Premetto subito che non sono tra i detrattori delle prove Invalsi. Anzi. Ho sempre preso sul serio il grido di allarme inoltrato a suo tempo dal linguista Tullio De Mauro sul cosiddetto “analfabetismo funzionale” del 70 % degli italiani adulti, ripreso poi sistematicamente appunto dalle Prove Invalsi, rispetto ai ragazzi a scuola.
Il riferimento è al fatto che i ragazzi a scuola leggono (competenza strumentale) ma fanno fatica a capire il “senso” di ciò che leggono.
Le cause secondo me sono molteplici. Non intendo però affrontare qui l’annoso problema della formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria, carentissima soprattutto in “psicopedagogia o psicologia dell’apprendimento scolastico”, dopo la soppressione delle SSIS. Mancano inoltre da morire tutti i laboratori, i tirocini, all’interno dei quali sollecitare proprio la formazione professionale del docente ad uscire dalla propria auto-referenzialità. Stupisce che non sia l’Università stessa a richiedere, se fosse in grado per prima di “autovalutare se stessa”, una revisione adeguata dei propri piani di studio finalizzati a rivedere le carenze che sono ormai sotto gli occhi di tutti.
L’affondo che intendo portare avanti ora è nei confronti della sottovalutazione, anche da parte dei detrattori delle Prove Invalsi, di un atteggiamento che dovrebbe essere la spina dorsale della professionalità docente: la consuetudine all’”autovalutazione” che ogni insegnante dovrebbe mantenere sempre vigile. Un’autovalutazione che dovrebbe seguire sempre una semplice ma salutare autointerrogazione: cosa ho trascurato nella mia progettazione, ed attivazione poi della didattica, nei confronti dei processi cognitivi e metacognitivi dei “miei” ragazzi se non sono in grado di affrontare questa prova? Come mai questi sono in difficoltà rispetto alla “comprensione del senso”? Leggi tutto “Ritorna la manfrina dei dati Invalsi”