Concorsi scuola: istruzioni per rendere infelici

di Mario Maviglia

L’Italia è un Paese meraviglioso, vitale, ricco di creatività e di trovate genialmente concepite per complicarsi la vita, ma soprattutto per complicarla ai cittadini e a gli operatori dei vari settori. Prendiamo l’esempio del concorso per dirigenti scolastici, la cui prova preselettiva si svolgerà su tutto il territorio nazionale il prossimo 23 maggio.
Il bando (DD 2788 del 18/12/2023) all’art. 3 comma 9, con puntigliosa e leguleia precisione, ricorda che “la vigilanza durante le prove di cui al presente bando è affidata all’USR secondo quanto stabilito dall’articolo 9, comma 5 del DPR 487/1994”.
E che cosa stabilisce questo comma?
Semplice: “Nei casi in cui le prove scritte abbiano luogo in più sedi, in ognuna di esse è costituito un comitato di vigilanza, presieduto da un membro della commissione e composto almeno da due dipendenti di qualifica o categoria non inferiore a quella per la quale il concorso è stato bandito. I membri del comitato sono individuati dall’amministrazione procedente tra il proprio personale in servizio presso la sede di esame o, in caso di comprovate esigenze di servizio, anche tra quello di sedi o amministrazioni diverse.”

Ai più questo riferimento è passato inosservato, ma non a qualche USR che, in ossequio a quanto stabilito da questa norma del 1994, sta procedendo a nominare i comitati di vigilanza utilizzando i dirigenti scolastici in servizio in quanto appartenenti a “qualifica o categoria non inferiore a quella per la quale il concorso è stato bandito” (3 DS per ogni sede d’esame). Attenzione!
Qui si sta parlando del Comitato di vigilanza non della Commissione d’esame, ossia di persone che devono sorvegliare che i candidati non consultino libri, non utilizzino dispositivi elettronici (a parte il computer della sede d’esame per l’espletamento della prova preselettiva), non comunichino tra di loro ecc. Un compito, diciamo così, che non richiede una grande competenza dirigenziale e che qualsiasi addetto, anche di “qualifica inferiore”, opportunamente informato, può agevolmente svolgere. Ma la legge, ça va sans dire, va rispettata.

C’è solo un piccolo particolare da considerare: il concorso viene svolto proprio perché non ci sono dirigenti scolastici in numero adeguato (altrimenti non verrebbe bandito…), e quelli che ci sono, in questo periodo o sono già impegnati in analoghi concorsi (per il reclutamento dei docenti) o sono alle prese con le incombenze di fine anno scolastico. Si procederà, com’è prevedibile, con nomine d’ufficio, con inevitabili malumori tra i dirigenti “prescelti”.

Il Ministro in questo periodo è particolarmente attivo sul piano della comunicazione: ha annunciato la nomina di una Commissione per la revisione delle Indicazioni Nazionali; ha anticipato che sta lavorando per introdurre nuove forme di welfare per il personale della scuola per agevolare l’accesso a mutui per la casa o per prestiti personali o altri servizi bancari. Orizzonte Scuola del 20 maggio 2024 afferma che “a partire da martedì, il ministro Valditara inizierà un tour in tutta Italia per incontrare docenti, studenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Il viaggio ha l’obiettivo di promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza degli sforzi congiunti per migliorare il sistema scolastico. Valditara ha sottolineato che “una scuola che mette al centro le persone è fondamentale per la ricostruzione del paese”.

Senza affaticarsi così tanto, al Ministro basterebbe fare un tour per gli uffici del suo dicastero per individuare quegli elementi di disfunzionalità che creano così tante criticità nella vita delle scuole. Una di queste è proprio la norma che abbiamo citato prima sulla composizione dei Comitati di vigilanza. Le leggi possono anche essere cambiate, se si conosce l’impatto che hanno sulle istituzioni. Per la verità, anche l’aver fissato il 23 maggio come data per l’espletamento della prova preselettiva del concorso ordinario per DS denota una scarsa conoscenza dei vari adempimenti che le scuole italiane devono sbrigare in questa fase finale dell’anno scolastico. E considerato che il Ministro dichiara che “una scuola che mette al centro le persone è fondamentale per la ricostruzione del paese”, queste “disattenzioni” dimostrano una chiara disconferma di queste impegnative affermazioni, oppure una implicita insensibilità verso la fatica che le scuole devono gestire durante tutto l’anno ed in particolare nei momenti più ritualizzati come la conclusione dell’anno scolastico.




Revisione Indicazioni Nazionali: la mania di lasciare tracce

di Mario Maviglia

 Si sa ancora poco di cosa voglia fare esattamente il Ministro Valditara riguardo la revisione delle Indicazioni Nazionali del 2012, su cui dovrebbe lavorare un’apposita commissione di esperti. Per la verità, come osserva il Manifesto on line del 4 maggio 2024, già lo scorso 12 ottobre il Ministro, rispondendo in Senato a un quesito sull’insegnamento della storia e della geografia, aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per rinnovare la didattica: “La modifica della progressione dei contenuti, degli obiettivi e dei traguardi per le discipline di storia e geografia sarà valutata nell’ambito della revisione delle predette Indicazioni nazionali”.
Adesso che si conoscono i nomi dei componenti la Commissione e ci sono già le prime critiche, il Ministro ha dichiarato attraverso i social: “Si rilassino i contestatori e i polemisti di professione, non appena il decreto di nomina della Commissione di studio sarà registrato, sarà avviata una consultazione ampia del mondo della scuola.”

Lungi da me l’intento di rientrare tra i “contestatori e polemisti di professione” richiamati dal sig. Ministro, però vorrei sommessamente indicare a Valditara alcuni interventi che potrebbero “rinnovare la didattica” senza necessariamente intervenire sulle Indicazioni nazionali di cui, per la verità, non si sente la necessità.

Un primo intervento riguarda la qualità dell’insegnamento e dunque degli insegnanti. Il sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti attualmente vigente è quanto di più lontano si possa immaginare per garantire un rinnovamento della didattica. A parte la querelle sui 24/30/60 crediti per poter insegnare, dal sapore più kafkiano che pedagogico, siamo sicuri che i test siano gli strumenti più idonei per selezionare i migliori candidati docenti? Sono sicuramente molto “economici”, ma che siano in grado di conseguire l’obiettivo per cui vengono utilizzati è tutto da dimostrare. A ciò si aggiunga che la stessa individuazione dei commissari di concorso è diventata un’operazione quanto mai macchinosa e difficoltosa in quanto coloro che accettano questo tipo di incarico (docenti e dirigenti scolastici particolarmente masochisti) non sono esonerati dal servizio e questa prestazione aggiuntiva viene retribuita con compensi talmente irrisori che suonano offensivi.
Difficile che questo sistema sia in grado di selezionare i migliori docenti. E d’altro canto fare l’insegnante in Italia non è una professione così attrattiva, né sul piano economico né su quello sociale, come avviene in altri Paesi occidentali e non solo. Ecco una bella sfida che il Ministro potrebbe accogliere se volesse davvero “rinnovare la didattica”: valorizzi la professione docente!

Un secondo intervento riguarda la sburocratizzazione della scuola. Difficile forse chiedere questo a chi di burocrazia vive. Però ci solo livelli di decenza sotto i quali non si può scendere. Se il Ministro volesse passare alla storia potrebbe cominciare a mettere il bavaglio (non quello che la sua maggioranza mette alla stampa che nelle classifiche internazionali è passata dal 41° dal 46° posto in quanto a libertà) alla produzione di atti amministrativi rivolti alle scuole.
Misura ed essenzialità: questi potrebbero essere i principi guida dell’apparato amministrativo del MIM. E soprattutto: non molestare le scuole con richieste di dati che l’Amministrazione ha già, in un modo o nell’altro.
Certo, anche le singole scuole (e particolarmente i dirigenti scolastici) devono stare attenti a non andare oltre la misura del lecito nel processo di burocratizzazione. L’attenzione va rivolta al lavoro d’aula e alla cura dei processi di apprendimento, non alla produzione di rapporti, relazioni, verbali, progetti, piani et similia che nessuno legge. Ma l’esempio deve essere dato dal management amministrativo: il Ministro può fare molto sotto questo profilo, anche senza il supporto di alcuna Commissione…

Un terzo intervento riguarda la cura dei risultati scolastici e, dunque, delle azioni politiche da attivare a questo fine. Ogni anno l’Invalsi provvede a rilevare lo stato dell’arte delle conoscenze e competenze degli studenti delle canoniche classi filtro. Invece di elucubrare sulla possibilità di inserire i risultati Invalsi di ogni alunno all’interno della scheda di valutazione (decisione tecnicamente scellerata in quanto le prove Invalsi nascono con un altro fine), bisognerebbe considerare piuttosto tutti i risvolti “politici” dei risultati e su questo un Ministro avrebbe molto da dire (e da lavorare).
Così, ad esempio, se dall’analisi dovessero emergere situazioni particolarmente critiche su alcuni apprendimenti in determinate aree del Paese (come succede), il decisore politico dovrebbe farne oggetto di attenta analisi e provare a mettere in atto interventi di vario tipo per invertire la rotta.
Ad esempio, possono essere definiti interventi di tipo formativo per incrementare le competenze metodologico-didattiche dei docenti negli ambiti considerati, oppure l’adeguamento della strumentazione didattica o altri interventi di diverso segno. In ogni caso, il decisore politico dimostrerebbe di saper intervenire per tentare di dare una risposta ai problemi rilevati. Qui invece si interviene sulle Indicazioni nazionali senza sapere quasi siano i problemi rilevati.

È tipico di molti animali marcare il territorio per lasciare il segno della loro presenza; spesso si ha l’impressione che alcuni Ministri adottino questo comportamento etologico per marcare a loro volta la loro presenza, per lasciare traccia del loro passaggio.
E su come gli animali marchino il proprio territorio preferisco non approfondire.

 

 

 

 

 

 

 




E la chiamano estate … educativa

Stefaneldi Mario Maviglia

Vogliamo dare credito al Ministro Valditara e al suo Piano estate per il biennio 2023-2024 e 2024-2025. Sul sito del MIM il Ministro sostiene che l’obiettivo del Piano è quello di considerare la scuola come “punto di riferimento per gli studenti e per le famiglie anche d’estate, con sport, attività ricreative, laboratori o attività di potenziamento, ricorrendo a tutte le sinergie positive possibili, dagli enti locali alle associazioni del terzo settore. Una scuola che sia sempre più un luogo aperto, parte integrante della comunità per tutto l’anno, realizzando attività di aggregazione e formazione soprattutto per i bambini e i ragazzi che, in estate, non possono contare su altre esperienze di arricchimento personale e di crescita a causa delle esigenze lavorative dei genitori o di particolari situazioni familiari”.
Parole assolutamente condivisibili.
Il problema è valutare se le misure proposte (e i comportamenti del Ministero stesso) sono in grado di conseguire questi obiettivi tenendo conto della specifica realtà delle scuole, che hanno tempo fino al 24 maggio 2024 per avanzare la loro candidatura (l’adesione al piano è, com’è noto, su base volontaria).

 I tempi

Questo è già un primo problema, sia nel breve che nel medio periodo. Pensare che le scuole abbiano lo spazio mentale, prim’ancora che progettuale, di condurre una progettazione adeguata delle attività estive in collaborazione con le agenzie del territorio in questa fase conclusiva dell’anno scolastica (già affollata da altri adempimenti rituali) vuol dire non conoscere le scuole e l’affanno che vivono in questo periodo dell’anno scolastico, oppure considerare l’intero Piano come un’operazione per spendere soldi perché debbono essere spesi. A prescindere.

La durata biennale del Piano, peraltro, non dà alcuna garanzia che – esaurito questo arco temporale – le attività possano proseguire. Questo limite temporale del progetto e l’adesione volontaria delle scuole potevano avere senso all’interno di una esperienza controllata in vista di una generalizzazione nel prossimo futuro. Infatti è plausibile immaginare che anche fra qualche anno si porrà il problema di dare l’opportunità a quei “bambini e ragazzi che, in estate, non possono contare su altre esperienze di arricchimento personale e di crescita a causa delle esigenze lavorative dei genitori o di particolari situazioni familiari” di fruire delle attività previste dal Piano estate. La mancanza di una visione a medio-lungo termine (se non è dettata da verifiche empiriche che suggeriscano la necessità di abbandonare determinate scelte per gli accertati esiti negativi) rischia di trasformare queste iniziative in spot sospesi nel vuoto.

Peraltro i tempi così ristretti nella progettazione delle attività si trasformano, ancora una volta, in una sorta di tour de force per quelle scuole che intendono aderire al Piano. Un progetto di questo tipo deve essere annunciato a settembre, non nel mese di aprile. I tempi di reazione della scuola non sono quelli delle aziende private; al Ministero ciò dovrebbe essere noto.

Le scuole e i docenti

In che cosa si distinguono le attività proposte dalla scuola all’interno del Piano estate rispetto a quelle tradizionalmente realizzate dai centri ricreativi estivi gestiti dagli enti locali o da altre agenzie del territorio? O rispetto ad altre forme aggregative estive come summer camp, campi scout ecc.? La domanda non è peregrina per almeno due ordini di motivi: se non si definiscono le caratteristiche dell’offerta ministeriale rispetto alle altre proposte estive non si rischia di fare concorrenza a queste ultime?  E perché l’utenza dovrebbe scegliere le proposte della scuola, a parte gli eventuali vantaggi economici? L’altro aspetto riguarda la preparazione professionale dei docenti: essi sono “formati” per trasmettere conoscenze in modi più o meno formalizzati e attraverso percorsi più o meno strutturati, spesso privilegiando approcci comunicativi unidirezionali (la lezione); quando il Ministro parla di attività quali “sport, attività ricreative, laboratori o attività di potenziamento”, sembra alludere ad ambiti del fare e dell’agire non così presenti nella liturgia scolastica canonica. I docenti sono in grado di gestire attività di questo tipo al di fuori della ritualità consolidata che costituisce il loro normale contesto professionale?

Insomma, se i docenti affrontano queste attività da “animatori” o “educatori” evidentemente fanno riferimento ad una serie di competenze del tutto specifiche e personali, non certo istituzionali (e dunque non diffuse allo stesso modo all’interno delle scuole); se invece le gestiscono secondo le loro abituali competenze allora c’è il fondato rischio che vengano “scolasticizzate” con tutto ciò che ne consegue in termini di sostenibilità e appeal per gli studenti. Si può obiettare (giustamente) che vi sono tante scuole in cui l’approccio laboratoriale è fortemente presente e dunque non dovrebbero sorgere problemi nella gestione delle attività previste dal Piano estate; ma queste scuole aderiranno al Piano estate?

In realtà, se si va a leggere l’Avviso pubblico con il quale il MIM invita le scuole a proporre la loro candidatura per i “percorsi educativi e formativi per il potenziamento delle competenze, l’inclusione e la socialità nel periodo di sospensione estiva delle lezioni negli anni scolastici 2023-2024 e 2024-2025” (prot. 59369 del 19/04/2024) si ricava una generale impressione di impostazione fortemente “scolasticistica” e verticistica in ordine alla progettazione delle attività. E infatti vengono individuati 9 moduli di intervento: Lingua madre, Matematica, scienze e tecnologie, Lingua straniera (inglese per gli allievi della scuola primaria) Competenze in materia di cittadinanza, Competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare, Competenza imprenditoriale, Consapevolezza ed espressione culturale, Educazione motoria, Pensiero computazionale e creatività e cittadinanza digitali.
E se una scuola intende agire su altri ambiti in relazione alle specifiche esigenze della realtà in cui opera?

Per ogni modulo è prevista una durata di 30 e 60 ore, a scelta della scuola proponente, nel limite del massimale di spesa; i soli percorsi di lingua straniera possono avere durata anche di 100 ore. Viene specificato che “i moduli rappresentano l’unità minima di progettazione e sono contraddistinti da una specifica configurazione in termini di ambito disciplinare/tematico, durata e figure professionali coinvolte (alcune obbligatorie – “esperto” e “tutor” – e altre facoltative).”  Anche in questo sarebbe interessante capire se questo perimetro temporale scaturisce da un’analisi tecnico-scientifica riguardo lo sviluppo di un modulo o da ragioni amministrativo-contabili o da altre imperscrutabili ragioni. Definito un tetto di spesa (sulla base del numero di studenti iscritti ai moduli) le scuole non sono in grado di stabilire la durata dei moduli stessi? Non hanno il know how adeguato? Il MIM ce l’ha?

Più in generale, c’è da chiedersi che fine ha fatto l’autonomia delle scuole. Ma anche che fine hanno fatto quei “progetti che prevedono attività di potenziamento didattico, sportive, musicali, teatrali, ludiche e ricreative, a tema ambientale e, più in generale, tutte quelle iniziative che favoriscono la relazionalità, l’aggregazione, l’inclusione, la socialità, l’accoglienza e la vita di gruppo” richiamati dal Ministro nella nota prot. 56244 dell’11/04/2024. Sembra quasi che nel passaggio dall’ufficio politico del Ministro a quello del management amministrativo il Piano estate sia diventato un sottoprodotto della normale attività scolastica con lacci, lacciuoli e ammennicoli vari che ormai contraddistinguono la vita della scuola nell’impostazione mentale e operativa del MIM. Ma che problemi ha il Ministero con l’autonomia delle scuole? Ha paura che non siano in grado di partorire idee in autonomia? O teme che sperperino il pubblico denaro? Sembra che, parafrasando un incipit molto pericoloso, “uno spettro si aggira per viale Trastevere: lo spettro dell’autonomia scolastica.” Non sia mai!

Il territorio

Attivare “sinergie positive possibili” con gli enti locali e le associazioni del terzo settore per realizzare il Paino estate sembra costituire il mantra del Ministro. Prospettiva suggestiva, senza dubbio, e va sottolineato che non si parte da zero, anche se la situazione appare molto differenziata a livello nazionale, con punte di eccellenza e altre di grande difficoltà. Per la verità, perfidamente, si potrebbe far notare che è lo stesso Ministero a non ricercare queste “sinergie positive”. Infatti il DM 11/04/2024 n. 72 che lancia il Piano estate non sembra sia stato concordato con gli Enti locali; e d’altro canto, quasi contemporaneamente all’emanazione di questo decreto, il Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, in un’intervista ad un giornale nazionale, rassicura le famiglie e i Comuni che i centri estivi saranno finanziati anche nel 2024 con 60 milioni di euro. Un supporto concreto, dice il Ministro per la Famiglia, che si aggiunge alle attività estive organizzate dalle scuole. Insomma, nella compagine governativa non sembra esservi quella sinergia di interventi che pure viene richiesta alle scuole. “Fate quel che dico, non quel che faccio!”

La verità è che i rapporti con il territorio rappresentano un rebus molto complicato e le “sinergie” non si creano in un mese. Non è un caso che lo stesso Ministero è ondivago al riguardo. Infatti, mentre nelle dichiarazioni ufficiali (sito web MIM) si dice “nell’ambito dell’autonomia organizzativa di cui dispongono, le istituzioni scolastiche potranno ulteriormente arricchire l’offerta del Piano Estate, singolarmente o in rete tra loro, grazie alle alleanze tra la scuola e il territorio, gli enti locali, le comunità locali, le Università, le associazioni sportive, le organizzazioni di volontariato e del terzo settore, nonché attraverso il coinvolgimento attivo delle famiglie e delle loro associazioni”, nell’Avviso pubblico richiamato sopra si afferma, in maniera più lasca e indefinita, che “è favorita la collaborazione con gli enti locali, le associazioni del Terzo settore, le organizzazioni e i centri di volontariato, le associazioni sportive, gli attori del territorio, le comunità locali, gli enti, le università e i centri di ricerca, nonché il coinvolgimento attivo di studenti universitari e delle famiglie e delle loro associazioni”. Anche in questo caso troviamo una progressiva diminutio nel passaggio dalle enunciazioni di principio alle istruzioni operative.

Probabilmente il Piano estate produrrà buoni risultati grazie all’impegno e alla competenza delle scuole che vi vorranno aderire. Ma quanta fatica e quanto merito ci vuole per educare un Ministero dell’Istruzione e del Merito!

 

 

 

 




Fissiamo un tetto alle sgrammaticature di Valditara

di Mario Maviglia

Ha ragione il Ministro Valditara a scagliarsi contro chi ha stigmatizzato i suoi errori linguistici contenuti in un tweet in cui parlava della necessità di costituire classi con la maggioranza di italiani, allineandosi alle posizioni del suo capopartito Salvini, nonché Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture.

Questa vicenda ci fa capire tante cose interessanti:

  • Valditara dice: “Quando si detta un tweet al telefono non si compie un’operazione di rigore linguistico e si è più attenti al contenuto”. Verissimo! Però dall’altra parta del telefono ci si aspetta che chi prende la telefonata (ossia un collaboratore di Valditara, da lui stesso scelto, immaginiamo) abbia almeno la licenza di scuola media…
  • Il Ministro del Merito aggiunge che il processo di assimilazione degli alunni stranieri “avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano…”. Ecco, sarebbe opportuno che anche Valditara e l’ignoto suo collaboratore potenziassero a loro volta il loro italiano. La lingua italiana sarebbe loro grata.
  • Secondo il Valditara-pensiero (preso a prestito dal suo capopartito Salvini) questo processo di assimilazione degli studenti stranieri avverrà “se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana…” [Si noti la finezza sintattica di quel “si insegni”, una vera chicca e licenza poetica. Non è ancora licenza media, ma la strada è tracciata. Con il potenziamento di cui sopra ce la possiamo fare…].
    Ma qui il Valditara-pensiero denuncia qualche défaillance (tranquillo, sig. Ministro: vuol dire “debolezza”): infatti i risultati peggiori – almeno stando alle classifiche internazionali come OCSE-PISA – gli allievi delle scuole italiane li conseguono nelle scuole superiori dove la presenza degli alunni stranieri è più bassa. E allora come la mettiamo? Forse questa necessità di “approfondimento” non riguarda solo gli studenti stranieri, ma anche e soprattutto quelli italiani.

  • Senza nascondere una certa stizza, il Ministro (Valditara, lo dobbiamo specificare sempre sennò sembra che si voglia parlare del suo capo, Salvini…) fa notare “ai tanti critici dall’indignazione facile, che in queste ore si stanno scatenando nella caccia all’errore, che così facendo ignorano la questione da me posta…”. Per la verità il Ministro (Valditara) e il suo capo (Salvini) sono i primi ad ignorare che la questione del tetto massimo degli alunni stranieri per classe era stata già oggetto di una circolare all’epoca del IV Governo Berlusconi, Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini.
    Si tratta della CM n. 2 dell’8 gennaio 2010, che fissava appunto al 30% la percentuale di “alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe”. Una circolare emanata quindi da un governo di centro-destra, come quello attuale.
    Ma è comprensibile che quando si hanno tanti tweet da fare o annunci da proclamare alla Nazione non si abbia poi il tempo di documentarsi rispetto al contenuto, quel contenuto che il Ministro (Valditara) dice di aver attenzionato a scapito della forma. Non si vuole essere cavillosi, ma qui, con tutta franchezza, sembra mancare sia la forma che il contenuto. È plausibile che ciò possa succedere al Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture (a proposito: da quando i Ministri di tale Dicastero si interessano in modo così insistente di politica scolastica? Il Ponte sullo Stretto non è già abbastanza impegnativo?), ma che un Ministro dell’Istruzione non sappia cosa ha prodotto il suo Dicastero in materia è abbastanza allarmante.
  • Volutamente abbiamo più volte parlato del Ministro Salvini come il “capo” del Ministro Valditara: non si tratta di una svista o di una nota polemica. Sia a proposito della vicenda della scuola di Pioltello che nel caso della percentuale di alunni stranieri nelle classi il la è stato dato da Salvini a cui si è accodato, come un mansueto cagnolino, o se volete come un coscienzioso corista, il Ministro Valditara.
    Insomma, sembra di capire che il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture detta la linea della politica scolastica e il Ministro Valditara la mette in atto con sottomessa dedizione.
  • Sempre a proposito di contenuti, è facile prevedere che una norma sulla percentuale massima di alunni stranieri per classe (20 o 30% che sia) non troverà mai attuazione perché richiederebbe una concertazione di azioni tra più soggetti istituzionali, come d’altro canto ben specificava la CM 2/2010 che sottolineava l’importanza di “realizzare le conseguenti intese tra soggetti disponibili sul territorio per una gestione coordinata delle iscrizioni dei minori stranieri fra l’Amministrazione scolastica, le Prefetture, le Province e i Comuni”. Difficile pensare che oggi sia possibile un’azione di tale complessità.
  • D’altro canto, sempre citando la CM 2/2010, “non va dimenticato che a influire sulla presenza più o meno significativa di minori stranieri in un determinato territorio contribuiscono sì le capacità attrattive delle scuole che in esso insistono, ma pure – e in termini non certo irrilevanti – le disponibilità di alloggio e le offerte di lavoro in esso presenti. Il che fa immediatamente emergere il ruolo cruciale che le prassi degli accordi e delle alleanze territoriali possono svolgere per affrontare i problemi suddetti.”

Di questi problemi non vi è traccia negli interventi dei due Ministri dell’Istruzione (Valditara) e del Merito (Salvini). E allora facciamo una facile e cassandrica previsione: qualora questa coppia di Ministri dovesse partorire una norma su questa materia, la responsabilità di accogliere o non accogliere gli alunni stranieri, rispettando la quota percentuale stabilità formalmente, ricadrà interamente sulle istituzioni scolastiche e i dirigenti scolastici resteranno, ancora una volta, col cerino in mano. Parafrasando Brecht, possiamo dire che si siederanno nella parte più disagevole perché gli altri posti saranno occupati.




Valditara: gravemente insufficiente

di Mario Maviglia

 Un caro amico, che non cito per decenza, mi ha omaggiato dell’ultimo libro del Ministro Valditara (La scuola dei talenti, Piemme, Segrate, 2024) con il vincolo di scriverci sopra qualcosa (il termine recensione suonerebbe troppo pretenzioso). Per una inveterata forma di buona creanza mi accingo a pagare il fio, abbandonando momentaneamente la lettura dei Vangeli apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Einaudi, Torino, 1969. Ci tengo a riportare i dati bibliografici completi di queste opere perché una delle cose che salta immediatamente agli occhi per chi è avvezzo a leggere saggi è la pressoché totale mancanza di riferimenti bibliografici nell’opera del sig. Ministro. Anche quando il sig. Ministro riporta passi testuali di altri autori (con tanto di virgolettato) non fornisce i riferimenti bibliografici. Ci si aspetterebbe di vedere la bibliografia completa nelle ultime pagine del volume, ma anche questa attesa va incontro a una cocente delusione.

La cosa è ancor più sconvolgente in quanto il sig. Ministro risulta essere professore ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità (SSD: IUS/18) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.[1] Ora, chiunque abbia dimestichezza con il mondo accademico (in quanto docente e soprattutto in quanto studente) sa che una delle principali raccomandazioni che i docenti fanno agli studenti è proprio quella dell’uso appropriato dei riferimenti bibliografici, tanto che ogni università di solito pubblica le norme redazionali per la scrittura della tesi (ma il discorso vale per relazioni scritte, rapporti di ricerca, essay ecc.), distinguendo financo tra stile continentale e stile anglosassone nell’uso delle citazioni bibliografiche.[2] Forse il sig. Ministro è da troppo tempo che non esercita la professione di docente universitario e avrà dimenticato questo costume.

L’opera (184 pagine, tutto sommato una lettura sopportabile) può essere definita una sorta di pot-pourri in quanto il sig. Ministro ha gettato l’occhio un po’ dappertutto, dando la sua versione sui vari aspetti della vita della scuola italiana (passato, presente e futuro) con alcune osservazioni ricorrenti che diventano dei veri e propri mantra:

  • Il Sessantotto ha distrutto la scuola con il suo voto politico e la teorizzazione della scuola facile e della “soddisfazione senza limiti dei desideri e la riduzione della felicità a questa continua rincorsa” (p. 138). Sarebbe interessante conoscere quanti studenti negli anni del Sessantotto hanno fruito del 6 o del 30 politico; io ho frequentato l’Università in quegli anni e non sono riuscito a fruire di questa opportunità. Altri compagni hanno vissuto lo stesso trauma.
  • Le riforme realizzate nel passato hanno fallito; l’attuale Governo di centro-destra è l’unico ad avere imboccato la strada giusta. Il sig. Ministro dimentica di dire che nel passato vi sono stati parecchi Governi a marca centro-destra, ma sembra di capire dal suo ragionamento che i danni maggiori siano stati fatti da quelli di centro-sinistra. Ad esempio la valorizzazione dell’istruzione tecnica e professionale è merito del sig. Ministro in quanto la “sinistra comunista e quella di matrice sessantottina, [hanno] variamente considerato la scuola tecnica e professionale come una scuola di classe, ovvero una scuola funzionale agli interessi della organizzazione capitalistica della produzione e del lavoro.” (p. 148). E dire che in Unione Sovietica le scuole più prestigiose erano i politecnici…
  • La scuola costituzionale è la scuola del merito, finalizzata a far sì che ognuno possa “tirar fuori i propri talenti e abilità” (p. 39) in sintonia con “l’idea di tipi multipli di intelligenza che si rivela molto utile proprio in ambito scolastico perché permette di differenziare la proposta educativa in base al modello di intelligenza individuale, che, detto altrimenti, è la predisposizione di una offerta formativa in linea con i talenti e le abilità di ciascun giovane” (p. 24). Il sig. Ministro cita esplicitamente Gardner a questo proposito. Il paragone evidentemente è pindarico ma forse il sig. Ministro ritiene che aver aggiunto “Merito” alla denominazione del suo Ministero fa della scuola italiana una scuola sintonica con la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Può essere imbarazzante in questa sede far notare al sig. Ministro che se c’è una scuola in Italia che effettivamente si è ispirata a tale teoria (per ammissione dello stesso Gardner) sono le scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, fondate da Loris Malaguzzi e a gestione comunale (amministrazione di centro-sinistra, detto incidentalmente…).[3]
  • Ciò che sta salvando la scuola italiana (e la salverà sempre più) è, nel dream martinlutherkinghiano del sig. Ministro, l’introduzione del docente tutor e del docente orientatore (D.M. 22 dicembre 2022, n. 328): il primo “in collaborazione con gli altri colleghi del gruppo classe, ha il compito di progettare una didattica personalizzata a seconda delle esigenze e potenzialità di ogni studente” (p. 41). Visto? Ci si stava incagliando nel penoso dilemma di come fare per realizzare (ad esempio nella scuola superiore) una didattica personalizzata e la risposta è a portata di mano grazie al sig. Ministro: la risposta si chiama docente tutor. Il docente orientatore, invece, ”ha il compito di raccogliere dal territorio le varie opportunità formative e lavorative e portarle a conoscenza delle famiglie e degli studenti per una scelta coerente con quelle abilità, con quei talenti che la scuola ha fatto emergere e valorizzato” (p. 42). Si raccoglie e si porta a conoscenza di famiglie e studenti e il gioco è fatto. Certe volte si pensa che i processi siano complessi e difficili da gestire (sarà la sinistra che instilla queste falsità?) e invece con piccoli accorgimenti tout va bien!

Vi sono poi delle chicche che vanno riprese perché testimoniano la profondità delle riflessioni elaborate dal sig. Ministro:

=la scuola facile (ereditata dal Sessantotto, ça va sans dire) ha portato alla scomparsa delle bocciature (p. 44), mentre nella scuola sognata dal sig. Ministro “le bocciature [vanno considerate] come uno stimolo e un rimedio” (p. 52).
Nulla da eccepire, ma alcune pagine precedenti sempre il sig. Ministro aveva evidenziato che i risultati scolastici più insoddisfacenti (ossia quelli che portano alla bocciatura) li ottengono gli studenti che provengono da contesti socio-economico-familiari disagiati ed anzi – aggiunge sempre il sig. Ministro – è compito della Repubblica (alias della scuola) rimuovere gli ostacoli che non consentono la piena realizzazione della persona umana (art. 3 Cost.). Ma allora, sig. Ministro, se continuiamo a bocciare quegli studenti che sappiamo già trovarsi in condizioni disagiate senza averle risolte (le condizioni disagiate) non si cade nella classica situazione del cane che si morde la coda?

= Parlando della scuola paritaria, il sig. Ministro afferma in modo perentorio che il significato di “senza oneri per lo Stato” (art. 33 Cost.) vuol dire che “lo Stato può finanziare scuole private, ma non è tenuto a farlo.” (p. 137). Fermi tutti! Chi parla è un professore ordinario di diritto, ancorché romano e dell’antichità, e dunque una qualche forma di cultura giuridica si presume che l’abbia acquisita. Pertanto, chiediamo al professore (non al sig. Ministro, in questo caso): “Professore, come mai la Costituzione non ha usato la sua espressione se voleva esprimere quello che lei ha espresso?” Il fatto che la scuola privata (ma più correttamente, dopo la legge 10 marzo 2002 n. 62, la scuola “paritaria”, sig. Ministro) sia finanziata dallo Stato è il risultato di una serie di compromessi politici trasversali che hanno portato a questa situazione, ma far dire alla Costituzione quello che non dice non è ammissibile, soprattutto da parte di uno studioso di diritto!

= Nel sottolineare l’importanza di tenere viva la memoria del passato e dunque di coltivare gli studi classici, il sig. Ministro annota: “Si è visto come persino[4] i più importanti personaggi della storia del Pci, da Gramsci a Togliatti a Concetto Marchesi, dessero allo studio della civiltà classica, della storia e delle letterature classiche un rilievo del tutto particolare” (p. 168). Persino loro! E voi, cari lettori, pensavate che i militanti del Pci si dedicavano solo a mangiare i bambini! E invece no! Si dilettavano anche di letteratura classica. Vabbè, magari prediligevano le favole di Fedro e di Esopo, quelle dove un animale mangia l’altro… Comunque sempre di letteratura classica si tratta.

=Nel ribadire saggiamente la necessità di educare l’io ponendo delle regole, il sig. Ministro statuisce che “la cultura della regola è stata messa in crisi fin dai primi anni di scuola con la svalutazione stessa della grammatica e della sintassi, che di quella cultura della regola sono un prezioso baluardo” (p. 89). Sì, lo so: qui occorre fare una profonda riflessione per capire il nesso tra la svalutazione della grammatica/sintassi e la crisi delle regole. Infatti, se questa “regola” fosse vera dovremmo dedurre che chi ha una buona padronanza grammaticale/sintattica della lingua è un buon cittadino in quanto rispetta le regole. I registri degli indagati sono però pieni anche di nominativi di persone che conoscono alla perfezione le regole della grammatica e della sintassi, un po’ meno le altre. Oppure le conoscono, ma preferiscono non rispettarle. Questo ragionamento va forse perfezionato, sig. Ministro. Almeno ci metta delle attenuanti generiche…

=E infine, il sig. Ministro prevede il futuro, anzi lo vede. Un po’ come lo storico e filosofo israeliano Yuval Noah Harari (citato dal sig. Ministro), che ha dedicato dei saggi proprio allo studio del futuro; ma Harari si limita a immaginare ipotetici quadri di come si potrà presentare la realtà nel prossimo futuro, il sig. Ministro invece questa realtà futura ce l’ha davanti, reale, ancorché solo in nuce. Forse è un sogno (in tedesco sogno si dice traum…).
Vediamo alcuni esempi:
a) coinvolgimento dei privati nell’edilizia scolastica, secondo il sistema del project financing (un privato costruisce una scuola e per un lungo periodo, anche 20 anni, gestisce i servizi scolastici (p. 162);
b) dal settembre 2024 le supplenze brevi saranno pagate in modo puntuale (p. 177);
c) lo studio del latino aiuterà lo sviluppo del ragionamento logico (soprattutto le regole grammaticali) nel percorso della scuola media comune a tutti (p. 180);
d) con l’ultimo rinnovo contrattuale sono state pressoché azzerate le distanze tra gli stipendi dei docenti italiani e quelli degli altri insegnanti UE (p. 133);
e) i docenti supplenti di sostegno possono permanere nella stessa scuola per tre anni, se la famiglia lo richiede e se l’insegnante è disponibile (p.102);
f) la scuola d’estate, oltre a offrire un eventuale potenziamento, deve soprattutto creare occasioni di ritrovo positivo organizzando attività sportive, teatrali, culturali, di educazione al lavoro, ludiche, a seconda delle varie fasce di età (p. 141); uno strumento praticabile per salvaguardare il potere d’acquisto dei docenti è il sostegno per l’affitto e i trasporti (p. 134);  occorre puntare sulla formazione dei docenti e sulla formazione in carriera di ogni  docente che deve essere obbligatoria e possibilmente accompagnata, per chi abbia conseguito buoni risultati formativi, da riconoscimenti economici e di crediti professionali (p. 49).

E infine la visione (sogno/traum) in assoluto più importante: la scuola è una priorità per l’attuale Governo (tutto il testo).
(Cari lettori, per favore, abbandonate in silenzio questa pagina. Il sig. Ministro sta sognando. Non svegliatelo… potrebbe avere un traum.)

[1] https://www.dg.unito.it/do/docenti.pl/Alias?giuseppe.valditara#tab-profilo
[2] https://www.cfs.unipi.it/wp-content/uploads/2018/05/CDS-FIL-Norme-Redazione-Tesi.pdf
[3] C. Edwards, L. Gandini, G. FormanI cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo, 2014
[4] Corsivo mio




Uso di smartphone e tablet: istruzioni per un inconclusive know how

di Mario Maviglia

Recentemente il Ministro Valditara ha annunciato che nell’ambito delle nuove Linee guida sull’educazione alla cittadinanza, in via di elaborazione, sarà “sconsigliato l’utilizzo anche a fini didattici dello smartphone dalle scuole d’infanzia alle scuole secondarie di primo grado. Per le scuole primarie è raccomandato invece l’utilizzo del tablet esclusivamente per finalità didattiche e inclusive” (sito web del MIM, 22/02/2024).

Non ci si lasci ingannare da queste scarne note; in realtà le nascenti Linee guida del MIM ridisegneranno in modo radicale il complesso delle competenze sociali e operative da sviluppare a scuola, fondando un know how classificato come inconclusive dalla moderna letteratura scientifica. Se ne può cogliere meglio la natura e la portata di tale importante innovazione analizzando le altre istruzioni che verranno fornite alle scuole tramite le Linee guida e che siamo in grado di anticipare in esclusiva:

– il cancello automatico della scuola andrà aperto pigiando l’apposito pulsante; se il cancello non è automatico verrà aperto manualmente;

– quando gli studenti entrano a scuola il cancello dovrà essere tenuto aperto; dopo che sono entrati verrà chiuso; quando sta per arrivare il dirigente scolastico dovrà essere tenuto semiaperto in modo da poterlo aprire repentinamente e senza indugio al suo arrivo;

– per salire le scale si supera uno scalino alla volta; il salto degli scalini è consentito solo a studenti e adulti con altezza superiore a metri 1,90 (in questi casi allegare tavola auxologica di De Toni a giustificazione della deroga);

– per aerare le aule è consigliabile aprire le finestre;

– all’interno dell’edificio scolastico le bibite devono essere assunte solo per via orale;

– la scrittura a mano va effettuata da sinistra a destra, anche per i mancini. Sono consentite deroghe per il disegno libero e per l’apprendimento dell’ebraico e dell’arabo;

– le tavolette di cera (rigorosamente made in ancient Rome) sono fortemente consigliate per l’apprendimento della scrittura;

dizionari, vocabolari et similia devono essere scritti per ordine alfabetico onde agevolare la consultazione da parte degli studenti;

– i libri di testo possono contenere anche immagini e non solo testo, in deroga alla loro infelice denominazione;

– le matite devono essere appuntite per poter scrivere. A tal proposito ogni scuola dovrà disporre di un numero sufficiente di temperini;

– nello svolgimento di attività di coppia i componenti non possono essere superiori a due;

– se agli alunni vengono proposti riassunti, è bene che il docente sia sintetico nello spiegare il compito; se vengono proposti elaborati scritti (temi, relazioni ecc.) i fogli devono essere bianchi, inizialmente;

– se, in base a quanto previsto dall’art. 4 del DPR 275/1999, il collegio docenti delibera che l’unità di insegnamento coincide con l’unità oraria della lezione, significa che dura 60 minuti; in caso di dubbio, prestare attenzione al suono della campanella;

– è vietato l’ingresso a scuola da parte di estranei, ad eccezione del dirigente scolastico reggente;

– è opportuno che gli studenti diano del “lei” ai professori; se sono presenti due docenti daranno del “voi”; se si riferiscono a docenti di altre classi useranno il “loro”;

– come detto, nelle scuole primarie è raccomandato l’utilizzo del tablet esclusivamente per finalità didattiche e inclusive; nelle scuole secondarie di primo grado invece i tablet possono utilmente essere trasformati, con opportuni accorgimenti, in tavolette di cera per l’uso di cui sopra;

– nella scuola primaria nell’uso del tablet accertarsi che il pulsante principale sia posizionato su on;

– fare uso moderato di termini inglesi a scuola: potrebbero portare sfortuna (il Liceo Made in Italy ne è un esempio);

Gli esperti del Ministero non nascondono la loro soddisfazione per il proficuo lavoro svolto che sicuramente sarà molto apprezzato dalle scuole per la chiarezza e la profondità delle indicazioni. Ma questo potrebbe essere solo un passaggio di un più vasto e quasi infinito programma di istruzioni da offrire alle scuole.
D’altro canto, come diceva Einstein, “C’è una differenza fra genio e stupidità. Il genio ha i suoi limiti.”




Valutazione nella primaria, si cambia: l’idea arriva dal salumiere di Salvini e dalla fiera della polenta taragna

di Mario Maviglia

Com’è noto la luce ha una velocità approssimativa di 299.792 chilometri al secondo. È un dato accettato dalla comunità scientifica, e deriva da una serie di dati, misurazioni, controlli condotti con una certa cura. Ma non è un dato immutatile. Nuovi dati, misurazioni e controlli potrebbero portare a stabilire un nuovo valore, accettato dalla comunità scientifica.

Questo ragionamento, in fondo banale, non ha molto senso se applicato alla politica scolastica. Con un emendamento presentato dal Governo alla Commissione Cultura e Istruzione del Senato del 7 febbraio u.s. (riguardante un DDL sul voto di condotta) si propone il ritorno ai giudizi sintetici, da ottimo a insufficiente nella valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria. Spariranno quindi gli attuali livelli di avanzato, intermedio, base e in via di prima acquisizione, introdotti dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2020, n. 41, e regolamentati dall’OM 172 del 4 dicembre 2020. Neanche il tempo di abituarsi al nuovo sistema e si cambia nuovamente. Più veloce della luce! Appunto.

Naturalmente il tutto avverrà senza che vi sia alla base una qualche ricerca empirica che evidenzi i motivi a giustificazione di questa decisione; ma in fondo questa ossessione di falsificare le conoscenze esistenti attraverso un approccio scientifico è un retaggio ottocentesco, di stampo positivistico. Vecchiume.
Oggi appaiono molto più pregnanti le sensazioni spannometriche del Ministro dell’Istruzione e del Merito o i commenti raccolti dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti che, in effetti, ha sentito dal salumiere sotto casa che la figlia (insegnante) dello stesso salumiere trova complesso e defaticante il sistema di valutazione introdotto con l’OM 172/2020 e che insomma sarebbe ora di cambiare.
Sempre il Ministro delle Infrastrutture (ma il dato non è confermato), durante la sagra della polenta taragna, svoltasi in Val Brembana, avrebbe raccolto lo sfogo di alcune mamme che si lamentavano della difficoltà di capire la valutazione ottenuta dai loro figlioli con il sistema vigente.

Questi elementi appaiono più che sufficienti per mettere mano all’attuale sistema di valutazione, anche perché, sempre più spesso, la politica vuole essere vicina alle esigenze dei cittadini, assumendo decisioni “di pancia”, quelle più autentiche, genuine, senza la zavorra di studi, ricerche, approfondimenti che allontanano sine die la presa di decisioni e rendono la scuola ostaggio  dei tecnici, degli esperti, degli studiosi, e, cosa ancora più grave, la legano pericolosamente al buon senso.

Qualcuno ha fatto notare che dal 1977 ad oggi il sistema di valutazione scolastica è cambiato ben 10 volte in Italia[1], e questo dimostra il grande dinamismo dei nostri governanti su questo specifico aspetto. In effetti, ad ogni cambio di maggioranza o di Ministro scatta questa forma di compulsione che porta il responsabile politico a cambiare strada, anche senza una meta precisa, a cambiare a prescindere, si potrebbe dire. Ciò che conta è cambiare qualcosa, per soddisfare l’impulso irrefrenabile volto al cambiamento.
C’è una visione poetica prim’ancora che politica in tutto ciò, ed è plausibile che il Ministro si ispiri al poeta Antonio Machado in questa ricerca del movimento (del cambiamento): caminante, no hay camino, / se hace camino al andar. Quanta profondità in questo verso! Quanta profondità nella decisione del Ministro! Che sposa in pieno questo anelito al cambiamento per il cambiamento, del cammino per il cammino. “L’esperienza del cammino non come movimento progressivo verso una meta, né come relazione visibile della partenza con l’arrivo, e neppure come piacere per il tratto già compiuto e ansia per quel che resta da percorrere, ma soltanto come esperienza tutta interiore di una condizione, che è insieme uno stato di sospensione e di conoscenza, e dunque come figura dell’esistenza umana stessa.”[2]
Si rimane abbagliati dalla profondità del sentire poetico-politico che sta alla base di questo modo di operare, che supera le anguste categorie spazio-temporali e i meschini legami con la realtà empirica, la ricerca, la comparazione dei dati e dei risultati, per librarsi nell’infinita vaghezza del pensiero.

Per la verità c’è un aspetto che non convince in tutto questo: se l’anelito quasi futurista al cambiamento, al movimento, al cammino è così irrefrenabile, perché aspettare i cambi di maggioranza politica o di Ministro per agirlo? Perché non metterlo in pratica anche quando cambia qualche sottosegretario o direttore generale?
Ma addirittura, perché non anche quando cambia l’usciere di viale Trastevere 76/A? Sì, è vero, questa proposta è oltremodo democratica e potrebbe essere tacciata di demagogia perché l’usciere non ha le competenze tecniche per prendere decisioni in tema di valutazione. Quelle competenze così debordanti e diffuse nei piani alti del Palazzo dell’Istruzione da essere quasi impalpabili ed evanescenti.

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/giudizi-sintetici-scuola-primaria-e-pagella-meta-anno-le-superiori-AFIbJkdC
[2] https://www.doppiozero.com/antonio-machado-viandante-non-ce-cammino