosse disponibile ad iniziare questa pratica con la propria classe e la “mia” prima  di Codognè – Borgo Chiesa.
Fu così che mi misi in contatto con Andrea Suelzu, insegnante MCE di Aggius in Sardegna, nominativo suggeritomi. All’inizio fu uno scambio di disegni con assegnazione dei vari “compagni di posta”. Non posso dilungarmi su questa tecnica di base Freinet, che in fondo giustifica e legittima la necessità di imparare a scrivere e a leggere per poter scambiare esperienze con i propri corrispondenti. Il motivo per cui ricordo con molta enfasi questa attività, che durò per ben quattro anni, è che recentemente ebbe un seguito mirabolante.
Circa cinque anni fa (vale a dire più di cinquanta anni dopo!!!) ricevetti una telefonata certamente inaspettata (da una mia ex-allieva di quel tempo) che diceva così: “E’ la maestra Cinzia che parla? Io sono Paola Basei, le dice qualcosa questo nome?”
Dopo un attimo di esitazione: “Certo – dico io – scuola di Codognè…”
E lei di rimando: “Sono ad Aggius,  dalla mia corrispondente  Giovanna Spezzigu, che non ho mai dimenticato. Negli anni mi ritornava sempre in mente il suo nome che scrivevo nella busta indirizzata a lei e che ho ritrovato recentemente su FB….Ci siamo risentite ed ora ritrovate, ora sono ad Aggius da lei. Gliela passo!!!”

Provai un’emozione indicibile che veramente non è possibile tradurre in parole. Mi passò davanti in un attimo l’importanza dell’insegnare in un certo modo, della classe che avevo curato aprendola all’esterno e al mondo, che non si era fermata e Paola ne era la testimonianza. La commozione ebbe il sopravvento.

E da lì è partita una storia incredibile che provo a riassumere in poche righe ma che richiederebbe un racconto articolato: Paola, ritornata da Aggius, organizzò una pizza con tutta la classe (quasi tutti aderirono con gioia) ed io reincontrai dopo così tanto tempo i miei ex-alunni diventati uomini e donne con le loro diverse vite, ampiamente vissute e tante storie da raccontare. Fu un incontro memorabile. Non mi soffermo di più per ovvie ragioni. Venne anche mia figlia che allora, all’inizio, aveva quattro anni e via via era cresciuta parallelamente insieme a loro e che tutti avevano conosciuto. A novembre dell’anno successivo raggiunsi Aggius in aereo, invitata dai “compagni di scuola “ compreso il sindaco (che era un ex-allievo del maestro Suelzu).
In quegli anni molte cose erano cambiate anche per Suelzu, diventato  dirigente scolastico come me, ma ammalatosi seriamente e in seguito venuto a mancare.  In suo ricordo il sindaco aveva organizzato una giornata commemorativa alla quale fui invitata, dato l’indimenticabile riavvicinamento attivato da Paola. La rilevanza di questo personaggio nel Paese di Aggius  era fortissima. Era considerato uno dei concittadini più validi e degni di memoria civile e politica. Soprattutto veniva ricordato non solo il suo impegno nella scuola ma anche quello notevole speso per la democrazia e la cultura della sua comunità che amava moltissimo. All’interno del convegno, organizzato per rinnovare la sua memoria,  ho avuto l’onore di parlare e ricordare la memoria di Andrea con la narrazione della corrispondenza interscolastica “Aggius-Codognè”.
Fu così che anche nel paese di Aggius, a livello pubblico e popolare, furono illustrate le tecniche Freinet  e si diffuse l’importanza del Movimento di Cooperazione Educativa anche alla cittadinanza comune, richiamata solo ad onorare un valido concittadino. Ma le persone di scuola presenti, alcune coinvolte anche nel convegno e gli ex-allievi commossi, sapevano bene di cosa si stava trattando.  Fui accolta benissimo, ricevuta in Comune dal Sindaco che mi offrì dei doni caratteristici e simbolici dell’artigianato di Aggius.
Inoltre, aspetto molto significativo, il figlio del Maestro, Leonardo, che custodiva religiosamente tutte le collezioni delle audiocassette del padre fin dai tempi andati, mi regalò una trasposizione in un dischetto di tutti gli scambi audio dei miei alunni che a suo tempo avevo inviato. Risentii la mia voce di allora e quella dei “miei”bambini/e. Mi ritrovai con un groppo in gola.

Dino Zanella 

Conegliano sorge vicino a dove insegnavo (Codognè) e questo mi ha permesso di conoscere presto un altro pilastro del MCE della provincia di Treviso: Dino Zanella[1].
Andavo a casa sua a rifornirmi del materiale utile alle esercitazioni di matematica: numeri in colore del Gattegno, materiale multibase, (inventato durante una scuola estiva a Meina, per questo definito inizialmente materiale meina), quaderni autocorrettivi, schedari di vario tipo. Era tutto materiale inventato da docenti MCE durante le scuole estive, con la supervisione di Lydia Tornatore.
Nel frattempo un componente di un altro gruppo, non ricordo chi sia stato, aveva tradotto dall’inglese,  in una dispensa agile ma molto “casereccia”, un saggio di Karplus per l’avviamento dell’atteggiamento scientifico, partendo dall’osservazione degli “oggetti materiali”, di tipo comune.
A questa primaria osservazione ingenua dovevano essere inseriti, un po’ alla volta, degli “attributi”, la cui presenza era affermata attraverso la comparazione con “criteri semplici”  ( che dovevano essere escogitati dai bambini) ma che dovevano rispondere ad una certa scientificità.(ES: un “oggetto materiale” si può dire “trasparentequando appoggiandolo sopra alla pagina scritta del quaderno si può leggere quello che sta scritto).
La conoscenza di Dino, persona di alto spessore, autodidatta ma coltissimo soprattutto per quel che riguarda gli aspetti scientifici, mi ha permesso di far parte presto di un gruppetto di formatori (insiemistica, scienze, ecc) che sempre con didattiche MCE si spostavano per fare formazione.
Ricordo un viaggio a Pescara, e precisamente a Montesilvano, insieme a Dino, a Giuliana Troncon, a Francesca Bevilacqua ( che venne a mancare giovanissima per una forma grave di diabete). Conservo ancora un ritaglio di giornale con una foto di questa “uscita” formativa.

Il gruppo di Torino

Durante l’anno 1966 un gruppetto di noi docenti trevisani (ricordo che c’era Beppa Grava) ci recammo a Torino ad incontrare il gruppo MCE di quella città per partecipare ad un seminario sulla storia. Conobbi in quell’occasione Fiorenzo Alfieri e Gianni Giardiello. Due persone splendide : con Gianni stabilimmo un accordo sulla storia che si concretizzo poi per me con una ricerca intorno al testo “L’insegnamento della storia secondo le linee di sviluppo” di Montagu V.C.Jeffreys.
Ricordo che impostai successivamente, secondo questo autore, tutto il lavoro di storia con i bambini di Codognè. Intrecciai la didattica delle linee di sviluppo con l’intuizione bruneriana dell’apprendimento per “scoperta” e dell’importanza delle idee strutturali delle discipline. Un bambino, di nome Gastone, (singolare che ricordi perfino il suo nome) un giorno si alzò e andò sotto alle strisce dei cartelloni che raffiguravano tutte le cose che nel tempo erano cambiate, tutte messe in corrispondenza con gli anni, di decina in decina (lavori dei genitori da contadini- mezzadri ad operai, case dotate di elettrodomestici, mezzi di illuminazione, vie di comunicazione, ecc)  ed esclamò:  “E’ stata la Cadore-Mare che ha fatto cambiare tutto!!!” Attraverso un ‘intuizione formidabile aveva colto l’importanza della via di comunicazione per il progresso del Paese, nella fattispecie l’asfaltatura e l’allargamento della strada “Cadore- Mare”, che prima era un argine bianco. Ancora adesso questa è una  via importante che collega le montagne al litorale e che permise a quel tempo lo sviluppo commerciale delle zone dei mobilifici di Codognè-Gaiarine.  Questa è stata l’intuizione  che ha posto il focus su una idea strutturale della  geo-storia ,che permise e permetterà sempre di “andare oltre l’informazione data”.
Con Fiorenzeo Alfieri stabilii un’amicizia che durò fino alla sua scomparsa poco tempo fa.

Tullio de Mauro

Correva l’estate dell’anno 1967. Quell’anno toccava alla linguistica moderna, la sede scelta dal segretario del momento, Dino Zanella, fu Montebelluna, nella terra veneta, generosa di specialità eno-gastronomiche alle quali era possibile attingere anche ricorrendo alla  “strada del vino bianco” che si srotolava tra le colline del trevigiano e che De Mauro potè conoscere ed apprezzare.
Tra i corsisti ricordo che c’era anche Alberto Alberti, diventato poi Ispettore molto noto, allora baldo giovane, entusiasta e romantico.
Aveva pubblicato un libretto di poesie che mi regalò, etichettandolo però come “peccato di gioventù”.
Alberto fu testimone di un episodio (chissà se lo ricorda) che a me  restò impresso nella memoria e che ora desidero rendere noto perché caratterizza l’impegno pedagogico-politico che contrassegnava quel periodo storico e tratteggia un aspetto della personalità di De Mauro: l’ironia.
Eravamo tutti accomunati dal fervore socio-politico della fede incrollabile nel valore della scuola che doveva, come istituzione della Repubblica, rimuovere gli ostacoli (art.3 della Costituzione) che impedivano la realizzazione del senso di cittadinanza in tutti i soggetti che la frequentavano, l’autorealizzazione  e, in definitiva, l’ effettiva attuazione della democrazia. L’ostacolo maggiore nella scuola era l’ignoranza e la non padronanza della lingua italiana,  base fondamentale della comunicazione interpersonale e strumento del pensiero.
Tullio de Mauro trovò perciò terreno fertile per le sue appassionate dissertazioni. Durante una di queste si lanciò in una difesa a spada tratta della importanza dei contenuti della comunicazione aldilà e al di sopra della correttezza grammaticale o sintattica. Ciò che era fondamentale era la possibilità che l’enunciato permettesse il passaggio del “significato” o del “senso” della comunicazione, l’intenzione reale del parlante, decodificabile dal ricevente.
Era chiaro l’obiettivo: dare dignità agli enunciati dei soggetti che ancora non padroneggiavano la lingua per rimandare ad un secondo momento l’apprendimento di altri aspetti e delle altre funzioni linguistiche.
Ad un certo punto fece degli esempi, presi anche dal dialetto. Comparve la frase: ”io ho andato”, usata in Italia centrale, con l’osservazione di de Mauro che questa espressione, alla luce di quanto brevemente appena riassunto, poteva essere accettata.
Io a quel punto, da giovane “maestrina”, sentii una interna ribellione che non potei trattenere. Durante la pausa mi avvicinai all’illustre Maestro e gli rivelai le mie perplessità. Con un fair play ammirevole, Egli mi fissò e consumò la sua dotta “vendetta”: “Ah, sì? Ma lei lo sa che ha una “esse sibilante” che di sicuro non appartiene alla dizione perfetta della lingua italiana…?!!” Assaggiai così la famosa ironia dell’insigne linguista. Rimasi senza parole e mi sentii impropriamente una radical chic, prestata alla scuola elementare. Girai i tacchi ed andai a consolarmi presso gli amici, compreso Alberto, raccontando il fatto ma riflettendo molto sul senso di quell’osservazione  che mi insegnò il decentramento del punto di vista e mi diede sul campo una lezione intorno al senso profondo della valutazione.

Ripescai più volte dalla mia memoria questo episodio non come un banale aneddoto, come potrebbe sembrare a prima vista, ma anche come un segnale dell’importanza sacrosanta del “criterio valutativo” di prendere in considerazione il punto di partenza per calcolare poi i progressi. Ancora oggi invece spesso si fa coincidere la misurazione con la valutazione, senza nessun criterio valutativo esplicitato e  siamo ancora lontani dalla valutazione formativa.

Una decina di anni fa reincontrai Tullio de Mauro a Firenze, alle giornate di studio del MCE presso la Scuola Città Pestalozzi.
Gli ricordai l’episodio e ridemmo insieme con molta leggerezza ma forse anche con un velo di malinconia, ripensando allo slancio utopistico di quei tempi, a quella passione che non ci aveva ancora lasciato ma che col tempo si era temperata alla luce di una consapevolezza che qualcuno chiama “sano realismo”. Cosa siamo riusciti a realizzare di quell’idea di scuola che ci aveva così affascinato, in cui avevamo creduto fino in fondo?
Stiamo tutti oggi ricordando con ammirazione e gratitudine questo grande Maestro di scuola, cultura, vita, democrazia.

[1] In onore di Dino Zanella alcuni anni fa si è attivata, dopo la sua scomparsa, una Associazione dal nome “AMDZ”,(Amici di Dino Zanella), aggregata al MCE, di cui faccio parte, per continuare a diffondere il suo pensiero e i suoi insegnamenti.