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Il docente esperto: uno su cento ce la fa…

di Mario Maviglia

Prendete una delle categorie più vilipese in Italia, sia sul piano sociale che economico, ancorché – contraddittoriamente – più tutelata sul piano occupazionale. Si tratta di una professione più che dignitosa, ma sempre più oberata di impegni burocratici. Su questa categoria i vari Ministri che si sono succeduti nel tempo hanno sempre nutrito l’ambizione di lasciare un segno con le loro (spesso dannose) riforme. Nessuno che si sia mai preoccupato di creare le condizioni migliori per consentire a questi professionisti di svolgere il proprio lavoro in modo tranquillo e sereno, centrando l’attenzione sul compito principale che dovrebbe assolvere la loro ”azienda”, ossia la promozione e lo sviluppo dei processi di apprendimento e di socializzazione degli studenti. Nel tempo, anzi, le condizioni lavorative di questi professionisti sono andate viepiù peggiorando.

Oggi, attraverso una delle tante leggi che nulla ha a che fare con il mondo della scuola (Decreto Aiuti bis), viene inserito un meccanismo di “premiazione” dei docenti, che non trova eguali in altri contesti professionali, attraverso la creazione della figura dell’”insegnante esperto”, un super-docente dotato di grandi capacità, quasi taumaturgiche, soprattutto considerando l’iter che dovrà seguire per diventare “esperto”. Infatti il super-docente dovrà completare tre corsi triennali di formazione consecutivi e non sovrapponibili tra loro, con valutazione positiva. Questi docenti niciani non potranno essere più di 8 mila (poco più dell’1% del totale) e alla fine di questa eroica cavalcata formativa potranno meritatamente godere di un assegno annuale ad personam di 5650 euro all’anno, ossia circa 400 euro in più al mese rispetto ai colleghi non “esperti”.

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L’ipocrisia ai tempi della guerra

di Mario Maviglia

Chiedo scusa se questo intervento può risultare duro se non addirittura cinico. Mi difendo dicendo che quanto sta succedendo in questo periodo è ancora più duro e cinico.
Il conflitto tra Russia e Ucraina ha messo in luce una mole impressionante di comportamenti ipocriti a vari livelli.

1. Partiamo da quello più vicino al mondo della scuola.
Migliaia di bambini/e e ragazzi/e ucraini/e sono stati accolti (fortunatamente) in Italia come profughi e possono in tal modo avere protezione, assistenza e frequentare la scuola. Per accogliere i profughi ucraini vi è stata una mobilitazione di solidarietà come non si è mai vista in Italia, almeno per quanto riguarda i fenomeni migratori. Eppure nel corso degli ultimi decenni vi sono stati movimenti migratori che hanno massicciamente interessato il nostro Paese, ma non sempre l’accoglienza è stata così solerte e solidaristica, nemmeno nei confronti dei bambini, che pure provenivano da zone dilaniate dalla guerra (Afghanistan, Siria, Iraq, per citarne alcune). Anzi, alcune forze politiche hanno fatto del contrasto all’accoglienza dei migranti (anche provenienti da zone di guerra) la loro parola d’ordine.
Questo comportamento schizofrenico (ipocritamente schizofrenico) può essere spiegato, almeno in parte, dal fatto che i bambini provenienti dall’Ucraini sono bianchi, biondi, occhi azzurri, cristiani ancorché ortodossi, mentre quelli dei Paesi citati sono di pelle scura, capelli scuri, occhi neri, di religione musulmana. Vi sono sicuramente altre ragioni legate alla specifica posizione geopolitica dell’Ucraina e ai particolari rapporti che ha (o tenta di avere) con l’UE e i Paesi occidentali.

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Didattica a distanza e setting fluttuanti

di  Mario Maviglia e Laura Bertocchi

La scenografia nella didattica a distanza (M. Maviglia)

 Uno dei tanti effetti che la pandemia ha avuto in campo scolastico è stato quello di aver prodotto un radicale cambiamento nell’allestimento del setting educativo, intendendo con questo termine “l’insieme delle variabili che definiscono il contesto entro cui si svolge la relazione formativa”[1] (M. Castoldi, 2016) .
Tra queste variabili generalmente vengono ricomprese il tempo, lo spazio, le regole, gli attori, i canali comunicativi, ma anche le forme relazionali. La didattica a distanza ha cambiato le caratteristiche di tali variabili, anche se finora non si è molto approfondito e discusso questo aspetto che pure influenza in modo non secondario l’impresa educativa. Se ad esempio consideriamo le coordinate spazio-temporali si può facilmente constatare che un conto è fare scuola avendo come riferimento un setting strutturato con spazi ben identificabili (aule, laboratori, atelier, palestre ecc.) e dove il “controllo” del docente è ben delineato, un altro è gestire la lezione in spazi virtuali, come nella DaD, dove l’”aula” si scompone in tanti spazi individuali (l’immagine sullo schermo di ogni singolo studente) e la tradizionale scenografia scolastica (fatta di banchi, cattedra, lavagna o LIM, pareti più o meno addobbati, angoli, attrezzature ecc.) risulta completamente trasformata. Peraltro, va sottolineato che mentre nei tradizionali setting d’aula sono i docenti a definire – consapevolmente o meno – l’allestimento della scenografia in modo che sia funzionale al tipo di attività che vi si svolge e agli obiettivi che si vogliono conseguire, nella scenografia dettata dalle contingenze della DaD il “controllo” dei docenti risulta molto più labile e indefinito e comunque fortemente influenzato alla tecnologia.

Un altro aspetto da considerare è che nella “scenografia DaD” entra prepotentemente in campo il contesto familiare dei singoli studenti, sebbene attraverso il particolare e limitato occhio della webcamera.
Di fatto si entra nelle case degli studenti (e gli studenti entrano in quella dell’insegnante, se il collegamento avviene dalla casa di costui), si spia dentro. Questa deformazione dei confini del setting educativo determina problemi del tutto nuovi rispetto alla tradizionale gestione delle attività didattiche.

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Che disastro la scuola progressista! Non ci sono più gli ignoranti di una volta!

di Mario Maviglia

Un recente articolo dell’amico e collega Franco De Anna, apparso su queste pagine (Signora mia, non c’è più la scuola di una volta: la ragione astuta del sociologo illustre …e famiglia), mi offre l’occasione per tornare sull’argomento e sottolineare alcuni aspetti che mi stanno a cuore.

Comincio sottoponendo i lettori ad un piccolo test parascientifico (in Italia di scientifica c’è sicuramente l’evasione fiscale…): alzi la mano chi non ha mai sentito i seguenti mantra: “i guai della scuola sono iniziati con il ‘68”; “la scuola progressista è un disastro”; “la scuola media unica ha abbassato il livello di istruzione e favorito l’analfabetismo”.
Vedo che nessuno ha alzato la mano, come volevasi dimostrare. In effetti, periodicamente e in modo ciclico, i soloni nostrani lanciano i loro strali contro la scuola di massa, rimpiangendo un passato irrimediabilmente perduto dove la scuola era seria, i ragazzi apprendevano (e i treni arrivavano in orario, ma questo è un altro mantra…) e insomma lo spirito assoluto spargeva il suo sapere sulle vergini menti dei giovani (quelli delle classi abbienti, beninteso) preparandoli adeguatamente alla pugna e alla direzione del Paese.
Questa idilliaca, funzionale e rassicurante situazione (rassicurante per le classi abbienti, beninteso) è stata spazzata via dalla scuola di massa, ossia dalla innaturale pretesa delle classi subalterne di accedere al sapere e di occupare posti di potere prima riservati esclusivamente alle élite. Il punto di non ritorno di questo imbarbarimento etico-culturale è individuabile nell’istituzione della scuola media unificata che, aderendo a una deplorevole istanza democratica, ha messo insieme il figlio del villano con quello dell’imprenditore, Gianni con Pierino, quello col conto in banca e quello col conto con la giustizia.

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Come uccidere la formazione senza essere scoperti

di Mario Maviglia

Questo intervento vuole offrire una serie di utili suggerimenti a coloro che, a vario titolo, si occupano di formazione del personale della scuola e che sono mossi dalla comprensibile volontà di sopprimere ogni tentativo di renderla attuabile.
Parliamoci chiaro: la formazione in servizio è una  inutile perdita di tempo (e di soldi), soprattutto se riferita ad un sistema scolastico sano, avanzato, produttivo, eccellente come quello italiano, caratterizzato da risultati fuori dal comune, come emerge dalle classifiche internazionali (e infatti i risultati migliori si registrano al di fuori dei comuni italiani…), dalla grande cura che viene dedicata per far sì che nessuno si perda per strada (la dispersione scolastica in Italia è a livelli quasi zero…; il motto di tutte le scuole italiane infatti è No one left beynd), e da un corpo docente che sprizza salute da tutti i pori pedagogici ed esprime una preparazione professionale mediamente straordinaria e comunque non equiparabile a quella dei docenti degli altri Paesi avanzati.

Esiste anche da noi, ovviamente, qualche mela marcia, qualche docente che non sa fare il suo mestiere, ma il sistema è così solido che si riesce a risolvere queste criticità senza grandi difficoltà (ad esempio “sollecitando” il docente inadeguato a chiedere trasferimento ad altra scuola, e poi ad un’altra ancora e così fino all’età pensionabile. Il motto Nessuno resti indietro è da riferire ai docenti… ).

Tornando a noi, ci sono vari modi per uccidere la formazione senza farsi scoprire e lasciando credere alla UE e agli altri partner internazionali che nutriamo una profonda fiducia sul valore aggiunto della formazione e che quindi ci impegniamo a mettere in atto piani formativi di grande valenza pedagogica e didattica che contribuiscono in modo determinante ad innalzare il già altissimo livello di preparazione dei nostri docenti bla bla bla, bla bla bla… (cfr Greta Thunberg).

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Inclusione: forse per i dirigenti amministrativi ci vorrebbero 24 CFU

di Mario Maviglia

 Due interessanti e puntuali articoli scritti dall’amico e collega Raffaele Iosa e pubblicati su queste pagine (Nuovo PEI annullato: azzeccagarbugli e scuole in difficoltà, 16/09/2021; Il tempo della scuola; il tempo della disabilità, 20/09/2021), mi offrono lo spunto per analizzare un aspetto implicitamente presente nei due contributi (soprattutto nel secondo), che merita di essere ulteriormente approfondito e disvelato. Mi riferisco all’equilibrio che vi deve essere, nelle norme riguardanti l’inclusione scolastica, tra gli aspetti amministrativi e quelli pedagogici.
Raffaele Iosa fa un’analisi molto calzante sul significato del tempo all’interno della disabilità, un tempo segnato da attese, da terapie spesso coincidenti con il tempo delle lezioni, dalle tante angosce per un tempo che scappa via e che proietta il disabile in un’età adulta (vero banco di prova per i processi inclusivi in una società matura) carica di incognite e di preoccupazioni, soprattutto per i genitori.

Se non si tengono presenti questi aspetti di carattere pedagogico e sociale, il tempo diventa una qualsiasi nozione burocratica, sganciata dalla specifica realtà delle persone disabili (persone, prim’ancora che disabili) ed allora si entra nei meandri asfittici ed impersonali del diritto amministrativo, che tutto omogeneizza e rende opaco. In parte è quanto avviene con la CM 2044 del 17/09/2021 che fornisce indicazioni operative alle scuole dopo la sentenza del TAR Lazio del 13/09/2021 che annulla il nuovo PEI introdotto con DI 182 del 29/12/2020.

Ci vogliono competenze giuridiche adeguate per condurre un’esegesi dell’intera vicenda; ma qui vogliamo fare un discorso più generale riguardante lo stretto intreccio che dovrebbe esserci tra la dimensione giuridico-amministrativa e quella psicopedagogica, soprattutto in un campo come quello dell’inclusione dei disabili a scuola. E allora, mentre possiamo immaginare che il management ministeriale abbia una certa preparazione a districarsi all’interno della materia giuridico-amministrativa (anche se la vicenda della sentenza del TAR citata sopra fa nascere qualche dubbio in proposito), c’è da chiedersi che tipo di competenze abbia per interpretare in modo adeguato i fenomeni pedagogici. E d’altro canto, se non si hanno competenze anche in questo campo si rischia di trattare la materia dell’inclusione alla stessa stregua dell’adozione dei libri di testo o delle tasse scolastiche.

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L’on line e le sue vittime

di Mario Maviglia

I primi a scomparire dai radar della rete furono le persone di una certa età. Impossibilitati ad acquisire o a gestire lo SPID, furono man mano cancellati dagli archivi della Pubblica Amministrazione e dai vari servizi di gestione (acqua, gas, elettricità).
Non potendo fare acquisti on line (i supermercati ormai vendevano solo attraverso la rete), andarono incontro a situazioni di debilitazione fisica e mentale.
Ci fu un aumento significativo di decessi, ma, trattandosi di persone non riconosciute dalla rete, non venivano conteggiati nelle statistiche demografiche che attingevano i dati direttamente on line.
Per la prima volta in Italia il tasso di natalità registrò un avanzo positivo rispetto a quello di mortalità. Il Primo Ministro, in una conferenza stampa in TV a reti unificate, affermò, con orgogliosa emozione, che il Paese aveva ricominciato a crescere anche sul piano demografico e questo grazie alle politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità che il Governo aveva messo coraggiosamente in atto nel corso degli ultimi anni puntando decisamente sul valore della genitorialità come fondamento della vita sociale e civile nella piena consapevolezza del ruolo insopprimibile esercitato dalla famiglia nella società democratica ecc ecc.

Qualche giornalista aveva fatto notare che nel conteggio dei morti non erano compresi gli anziani sconosciuti alla rete. Il Presidente del Consiglio – proveniente dal mondo accademico filosofico –  aveva replicato, in modo assertivo e sicuro, che ciò che non esiste (in rete) non esiste ipso facto.
Il problema era ontologico, non demografico. E la polemica finì lì. Continua a leggere