Scuola: sorvegliare e punire. Problemi complessi, risposte semplici

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Mario Maviglia

Nel recente decreto Caivano, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 settembre scorso per contrastare il disagio giovanile e la criminalità minorile, vi sono alcune misure che riguardano anche la scuola e i minori. In particolare, viene introdotta la pena fino a due anni di reclusione nei confronti di quei genitori che si rendono responsabili dell’abbandono scolastico dei figli; gli stessi genitori possono andare incontro anche alla revoca dell’assegno di inclusione, qualora destinatari. Com’è noto, attualmente i genitori che si rendono responsabili dell’evasione scolastica dei figli rischiano un’ammenda di 30 euro, come previsto dall’art. 731 del codice penale.

Una vasta letteratura (anche ministeriale) ha dimostrato che i fenomeni di abbandono scolastico nascono in quelle situazioni caratterizzate da degrado sociale, economico e culturale all’interno delle quali le figure che dovrebbero esercitare una funzione educativa di guida e di sostegno ai ragazzi nel loro sviluppo di crescita (i genitori, in primo luogo) non appaiono in grado di assolvere adeguatamente a tale compito. Pensare che un inasprimento delle pene previste possa risolvere o attenuare un problema così complesso è pura utopia, o, forse più correttamente, astuta demagogia.

La lotta all’abbandono scolastico implica infatti il coinvolgimento di diversi soggetti istituzionali e richiede interventi di vario tipo che vanno dall’offrire opportunità di incontro e socializzazione nel territorio per i giovani; alla possibilità di esprimere i propri interessi sportivi, musicali, culturali, ludici, espressivi, di tempo libero ecc. in spazi socialmente definiti e organizzati; alla disponibilità di edifici scolastici accoglienti e attrezzati; a una didattica attiva e personalizzata; a misure di sostegno (anche economico, es. libri di testo o di consultazione gratuiti) per chi ha difficoltà sotto questo profilo; alla possibilità di fare ricorso ad educatori di strada per creare ponti tra contesti di vita dei ragazzi e ambiente scolastico. E altri interventi ancora, che prevedano anche il coinvolgimento del terzo settore o comunque delle agenzie educative e sociali radicate nel territorio e che possono esercitare una funzione di promozione sociale nei confronti dei giovani a rischio.

La lotta alla dispersione scolastica è tremendamente complicata proprio perché non è solo scolastica, anche se la scuola purtroppo talvolta vi contribuisce attraverso forme di didattica che non riescono ad intercettare gli interessi dei ragazzi. Quando a scuola si sta seduti per ore, o si susseguono i vari docenti in un carosello di discipline il cui senso sfugge ai ragazzi, quando ci si annoia o si ha la percezione che il tempo non passi mai, o quando non ci si sente coinvolti, motivati o ascoltati nella gestione dell’impresa educativa, è facile supporre che i ragazzi più fragili o problematici si sentano estranei e la tendenza all’allontanamento dalla scuola non è solo fantasticata ma agita. E questo soprattutto quando il contesto familiare e sociale di riferimento non appaiono in grado di sostenere e motivare i giovani nel loro processo di crescita e apprendimento.

Il decreto Caivano, per la verità, prevede il potenziamento dell’organico dei docenti nelle scuole del meridione caratterizzate da alta dispersione scolastica, ma il problema – lo ripetiamo – non è esclusivamente scolastico: è soprattutto sociale e se non si interviene su questo versante si rischia di fare il solito buco nell’acqua. Le misure repressive danno una risposta semplice a un problema complesso, anche se presentano il vantaggio (sul piano politico) di offrire all’opinione pubblica l’immagine di un intervento pronto e deciso, secondo il consolidato modello pavloviano S-R (Stimolo-Risposta). D’altro canto, questo paradigma repressivo sembra informare tutto il decreto governativo: il daspo urbano, ossia l’allontanamento obbligatorio da una città, prima applicato solo ai maggiorenni, adesso può riguardare anche i quattordicenni; si abbassa anche l’età per ricevere l’avviso orale del questore (da quattordici a dodici anni) a comportarsi bene per evitare il carcere da uno a tre anni. Insomma, le decisioni in materia dell’attuale Governo, come acutamente nota Giuseppe Rizzo, “ci riportano allo splendore di quei supplizi, come li chiamava Michel Foucault, ovvero al buio della galera per i minorenni.”[1]

Si tratta, com’è intuibile, misure che danno un vantaggio effimero, che placa momentaneamente la richiesta di giustizia o di ordine dei cittadini, ma passato il blitz del momento i tanti Caivano d’Italia rimarranno con i loro endemici, irrisolti problemi. Anzi, con un problema in più, come qualcuno ha ironicamente messo in luce: nel caso in cui i genitori, in base alle nuove norme, vengano effettivamente arrestati per abbandono scolastico, chi accompagnerà i ragazzi a scuola?

[1] https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/giuseppe-rizzo/2023/09/11/decreto-carcere-minori; M. Foucault, sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976

 




Diplomi facili e lacrime di coccodrillo

di Mario Maviglia

Puntuale come un orologio atomico di ultima generazione, ogni anno, a conclusione degli esami di Stato, scopriamo che alcuni istituti paritari registrano un andamento anomalo nel numero di diplomati. Una sorta di bolla speculativa ciclica, ampiamente prevedibile, drammaticamente tollerata. Il fenomeno è ben noto ed esiste da decenni; io stesso (quando ero in servizio come ispettore scolastico) presi parte come consulente tecnico, nel 2004, all’operazione “Diplomi no problem”, coordinata a livello nazionale dalla Procura di Verona (magistrato Papalia) e coadiuvai gli inquirenti ad Agrigento nell’indagine che interessò una delle 32 scuole superiori oggetto di indagine in tutta Italia.
Ecco perché è quasi commovente la meraviglia con cui i vari commentatori ancora oggi presentano notizie simili e desta empatica vicinanza la rituale promessa del Ministro di porre fine allo scandalo[1].

La rivista Tuttoscuola[2] dà un resoconto ben documentato di quanto è successo quest’anno in occasione degli esami di Stato 2023. I risultati sono stati ripresi dal quotidiano Repubblica[3], soprattutto in riferimento alla particolare situazione di alcuni istituti paritari della Campania, e segnatamente di Napoli.
Il meccanismo è molto semplice e, peraltro, del tutto legittimo, oltre che ampiamente noto. In sostanza, nel passaggio dalla classe quarta alla classe quinta (ossia, la classe terminale del secondo ciclo di istruzione) alcuni istituti paritari registrano un andamento del tutto anomalo nelle iscrizioni (la bolla speculativa di cui sopra).
In particolare, Tuttoscuola ha individuato 92 istituti paritari (che rappresentano il 6,5% dei 1.423 istituti paritari che portano studenti all’esame di maturità) dove gli iscritti tra il quarto e il quinto anno registrano incrementi che vanno da +1.500% a +6.800%. (Avete letto bene! Da  1.500 a  6.800% in più di incremento).

È facile immaginare che per questi istituti paritari gli esami di Stato costituiscono un vero e proprio business, e infatti il costo per conseguire un diploma va da 2.500-4500€  (sempre secondo i dati forniti da Tuttoscuola), ma in alcuni casi si arriva a 8.000 o addirittura 10.000 €.
Se a tutto ciò si aggiunge che tra recupero degli anni scolastici (da 1.500 a 3.000, più tassa di iscrizione da 300 a 500 €) ed esami di idoneità (da 1.500 a 3.000 €), c’è da chiedersi se questi istituti più che fornire istruzione non siano meri (e costosi) distributori di diplomi, con buona pace del “merito” così di moda in questo periodo. Questa situazione arreca danno non solo al sistema nazionale di istruzione in sé, in quanto “droga” il mercato (per usare una metafora economicistica), ma soprattutto a quelle scuole paritarie (e sono tante) che svolgono un lavoro serio e di qualità e che rischiano di essere percepite dall’opinione pubblica come centri di malaffare a causa di queste mele marce.

La cosa interessante, peraltro, è che le scuole “palancaie” sono ampiamente conosciute e dunque potrebbero (volendo) essere tenute sotto stretta sorveglianza, anche per quanto concerne il piano fiscale o altri aspetti inerenti il funzionamento.
Ma più in generale si potrebbero introdurre delle modifiche legislative per stroncare il mercimonio dei diplomi; una, ad esempio, potrebbe prevedere una percentuale massima di iscrizioni nelle classi finali in rapporto agli iscritti della classe precedente (10% in più?). Per essere concreti: chi ha solo 11 studenti in classe quarta può accogliere solo il 10% in più in classe quinta (ossia uno studente in più). In tal modo verrebbe rotto l’artificioso meccanismo dell’aumento degli studenti nel passaggio dalla classe quarta alla quinta e correlativamente il giocattolino del produci-soldi.
C’è da chiedersi però quale Ministro abbia voglia di intraprendere un’azione moralizzatrice di questo tipo, mettendosi contro gruppi di potere consolidati. Il problema è politico. Ed è per questo che l’anno prossimo, di questi tempi, saremo ancora qui a presentare e discutere i risultati scandalosi di questo mercimonio. Il merito può attendere.

[1] https://tg24.sky.it/cronaca/2023/07/29/diplomi-facili-ministero-indagine

[2] Tuttoscuola, Maturità, boom di diplomi facili, 14 agosto 2023 in https://www.tuttoscuola.com/maturita-boom-diplomi-facili-dossier/

[3]ttps://napoli.repubblica.it/cronaca/2023/08/25/news/scuola_la_campania_felix_della_maturita_facile_linvasione_dei_23_mila_iscritti_solo_al_quinto_anno-412181393/

 




L’educazione del giovane fascista si fa sul lago di Garda

di Mario Maviglia

Si scrive “campo estivo” si legge “formazione fascista”. È quanto emerge dall’articolo che Paolo Berizzi su Repubblica dedica al campo estivo organizzato dal 21 al 23 luglio 2023 sul lago di Garda da Gioventù Nazionale-Azione Studentesca[1]. L’iniziativa, giunta alla sesta edizione, è denominata Agoghè (ἀγωγή, guidare). Nel greco antico questo termine indicava l’ammaestramento degli animali; nell’antica Sparta veniva usato in riferimento al processo di addestramento dei ragazzi per prepararli a diventare maschi robusti sul piano fisico e pronti ad affrontare la guerra. (Agoghè è il titolo di una collana editoriale delle edizioni Passaggio al Bosco il cui editore Marco Scatarzi è stato uno dei relatori al raduno oltre che autore di un testo dedicato proprio a Sparta[2]. Passaggio al Bosco è la casa editrice “di riferimento dei giovani camerati che pubblica testi apologetici del fascismo, inneggianti al nazionalismo e alla difesa della razza bianca”[3])
Qualcosa di analogo era già stato organizzato lo scorso anno in una casa scout di Montecolombo, nelle colline riminesi, a cura dell’associazione Evita Perón (braccio “femminile” del movimento di estrema destra Forza Nuova)[4].

Il raduno organizzato quest’anno sul lago di Garda ha registrato l’autorevole presenza della Sottosegretaria del Ministero dell’Istruzione e del Merito, Paola Frassinetti, che non ha mai nascosto le sue simpatie verso l’estrema destra.
Da quel che è dato capire, queste manifestazioni riesumano, sotto mentite spoglie, le attività che il partito fascista organizzava tramite l’Opera Nazionale Balilla, istituita nel 1926, “con il compito di controllare tutta l’attività giovanile, all’interno di un apparato strutturato per fasce di età: Figli della Lupa (6-8 anni), Balilla (8-14 anni), Avanguardisti (14-18 anni), iscritti ai Fasci giovanili di combattimento (18-21 anni). Queste organizzazioni svolgevano attività ricreative, sportive e assistenziali, con lo scopo di inquadramento e indottrinamento dei giovani. Nel 1937 confluirono tutte nella Gioventù Italiana del Littorio (GIL), che aveva 8 milioni di aderenti e dipendeva direttamente dal segretario del PNF, Achille Starace. Nel 1941-42 il 99,9% degli studenti delle scuole superiori risultava iscritto a queste organizzazioni.”[5]
È facile immaginare che nel nuovo clima politico creatosi oggi in Italia queste manifestazioni, di chiaro stampo parafascista, abbiano maggiori opportunità di manifestarsi e addirittura di avere l’imprimatur di figure istituzionali.

Non abbiamo notizie sui programmi di formazione di questi campi estivi, ma, leggendo i documenti reperibili in rete e analizzando l’apparato iconografico disponibile, è facile inferire che tutto sia incentrato sull’esaltazione della forza e dell’obbedienza, parenti prossimi di quel mito della violenza studiato dagli storici[6] e ancora fortemente presente nelle organizzazioni di estrema destra. Un altro dato è il disprezzo verso la diversità, soprattutto di tipo culturale. È emblematico che nella colonia estiva di Montecolombo non venissero accettati i ragazzi stranieri. E d’altro canto il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, in un intervento tenuto al congresso del sindacato Confederazione italiana sindacati autonomi lavoratori (Cisal) il 18 marzo 2023, ha paventato il pericolo di una “sostituzione etnica” parlando di denatalità in Italia. Il terreno di coltura di queste idee è l’ideologia della supremazia ariana sulle altre razze, teorizzata tanto dal fascismo[7] quanto dal nazismo[8].

Nel campo estivo tenuto sul lago di Garda tutti i partecipanti erano di sesso maschile; il posto delle femmine, ça va sans dire, è a casa, ad accudire alle faccende domestiche e a procreare per la Nazione per evitare la “sostituzione etnica” di cui sopra.
Tra le attività proposte ai ragazzi, la parte da leone viene svolta dall’attività fisica, in tutte le sue varie forme: esercizi ginnici, gare, prove di resistenza e di coraggio. Per quanto riguarda la parte “spirituale”, è facile desumere che l’indottrinamento ideologico sia alla base degli interventi degli autorevoli relatori, tutti esponenti di estrema destra e soprattutto di Fratelli d’Italia (Frassinetti, Mollicone, Roscani, Punzio, Maschio, Donazzan, Scatarzi).
In maniera del tutto arbitraria e sapendo di fare una forzatura (ma qualche politico del passato aveva detto che “a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”[9]), possiamo immaginare gli argomenti prediletti da tali esponenti, almeno a livello inconscio: a) Dio, Patria, Famiglia; b) Credere, Obbedire, Combattere; c) L’olio di ricino e i suoi derivati; d) Gli ariani e i rapporti con le sottospecie umane; e) L’obbedienza come forma suprema di identità col capo; f) Vitalità della destra vs pappamollismo della sinistra; g) La violenza come atto naturale e viscerale di controllo politico[10]; h) Foibe e faziosità dei libri di testo; i) Gli eroi della RSI; j) La disuguaglianza contro l’omologazione.
La sottosegretaria Frassinetti avrà sicuramente tratto molti spunti che le torneranno utili per la gestione del sistema scolastico italiano. Le vogliamo solo ricordare un piccolo particolare che le consigliamo di condividere con i giovani che incontra nei campi estivi: l’Italia è una Repubblica democratica e antifascista nata dalla Resistenza.

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[1] P. Berizzi, Coraggio e addestramenti: così i campi estivi in stile ‘Sparta’ formano i baby-patrioti della destra meloniana, “La Repubblica”, 1 agosto 2023, https://www.repubblica.it/politica/2023/08/01/news/giovani_destra_meloni_campi_estivi_lago_di_garda-409685661/

[2] M. Scatarzi (a cura di), L’ esempio di Sparta. Storia, eredità e mito di una civiltà immortale, Passaggio al Bosco, Roma, 2021

[3] P. Berizzi, op. cit.

[4] C. Tadini, La “colonia estiva fascista” dove i bambini intonano inni patriottici e gli stranieri restano fuori,
https://www.today.it/cronaca/colonia-estiva-fascista-ravenna.html

[5] https://www.istitutostorico.com/la_fascistizzazione_dei_giovani

[6] E. Gentile, Storia del fascismo, Editori Laterza, Bari-Roma, 2022

[7]Oltre alle leggi razziali approvate dal regime fascista nel 1938, si veda il Manifesto della razza, pubblicato, con il titolo Il fascismo e i problemi della razza, il 14 luglio 1938 su Il Giornale d’Italia, e la rivista quindicinale La difesa della razza, diretta (5 agosto 1938) da Telesio Interlandi e pubblicata dal 1938 e fino al 1943

[8] R. Cecil, Il mito della razza nella Germania nazista. Vita di Alfred Rosenberg, Feltrinelli, Milano, 1973

[9]https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-06/pensare-male-altri-peccato-144959.shtml?uuid=Abb06WtH&refresh_ce=1

[10] M. Millan, Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista, Viella, Roma, 2014

 




Concorso ispettivo: chi ha tempo aspetti tempo

di Mario Maviglia

 Si farà? Non si farà?

È la domanda che in questi giorni attraversa imperiosamente l’Italia togliendo il sonno a tante persone. Sembra però che questa sia la volta buona: dopo tanta spasmodica attesa, finalmente si arriverà al dunque, qualunque cosa ciò voglia dire. Ma un po’ di cautela è d’obbligo; d’altro canto per fare le cose per bene ci vuole del tempo. Non dimentichiamo che anche il Padreterno (non so se rendo l’idea…) per fare il mondo ci ha impiegato sei lunghi giorni e al settimo si è addirittura riposato! Ed era Lui!
La domanda inziale non si riferisce al Ponte sullo Stretto e nemmeno alla lotta all’evasione fiscale. In fondo questi interventi sono quisquilie rispetto all’impresa titanica che attende il Ministro dell’Istruzione (e del Merito, non dimentichiamolo!): l’emanazione del bando di concorso per ispettori tecnici! (Anzi, più correttamente, per dirigenti tecnici con funzioni ispettive. Le parole sono importanti in un’epoca in cui tutto tende a confondersi e a slabbrarsi, qualunque cosa ciò voglia dire…).
Pensate che l’ultimo concorso si è concluso dieci anni fa, dopo un iter durato cinque anni.Non affrettatevi però a dire che è durato troppo o che è passato troppo tempo da allora! Fareste un torto alla vostra intelligenza. Se si vogliono fare bene le cose ci vuole il tempo che ci vuole, qualunque cosa ciò voglia dire… D’altro canto non pensiate che l’Amministrazione in questi lunghi dieci anni non abbia fatto nulla: ha elaborato idee, ha fatto studi e progetti, “è andata in giro, ha visto gente, si è mossa, ha conosciuto, ha fatto delle cose” (cfr. Ecce bombo).

Adesso sembra che tutto sia pronto per il bando che recluterà ben 146 dirigenti tecnici con funzioni ispettive.
L’attuale pianta organica degli ispettori prevede 191 unità a livello nazionale, quelli di ruolo ancora in servizio sono circa una decina. Nel corso di questi anni molti sono andati in pensione, qualcuno è passato a miglior vita, tanti hanno sposato i figli, magari hanno conosciuto l’emozione di tenere in braccio i nipoti. Così è la vita. Sareste comunque malfidenti a pensare che i 191 ispettori (sulla carta) siano pochi. Sì, è vero, i cugini francesi, con una popolazione scolastica appena superiore alla nostra, hanno 3789 ispettori [1], ma quelli sono ammalati di grandeur! (Anche se davanti a Bartali “si incazzano e le palle ancora gli girano…” cfr. Conte).
L’Italia ha fatto una scelta diversa, all’insegna della razionalizzazione delle risorse, della valorizzazione delle (poche) professionalità e soprattutto del risparmio (che però non ha riguardato in egual misura i dirigenti amministrativi… chissà perché). I 696 ispettori del 1989 sono diventati 440 nel 2001 fino ad arrivare agli attuali 191[2].

Andando avanti di questo passo, troverà finalmente attuazione quella storiella che racconta di un contadino che volendo risparmiare sulla biada da dare all’asino ne diminuiva progressivamente la razione finché il povero asino tirò le cuoia con grande disappunto del contadino: l’asino era morto proprio nel momento in cui aveva imparato a non mangiare… Il Ministro Valditara sicuramente conoscerà questa storiella.

Quando io ho cominciato a fare l’ispettore, nel 1991, in quel di Brescia eravamo assegnati cinque ispettori solo per quella provincia (quattro per la scuola primaria e uno per quella dell’infanzia, oltre ad altri colleghi che operavano a livello regionale presso la Sovrintendenza Scolastica). Oggi in tutta la Lombardia sono in servizio circa cinque ispettori per tutti i gradi scolastici. Quando furono istituite le Direzioni Regionali (all’inizio del 2000) tutti gli ispettori furono collocati funzionalmente presso gli USR; in Lombardia eravamo circa cinquanta ispettori: c’era la sede, ma spesso mancavano le sedie… Adesso le sedie sono in eccedenza.

Questo dimagrimento progressivo può avere varie ragioni, alcune del tutto inverosimili, altre più realistiche, anche se politicamente scorrette. Tra le ragioni inverosimili possiamo citare il risparmio della spesa pubblica. Gli ispettori in effetti costano, anche se non tutti mangiano poi così tanto… Comunque, calcolando una media di stipendio annuo lordo di 100 mila euro (per eccesso) si ha una spesa di circa 19.100.000 euro annui per tutti i 191 ispettori.
Il Sole 24-ore ha calcolato che un caccia militare F-35 costa all’Italia circa 99 milioni di euro (F-35A) e 106,7 milioni di euro (F-35B). La legge di Bilancio 2023 prevede una spesa militare del 2% del Pil corrispondente a 38 miliardi di euro all’anno (quasi il doppio dei 21,4 miliardi di euro spese nel 2019, prima della pandemia).
Se comprendiamo bene, all’interno delle varie voci di spesa della contabilità pubblica alcune sono in rialzo (spese militari) altre sono in ribasso (spese per l’istruzione). Non si tratta quindi di un problema di spesa in sé, ma di scelte politiche, di visioni del mondo, di concezioni etico-culturali.

Tra le ragioni (politicamente scorrette) possiamo sicuramente annoverare il fatto che da sempre il sistema scolastico italiano ha un’impronta fortemente burocratica e dunque i “veri” dirigenti sono quelli amministrativi, la spina dorsale del sistema. Che poi tale management ne capisca anche di curricula, di valutazione, di dinamica dei processi di apprendimento questo è del tutto irrilevante. Le figure tecniche, all’interno di tale sistema, sono considerate degli intralci o degli incompetenti o – nelle espressioni più avanzate – dei civil servant utili per dare un qualche supporto alla stesura della circolare di turno.

C’è poi una ragione più profonda, una sorta di spettro che si aggira per l’Italia (tranquilli, nulla a che fare con lo spettro che si aggirava nel 1848 in Europa…): lo spettro del controllo.
L’Italia è un Paese ontologicamente refrattario ad ogni forma di controllo (e, ovviamente, alle figure che lo interpretano). D’altro canto, ad un popolo che “devasta il territorio, imbratta, trasgredisce le regole, usa il bene pubblico come terra di nessuno, confonde sistematicamente il pubblico col privato”[3], le strutture che, almeno sul piano civile (diverso è il discorso per quello militare), sono adibite al controllo non possono godere di grande considerazione. Se poi questo “controllo” si fonda su dati tecnici è ancor più malvisto.

Detto in altre parole e trasponendo il discorso sul piano scolastico, avere un numero adeguato di ispettori che “controllino” le scuole o le supportino nella valutazione del servizio e nei processi di insegnamento-apprendimento, sembra che non interessi nessuno.
Ancor meno interessa avere un corpo ispettivo autonomo, con un proprio programma di lavoro e una propria struttura ordinamentale, secondo la proposta formulata qualche anno fa dall’Associazione Treellle[4], che si concretizzava nell’istituzione di una Direzione Generale per l’Ispettorato con funzioni di:
a) valutazione esterna delle scuole;
b) valutazione dei dirigenti scolastici;
c) ispezioni disposte per sospette patologie professionali individuali;
d) consulenza tecnica per il Ministero
e) autogoverno del corpo ispettivo.
Ma Santo Iddio, una categoria di professionisti così concepita rischia di sottrarre “potere” alla dirigenza amministrativa! E senza il faro giuridico-amministrativo onniveggente del management amministrativo il sistema scolastico è destinato ad andare alla deriva, in balìa del caos, del disordine, a non garantire le nomine dei docenti nei termini, a non indire i concorsi in modo regolare. Insomma, si rischierebbe di non godere più di quella paradisiaca situazione di ordine ed efficienza che ben conosciamo.

Ogni sistema umano, per quanto perfetto, ha i suoi difetti: il corpo ispettivo è uno di questi per il nostro sistema scolastico. Il concorso per dirigenti tecnici con funzioni ispettive può attendere.

[1] C. Evangelisti, I “corpi ispettivi” nella scuola francese. Un sistema articolato per garantire la qualità di tutte le scuole, Scuola7, n. 333, 14/05/2023

[2] E. Acerra, La funzione ispettiva nel sistema scolastico italiano, in A. Giannelli, M. Faggioli (a cura di), Concorso a dirigente tecnico 2021, Guerini e Associati, Milano, 2021.

[3] R. Simone, Il paese del pressappoco, Garzanti, Milano, 2005, p. 141

[4] Associazione TreeLLLe, Un nuovo Ispettorato per assicurare la qualità di tutte le scuole, Quaderno n. 14 dicembre 2017, scaricabile da http://www.treellle.org/files/lll/Quaderno%20Q14.pdf




Liceo Meid in Itali e Via della Se(t)ta

di Mario Maviglia

In questi giorni si è fatto un gran parlare del Liceo Meid in Itali, ma pochi hanno capito di che si tratta, a cominciare probabilmente dagli stessi proponenti.
Siamo venuti a conoscenza, per vie traverse e inconfessabili, dei progetti di istituzione di questo nuovo Liceo e qui ne diamo una sintetica descrizione. Alcuni aspetti possono apparire poco chiari, ma è normale in quanto ci si trova in una fase incoativa di elaborazione; la versione definitiva sarà sicuramente ancor più confusa e campata in aria.

Il Liceo Meid in Itali nasce dall’esigenza di valorizzare il patrimonio linguistico, culturale, enogastronomico e zootecnico del Bel Paese.
Tante eccellenze italiche (quasi tutte in mani straniere, per la verità…) meritano di essere esaltate per promuovere un nuovo Rinascimento italiano come crocevia di eleganza, bellezza, armonia, sviluppo, qualità e ricchezza. (Sembra che come immagine per rappresentare i primi tre aspetti eleganza/bellezza/armonia verrà utilizzata una foto – formato segnaletica – della seconda carica dello Stato).

Questo ambizioso progetto troverà una sintesi nel nascente Liceo Meid in Itali, unico nel suo genere nel mondo. In realtà qualcosa del genere è stato tentato anche negli USA, ma l’espressione High School Fatto in America suonava male e l’idea è stata subito abbandonata.

Ma vediamo nel dettaglio gli elementi salienti di questa nuova epocale avventura che lancerà l’Italia nel firmamento culturale planetario. (L’idea di chiamare Speis Sciatol Ciallenger questo lancio è stata scartata data la sfortuna dell’analogo lancio).
Il punto di partenza è costituito ovviamente dal riscatto della Lingua Italiana che verrà potenziata e depurata da tutti i forestierismi che la affliggono. Ecco perché la denominazione di Liceo Meid in Itali viene scritta in questo modo e non Made in Italy come taluni vorrebbero in spregio alla lingua del Manzoni.
Tutto deve essere scritto in italiano, plis! C’è solo un problema che i proponenti devono risolvere: nella compagine governativa vi sono non pochi ministri che tra celticismi, venetismi e brianzolismi non conoscono la lingua italiana.
Risulta difficile depurare la lingua nazionale da anglicismi e francesismi se non si provvede a pulirla anche da queste anomalie, sennò ciò che viene cacciato dalla porta rientra dalla finestra. Pota! E in effetti il Ministro della Cultura è cascato in  questa trappola, dichiarando (Ansa, 29 dicembre 2022): “Credo che un certo abuso dei termini anglofoni appartenga a un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana. E anche della sua lingua, che invece è ricca di vocaboli e di sfumature diverse.”
Parole sante! Ma forse una “scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana” alberga anche nella fertile mente del Ministro culturale, visto che il termine snobismo deriva da snob, un lemma non proprio italico; e l’espressione radical chic è formata da due parole, l’una inglese, l’altra francese. Prima di avviare l’ambizioso Liceo Meid in Itali è opportuno che l’establishment politico governativo vada in pellegrinaggio a Firenze per fare un lavaggio linguistico all’Arno…

Ma i nostri meidinitalisti già pensano a come rendere più abbordabile e popolare la lingua italiana e più al passo coi tempi: il congiuntivo verrà soppresso in quanto inutile zavorra; il pensiero ipotetico-deduttivo lascerà il posto al pensiero unico, più sobrio, maneggevole e soprattutto più manipolabile; il punto di domanda verrà tollerato solo nelle domande retoriche, per il resto basta credere e obbedire. Insomma, vi sarà una rivisitazione generale della lingua italiana che risulta essere la quarta lingua più studiata al mondo; chissà che non si cominci a studiarla anche in Italia…

Un po’ più complicato è capire cosa esattamente si prefigga di raggiungere il Liceo del Meid in Itali.  Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge (DDL S. 497 – XIX Leg, primo  firmatario Carmela Bucalo) si dice che mira a “formare una classe dirigente in grado di mettere a sistema opportunità e criticità con metodo, capace di puntare su solide competenze in economia, marketing, comunicazione, così come nel digitale, ma allo stesso tempo una classe dirigente che conosca il tessuto storico, sociale e culturale forgiato da storia millenaria”.
Insomma “una scuola superiore dove alla struttura liceale, con lo studio delle materie umanistiche dalla filosofia alla storia dell’arte, delle scienze matematiche, fisiche, giuridiche ed economiche si aggiunge l’approccio critico all’economia internazionale, e ai nuovi modelli di business.”

Per raggiungere questi obiettivi sono previsti i seguenti insegnamenti nel quinquennio:
1) per il primo biennio:
1. lingua e letteratura italiana; 2. lingua e cultura straniera; 3. storia dell’arte; 4. matematica; 5. informatica; 6. scienze naturali; 7. fisica; 8. scienze motorie e sportive; 9. storia e geografia; 10. diritto ed economia politica; 11. religione cattolica o attività alternative;
2) per il secondo biennio e per il quinto anno:
1. lingua e letteratura italiana; 2. lingua e cultura straniera; 3. storia dell’arte; 4. matematica; 5. informatica; 6. scienze motorie e sportive; 7. storia; 8. filosofia; 9. religione cattolica o attività alternative; 10. economia e gestione delle imprese del Made in Italy; 11. modelli di business nelle industrie dei settori della moda, dell’arte e dell’alimentare; 12. Made in Italy e mercati internazionali.

Queste ultime tre discipline sono le uniche non previste nel curricolo degli altri licei attualmente in essere, quindi vuol dire che solo questa tipologia di liceo è autorizzata a promuovere il Meid in Itali. Alcune domande sorgono spontanee:

  1. Nella relazione di accompagnamento al DDL S. 497 – XIX Leg. si dice che “Il cosiddetto Made in Italy è dato dalla creatività e dalla naturalezza, specificatamente italiana, con cui si spazia dalle specialità agroalimentari, alla moda, all’arredamento, al design, e che spesso traggono origine ed ispirazione dai nostri antichi mestieri. Questo insieme di eccellenze italiane deve essere messo a sistema, governato e potenziato.”
    Ma se questo è vero, allora tutti i licei dovrebbero promuovere il Meid in Itali. Perché limitarlo ad un solo liceo, dato il carattere trasversale del Meid in Itali?
  2. Gli altri licei cosa faranno? Promuoveranno il Meid in Roccacannuccia? O il Meid in Albisola Superiore, a seconda della località? Oppure il Meid in Ciaina, contribuendo in questo modo allo sviluppo di quella Via della Setta che tanto lustro può dare all’Italia? (Setta massonica, beninteso. L’Italia ha una certa esperienza in materia…).
  3. La terza non è un domanda, ma una constatazione: gli Istituti Tecnici e Professionali in questo discorso non sono presi in considerazione per un motivo molto semplice: non essendo licei non possono essere considerati vere scuole, ma – nella migliore delle ipotesi – simulacri di scuole. Sì, certo, sviluppano conoscenze, competenze e abilità di un certo livello, ma non sono pervasi da quello spirito gentiliano che solo dà senso alla realtà. Al più, possiamo considerarli serbatoi di manovalanza pre-intellettuale, riservati alle classi sociali gerarchicamente meno dotate. Più che del Meid in Itali possono occuparsi dell’Handmade…, pardon, dell’Endmeid.



Nuove figure docenti e circo Barnum

di Mario Maviglia

Dopo l’introduzione del docente tutor, sono previste altre rilevanti figure di insegnanti che animeranno la vita scolastica e daranno nuova linfa alla didattica. Siamo in grado di anticiparvi quali saranno queste nuove figure:

  • Insegnante counselor: sarà incaricato di dispensare consigli non richiesti ai colleghi su vari aspetti della vita scolastica e professionale. Al momento sembra non sia prevista la possibilità di offrire consigli anche sulla vita privata e intima dei docenti, ma non è escluso che ciò non possa avvenire in futuro anche in relazione ai risultati che verranno conseguiti nella fase di implementazione di questa figura.
  • Insegnante coach: come dice il nome, questo docente sarà chiamato a rimettere insieme i cocci delle scuole in quelle situazioni particolarmente degradate e disagiate e destinate allo sgretolamento se non vi è un adeguato intervento professionale. Il coach condurrà i colleghi verso le nuove frontiere della didattica rinsaldando i legami tra i docenti e facendo scoprire loro il valore della collaborazione e, in prospettiva, dell’amore universale come collante per la comunità educante. Sarà richiesto, come titolo indispensabile, la patente B.
  • Insegnante supporter: questa figura appare particolarmente importante in questo momento storico caratterizzato dalla visibilità e dalla popolarità. E in effetti il docente supporter ha il compito di andare in giro per il territorio per far conoscere la scuola e attirare nuovi clienti. Ogni scuola deciderà le forme più adeguate per raggiungere lo scopo, ma viene suggerito di non trascurare il contatto vis-à-vis (incontri porta a porta, volantinaggio davanti ai supermercati, omino sandwich, organizzazione di aperitivi di conoscenza ecc.).
  • Insegnante SE (Social Entertainer): ha lo specifico compito di tirar su il morale dei colleghi, facendoli divertire e proponendo un approccio positivo alla vita. Utilizza strategie di vario tipo: si veste da pagliaccio, racconta barzellette, fa giochi di prestigio. Questa figura risulta particolarmente importante in alcuni momenti rituali della scuola: prima di ogni Collegio Docenti, dopo i colloqui con i genitori, dopo l’incontro con i colleghi di dipartimento, tutte occasioni in cui il docente SE deve dimostrare tutta la sua perizia di intrattenitore ameno.
  • Insegnante per l’empowerment: si occupa di far esplodere le potenzialità dei colleghi fornendo loro suggestioni e illusioni circa la loro incontestabile importanza e bravura. Viene assegnato alle scuole poste nelle aree più depresse del Paese. Non agisce nei confronti dei docenti troppo grassi sennò l’esplosione di cui sopra potrebbe causare danni fisici. Titolo preferenziale per ricoprire l’incarico: laurea in ingegneria termonucleare o esperienza maturata nel campo dei cavalli fiscali.
  • Insegnante per l’IP (Inner Peace): l’obiettivo della pace interiore appare quanto mai necessario in quest’epoca convulsa e stressante. Il docente IP supporta i colleghi a trovare un giusto equilibrio interiore in modo che essi possano fondersi con l’armonia universale. Particolare cautela userà con i colleghi un po’ anziani affinché la pace interiore non diventi definitiva.
  • Insegnante MiI (Made in Italy): è incaricato di convertire tutta la strumentazione didattica, tecnologica e funzionale della scuola in MiI. L’approccio richiesto è di tipo pratico-operativo: talvolta basta correggere l’etichetta Made in China in Made in Italy; altre volte occorre andare più in profondità emendando tutte le dizioni non omologate: on/off diventa sì/no, power viene cambiato in potere, software viene emendato in programma per calcolatore elettronico. Richieste particolari competenze in onomatopea e aggiustamenti linguistici artigianali.
  • Insegnante humiliating: è una figura professionale che ha il compito di mettere in pratica la nuova Weltanschauung ministeriale in campo pedagogico. Infatti, tocca all’insegnante humiliating realizzare quel sano principio pedagogico valditariano che consiste nell’umiliare gli studenti che si sono resi colpevoli di gravi comportamenti nei confronti della scuola e/o dei compagni. Per questo incarico sono richieste specifiche competenze sul piano umano e psicosociale: essere molto cinici, dimostrare una buona dose di sadismo, abbondare in quella qualità che viene genericamente definita “stronzaggine”. È inoltre richiesta una buona padronanza nell’uso del cilicio, della verga e di un linguaggio non convenzionale (meglio se scurrile).


 L’introduzione di altre figure è allo studio degli organi competenti, che probabilmente avvieranno una consultazione per raccogliere proposte da parte dei docenti.
Gli insegnanti che non rivestiranno alcuna di queste funzioni (o altre già previste dall’ordinamento vigente) confluiranno nella categoria dei docenti pària, ossia l’insieme di coloro che svolgono il disdicevole compito di insegnare lingua, matematica, storia e tutte le altre discipline, guidati dall’insano convincimento che compito della scuola sia quello di promuovere i processi di apprendimento degli studenti..




Elly Schlein, la cultura, gli insegnanti 

di Mario Maviglia

 Avviso ai lettori: questo non è un articolo a favore o contro Elly Schlein. È il tentativo di fare un ragionamento di carattere generale sulla comunicazione in riferimento soprattutto al mondo della scuola, considerato che proprio sulla comunicazione gli insegnanti fondano la loro azione. Si presume quindi che essi siano in grado di gestirne il meccanismo di funzionamento e di comprendere la natura e il peso di ciò che si afferma.

Subito dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd, è apparso sui social un post – condiviso anche da parte del mondo della scuola – così concepito:

“Elly Schlein
Mega miliardaria
Figlia di un luminare
È cittadina americana, Svizzera [con la S maiuscola] e italiana
Ha fatto campagna elettorale per Obama
Vice governatore dell’Emilia Romagna
Bisessuale
Sensibile a tematiche del mondo lgbtq+
Ebrea aschenazita
Mai visto un povero
Mai vista una fabbrica
Mai vista una casa popolare
Mai lavorato
Sarà il nuovo Segretario del PD.
Secondo la dirigenza del PD è la persona giusta per avvicinarsi ai problemi del popolo e della classe lavoratrice!!”

Il post è interessante per quello che dice e per quello che vuole indurre a far credere al lettore. Innanzi tutto la sottolineatura che la Schlein sia “ebrea aschenazita” contiene un sottofondo velatamente razzista, se non antisemita. Nel citare un qualsiasi politico italiano (soprattutto se di sesso maschile) non si sentirebbe alcuna necessità di aggiungere che è “ariano” o “cattolico” o “cristiano” o “marrano”. Questo dato, nel contesto del post, non aggiunge nulla di significativo rispetto all’eventuale valore politico del personaggio se non come subdola sottolineatura denigratoria, del tipo: “e in più è anche ebrea aschenazita”.
Probabilmente non cambierebbe molto se la Schlein fosse “ebrea sefardita”, ma questa puntigliosa precisazione merita di essere segnalata perché il Regio decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n, 1728, “Provvedimenti per la difesa della razza ariana” (in sostanza la prima legge razzista emanata dal Regime fascista) si era limitato a distinguere tra “razza ariana” e “razza ebraica” senza ulteriori specificazioni.
La storia ha dimostrato che comunque questa “semplificazione” giuridica ha prodotto i suoi amari e mortali frutti (a strange and bitter crop, cantava Billie Holiday in Strange Fruit). In questo contesto stigmatizzare che una persona è ebrea vuol dire, consapevolmente o meno, che ci si rifà a quel panorama ideologico e questo, per un insegnante o un educatore, può essere “imbarazzante”, diciamo così.

Il fatto che la Schlein sia “mega miliardaria” si potrebbe liquidare con un liberatorio “beata lei!”. Ma il post vuole evidentemente veicolare altri messaggi, meglio specificati nella parte finale del post stesso. Il primo messaggio è che per essere un leader di sinistra occorre essere povero, nullatenente, meglio se con le toppe al culo (mi si conceda il francesismo). Insomma ci deve essere una identificazione non solo ideale con il proprio elettorato (immaginato ovviamente povero, nullatenente e con le toppe al culo), ma anche materiale.
La storia, in effetti è ricca di leader di origini popolari, se non povere: il padre di Mussolini era un fabbro, la madre una maestra elementare; il padre di Hitler era una guarda di frontiera dell’Impero asburgico e la madre una domestica. Non proprio “mega miliardari”, come si vede, ma ciò non ha impedito loro di creare quei “mega” danni che tutti conosciamo. C’è un ulteriore aspetto da segnalare rispetto alla ricchezza della Schlein. In un Paese come l’Italia che conosce un tasso di corruzione e di evasione fiscale tra i più alti tra i Paesi avanzati è alquanto strano che non ci si scandalizzi per fortune quanto meno sospette di certi personaggi anche pubblici e si vada invece a sottolineare lo stato di ricchezza di una persona che non ha altra colpa se non quella di essere nata in una famiglia ricca (con l’aggravante di essere “ebrea aschenazita”…).
Oppure si vuole inferire che siccome una persona è ricca non può comprendere i problemi del “popolo”. Anche in questo caso va registrato che finora questa comprensione del “popolo” non è stata poi così perfetta, a prescindere dalla Schlein; anzi, stando a quello che dice l’Istat, il numero di persone in povertà assoluta in Italia è quasi triplicato nel periodo 2005-2021, passando da 1,9 milioni a 5,6 milioni, ossia il 9,4% della popolazione. E tra i minori la povertà assoluta si è più che triplicata, passando dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021. E magari i governanti che hanno guidato l’Italia tra il 2005 e il 2021 hanno “visto un povero, una fabbrica e una casa popolare”, ma ciò evidentemente non è bastato ad arginare l’aumento così poderoso della povertà.

Sul fatto che la Schlein non abbia mai lavorato, ad esclusione del suo impegno politico, dalla sua biografia ufficiale emerge che si è occupata da sempre di cinema, scrivendo recensioni per alcune testate e blog e frequentando dal 2003 il Festival internazionale del Film di Locarno. Ha lavorato al documentario Anija-La Nave (Istituto Luce – Cinecittà) di Roland Sejko, che racconta la fuga collettiva dall’Albania verso l’Italia di migliaia di persone sulle grandi e piccole navi, ricevendo il premio David di Donatello come miglior documentario 2013. Nello stesso anno, gira un video-inchiesta con Pippo Civati sul tema dei fondi italiani non dichiarati in Svizzera.
Anche ammettendo che ciò non costituisca un lavoro, e dunque facendo rientrare la Schlein tra la schiera di coloro che non hanno mai lavorato, cosa pensare di quei tanti politici italiani che non hanno mai fatto in vita loro un “lavoro” diverso da quello del politico? (Tra questi ricordiamo la stessa premier attuale di Fratelli d’Italia, nonché Presidente del Consiglio, e l’attuale leader della Lega, nonché Vicepresidente del Consiglio e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti).

Sul fatto che sia bisessuale o sensibile alle tematiche del mondo lgbtq+ credo che non sia il caso di spendere parole in quanto si tratta di scelte personali che, peraltro, non vanno a comprimere i diritti degli altri, ma anzi ne allargano l’orizzonte.

Al di là di ogni considerazione politica, ciò che forse si tende a denigrare è il fatto che trattasi di una donna giovane, non convenzionale, autonoma, di vedute internazionali, di famiglia ricca. E poi è “ebrea aschenazita”, colpa non emendabile.

Detto questo, ognuno è libero di essere pro o contro la Schlein; ma almeno si cerchi di andare oltre il repertorio del qualunquismo e del pregiudizio, soprattutto da parte degli insegnanti. Ragionare è un processo cognitivo ancora attuale.