Di cosa parliamo quando parliamo di ispettori scolastici

di Mario Maviglia

La vicenda del corpo ispettivo nel sistema scolastico italiano rappresenta l’apoteosi della finzione e dell’ipocrisia.
Nessun’altra categoria professionale nella Pubblica Amministrazione ha registrato nel tempo un  misconoscimento – nei fatti – così netto e radicale. Partiamo da alcuni dati di realtà che mutuiamo dall’intervento del collega Ettore Acerra (Sostenere le scuole autonome: la funzione ispettiva) contenuto nel testo Liberare la scuola. Vent’anni di scuole autonome, a cura di Marco Campione ed Emanuele Contu, Il Mulino, 2020.

Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso gli ispettori scolastici (allora denominati Ispettori Tecnici Periferici) erano circa 700; già nel 2001 erano diventati 440; attualmente sono 191 in pianta organica, ma alla data del 20 marzo 2020 quelli in servizio effettivo con contratto a tempo indeterminato sono 41 (a questi vanno aggiunti 10 dirigenti tecnici con contratto a tempo determinato nominati in base ai commi 5bis e 6 dell’art. 19 del DLgs 165/2001. I 56 dirigenti tecnici nominati ai sensi del comma 94 della L. 107/2015 hanno concluso il loro incarico triennale nel 2019).

Va sottolineato che il taglio degli organici ha riguardato tutta la dirigenza della PA ma con significative differenze: nel periodo dal 2001 ad oggi, ad esempio, il taglio dei dirigenti amministrativi è stato del 27%, quello dei dirigenti tecnici del 56%. In sostanza, gli ispettori scolastici sono diminuiti percentualmente in misura doppia rispetto ai dirigenti amministrativi. Un altro dato è ancor più significativo per considerare” il “peso” dei dirigenti tecnici all’interno della dirigenza pubblica: se si va ad analizzare l’indennità di posizione percepita dai dirigenti del MIUR in relazione alla “pesatura” dei diversi uffici definita dal decreto dipartimentale n. 11 del 6/03/2015, si può notare un andamento molto interessante. Infatti, man mano che si va dalla fascia D (quella meno retribuita) alla fascia A (la più retribuita) il numero dei dirigenti tecnici decresce progressivamente, mentre quello dei dirigenti amministrativi cresce, come si può evincere dalla tabella:

Fascia A Fascia B Fascia C Fascia D Totali
Dirigenti amministrativi 61 92 37 32 222
Dirigenti tecnici 1 39 62 89 191

Questi dati, nella loro ruvida materialità, restituiscono un’immagine quanto mai veritiera e suggestiva del grado di considerazione che l’Amministrazione e il decisore politico hanno nei riguardi della dirigenza tecnica. (Considerazioni simili potrebbero essere fatte anche a proposito della dirigenza scolastica che, almeno sul piano retributivo, ad esempio per quanto riguarda la retribuzione di risultato, registra significative differenze, in negativo, rispetto alla dirigenza amministrativa. Eppure pochissimi dirigenti amministrativi hanno un numero di addetti alle loro dipendenze equiparabile a quello di una istituzione scolastica di medie dimensioni).

Peraltro, tutto ciò avviene a fronte di una prosopopea normativa che – nella descrizione della funzione tecnico-ispettiva e a fronte dei dati riportati sopra – rischia di suonare tronfia. Infatti, se negli ’70 e ’90 poteva avere ancora un senso e un legame con la realtà quanto veniva stabilito dal DPR 417/1974 (uno dei decreti delegati, poi confluito nel DLvo 297/1994) nel descrivere la funzione ispettiva, oggi la medesima descrizione, contenuta nell’ultimo DM emanato in proposito (il n. 1046/2017),  appare quanto mai inverosimile e sganciato dalla realtà in quanto non considera le effettive forze in campo che possono realizzare gli impegnativi obiettivi ivi riportati.

Più nello specifico, il DPR 417/1974 all’art. 4 (confluito senza modifiche nell’art. 397 del DLvo 297/1994) stabilisce che “La funzione ispettiva concorre, secondo le direttive del Ministro della pubblica istruzione e nel quadro delle norme generali sull’istruzione, alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione, affidate alle istituzioni scolastiche ed educative. Essa è esercitata da ispettori tecnici che operano in campo nazionale, in campo regionale e provinciale. Gli ispettori tecnici contribuiscono a promuovere e coordinare le attività di aggiornamento del personale direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado; formulano proposte e pareri in merito ai programmi di insegnamento e di esame e al loro adeguamento, all’impiego dei sussidi didattici e delle tecnologie di apprendimento, nonché alle iniziative di sperimentazione di cui curano il coordinamento; possono essere sentiti dai consigli scolastici provinciali in relazione alla loro funzione; svolgono attività di assistenza tecnico-didattica a favore delle istituzioni scolastiche ed attendono alle ispezioni disposte dal Ministero della pubblica istruzione, dal sovrintendente scolastico regionale o dal provveditore agli studi; prestano la propria assistenza e collaborazione nelle attività di aggiornamento del personale direttivo e docente nell’ambito del circolo didattico, dell’istituto, del distretto, regionale e nazionale. Gli ispettori tecnici svolgono altresì attività di studio, di ricerca e di consulenza tecnica per il Ministro, i direttori generali, i capi dei servizi centrali, i sovrintendenti scolastici e i provveditori agli studi. Al termine di ogni anno scolastico, il corpo ispettivo redige una relazione sull’andamento generale dell’attività scolastica e dei servizi.”

Il DM 1046/2017, contenente l’Atto di indirizzo per l’esercizio della funzione tecnica ispettiva, è un corposo documento di 8 pagine e rappresenta un interessante caso amministrativo di libro dei sogni, assolutamente incurante delle concrete condizioni in cui si esplica la funzione ispettiva oggi in Italia.
Vi si dice che il contributo del Servizio Ispettivo Tecnico “risulta di particolare rilevanza, anche in un’ottica di armonizzazione con le politiche dell’Unione Europea, al fine di realizzare una valutazione di sistema basata su un’analisi della situazione della scuola italiana e della sua evoluzione, sulla individuazione dei punti di forza e di debolezza e sulla rilevazione delle criticità e delle eccellenze.”
Inoltre, nel contesto dell’autonomia, l’attività ispettiva “si rivela fondamentale strumento conoscitivo, valutativo e di miglioramento delle diverse realtà scolastiche.” Il decreto insiste in modo particolare sull’apporto che il Servizio Ispettivo dovrebbe dare nella realizzazione e sviluppo dei Sistema Nazionale di Valutazione, anche attraverso il coordinamento dei nuclei di valutazione delle scuole e il coordinamento dei nuclei di valutazione dei dirigenti scolastici. Ovviamente non vengono trascurati, ed anzi ne sono esaltati, le tradizionali funzioni che già assolvevano gli ispettori: supporto, assistenza, consulenza e formazione alle scuole nel processo di attuazione dell’autonomia scolastica; proposte e pareri sui temi dello sviluppo dei curricoli, della progettazione didattica, delle metodologie, della valutazione; partecipazione a gruppi di lavoro e organismi tecnici; collaborazione per l’efficace attuazione delle misure previste nel PNSD e ne PON; predisposizione delle prove d’esame conclusive del secondo ciclo di istruzione; assistenza alle scuole e vigilanza in occasione degli esami di Stato; controllo e verifica dei requisiti delle scuole paritarie; collaborazione alla realizzazione della formazione in servizio del personale della scuola; accertamenti ispettivi che si riferiscono a situazioni che riguardano aspetti didattici e organizzativi, contabili e amministrativi. Insomma, la funzione ispettiva viene disegnata a tutto tondo.

Ma facciamo due conti. Riferiamoci esclusivamente alla partecipazione degli ispettori al SNV. Abbiamo già visto che, ad oggi, i dirigenti tecnici sono complessivamente 51 (41 a tempo indeterminato, 10 a tempo determinato). Le istituzioni scolastiche funzionanti nell’a.s. 2019-2020 sono 8223 (comprese le sedi sottodimensionate, dati MIUR). Ad ogni ispettore afferiscono quindi 161 istituzioni scolastiche. È vero che la valutazione esterna delle scuole avviene su base campionaria, ma la valutazione annuale dei 7813 dirigenti scolastici (a.s. 2019-2020, dati MIUR) va fatta sull’intera popolazione e non su campione. Ipotizzando che ogni nucleo di valutazione debba valutare circa 20 DS, occorrono 153 nuclei; ogni ispettore dovrebbe coordinare circa 8 nuclei. Data l’impraticabilità di tale operazione, a fronte dell’organico degli ispettori, vengono utilizzati come coordinatori dei nuclei di valutazione dei DS anche dirigenti amministrativi, ispettori in quiescenza, e dirigenti scolastici in servizio e in pensione. Risulta evidente, da questi pochi dati, che l’attuale organico dei dirigenti tecnici non consente di assolvere ad una delle funzioni fondamentali previste dal DM 1046/2017.

È vero che si è in attesa dei bandi di concorso previsti dalla L. n. 159 del 20/12/2019, per il reclutamento di 59 dirigenti tecnici (a decorrere da gennaio 2021) e di ulteriori 87 a decorrere dal 2023. Con questi 146 dirigenti tecnici, uniti ai 41 già in servizio a tempo indeterminato, il numero complessivo degli ispettori in servizio sarà di 187, comunque inferiore ai 191 previsti dal DPCM n. 98 dell’11/02/2014 di riorganizzazione degli uffici del MIUR e della consistenza degli organici dirigenziali. Queste proiezioni sono peraltro oltremodo ottimistiche in quanto ad oggi non c’è ancora il bando per il reclutamento dei primi 59 dirigenti tecnici e se l’espletamento del prossimo concorso richiederà sei (6!) anni come l’ultimo avviato nel 2008 e concluso nel 2014, è facile prevedere che nel frattempo molti dei 41 dirigenti tecnici a tempo indeterminato oggi in servizio saranno già in pensione, considerata l’età media non certo bassa.

Insomma, da qualunque punto si esamini la questione, emerge un quadro a dir poco sconfortante riguardo l’effettiva considerazione di cui godono gli ispettori nel sistema scolastico italiano, al di là della retorica ministeriale. Molteplici sono le ragioni di questo misconoscimento, non ultimo il fatto che da sempre nel nostro sistema scolastico l’apparato burocratico-amministrativo ha da sempre esercitato un potere debordante, piegando alle sue logiche anche la dimensione tecnico-specialistica espressa dai dirigenti tecnici. Non è un caso che in Italia, in modo particolare, il servizio ispettivo è di fatto asservito a quello amministrativo e che non abbia mai preso corpo l’avvio di un servizio ispettivo autonomo, con una propria organizzazione, disciplina e budget. Vien da pensare che la cultura della valutazione e del controllo (di cui i dirigenti tecnici sono espressione, almeno per buona parte delle loro funzioni) non godano di grande stima in questo Paese, che non a caso è uno dei più corrotti al mondo.




Perché l’autonomia scolastica è fallita?

Un convegno promosso da Gessetti Colorati

Un convegno promosso da Gessetti Colorati

di Mario Maviglia

Sono vari i motivi che hanno portato se non al fallimento sicuramente al depotenziamento dell’autonomia scolastica in Italia.

 

1. Vi è stato in primo luogo un atteggiamento gattopardesco da parte dell’Amministrazione Centrale, impegnata (a parole) a favorire l’autonomia delle scuole, ma in realtà sempre più ossessivamente presente nella vita delle istituzioni scolastiche e non sempre per ragioni di supporto e di assistenza. In fondo, la vocazione centralista del nostro sistema scolastico non è stata mai definitivamente abbandonata. Negli ultimi anni in particolare le scuole sono state letteralmente sottoposte a vere e proprie forme di stalkeraggio burocratico con continue richieste di monitoraggi, relazioni, fornitura di dati, report et similia. In compenso l’Amministrazione ha riversato sulle scuole tutto ciò che poteva essere riversato in termini amministrativi e organizzativi.
La stessa istituzione delle reti di ambito (di cui alla L. 107/2015) può essere letta sotto questa luce, ossia come una ulteriore periferizzazione di una serie di incombenze amministrativo-contabili a carico delle scuole (vedasi l’organizzazione dei corsi di formazione a cura delle reti di ambito).
Va peraltro sottolineato che invece proprio sul piano del supporto su altri aspetti cruciali della vita delle istituzioni scolastiche l’Amministrazione scolastica (in tutte le sue varie declinazioni territoriali) ha dimostrato una grande fragilità mettendo in seria difficoltà la gestione del servizio scolastico da parte delle scuole (si pensi alla gestione delle graduatorie con aggiustamenti e ribaltamenti nel corso dell’anno scolastico, o alla gestione dei concorsi, o ancora all’assegnazione delle risorse finanziarie ecc.).
Difficile realizzare una matura autonomia in una situazione così caotica e problematica.

2. Probabilmente anche da parte delle singole scuole non vi è stata una adeguata percezione delle potenzialità sottese all’autonomia scolastica. C’è da chiedersi infatti quanto siano stati indagati e realizzati da parte delle istituzioni scolastiche i vari ambiti dell’autonomia richamati dal DPR 275/1999 (Autonomia didattica / Autonomia organizzativa / Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo / Reti di scuole / Iniziative finalizzate all’innovazione).
L’impressione generale che se ne trae (in mancanza di dati empirici ufficiali sulla realizzazione dell’autonomia, e anche questo è significativo) è che alle stesse scuole sia sfuggito il senso e la portata di queste innovazioni e che esse abbiano preferito percorrere i più rassicuranti sentieri dell’ordinarietà e della tradizione. D’altro canto, a discolpa delle scuole e dei suoi operatori, va detto che l’autonomia è prima di tutto una prospettiva culturale e su questo versante poco è stato fatto per formare il personale.
Operare in autonomia vuol dire condividere una certa idea di scuola e di apprendimento, fare gruppo, agire tenendo conto delle caratteristiche e peculiarità del territorio. In quali momenti del loro iter formativo gli operatori scolastici abbiano potuto formarsi su questi cruciali aspetti della professionalità è difficile capire. Uno dei tanti paradossi della scuola italiana è proprio questo: a docenti, dirigenti e personale tutto viene richiesto di operare in una dimensione collegiale e di sistema, ma nessuno si preoccupa di formare le persone a questa dimensione. La formazione universitaria dei futuri docenti è fortemente contrassegnata da un training formativo caratterizzato da azioni a forte impronta individualistica, e la formazione in servizio per i docenti di ruolo spesso trascura la dimensione collegiale.
Come può un processo di autonomia essere implementato e dispiegare le sue potenzialità se questi sono i presupposti?

3.  Anche la figura del dirigente scolastico merita di essere considerata all’interno della riflessione che stiamo facendo. Il DPR 275/1999 delinea, per la verità in modo implicito, una figura di dirigente in grado di dare sostengo e sviluppo ai vari ambiti dell’autonomia elencati sopra. Se però si analizzano i vari bandi di concorso per dirigenti scolastici e i corsi di formazione allestiti dall’Amministrazione scolastica nei confronti dei dirigenti nel periodo dal 1999 ai giorni nostri non sarà difficile scoprire che questi aspetti sono stati alquanto trascurati o trattati in una declinazione essenzialmente amministrativo-burocratica. Oggi il dirigente scolastico si trova soverchiato da incombenze le più disparate (sicurezza, privacy, trasparenza ecc.) che sottraggono tempo ed energie alle dimensioni più vicine ai temi dell’autonomia.
Nella migliore delle ipotesi abbiamo davanti dei tecnocrati che con grande fatica portano avanti l’impresa educativa, intrappolati in una rete di adempimenti ed emergenze che lasciano poco spazio all’eleborazione culturale e (non sia mai!) pedagogica, in questo perfettamente allineati con un management amministrativo ministeriale che sembra sempre più lontano dalla capacità di comprendere e interpretare i concreti problemi del sistema scolastico.
Ma può una scuola intraprendere convintamente e consapevolmente un itinerario di autonomia se la sua figura apicale appare così frastornata nella delineazione di un ruolo che necessariamente deve fare i conti con la promozionalità, la relazione, la comunicazione e la condivisione?

4. Infine non può essere sottaciuto il fatto che anche dopo l’avvio dell’autonomia scolastica non è stata contesualmente avviata la riforma degli organi collegiali, sintomo della difficoltà di dare un contorno più preciso alle istanze di partecipazione attraverso la ridefinizione del ruolo delle diverse componenti all’interno del processo di autonomia. Si è persa l’occasione – almeno fino al momento attuale – di dotare la scuola di organismi partecipativi a supporto dell’autonomia anche in relazione alla complessa gestione del sistema delle azioni previste dal DPR 275/1999, più volte richiamate. Si tratta di immaginare degli organismi che, pur favorendo la partecipazione, possano operare in un’ottica di semplificazione e di snellezza, senza le pastoie burocratiche che sono sotto gli occhi di tutti. Per concludere, non sembra esservi allo stato attuale una reale volontà di sostenere il processo di autonomia delle scuole. E d’altro canto le stesse proposte di regionalizzazione del sistema di istruzione rischiano di istituire tanti “ministeri regionali” ancor più oppressivi e soffocanti rispetto a quello nazionale. Il problema, come si vede, non è solo di ingegneria istituzionale, ma di natura culturale e civile e attiene al significato che si attribuisce al ruolo che la scuola dovrebbe esercitare all’interno della società attuale