Signor Ministro, ahi ahi, lei mi è caduto sull’educazione civica

di Cinzia Mion

Ahi, ahi signor Ministro, lei mi è caduto… sull’Educazione civica laddove auspica il consolidamento della comune “identità Italiana”.
Avrei voluto definirla “perla” ma chiamiamola con una definizione corretta e non distopica: si tratta di una vera e propria “gaffe”.

Non mi dirà infatti signor Ministro che Lei non conosce il famoso saggio degli anni 50 di un sociologo inglese Edward Banfield, dal titolo “THE MORAL BASIS OF A BACKWARD“, tradotto in italiano dal Mulino nel 1976 con il titolo “Le basi morali di una società arretrata”.
Non mi dirà che non ha mai sentito parlare di “familismo amorale”, speciale malattia degli italiani che privilegiano il proprio tornaconto personale e della propria famiglia al posto di quello della collettività.
Non a caso siamo stati infatti noi italiani ad esportare la famigerata “famiglia mafiosa”.
Non mi dirà che non è a conoscenza che questo familismo è ormai iscritto nel DNA degli italiani per cui se desideriamo fare in modo che gli alunni vengano educati, attraverso l’educazione civica, prima di tutto alla concettualizzazione del BENE COMUNE (v. COSTITUZIONE) e successivamente ad imparare tutti a rinunciare a qualcosa per co-costruirlo, bisogna innanzi tutto decondizionare la società italiana da questo “riflesso incarnato profondamente”. Parlo della società per cui prima ancora di rendere consapevoli i ragazzi bisognerebbe rieducare i loro genitori.

Tutti noi sappiamo infatti che non impariamo dalle PREDICHE ma dalle PRATICHE.
Se queste non coincidono tra loro, come spesso accade, siamo in presenza di una DOPPIA ETICA.
Lo sa, signor Ministro, che qualcuno (A. Gambino) fa risalire questo fenomeno della doppia etica, intrisa di ipocrisia, al fatto che noi in Italia abbiamo avuto la Controriforma e non la Riforma?
Compiuta la trasgressione con una buona Confessione, oplà, siamo a posto! Ovviamente non intendo mancare di rispetto ai credenti ma riferisco il pensiero di Gambino che a lungo si è interrogato sull’origine di questo familismo amorale per capire da dove provenga.
Per ritornare al nostro problema educativo si sa che ciò che crea un imprintig (positivo o negativo) sono gli ESEMPI.
E quali sono gli esempi, banali e continui, cui sono sottoposti tutti i giorni i nostri ragazzi se non che bisogna cercare di essere “FURBI” e non “FESSI”, perché i primi saranno vincenti, i secondi perdenti?
Ed allora via libera a piccoli imbrogli, piccole illegalità, trasgressioni riferite anche al codice della strada, piccole furbizie per evitare poi di essere scoperti, comportamenti scorretti ma accettati a livello sociale perché rappresentanti della famigerata furbizia che connota da sempre l’italiano ammirato dagli altri.
L’esempio più eclatante, e purtroppo più dannoso per il Paese, è riuscire ad eludere il pagamento delle “tasse”. Lo sa vero Ministro che la somma totale della evasione fiscale in Italia potrebbe colmare il nostro debito pubblico? Non faccio altri commenti anche se, essendo Lei intelligente, sa dove andrei a parare.

E che dire del FARE FINTA? Il fare finta permea di sé la Pubblica Amministrazione. Anche nella Scuola (e che nessuno si scandalizzi!) non sempre il DICHIARATO corrisponde all’EFFETTIVO! Per non parlare del copiare a scuola o dell’aiuto durante le prove INVALSI oppure del fare finta di non sapere che gli studenti copiano le versioni dal traduttore (v. confessione di un liceale).
Sembra anche che i Pubblici Ufficiali facciano fatica ad identificarsi con gli scopi dell’Organizzazione che servono; sarà facile che usino le proprie posizioni e le loro particolari competenze come strumenti da usare contro il prossimo per perseguire il proprio vantaggio particolare!

Non mi sollevi, onorevole Ministro, l’obiezione che non tutti gli italiani sono così . Questo lo sappiamo tutti (ci mancherebbe!!!) ma non è una contro-argomentazione che ha la forza di annullare l’argomentazione di fondo. Le dirò anzi che è più facile invece che altri Ministri (mi veniva da scrivere “compagni di merende” ma mi trattengo), tutti “Fratelli d’Italia”, siano caduti nella medesima trappola. Per esempio il Ministro della Giustizia ha cancellato per i pubblici ufficiali il reato di Abuso d’Ufficio, considerandoli a priori tutte “viole mammole”.
Noi invece sappiamo bene che essere colletti bianchi non significa tout court essere “immacolati”.
Di cosa abbiamo parlato in fin dei conti con questo lungo post? DI ETICA PUBBLICA, QUESTA MIS-CONOSCIUTA . In Italia, appunto, caro Valditara.

Non cerchi, Ministro, il mio nome fra gli operatori scolastici in servizio, vagheggiando magari una decurtazione dello stipendio (anche se ci tiene a far sapere che non è Lei personalmente a sporcarsi le mani in questo modo!). Sono una vecchia dirigente scolastica in pensione (85 anni) ma ritengo di considerarmi una buona “cittadina” che, fra l’altro, nella sua lunga e appassionata carriera scolastica ha pagato anche qualche prezzo pur di non ASSERVIRSI .
Perché a questo dovrebbe servire l’educazione civica : a diventare CITTADINI (nella pienezza del termine) e non SUDDITI .




L’etica del limite

di Cinzia Mion

Sto pensando ai molti interrogativi che suscitano in questi giorni certi comportamenti violenti di adolescenti, o giovani in genere, che mettono in crisi gli adulti e la scuola. All’ interno della fenomenologia dell’adattamento sociale, preso atto di quella che qualcuno oggi chiama giustamente “emergenza educativa” compare grande come una casa il problema dell’incapacità dei genitori ad assumere il “no” che sta alla base delle regole ed appunto alla radice dell’etica del limite.

Sembra quasi una banalità ma teniamo presente che, contrariamente ad un passato recente, quando erano i bambini a temere di non essere amati abbastanza dai genitori, oggi sono i genitori ad avere questa paura. Ricordiamoci poi, come ricorda Pietropolli Charmet, che oggi nella culla non viene più depositato “edipo”, bambino pulsionale, bisognoso di regole, ma viene depositato “narciso”: il cucciolo d’oro, su cui cresceranno ben presto aspettative grandiose (da ciò l’eccessiva enfasi sulle prestazioni dei figli: scolastiche, sportive, artistiche, ecc) che farà perdere il controllo ad alcuni genitori “adolescenziali a loro volta” – in fondo incapaci di contenere la rabbia violenta, scaturente dalla frustrazione- che stanno aggredendo i docenti.
Genitori che probabilmente, quando il loro figlio è arrivato alla fase “dell’opposizione”, da collocarsi sempre più precocemente verso l’anno di vita che non verso i due, descritta come “bisogno di potere o affermazione di sè”, non è in grado di sopportare e “contenere” i capricci e le pretese del bambino, senza andare in tilt e senza paura di entrare in conflitto con un bambino alto un soldo di cacio. Qualcuno dovrebbe insegnare loro (ecco la necessità del sostegno alla genitorialità) che devono mantenersi tranquilli, “solidamente” dentro al loro ruolo educativo, mantenendo la posizione assunta del “no” senza urlare ed andare in pezzi, resistendo ai tentativi manipolatori del proprio figlio.

Dovranno convincere se stessi che lo fanno per il bene del piccolo, delineando in questo modo i confini, i limiti, in altre parole “il contenimento”. I no, o meglio i divieti, devono esser pochi ma fermi. Niente oscillazioni tra permissivismo e urla esasperate e rabbiose.

Un bambino che si sarà sentito contenuto nella “mente” del genitore si sentirà al sicuro e imparerà a sopportare la frustrazione.
Inizierà il difficile cammino verso la resilienza.
Con ogni probabilità diventerà un adolescente che al tempo delle “naturali trasgressioni”, ineludibili anzi opportune, sarà in grado di “autocontenersi”, di non mettere a repentaglio la propria ed altrui incolumità, perchè avrà interiorizzato l’etica del limite.
Qui naturalmente dovremmo oggi interrogarci tutti: gli adulti in genere e la cosiddetta società civile. Un altro discorso altrettanto spinoso è lo schema “amico-nemico” che sempre più frequentemente i giovani oggi applicano nella vita sociale nei confronti del “diverso”. Da affrontare un’altra volta…

Il neonato evolve verso il riconoscimento di sé nella misura in cui impara a separarsi dalla madre. Nella misura in cui, attraverso un processo di separazione-individuazione, comincia a percepire se stesso ed i suoi confini, che all’inizio saranno solo corporei, poi un po’ alla volta saranno sempre più riconducibili al sé vero e proprio, tale perché diverso dall’altro da sé.

Tutte le relazioni interpersonali dovranno poi, pena il rischio della simbiosi, deleteria e minacciosa per il sé, essere contraddistinte da questi famosi confini tra sé e l’altro. Confini che non dovranno essere impermeabili o troppo rigidi altrimenti è in agguato una qualche forma di autismo o l’indifferenza verso l’altro oppure, speciale malattia dei nostri tempi, il narcisismo patologico. Mi riferisco al sé grandioso che si autoesalta e perde di vista non solo l’altro ma anche la realtà (come sta accadendo a livello apicale della politica…)

Siamo di fronte anche in questo caso pur sempre ad un problema di mancanza di confini o di assenza di limiti.
Questo per quanto attiene l’aspetto soggettivo, individuale. Accennavo prima all’ autocontenimento, mi riferisco a quello mentale.
Per esempio anche l’adolescente che non rileva i limiti della sua trasgressione, (quale trasgressione può essere accettabile quale invece va oltre i limiti) non è in grado di attivare un autocontenimento mentale il più delle volte perché i genitori a loro volta non lo hanno contenuto mentalmente quando, nella fase dell’opposizione (dai 18 mesi in poi) sono andati loro in tilt, incapaci di offrire un solido e valido contenimento mentale alla rabbia del piccolo…. Temono il conflitto con un bambino di meno di due anni…

I protagonisti dei conflitti politici alla ribalta oggi sono però tutti adulti, vaccinati e responsabili più della gente comune perché quasi sempre ricoprono cariche pubbliche. L’etica del limite è completamente assente dal loro repertorio comportamentale.
Oltre a non avere il SENSO delle Istituzioni, qualcuno addirittura lascia affiorare una “ciarlataneria” che ha radici profonde perché rinforzata dai social, a gara per essere volgari e arroganti ma che sembrano suscitare quel CONSENSO diffuso, difficile da scardinare perché “aprioristico e irrazionale”. Cosa possiamo fare se questo terreno di coltura garantisce applausi facili, superficiali e a volte indegni di un Pese democratico?

Abbiamo raggiunto il fondo.
L’ultimo episodio raggelante: l’aggressione verbale della Presidente del Consiglio alla Magistratura, sulla spinosa questione dell’apertura costosa (ma flop) dei centri in Albania, cui ha retto subito lo strascico il Ministro Nordio, cosa che gli riesce sempre molto bene.
Mi verrebbe da raccomandare a Mattarella di assumere il ruolo genitoriale rispetto a questi “adultescenti” che hanno perso l’Etica del limite. Prima che diventino una “baby gang” e rischino di produrre al Paese e alla Democrazia danni irreparabili.




L’educazione civica (o “cinica”) a cui pensa il ministro Valditara

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

E pensare che c’è stato un tempo della mia gioventù professionale in cui ho creduto fortemente che fosse possibile “cambiare “ il mondo in senso migliorativo, attraverso la Politica, la Democrazia, l’applicazione della partecipazione democratica a Scuola attraverso un’ Educazione cooperativa e sensibile all’attenzione per tutti, in grado veramente di realizzare quello che oggi definiamo il BENE COMUNE.
Ricordo anche che più avanti, diventata direttrice didattica, trovandomi tra i fondatori dell’ ANDIS ( Associazione nazionale dirigenti scolastici) ho steso la traccia del Codice Etico della stessa associazione.
Rammento di quanto abbia insistito in questo codice, ancora sopravvissuto ai giorni nostri, nel porre attenzione al rischio che l’impegno etico dei dirigenti non si traducesse nelle semplice “correttezza” dovuta all’appartenere alle figure dirigenziali del settore pubblico, dimenticando che “per dettato esplicito della legge, invece, l’Istituzione Scuola deve formare le giovani generazioni alla “cittadinanza e all’etica pubblica”. Credo allora che questa ultima espressione vada esplicitata meglio.
In questo momento storico si fa un gran parlare, nuovamente, di affidare alla scuola l’educazione civica anche da parte del nuovo governo, attraverso il ministro Valditara.
Non credo assolutamente che così come è stata configurata finora l’educazione civica, disciplina di 33 ore annue, con verifiche e voti conseguenti, possa risanare il Paese attraverso ‘i ragazzi’. Noi pensiamo che formare alla cittadinanza voglia dire invece diffondere quell’etica pubblica, e non solo una morale privata, che risulti fondata sui valori condivisi e costituzionali, laici e pluralisti.
La difficoltà in Italia a diffondere questi valori ha radici lontane.
Vediamo però ora che cosa si intende per “etica pubblica”.

“ DIFFERENZA TRA MORALE ed ETICA: tra senso di colpa e senso di responsabilità”

La morale riguarda ciò che comunemente si chiama ‘coscienza’: legge genitoriale interiorizzata; in genere deriva dalle norme assunte dal gruppo di appartenenza, per stabilire e distinguere ciò che si considera giusto da ciò che si considera sbagliato. Indica la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito. La linea di demarcazione segnala il ‘limite’– ammesso e non concesso che oggi i genitori siano in grado di segnalarlo – che poggia sul senso di COLPA.
L’etica invece indica il modo di comportarsi nella dimensione pubblica nel rapporto con gli altri. Poggia sul senso di RESPONSABILITA’: quindi presuppone una scelta consapevole e ha a che fare con la cosiddetta ‘società civile’. Gli elementi costitutivi della società civile sono relazioni/legami di tipo secondario, non primario (si costituisce perciò aldilà dei legami parentali, familiari, amicali). Si organizza con processi dal basso e occupa una posizione intermedia tra individuo e istituzioni. La società civile è appunto il luogo dove si forma l’etica pubblica. La fiducia dovrebbe essere il valore centrale attorno al quale si costituisce questa tipologia di società. Beh, il nostro Paese, tra le derive sociali preoccupanti da cui in questo periodo storico viene connotato, continua ad essere caratterizzato da un forte deficit di ETICA PUBBLICA.

Dicevamo che il deficit di etica pubblica ha radici lontane. Edward Banfield infatti negli anni Cinquanta del secolo scorso ha definito ‘familismo amorale’ la speciale malattia degli italiani, caratterizzata da scarso senso di socialità – non nel senso di socievolezza, ma nel senso di attenzione alla coesione sociale – perché non hanno il senso dello Stato, dimostrando inoltre di nutrire sfiducia nelle Istituzioni. Sta di fatto che porre il proprio “tornaconto personale o familiare” sempre e comunque prima di quello ‘collettivo’, nell’insofferenza a qualsiasi regola e nell’esaltazione della famigerata ‘furbizia Italiana’, rimane ancora oggi la caratteristica peculiare negativa che rende difficile in Italia la consapevolezza del deficit di etica pubblica.
Possiamo tranquillamente dire che iscritta nel nostro DNA c’è questa ricerca costante del proprio “tornaconto”, molto difficile da estirpare, se non da parte di una Scuola che sa interrogare se stessa e sa costruire esempi positivi da imitare e riflessioni costanti sui vari comportamenti al fine di individuare nelle scelte quelle finalizzate alla costruzione del BENE COMUNE e quelle invece utili a ritagliarsi solo la propria convenienza.

SAPER RINUNCIARE

Il “bene comune”, ovviamente, non è costituito dalla somma dei beni individuali. Nasce dalla capacità di ognuno di noi a rinunciare a “qualcosa” e di sapere che imparare a sopportare la “rinuncia” significa sentire che questa è diversa dalla “perdita”(che riguarda l’”essere” e non l’”avere”).Quindi invece che sentire di aver perso qualcosa avvertire di aver guadagnato rispetto alla stima di sé.

AUTOINTERROGAZIONE

A questa analisi approfondita la scuola deve però sottoporre prima se stessa. Verificare quanto di ciò che “dichiara” corrisponda sempre “all’effettivo”; quanto ancora delle proprie azioni possa essere inficiato dalla pratica del ‘fare finta’ da cui spesso non è stata esclusa la Pubblica Amministrazione in tutte le sua branche, compresa la scuola (come per esempio “fare finta di non sapere che gli studenti copiano le versioni dal traduttore”, come confidò un liceale una decina di anni fa); quanto sia ancora lo iato tra il valore del codice etico esplicito e quello implicito. In altre parole tra le “prediche” e le “pratiche”; tra le Linee guida del MIM sull’educazione civica (codice esplicito) e la sua realizzazione autentica e pratica tenendo conto di quanto affermato finora (codice implicito).
Provate a farvi un ‘autotest’: immaginate di entrate in un parcheggio, di urtare con la vostra automobile quella di un altro. Tutti noi sappiamo come dobbiamo comportarci, ma anche sappiamo come spesso invece ci comportiamo veramente. Questo scostamento tra la correttezza sociale e la scorrettezza, che in questo caso appare minimale, la dice lunga su consuetudini difficili da scardinare. Un altro esempio più grave ma molto usuale può essere l’opportunità di usare una ‘raccomandazione’, oppure copiare a un concorso… Tutti sappiamo che è ingiusto nei confronti degli altri, quanto possa produrre danni a terzi, (si tratta di un posto di lavoro!) eppure…

CITTADINANZA vs SUDDITANZA

Un aspetto inoltre importantissimo e ineludibile che deve assumere la scuola è la formazione a diventare cittadini e non sudditi..
Definiamo prima di tutto le caratteristiche del SUDDITO: egli è colui che offre un ‘servigio’ in cambio di un privilegio o di protezione (oggi il servigio può essere il “voto”); in questo senso è de-responsabilizzato e tende a raggiungere il massimo dell’interesse personale aggirando gli ostacoli; non è disposto a pagare prezzi per la propria autonomia di giudizio e usa il consenso e il servilismo per avere vantaggi.
Il CITTADINO assume la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni (come raccomandano le Indicazioni): accetta la comune fatica della difficile costruzione dell’etica della responsabilità in una società storicamente imprevedibile; sopporta la complessità delle emozioni, riuscendo a stare nelle incertezze, nei dubbi, senza essere impaziente di pervenire a fatti e a ragioni; cerca azioni generative di “senso”, usando competenze autoriflessive e argomentative e impara a scegliere e decidere di conseguenza. Alla fine il cittadino si dimostra veramente tale se sa anche rinunciare ai privilegi o affronta i disagi, se ciò gli permette “l’autonomia di giudizio”, il pensiero critico e la realizzazione dei suoi ideali. L’aspetto più notevole è però quello di ritrovarsi orgoglioso di pagare qualche prezzo pur di NON ASSERVIRSI!!!

Onorevole VALDITARA, che ci azzecca allora, alla luce di tutto questo, il concetto di PATRIA? E quello di impresa, di educazione finanziaria e assicurativa? C’entra ancora una volta con il PROFITTO?
Non è di questo che ha bisogno l’italiano medio, (ci sa pensare da solo), per poter guardarsi allo specchio senza vergognarsi, ma di ETICA PUBBLICA….
Ma di sicuro non sono i politicanti di adesso che possono aiutarci a raggiungere questo obiettivo.
Abbiamo bisogno di POLITICA con la P maiuscola. Di quella politica che per il BENE COMUNE sa rinunciare al CONSENSO facile, ricercato fino allo spasimo fino ai teatrini cui veniamo sottoposti continuamente, da tempo immane, fino ai nostri giorni. SENZA VERGOGNA.
Di quella POLITICA che a vent’anni io ho creduto potesse cambiare il mondo….




L’empatia perduta

di Cinzia Mion

I recenti fatti di cronaca ci portano a fare delle considerazioni desolanti e insieme molto dolorose, indotte da moti di orrore e direi quasi di ripugnanza. La soggiacente formazione pedagogica però mi porta a cercare di piegare tali emozioni all’interno di una riflessione tesa alla ricerca di un riscatto o almeno ad una svolta educativa correttiva. Non posso darmi per vinta. Non posso…
Tra le derive sociali più preoccupanti da tempo noi persone di scuola segnaliamo l’INDIFFERENZA intesa come NON-CURANZA che sta crescendo in modo preoccupante.
Il filosofo lituano di origine ebraica Levinàs trent’anni fa affermava che il “volto dell’altro mi interpella”, volto dell’uomo sofferente e morente, e dove “l’interpellare” aveva un significato profondo e quasi viscerale di richiamarci alla nostra umanità…
Beh oggi il volto dell’altro non solo non ci interpella più con questo significato ma stiamo purtroppo spesso verificando che invece di sollevarci pietà, lascia via libera non alla semplice indifferenza ma addirittura al “sadismo”, alla “crudeltà”, e addirittura alla “perversione”.
Da troppo tempo stiamo assistendo al fenomeno delle baby gang, formate da preadolescenti carichi di rabbia, ma ora ciò che è successo a Pescara da parte di due sedicenni, nei confronti di un altro sedicenne, ha superato di gran lunga i limiti. Non possiamo tutti noi adulti non auto-interrogarci: famiglia e scuola.
Ovviamente questo episodio si collega anche a quello commesso barbaramente nei confronti del bracciante indiano di nome Singh, da parte adulti travolti da una rincorsa avida e immorale al PROFITTO, costi quel che costi, fino appunto ad un omicidio efferato (perché di questo si tratta anche se commesso per mancanza spietata di soccorso!).
In tutti i casi che stanno purtroppo accadendo ai nostri giorni: dai migranti lasciati morire in mare (con le ONG spedite il più lontano possibile per timore che possano salvarne troppi!!!); a tutti i casi provocati da un caporalato “schifoso” e da troppo tempo ignorato coperto dal famigerato “far finta” di non sapere ciò che alligna nei campi da sud a nord, (modalità tipicamente italiana che si accompagna all’altra famigerata modalità che contrassegna gli italiani “brava gente” che si chiama “furbizia tornacontista”); fino all’agghiacciante fatto dei ragazzini …tutti casi in cui è sparita l’E M P A T I A.

E insieme all’empatia la nostra umanità. Nessuno osi obiettare: non possiamo generalizzare…perché c’è sempre chi è pronto a buttare la palla in tribuna per alleggerire la situazione. Questo per me è il peggiore: più in malafede di tutti perché abituato a manipolare e a portare acqua al suo mulino. Possiamo non sapere di quale mulino si tratta ma se scavate lo trovate!!!
Questa assenza pericolosissima di empatia che un po’ alla volta ci ha inaridito riguarda tutte e tutti. Nessuno escluso.

In cosa consiste l’EMPATIA?
Edith Stein (filosofa ebrea morta ad Auschwitz nel 1942) che ha molto approfondito l’argomento, dice che “è un vissuto specifico …perché esperienza di una “non esperienza” che però ha i tratti emotivi-diretti-intuitivi di un vissuto personale ….: si fonda sull’uscire da sé, sull’incontro e l’apertura all’altro, che non è mai fusione affettiva o sconfinamento”, praticamente evita l’identificazione altrimenti ciò che stai provando è una commozione o un “sentire” che riguarda te stesso e non l’ALTRO….

I NEURONI SPECCHIO

Oggi sappiamo che anche attraverso la cosiddetta “prosocialità” assistiamo ad un’attitudine innata, di cui sono portatori/trici tutti i bambini e le bambine, che fa sorgere una predisposizione all’attenzione all’altro che andrebbe curata sì nelle femminucce ma anche nei maschietti….Conosciamo però anche qualcosa di più scientifico che sono gli esiti delle ricerche delle neuroscienze con la scoperta dei NEURONI SPECCHIO (da parte di Gallese e Rizzolatti) che ci hanno reso edotti sull’ INTERSOGGETTIVITA’, cui siamo tutti programmati fin dalla nascita. Grazie a tale mirabolante scoperta noi dovremmo essere perciò portatori, attraverso la “simulazione incarnata” insieme alla cosiddetta “consonanza intenzionale”, di EMPATIA nei confronti dell’altro con cui stiamo INTER-AGENDO!
Allora, come abbiamo fatto a ridurci così?

LO SVILUPPO MORALE

Un altro aspetto importantissimo, messo in luce da HOFFMAN, che analizza il sorgere dell’empatia nei bambini piccoli, consiste nella relazione tra la condivisione empatica e lo SVILUPPO MORALE.
Hoffman infatti fa emergere le radici affettive del comportamento morale e lascia grande spazio all’educazione e alla promozione degli atteggiamenti positivi verso gli altri. Tutto ciò anche nel contrastare l’aggressività e nel promuovere le relazioni sociali di accettazione reciproca, per quanto le situazioni possano apparire difficili.

GENITORI.

E i genitori oggi educano alla COM-PASSIONE?
La compassione che è diversa dalla “pena” perché in quest’ultima la persona se presta aiuto si riconosce come superiore a quella che in quel momento risulta bisognosa; diversamente, nel caso che chiamiamo com-passione ci riconosciamo simili alla persona sofferente, perché potremmo trovarci a vivere analoghe condizioni di sofferenza…
Ricordo che una quindicina di anni fa, (quando ancora i genitori erano consapevoli di avere bisogno di un sostegno alla genitorialità….) mentre stavo tenendo una relazione serale all’interno di un Istituto scolastico ho chiesto a bruciapelo guardandoli negli occhi: Ma voi educate i vostri figli alla compassione?
Rammento come fosse ora lo sguardo che mi hanno restituito: interrogativo e spaesato…come fossi una marziana!
Ho preso allora il coraggio a due mani e ho raccontato: “Io rammento ancora le parole esatte di mia madre (che era del 1896!) quando stavamo affrontando le difficoltà enormi della situazione di sfollati nel 1944, e per caso incontravamo un mendicante per strada: ”Poverino…vedi questo sta peggio di noi. Non ha niente, nemmeno un tetto sulla testa”. Ricordo perfettamente l’intonazione della voce che cercava di attivare appunto compassione….
Sempre cercando di focalizzare il ruolo genitoriale, dopo aver segnalato la probabile attuale assenza di educazione all’empatia, bisogna anche sottolineare la difficoltà di educare all’assunzione dell’etica della RESPONSABILITA’.
La tendenza diffusissima all’iperprotezione dei figli si prefigura infatti come “indulgenza” deresponsabilizzante. Proviamo per esempio a prendere in considerazione le richieste di giustificazione per “compiti non eseguiti” da parte di ragazzini bighelloni che al momento di andare a scuola davanti al piccolo rischio di essere colti in fallo chiedono ai genitori, e magari ottengono, di sottoscrivere una “scusa falsa”. L’etica della responsabilità, aspetto importantissimo che dovrebbe essere assunto sia dalla famiglia che dalla scuola, consiste nell’insegnare all’assunzione delle “conseguenze “delle proprie azioni….
Quale occasione migliore quella che si presenta allora ai genitori in un caso del genere: “No, non firmo il falso, ora vai a scuola e ti assumi la responsabilità delle “conseguenze” di quello che hai fatto o non hai fatto….!”

CONSIDERAZIONI FINALI

Le derive sociali pericolose che stanno intossicando le relazioni interpersonali sono molte. Ne ho affrontato alcune e nella fattispecie la mancanza di EMPATIA, insieme alla INDIFFERENZA diffusa.
Il rischio ineludibile è che tali derive possano ineludibilmente sommergere tutti, anche i docenti che avrebbero il compito, per dettato e competenza professionale comprovata, di intervenire per raddrizzare il tiro ed evitare il peggio.
Spero che questo grido di dolore arrivi allora anche alla scuola e che non sia troppo tardi…




Come fronteggiare le insidie della I.A.

di Cinzia Mion

Progettazione a ritroso e comprensione profonda

Nel panorama delle offerte che si incontrano, nelle pubblicazioni specialistiche, di esempi di progettazione di competenze, spicca per originalità la cosiddetta “progettazione a ritroso”.

Quando ho scoperto Wiggins e i suoi testi a dire il vero sono rimasta molto affascinata. Mi sono detta: ”Ecco l’uovo di Colombo”.
Finalmente gli insegnanti finiranno di sperare che le competenze possano scaturire come per magia alla fine del percorso tradizionale delle conoscenze come da programma. Si tratta in parole povere di rendersi conto che le “competenze” non possono scaturire dalla programmazione lineare delle conoscenze e dall’applicazione pedissequa del libro di testo.
Bisogna progettarle prima.

Ora invece posso affermare che questo tipo di progettazione, che pone il suo focus sulla competenza “profonda e duratura”, è l’unica che è in grado, ovviamente fino ad oggi, di poter essere considerata adatta a fronteggiare le insidie della Intelligenza Artificiale.
Con il mio contributo non intendo demonizzare tale dispositivo e tanto meno analizzarlo perché non ne ho le competenze.

Dal punto di vista di persona di scuola intendo però evitare che possa inaridire o minimamente compromettere la facoltà più fulgida che appartiene al genere umano, che dovrebbe connotarci sempre anche se negli ultimi tempi è venuto un po’ meno: il pensiero autonomo e riflessivo.
La competenza individuata come importante da far raggiungere agli alunni dovrà essere focalizzata all’inizio del percorso, dovranno poi essere identificate le conoscenze e i “saperi” ineludibili (fatti, concetti e principi), le abilità indispensabili (processi, strategie e metodi).
Inoltre andranno pianificate esperienze di apprendimento da far vivere direttamente in applicazione dell’aspetto teorico, per rendere attuabile il raggiungimento della competenza in questione. Bisogna però sottolineare che le pubblicazioni di Wiggins fanno riferimento alla “teoria” e alla “pratica” di un percorso didattico per la “comprensione profonda e significativa”.

Strada facendo si chiarirà anche il termine “duratura”, vale a dire inserita nella memoria semantica e non solo episodica, quindi in grado di illuminare di “senso” i contenuti in essa depositati. Un senso che va oltre l’occasionalità ma invece in grado di mettere in connessione altri contenuti successivi anche se apparentemente “sconnessi”.

LE DOMANDE ESSENZIALI

Il docente perciò dovrà farsi delle domande molto pregnanti, acquisendo la mentalità del progettista. Insegnare a partire dalle domande significa chiedere retoricamente “se le conoscenze sono fatte di risposte, allora quali erano le domande che hanno dato vita ai libri di testo o che hanno causato le risposte dell’insegnante e le risposte dei contenuti di queste discipline”?
Oppure le rielaborazioni dell’IA?
Questo tipo di domande è molto diverso da quello che normalmente il docente fa per controllare le conoscenze fattuali, per guidare gli allievi verso le risposte esatte. Dovrà infatti chiedersi innanzitutto: cosa è meritevole e degno di essere compreso in profondità? Si capisce immediatamente che il docente che decide di sperimentare questa interessante progettazione accetta di avere un buon rapporto con la fatica di pensare e con la riflessività che ne consegue. Fa parte di questa intensa riflessività la ricerca all’interno dei vari contenuti di “una grande idea” che dovrà avere un interesse durevole anche oltre l’ambito scolastico.

Se mi chiedessero a bruciapelo quale profilo finale vorrei che la scuola italiana si prefigurasse alla fine del corso di studi dalla scuola dell’infanzia fino all’uscita dalla scuola secondaria, direi subito: vorrei dei ragazzi riflessivi e dei cittadini formati all’etica pubblica. Naturalmente non significa “ignoranti” nelle conoscenze fondamentali delle discipline ma che queste siano state strumentali alla formazione delle caratteristiche suddette.

Vi sembra poco? Ragazzi, e ragazze, naturalmente, in grado di pensare con la propria testa, vale a dire curiosi e “problematizzanti” e desiderosi di autointerrogarsi sulle questioni più vitali del mondo, del futuro, della loro vita e della vita degli altri.
Che hanno sviluppato una intelligenza vivace, fertile, connettiva. Vale a dire ragazzi e ragazze che hanno appreso il valore profondo e duraturo delle idee portanti dei saperi e che inoltre hanno appreso e praticano coerentemente i valori del “cosiddetto Bene Comune”, caposaldo dell’educazione alla cittadinanza, evitando i trabocchetti dati dal famigerato “familismo amorale” che, da moltissimo tempo, contraddistingue il popolo italiano, legittimando i “tornacontismi” e gli incredibili livelli di corruzione e ipocrisia, scambiandoli con “furbizia”, considerata un valore al posto dell’intelligenza.

In altre parole che sono in grado non solo di affrontare con buoni risultati il “problem solving”, su cui può essere di valido aiuto anche l’I.A., ma soprattutto in grado di autointerrogarsi sui dilemmi, le questioni, le difficoltà della realtà, in altre parole l’attitudine al “problem posing”.

COMPRENSIONE PROFONDA E DUREVOLE

Quando Wiggins parla di grande idea il suo riferimento è ad una idea “perno”, essenziale per interpretare la realtà ed essenziale anche per costruire i famosi “compiti di realtà”, funzionali a cogliere quanto la competenza auspicata e realizzata si è incarnata nel repertorio delle acquisizioni degli allievi.
Una volta individuata l’idea perno, risposta desunta da una serie di domande essenziali di “senso”, si procede con il percorso. Una domanda di senso potrebbe essere: quanto questa idea perno può coinvolgere l’alunno dentro al nucleo centrale della competenza e quanto questa idea può essere determinante per fare chiarezza e sciogliere gli equivoci?
Vediamo ora cosa si intende per comprensione profonda. Significa che se una conoscenza o un’abilità non diventa lettura e comprensione della realtà, difficilmente si trasforma in significativa o flessibile o in comprensione profonda. Al contrario è molto probabile che rimanga astratta, disincarnata, scolastica.

I SEI ASPETTI DELLA COMPRENSIONE

Il primo aspetto è “la spiegazione”. L’allievo deve essere in grado di presentare resoconti di fenomeni, fatti e dati. Si tratta di dimostrare di essere in grado di rispondere alle famose cinque domande, tipiche fra l’altro del giornalismo: chi, cosa, dove e quando. Si richiede pertanto non solo la risposta esatta ma la spiegazione, si sollecita il collegamento di fatti specifici e la capacità di sostenere tali collegamenti e le loro conclusioni.

Il secondo aspetto è “l’interpretazione”. Si tratta di affrontare l’argomento attraverso esempi, aneddoti, narrazioni, ecc che possono costituire contenuti di testi, poesie, filmati, ecc. L’allievo deve saper rispondere a domande del tipo: quello che hai letto o scritto cosa significa? Cosa spiega dell’esperienza umana? In che modo ha a che fare con te?(es. i flussi migratori cosa ti rivelano del genere umano?)

Il terzo aspetto è “l’applicazione”. Questa dimensione verifica la possibilità di affrontare i famosi compiti autentici, che , proprio per essere autentici, non devono essere scollegati completamente dalla realtà dell’allievo e dalle sue esperienze, tanto da apparire stravaganti e bizzarri, come qualche volta capita di incontrare. Senz’altro il livello dell’applicazione richiede di usare le conoscenze in nuove situazioni e in vari contesti. Bisognerebbe che l’allievo potesse rispondere alla domanda : In quali modi le persone applicano questa comprensione nel mondo fuori dalla scuola? Come dovrei modificare il mio modo di pensare e il mio agire per rispondere alle esigenze di questa particolare situazione?

Il quarto aspetto è “la prospettiva”. Avere prospettiva prevede la competenza del decentramento e della “lungimiranza” e la capacità di rispondere alla domanda: questo argomento da quale punto di vista è stato affrontato? Capire il punto di vista significa possedere lo spirito critico per riuscire a smascherare assunzioni e conclusioni che non sono state sottoposte a controllo. Le Indicazioni per il curricolo, che hanno sostituito i programmi, chiedono più volte la competenza di essere in grado di cambiare punto di vista, anzi considerano questo obiettivo, in questa società multiculturale e multireligiosa, fondamentale e peculiare dei tempi.
Chissà se l’I.A. è in grado di indurre la flessibilità che richiede il “decentramento del punto di vista” come competenza personale consolidata, non come soluzione ad un quesito del momento. Faccio riferimento alla competenza interculturale e all’assunzione del paradigma della complessità come vera e propria forma mentis.

Il quinto aspetto è “l’empatia”. Questa dimensione viene definita come la capacità di entrare nei sentimenti e nella visione del mondo di un’altra persona. Significa saper mettersi nei panni degli altri, si tratta di sviluppare le intelligenze personali di cui parla Gardner, quella “intrapersonale” ma soprattutto quella “interpersonale”. Oltre che a sviluppare questo importante tipo di intelligenza si tratta anche di correggere la deriva sociale dell’indifferenza o “noncuranza”. L’aspetto più degno di nota dal punto di vista cognitivo è che il mutar d’animo può essere l’inizio del cambiamento di opinione e del superamento di eventuali pregiudizi.
Dubito molto che l’I.A. possa incidere sul “sentire” cosa prova l’altro, avvertirne la portata emotiva, le vibrazioni che ciò comporta. Può essere che io abbia una visione parziale e distorta di questo tipo di intelligenza perché nel mio immaginario la assimilo ad una “macchina pensante” ma non “senziente”!

Il sesto aspetto è “l’autoconoscenza”. Si tratta di riuscire alla fine a cogliere il nostro modo di conoscere, lo stile apprenditivo, quali sono i nostri schemi di pensiero, i nostri meccanismi di difesa che possono compromettere la nostra comprensione. Gli allievi dovrebbero essere in grado di risponder alla domanda “ quali sono i limiti della mia comprensione? Cosa tendo a comprendere erroneamente a causa dei miei pregiudizi, abitudini e stili mentali? “
Ovviamente questo aspetto deve riguardare prima di tutto i docenti sia per quanto attiene la loro “comprensione profonda“ delle conoscenze più significative; dei nuclei fondanti delle discipline che hanno il compito di insegnare, ovviamente dopo averli padroneggiati; del modo più accessibile e chiaro di tradurre tali concetti sostanziali e validati, in una didattica abbordabile e facilitante la comprensione da parte degli allievi. Speriamo così di solleticare la curiosità professionale di molti docenti, stimolati in questo modo all’ “autointerrogazione”: una delle strategie più sane per la Scuola ma anche per la Vita.

E alla fine si tratta di interrogarsi su come utilizzare l’Intelligenza Artificiale, di quali vantaggi può offrire ma soprattutto di quali conseguenze anche negative possono scaturirne e di come poterle minimizzare. Di come, per esempio, riprogettare il proprio lavoro come ho provato a fare io con il presente contributo

 




Cara Giorgia, le scrivo (e le spiego qualcosa sulla “teoria gender”)

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, alias GIORGIA.

Da tempo volevo scriverLe, Onorevole Presidente, ma ora penso che sia arrivato il momento in cui non posso veramente più stare zitta. Anche perché non mi si addice!
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la Sua dichiarazione “urlata” al congresso organizzato a Madrid recentemente da Vox, alla presenza di tutti i rappresentanti della destra estrema, prossimi al voto europeo.
Dichiarazione da Lei urlata in spagnolo (chissà perché quando deve parlare spagnolo Le scappa sempre di urlare…forse ha interpretato “vox” in questo modo?) in cui dichiara, tra le altre boutade ad effetto, anche che, in osservanza delle radici cristiane, Lei non accetterà mai che nelle scuole si parli della “teoria gender”.

Ora mettiamo le cose in chiaro, carissima Presidente, non si faccia cogliere “in castagna” pure lei come gli altri “gaffeurs” del suo governo che in genere, a dire il vero, si stanno dimostrando spesso piuttosto claudicanti, rispetto alla competenza culturale ma anche politico-amministrativa che sarebbe giustamente loro richiesta.
Dia l’esempio Lei, Presidente, e prima di aprire bocca si informi bene, come si conviene alla leader del Governo, i cui membri in teoria dovrebbero amministrare la “cosa pubblica” verso il BENE COMUNE e non verso la ricerca di facile consenso popolare, come sta invece accadendo nel caso di specie.

Mi spiego meglio : in questa circostanza ovviamente si tratta di “lisciare il pelo” a tutti quegli “integralisti” più o meno religiosi, più o meno oscurantisti, ma spesso soltanto ignoranti, nel senso che ignorano, alcune idee essenziali riferite alle tematiche in oggetto.
Di seguito ecco allora qualche spiegazione facilmente fruibile ma soprattutto alcuni riferimenti legislativi ineludibili, soprattutto da parte di chi ci sta governando. Si tratta del comma 16 della L.107/15 e dell’importantissimo “Trattato di Istanbul” (2011 ratificato in Italia nel 2013) da cui discende l’obbligatorietà del comma stesso.
Se li faccia tirar fuori, cara Presidente, e ne prenda atto. L’identità di genere, maturata oltre gli stereotipi verso le Pari Opportunità, non è il demonio e riveda le Sue posizioni così avventatamente urlate, a meno che Lei non voglia imitare il fondamentalista islamico Erdogan che, dopo aver ospitato la Commissione che ha steso il Trattato, recentemente l’ha rinnegato.
Cominciamo allora con l’abicì.

IDENTITA’ PSICOSESSUALE

Bisogna partire con calma ad affrontare l’evolversi dell’identità psicosessuale.
L’identità sessuale viene definita alla nascita come:

1) “IDENTITA’BIOLOGICA”
, attraverso l’osservazione del sesso anatomico (genitali esterni), generalmente con certezza, tranne nei casi di ermafroditismo chiamato oggi intersessualità.
Spendiamo due parole per chiarire questa definizione: si tratta di soggetti, per fortuna non frequentissimi, che si presentano alla nascita con una non chiara distinzione degli organi genitali esterni ed interni, per cui alla vecchia denominazione di “ermafroditismo”, un po’ criptica per chi è digiuno di nozioni biologiche, oggi si preferisce il termine “intersessuale”. Praticamente si tratta di combinazione ambigua tra gli organi. Un tempo si procedeva alla nascita ad una modalità di intervento cruento, decidendo così per un sesso o per l’ altro, il più delle volte affidato alla scelta genitoriale, su cui è meglio sorvolare perché foriera di grandi sofferenze da parte dei soggetti durante la loro crescita, come è facile immaginare..

Poi subentra:
2)”L’IDENTITA’ PSICOLOGICA” che consiste nell’accettazione della propria identità biologica sessuale, durante il processo di crescita;
– in caso contrario può sorgere una forte “DISFORIA DI GENERE”, consistente in uno stato d’animo angosciato, relativo al fatto di sentirsi prigionieri di un corpo sessuato non riconosciuto come ”proprio”;
– in conseguenza di tale disforia è possibile che nel soggetto crescendo appaia il TRANSGENDERISMO (in assenza o con rifiuto di intervento) oppure il TRENSESSUALISMO (in presenza di intervento) .
Il transessualismo deve essere tenuto distinto dall’orientamento sessuale.

Alla fine appare:
3) “L’ORIENTAMENTO SESSUALE” che può essere :
– eterosessuale,
– omosessuale,
– bisessuale.
– asessuale.

Queste distinzioni valgono anche per i transessuali.

IDENTITA’ DI GENERE
Se è vero, parafrasando Simone de Beauvoir, che maschi e femmine si nasce ma uomini o donne si diventa, questa maturazione è un processo che va accompagnato verso un’ottica di parità che valorizzi però le differenze. Dovrebbero perciò scaturire da questo processo delle identità il più possibile rinnovate dalla cultura e dalla riflessività e libere il più possibile dai vecchi stereotipi, che segnano spesso la sopraffazione del maschile sul femminile. A questo proposito una particolare vigilanza viene raccomandata nei confronti dei modelli offerti dai MEDIA che rischiano di essere assorbiti dai soggetti in crescita a-criticamente.
La scuola è molto importante in questa fase della maturazione delle identità perché al suo interno gli alliev* hanno due compiti: “apprendere e crescere”. Crescere verso le PPOO è un compito dicevamo non semplicemente biologico ma “educativo”, auspicabile ovviamente che avvenga all’interno di una Istituzione deputata a far superare stereotipi e pregiudizi e ad aprire le menti, a fronte della famiglia di per sé “conservatrice”.
Tale maturazione culturale, che si sviluppa dalla identità sessuale biologica, si chiama appunto, come dicevamo, “identità di genere”.
Per le osservazioni esplicitate precedentemente risulta chiaro che in presenza di ”disforia di genere”, e non accettazione della identità biologica, i soggetti TRANS rivendichino in modo più o meno esplicito una identità di genere diversa da quella biologica assegnata dalla natura.

CONCLUSIONI
Spero ardentemente che Lei capisca, come altrettanto capisca la Ministra Roccella, che immagino la segua in questa miope rivendicazione soltanto ideologica, nel senso più retrivo del termine, che cercare disperatamente di affermare la propria autenticità psicosessuale, in presenza come dicevamo di una “disforia” molto dolorosa, non sia una passeggiata ma un percorso di grande sofferenza, interna , psicologica e anche fisica. In altre parole, NON E’ UN CAPRICCIO!!!
Lo dica anche a Luca Ricolfi, che penso vicino alle sue posizioni, anche se ieri sul Gazzettino si sia sforzato di essere equidistante, tra il “pro e il contro” nascondendo però una trappola. La trappola deducibile dal titolo molto ambiguo ”Sono le donne le vere vittime della teoria gender”…
Il riferimento “era a soggetti MtF (da maschio a femmina) che senza ancora transizione chirurgica, come atleti maschi, pretendono di gareggiare nelle competizioni femminili, sbaragliando le atlete biologicamente donne; oppure ugualmente detenuti biologicamente maschi che pretendono di essere ospitati in carceri femminili (con numerosi casi di stupro)”….
Che dire? Mi sono vergognata per lui…




Revisione Indicazioni Nazionali: l’assalto alla diligenza di Galli Della Loggia & C.

di Cinzia Mion

Operatori scolastici vi prego : state tutti con le orecchie alzate! Sono una vecchia dirigente scolastica in pensione e mi permetto di allarmarvi.

Il  Ministro Valditara e il suo entourage stanno per sferrare un attacco alle “Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del il primo ciclo”, testo che ha visto la sua prima stesura nel 2007, con il Ministro Fioroni.

Presidente della commissione che allora ha steso la prima versione del documento è stato Mauro Ceruti, allievo del grande Edgar Morin,  ancora prolifico nonostante la veneranda età.
Alla presentazione ufficiale  delle Indicazioni era stato invitato anche Morin stesso ed io mi sono “fiondata” a Roma, a quel tempo potevo permettermelo(!), per ascoltare e vedere da vicino il grande saggio di cui avevo letto uno scritto all’interno di una  raccolta di altre dissertazioni dal titolo “La sfida della complessità” (1985) a cura appunto di Bocchi e Ceruti, che mi aveva affascinato! Era presente tutto il Gotha (compreso Cerini) della scuola e non solo.

Sono tornata a casa gasatissima. Eppure ero già in pensione ma non avevo smesso il mio lavoro di formazione.
Nel 2011, presso una scuola dove ero stata dirigente, ho partecipato a Treviso ad un focus group organizzato da Cerini sulla rivisitazione delle Indicazioni per la scuola dell’infanzia, ricavandone ulteriore entusiasmo.
Nel 2012 ha avuto l’imprimatur la nuova edizione delle “Indicazioni nazionali”, a cura appunto di Giancarlo Cerini, spesosi sempre in nodo molto illuminato per la Scuola , soprattutto dei più piccoli, mancato di recente e che ci mancherà sempre.

Il “paradigma culturale della complessità” ha intriso di sé tutto il documento delle Indicazioni, rendendolo adeguato ai tempi per poter  affrontare da parte delle nuove generazioni, che abiteranno ancora più la complessità, la difficoltà della coniugazione delle logiche anche contrapposte (Morin) facendo in modo di tenere insieme, per esempio, “l’uguaglianza e la differenza” (cfr:”La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze”da : Premessa Indicazioni, primo paragrafo,Cultura, Scuola, Persona”)

Questo paradigma doveva in parte soppiantare quello precedente della “linearità” che obbediva alla logica binaria caratterizzata dalla “o” escludente: o bianco o nero, o vero o falso, ecc.
Nel caso preso in considerazione, alla luce delle dichiarazioni del Ministro:” italianità“ o ”non italianità”.

L’applicazione del paradigma della complessità richiede un “pensiero riflessivo”, molto impegnativo, che supera di gran lunga quello “riflettente” di semplice restituzione dei contenuti dei libri di testo o della lezione frontale, tanto cari a quelli che si stanno attrezzando oggi per attaccare le “Indicazioni”, e che è stato anche esaltato sempre da Galli della Loggia e dalla sua cerchia.
Insieme alla riflessività, che attraversa tutto il testo del documento, si rintraccia anche la l’importanza della competenza del “decentramento” del proprio punto di vista che risulta essere un altro filo rosso a partire dalla scuola dell’infanzia!
Il compito di monitorare l’applicazione delle Nuove Indicazioni è stato affidato a Italo Fiorin che ha curato molto bene e accuratamente, anche come Coordinatore del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni, il più recente testo (2018) “Indicazioni Nazionali e nuovi scenari”, su sollecitazione sia delle spinte dell’attualità, sempre più digitale,  sia della’Agenda 2030 che ha fatto uscire dallo sfondo il tema della “sostenibilità”.

Accanto a queste tematiche stavano anche emergendo problematiche derivanti dalle migrazioni e dalle difficoltà a fare interagire culture diverse, aspetto che spesso invece di essere agevolato da modalità corrette di “interculturalità” è stato cavalcato nel frattempo da alcune forze politiche al fine di creare scontri e sollevare rifiuti nei confronti delle “diversità” etniche, culturali e religiose.
Il nuovo testo ha affrontato questi scenari al fine di modernizzare il testo delle N.I. del 2012.

State “in campana” ragazzi (posso chiamarvi così?) perché stanno per scipparci una bussola fondamentale per la nostra scuola, bussola che ci indica la strada maestra per quella “riflessività” che potrà salvare noi e i nostri giovani futuri dal rischio di subire manipolazioni e farci trovare spiazzati e indifesi rispetto a tutte le complessità che abitano oggi il mondo. Tra le quali oggi compare “l’Intelligenza artificiale” che potrebbe aiutare la funzione del “problem solving” ma non di sicuro quella del “problem posing”. Essere in grado di problematizzare la realtà e i suoi eventi è una competenza che affonda le sue radici nella riflessività sofisticata tipica solo della mente umana ben coltivata.

Anche Edgar Morin recentemente ha fatto sentire la sua voce con un agile  pamphlet dal titolo emblematico “Svegliamoci” con cui intende salvare il PENSIERO che è a forte rischio di inaridimento.