PNRR Scuola 4.0. Organizzazione dell’ambiente di apprendimento digitale e ruoli del docente

di Rodolfo Marchisio

 Premessa
Dopo aver sviluppato

si tratta ora di affrontare i temi relativi a

  • Organizzazione degli spazi e dei tempi e loro necessaria flessibilità in didattica che usi il digitale.
  • Diversi ruoli del docente. Il docente non solo ha un ruolo nuovo, ma deve imparare a giocare ruoli diversi.
  • Cosa intendiamo quando parliamo in modo insistente di cultura digitale, contrapponendola all’addestramento all’uso di uno strumento o ambiente, come compito della scuola e quindi anche dei progetti relativi al piano.

Cos’è un ambiente di apprendimento, come si articola e organizza? Quali sono i ruoli che il docente deve imparare a giocare quando propone un lavoro in ambiente digitale

PROGETTARE L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO DIGITALE

“L’ambiente di apprendimento rappresenta il contesto in cui gli allievi maturano le proprie abilità e conoscenze e sviluppano le competenze di Cittadinanza; esso è un elemento fondamentale per la realizzazione di percorsi educativo-didattici significativi. Per questo motivo, risulta decisivo dare una conformazione pedagogica all’ambiente di apprendimento. [1]

Didattica digitale: il web e le TIC come ambiente di apprendimento

Parole chiave: esplorazione, ricerca, relazione, comunicazione, collaborazione, condivisione, costruzione, ipertestualità, lavoro a distanza, capacità di valutare, capacita di scegliere, libertà di espressione. In rete l’intelligenza non sta solo nella mia testa ma nella testa di tutti coloro che interagiscono con me producendo esperienza L. Rosso. Si è quindi parlato a proposito del web di “Intelligenza collettiva” o “connettiva”.
S. Penge definisce l’apprendimento la “Capacità di impadronirsi di un ambiente”.

Le risorse digitali arricchiscono il contesto scolastico, aprendo una finestra sul mondo. Inoltre, costituiscono già un luogo di apprendimento implicito non organizzato e di esperienza fuori dalla scuola (dall’iperscuola di Calvani, all’ ambiente digitale come ambiente in cui viviamo come persone e come cittadini). È necessario inserire la rete e le TIC, quando utili e come esperienza di riflessione e conoscenza del mondo e della cittadinanza “digitale” a scuola e nel lavoro, anche in classe in modo organizzato e consapevole.
Per gestire al meglio gli strumenti e gli ambienti legati al web è importante, dopo uno stimolo iniziale (osservazioni, dati, letture, video…), riflettere e sperimentare insieme i seguenti aspetti:

  1. Conoscere insieme in modo critico, più informato e consapevole, il web nella sua evoluzione attuale, che già i ragazzi vivono “sulla loro pelle”. MI 2018.
  2. Riflettere insieme sulle potenzialità didattiche e formative, ma anche sui pericoli e punti critici della rete.
  3. Educare gli allievi a compiere scelte consapevoli e selezionare materiali e ambienti secondo fini e criteri concordati.
  4. Abituare ad utilizzare in modo critico, consapevole di vantaggi e limiti, gli strumenti delle nuove tecnologie, quando utili. Non saper fare, ma sapere quello che si fa.
  5. Far sperimentare la valenza sociale della rete (cittadinanza, diritti, dati, privacy…)
  6. Affrontare insieme la esplorazione delle potenzialità del web con curiosità, senso critico, ma senza paure.

NB Nelle attività di ricerca, in particolare in ambiente digitale, per le sue caratteristiche di continua novità e di vastità delle esperienze, ha poco senso un approccio trasmissivo da parte del docente, che a mio avviso va limitato al necessario (lessico, prime istruzioni di uso…); si può partire da stimoli (dati, letture, video, esempi) per riflettere insieme e poi verificare, attraverso la esperienza condivisa, le idee emerse. [2]

DIMENSIONE PEDAGOGICA- ORGANIZZATIVA

Spazi

“L’utilizzo flessibile degli spazi, la presenza di arredi e di strumenti adeguati, contribuiscono alla realizzazione di un ambiente innovativo.” ibidem

L’ organizzazione e la forma di un laboratorio, di una classe in cui si usi il digitale, prefigura e condiziona il tipo di didattica, le competenze e gli obiettivi da raggiungere:

1 – Una classe organizzata con 1 pc per banco ed un master sulla cattedra a fronte, riproduce il modello della lezione o esercitazione frontale e non favorisce la ricerca di gruppo.
2- Un laboratorio o una classe organizzata a isole di lavoro o coi PC a ventaglio contro le pareti, è la struttura migliore per una ricerca a gruppi o in piccolo gruppo e favorisce la supervisione dinamica e pro-attiva ed il coordinamento da parte del docente.
3- Un modello 1 (ragazzo) a 1 (PC) suggerisce compiti e lavori individuali, mentre un modello 1 PC 2,3 ragazzi propone una discussione ed una mediazione utile alla ricerca. Imparano a lavorare insieme.
4- La classe con la LIM (o simili) permette una lezione partecipata e animata, ma sempre con un solo protagonista per volta alla lavagna. In molti casi, più che ricerca si fa lezione partecipata e iper-mediale. Se non semplice proiezione.
5- Una classe con tablet portati da casa e modelli didattici a questo ispirati può evidenziare chi ha e chi non ha il computer, (mentre tutti o quasi hanno uno smartphone) e far emergere una frattura digitale interna alla classe (come successo in DaD).
6- L’alternanza classe/altri spazi, laboratori diversamente attrezzati, spazi comuni, classi con LIM condivise a rotazione, postazioni mobili sono soluzioni più economiche e flessibili di tutti i modelli unici (nessuno dei quali è auspicabile né sostenibile economicamente per tutte le classi del paese) e favoriscono l’uscita dalla dimensione esclusiva della classe.

DIMENSIONE METODOLOGICA: Esperienze e attività finalizzate allo sviluppo di competenze intellettuali e sociali attraverso la diffusione di metodologie didattiche. ibidem

 Digitale nell’apprendimento ——> Ricerca, esplorazione e scoperta

Il “digitale”, come ambiente di apprendimento, se usato in modo attivo, critico e avveduto, ci propone il metodo dell’esplorazione, attraverso gli “inviti operativi dei link[3]” di un mondo, virtuale e reale insieme, talora in modo inscindibile, che si intreccia in modo sempre più stretto col mondo e coi meccanismi che agiscono offline e spesso li condizionano: dal  punto di vista della conoscenza, della ricerca, dell’apprendimento per esplorazione e per tentativi ed errori, ma anche dal punto di vista personale.

I social network sono luogo di identificazione (oltreché di relazione). Molti dei processi tradizionali di formazione personale e crescita – > individuazione -> autonomia dei ragazzi si sono trasferiti in rete a cominciare dalla identificazione: chi sono? Come mi presento? Per proseguire con le relazioni, con l’immagine di sé modificata attraverso i feed back o la percezione del proprio ruolo nel gruppo.

Il modello della rete è un modello ipertestuale (la rete come metafora dell’ipertesto universale): ne consegue che il web non è una rete di computer (struttura) ma di persone e che le relazioni fra loro sono più importanti del singolo (“nodo”).

Collegare, connettere significa dare/trovare (spesso insieme) un senso alle cose (P.Levy).

Occorre per questo:
1- Che i ragazzi conoscano il web ed i suoi ambienti anche nelle loro componenti e dinamiche attuali: come funziona e perché funziona così. Semplificando: il potere su di noi dei GAFAM.
2- Che imparino a navigare senza perdere l’orientamento e quindi che sappiano tornare al punto di partenza e puntare sempre all’obiettivo della navigazione.3- Che sappiano altresì sfruttare strade, materiali, idee nuove che incontrano nella ricerca.
4- Che evitino di navigare a caso e senza meta durante il lavoro programmato.
5- Che realizzino/sappiano che dietro ad ambienti, siti e computer ci sono persone con le loro idee e emozioni e con le loro scelte (social, siti, piattaforme), ma anche imprese ed interessi molto forti che li sfruttano; quindi che quello che succede nel web “non è responsabilità della rete né degli algoritmi, ma delle persone che hanno scelto i criteri di funzionamento degli algoritmi”. Bauman

Ricerca e conoscenza

Il secondo metodo proposto dalla rete è quello della ricerca.
1- L’eccesso d’informazioni incontrollate formatosi in rete, richiede di costruire competenze di scelta, metodi di valutazione e validazione delle informazioni reperite, in quanto non sempre utili e affidabili e consapevoli che una informazione non è conoscenza se non validata e se non c’è riflessione. Si richiedono oggi maggiori competenze di mediazione da parte del docente.
2- È quindi necessario che la rete non diventi un luogo di saccheggio indiscriminato (copia e incolla, rispetto del copyright, nuove forme di copyright).
3- È altrettanto importante non confondere il metodo (la ricerca) con gli strumenti, per quanto potenti e complessi (Ricercare = Googlare?)
4- Infine  i ragazzi devono sapere che la rete di per se non ha compiti definiti, non ha regole e non è neutrale, ma gli algoritmi che gestiscono le informazioni (motori di ricerca privati), le app, le piattaforme (anch’esse quasi sempre private, anche nel mondo della scuola) rispondono a logiche  commerciali e non di conoscenza. Sta a noi trarre da questi e in generale dalla rete, le informazioni, i materiali, le idee utili formando nuove competenze.
5- E studiare e sperimentare alternative a questi monopoli.

Apprendimento cooperativo e condivisione
La dimensione sociale dell’apprendimento riveste un ruolo essenziale per la crescita della persona. ibidem

Il modello innovativo, accanto a quello dell’utilizzo puro (mail, ricerca attraversi motori, reperimento materiali), da cui è nata e cui si è ispirata l’introduzione del web nell’apprendimento è il modello del collegamento e della relazione fra persone, della condivisione che la rete facilita in modo asimmetrico nello spazio e nel tempo, della cooperazione sia nella ricerca, sia nella costruzione di prodotti, sia nella riflessione allargata e comune (Intelligenza collettiva – P. Levy – o connettiva – De Kerchove)[4] sia nella collaborazione a distanza. Se nella rete l’intelligenza non sta più solo nella mia testa ma nella testa di tutte le persone che interagiscono con me producendo esperienza ed apprendimento (L. Rosso) ha quindi un senso limitato, rispetto all’apprendimento, l’uso individuale a scuola di strumenti digitali, perché la situazione che il web propone e permette è, anche nel lavoro, una situazione di collaborazione.

Didattica laboratoriale.

Il laboratorio è un ambiente di apprendimento che permette l’attivazione di una didattica per competenze, sia quando è attivato in ambienti interni alla scuola, sia quando valorizza il legame col territorio. ibidem

Un laboratorio basato sul digitale deve:

1- prevedere azioni che consentano agli allievi di essere operativi. Non ha senso portare i ragazzi in laboratorio o trasformare la classe in laboratorio per poi chiedere loro ruoli passivi o puramente esecutivi.
2- Incoraggiare la ricerca e la progettualità. La didattica in ambiente “digitale” nasce da un progetto discusso e condiviso.
3- Rendere gli allievi protagonisti nel progettare, realizzare e valutare attività laboratoriali di ricerca e azione dentro e fuori la scuola.

 Imparare ad imparare (allievi e docenti).

Compito fondamentale della scuola è promuovere in ciascun allievo la consapevolezza del proprio modo di apprendere e del proprio cammino. ibidem
Anche in ambiente digitale è fondamentale oltre a quanto già citato, accompagnare gli allievi ad acquisire un proprio metodo di lavoro, di indagine, di studio, di uso delle TIC. E la consapevolezza di esso. Che anche il docente conquista attraverso la esperienza.

Nella seconda parte parleremo di:
Valutazione formativa
Valorizzazione e diverso ruolo del ruolo del docente
Valorizzazione delle esperienze degli allievi.
Inclusione delle diversità
Clima emotivo di classe
Il docente e l’ambiente emotivo della classe

[1]  Lo schema di questo contributo è dovuto al lavoro, oggi da me aggiornato ed integrato, del gruppo di Cittadinanza e Costituzione dell’Istoreto, allora coordinato da R. Marchis; in particolare questo schema è stato elaborato da F. Ceriani e R. Marchisio e discusso con L. Truffo, M. Carello, F. Bilancini e le altre colleghe del gruppo. Prendiamo a prestito lo schema generale per riflettere sulle implicazioni educative del Piano PNRR.

[2] Per “critico” intendiamo un atteggiamento che non si fermi alla apparenza o alla fruizione passiva, ma si interroghi su come funziona e perché funziona così quella piattaforma o parte del web e quindi sia consapevole dei limiti e problemi connessi sia a livello personale che di cittadinanza, formando autonomia di giudizio e di scelta.

[3] Dobbiamo il concetto di “inviti operativi” a M. Guastavigna.

[4] Intelligenza collettiva https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_collettiva
Intelligenza connettiva https://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo/l-intelligenza-connettiva-di-de-kerckhove/3331 https://www.treccani.it/vocabolario/intelligenza-connettiva_%28Neologismi%29/




Soldi, soldi, soldi: PNRR e Scuola 4.0 – Ma voi sapete cosa si sta decidendo nella vostra scuola?

di Rodolfo Marchisio

Le scuole sono sovraccariche in questo periodo, a causa della produzione di progetti – cfr. elenco di Stefanel – spesso legati al PNRR; non sembra tutti utili o realizzabili, né, a mio avviso legati ad una strategia esplicita complessiva che sia convincente, che vada aldilà della causalità:
soldi disponibili -> progetto -> soldi erogati.

Poiché almeno 3 filoni di finanziamenti hanno a che fare con la nuova iniezione di tecnologie digitali nella scuola e tutte con la formazione, se non con un modello di scuola, resta da definire qual è l’incastro temporale e funzionale delle varie iniziative in un progetto complessivo.
Per quanto riguarda il cosiddetto “digitale” riprendiamo l’analisi già introdotta e “curiosiamo”.
Almeno all’inizio parrebbe abbastanza chiaro.

Al fine di coordinare le misure di trasformazione digitale, ciascuna istituzione scolastica adotta il documento “Strategia Scuola 4.0, che declina il programma e i processi che la scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR con la trasformazione degli spazi fisici e virtuali di apprendimento, le dotazioni digitali, le innovazioni della didattica, i traguardi di competenza in coerenza con il quadro di riferimento DigComp 2.2, l’aggiornamento del curricolo e del piano dell’offerta formativa, gli obiettivi e le azioni di educazione civica digitale, la definizione dei ruoli guida interni alla scuola per la gestione della transizione digitale, le misure di accompagnamento dei docenti e la formazione del personale, sulla base di un format comune reso disponibile dall’Unità di missione del PNRR”. Semplice no?
Si tratta di 2,1 miliardi per Scuola 4.0[1] già stanziati in base al numero delle classi (l’elenco completo dei fondi assegnati). Più altri dedicati ai laboratori (Ist. superiori), Labs (elenco completo).
Chi ha meno di 100 mila euro o ha buon senso o fa la figura del poveraccio, mentre gli altri avranno da 125 a 500 mila euro.


Da dove vengono questi soldi?
Dal PNRR, in genere da fondi UE (compresi i fondi versati dall’Italia) e parzialmente (in genere 2/3) sotto forma di prestiti. Come farà la scuola a restituire questi fondi (parliamo di 125- 250 mila per scuola)? Ne vale veramente la pena o ci stiamo facendo prendere dalla furia “digitale è di moda” e del “tanto è gratis”?
Dice un “esperto”: “unica clausola inderogabile è non scendere sotto il target”. Esageriamo!

Il linguaggio
Ci serve un Project manager (di solito, almeno formalmente, il DS), uno o più progettisti, collaudatori, DSGA, animatore digitale (che vede aumentata la sua dotazione a 2000 euro), un team digitale, un supporto tecnico-operativo al RUP.
Dopo di che se hai dei dubbi puoi aprire “un ticket”.
Basta definire e rispettare il time sheet, il capitolato e il disciplinare.
Sorgono dubbi:
Check list DNSH in particolare con la scheda 3 ex-ante?
Sono iscritti su MePA, i prodotti devono avere la certificazione CAM?
È possibile caricare i file SOLO in formato p7m?

Chi lo scrive, chi decide.
Si stanno formando, talora scalzando i “desueti” Animatori Digitali, nuovi (reali, talora presunti) gruppi di tecnocrati e amministratori “specializzati”: dov’erano nascosti sinora? Hanno avuto una formazione sul campo?
Il DS è, spesso, il project manager, almeno formalmente e come remunerazione, mentre i progetti vengono elaborati da lui, dai docenti più esperti in qualità di “progettisti” o da AD e team. Spesso direttamente dal fornitore.  Un budget del 10% va a costoro (es. 15 mila su 150 mila). Spesso occorrono graduatorie e bandi per scegliere i vari ruoli ed i vari strumenti.

I genitori, gli allievi e il collegio talora non sono stati neppure consultati
E il progetto si blocca in C. di Istituto come segnalato da M. Guastavigna.[2]
Ma non era un progetto educativo per innovare la scuola? Non si dovrebbe partire dal progetto educativo e dagli OOCC?

Dubbi.
Voi incaricate già anche il collaudatore? Anche se non ha ancora nulla da collaudare (pertanto nulla da inserire in timesheet)?
Vorrei sapere se il KIT xxxx”, Kit xxxx”, il Modello xxxx e xxxx con schiena aperta, che i docenti di matematica hanno richiesto per implementare (sarebbe integrare, arricchire?) l’ambiente innovativo dedicato alle scienze, possono essere inseriti nelle spese per l’acquisto di dotazioni digitali(?)

Altri “filosofici”
Un carrello per spostare le macchine può essere considerato tecnologia digitale?
Un tavolo che fa da supporto alla robotica può essere considerato nel digitale?
Un carrello STEM vuoto va conteggiato?
Sicuramente sono tecnologie, ma ormai confondiamo tecnologia con “digitale” anche se non ci sono chip. Cfr. Treccani.
Si può fare una parete immersiva?[3]
Ma il vero dubbio da cui partire potrebbe essere “Quali sono i requisiti minimi che deve avere un ambiente per essere innovativo? Ci sono degli elementi che si devono obbligatoriamente inserire in un ambiente per essere innovativo? Gli aggettivi sono usati in libertà. Innovativo e digitale sono sempre più sinonimi.
Più concretamente:
Possiamo far ridipingere i muri?
L’esperto: si ma dipingendo soggetti digitali. (!)
E comprare le tende? Si, se servono a oscurare l’aula per proiettare.

Focus tecnocentrico.
Parola d’ordine “digitalizzare” (qualunque cosa voglia dire).
Puoi togliere solo per incrementare le attrezzature tecnologiche (Infatti è scritto dal 60% fino a 100%).

Scorciatoie
Affidare tutto ad aziende esterne, alcune, come sempre in passato, nate apposta, forniscono pacchetti con progetti, preventivi e formazione.
Il Pnrr scuola 4.0, in affanno, sta scivolando verso l’asservimento digitale al privato. L’ennesimo.
Si avvicina la scadenza (forse rimandata a luglio o ottobre fra polemiche: ci mangiamo le vacanze!).
Risposta: “meglio fare tutto prima. Adeguarsi ai pacchetti offerti dalle ditte (!) rispettare quel che “vogliono loro” (NdA ministero) e affidare alle ditte (!).
Poi qualcuno la contrabbanderà come una “rivoluzione digitale della scuola”. La misura della innovazione calcolata sul numero e sul costo delle tecnologie comprate.
Ma senza cultura digitale comprare macchine è buttare soldi dalla finestra, perché usare il digitale senza cultura è non solo pericoloso, ma diseducativo, non motivato e perdente.
C’è chi invita alla riflessione “Dispiace leggere e sentire in giro stupidaggini, anche da aziende che creano e offrono specchietti per le allodole approfittando del gap conoscitivo di molti docenti sull’argomento. Usiamo bene i soldi pubblici, studiamo, informiamoci con i colleghi che usano già ciò che vorremmo acquistare, scegliamo bene per noi e per i nostri studenti.
Che il PNRR sia anche un’opportunità di crescita professionale! Solo così avrà una vera ricaduta sulla qualità dell’istruzione nel nostro paese.
In effetti chi ha scelto di integrare l’esistente, spesso non utilizzato da tutti, sta facendo una scelta ragionevole. Chi punta agli effetti speciali digitali aumenterà il museo delle tecnologie dalla vita breve.

I “pacchetti”
Fioriscono seminari con esperti Google o altri fornitori. Non impariamo dai nostri errori e rimaniamo prigionieri degli stessi “padroni” da cui potevamo liberarci.

Osservazioni dopo una prima lettura.
Non viene spesso discussa e dimostrata la utilità didattica ed educativa di quello che affannosamente si compra. Non ne è dimostrata quindi la necessità.
Non viene prima discussa (anche coi genitori o in collegio) la esigenza didattica ed educativa e le ipotesi educative e didattiche di questi acquisti. Gli acquisti affannosi non sono legati ad un nuovo progetto di scuola.
Spesso non sono previste ipotesi pedagogiche verificabili non legate alla stanca, falsa retorica che accompagna da decenni il “digitale” (“si annoiano meno, si creano situazioni nuove, il digitale facilita di per sé l’apprendimento, il lavoro di gruppo, il futuro nel mondo del lavoro” …)
Dubito che saranno monitorate e verificate utilità e vantaggi di queste spese ingenti.
Sarà possibile alle scuole avere questi soldi, ma restituirli? Chi, come e entro quando?
La cosa assurda è che le scuole che hanno molti problemi (dall’organico, alle risorse, alla sicurezza, soprattutto alla mancanza di un progetto di scuola insieme autonoma e Costituzionale, che garantisca però a tutti una base comune…) avranno soldi, tanti, per cose che non sono tra le loro priorità, ma una forma di condizionamento esterno non corretto metodologicamente, perché legato alla convergenza fra:

  • priorità emerse a livello europeo nel PNRR (ricostruzione e resilienza) insieme ad altre, a livello macro
  • mode, ministeriali e non solo, non pedagogie provate, che affidano alle tecnologie “digitali” il santo potere di risolvere i problemi della scuola
  • interessi delle grandi aziende che hanno da sempre nella scuola un facile mercato di riserva (Google non ci molla più da quando siamo caduti nella trappola delle piattaforme sponsorizzate dal MI e da cui siamo ancora pigramente dipendenti)
  • la apparente (e sempre più in bilico) abbondanza di fondi e prestiti del PNRR. Ammesso che arrivino.

Allora le scuole devono contestualizzare con realismo e buon senso le linee d’azione senza farsele imporre. Anche per quanto riguarda la relativa formazione.
Le conclusioni di Giannelli (ANP): “Ci troviamo nel paradosso per cui la nostra scuola, che soffre da sempre di carenza di risorse, ha il problema opposto: troppe risorse che non sa come spendere”.
Una riflessione su cui vorremo tornare è come dovrebbe cambiare il ruolo del docente, la didattica, la organizzazione di tempi e spazi, il progetto di scuola e delle scuole (obiettivi e competenze da raggiungere) su cui pare ci sia qui scarsa attenzione e consapevolezza.
E su cosa ne pensano i colleghi.

[1] https://pnrr.istruzione.it/infrastrutture/scuole-4-0-nuove-aule-didattiche-e-laboratori/

[2] Sulla motivata delibera contraria del liceo Albertelli vedi https://www.tecnicadellascuola.it/il-no-del-liceo-albertelli-al-pnrr-non-guarda-affatto-alle-urgenze-reali-non-e-una-battaglia-contro-le-tecnologie

[3] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-liceo_albertelli_di_roma_e_i_fondi_del_pnrr_perch_non__andata_come_ve_la_racconta_repubblica/39130_49699/

[3]  “Immersivo” significa “Nel quale si entra completamente, rimanendone avvolti”. Non può esistere una “parete immersiva”, può esistere uno spazio immersivo, chiuso a 360°.

 

 

 




PNRR Scuola 4.0. Ma se non cambiano le competenze pedagogiche, i ruoli, la cultura digitale dei docenti…

di Rodolfo Marchisio

Sto seguendo lo sviluppo affannoso dei colleghi delle varie scuole dei progetti PNRR Scuola 4.0, attraverso il dialogo con alcuni amici Animatori digitali e il dibattito serrato su alcuni ambienti social.
Si tratta, come tutto il Pnrr di soldi, tanti ed europei, ma anche della ennesima “iniezione” di tecnologie “didattiche” nella scuola. Questa volta la richiesta viene dalle scuole e dovrebbe essere più contestualizzata.
Ho vissuto la scuola dal 1969 come docente e con tanti, troppi, ruoli: da “Animatore Digitale” a Funzione Obiettivo, si chiamava così, del POF, a “preside ombra” per 25 anni.
Ho seguito, come docente (e formatore dal 1982) le varie iniezioni di “digitale” nella scuola tramite progetti, che ho scritto, seguito, presentato, realizzato, dagli anni 70.

Dal PNSD, a Fortic 1 e 2, a classi 2.0, 3.0, LIM, “Buona Scuola” e via delirando. DaD e Covid compresi.
Una scuola con sempre meno risorse (clamorosi i tagli anche di organico di Gelmini, ma anche il recente DEF vuole ridurre l’investimento nella scuola dal 4 al 3,5% del PIL, quasi tutto usato per gli stipendi dei docenti che stranamente continuano a mancare).

Allora la scuola era e continua ad essere, per avere risorse, un progettificio.
Si fanno tanti progetti per avere risorse, ma anche perché manca sempre un progetto comune di scuola e quelli tentati (da Moratti alla “Buona scuola”) non reggono. Specie con meno risorse.

Una constatazione
Come

  1. Sperimentato personalmente in questi decenni
  2. Dimostrato da studi OCSE dal 2014, 2015 fino ai più recenti degli scorsi anni
  3. Raccontato da Gui, nel libro Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio? che riassume quanto avvenuto.

    L’uso di tecnologie digitali non modifica la qualità dell’Insegnamento/apprendimento.
    I buoni docenti si. Indipendentemente dalle tecnologie che usano e anche in DaD.

a- “La capacità degli insegnanti emerge come prioritaria per il successo dell’innovazione quando le ICT vengono integrate come strumenti didattici a supporto dell’insegnamento di altre discipline”…
b- “Oltre ad un problema legato alla disponibilità di risorse, la scuola italiana mostra un certo grado di resistenza al cambiamento: solo il 73 per cento degli insegnanti in posizione direttiva ritiene che la propria scuola reagisca in maniera veloce ai cambiamenti quando necessari, contro una media OCSE dell’87,8 per cento”…
c- “Nel testo OCSE si segnala che il successo nell’uso delle ICT per scopi educativi si basa soprattutto sulla capacità degli insegnanti di selezionare, creare e gestire risorse digitali adeguate a un insegnamento innovativo e inclusivo perseguito adattando le strategie di inserimento delle ICT al contesto scolastico specifico. Non basta quindi la disponibilità di attrezzature ICT per garantire che gli studenti ottengano un miglioramento sul versante cognitivo…[1]

Iniezioni forzate di tecnologie vs riforma della scuola: innovazione tecnologica vs riforma

Ogni ministro dell’ex MIUR poi MI e oggi MIM ha velleitariamente e colpevolmente iniettato nella scuola, d’intesa con partner commerciali, una tecnologia “digitale” con relativa formazione, inclusa spesso nel pacchetto dal fornitore di turno, senza che questo fosse chiesto dalle scuole in base ad una analisi dei bisogni e dei contesti. E senza un progetto generale.
Spesso senza che questo diventasse patrimonio di tutti i docenti e senza monitorare l’esito di questi investimenti di soldi e di tempo, per pigrizia e perché intanto cambiava Ministro. Il report dell’impatto qualitativo delle classi 2.0 se ben ricordo elaborato dall’Ispettore Tecnico De Anna, che ho letto, non è mai stato preso in considerazione dal Ministero.

Quanti docenti coinvolgono questi progetti

Solo il Covid, per forza di cose, ha portato ad aumentare la percentuale di docenti interessati ed abbastanza addestrati (dal 30 a 70%) nell’usare piattaforme commerciali riciclate (come lo erano le LIM: la scuola come “mercato di riserva”) ed insicure: vedi pareri drastici dell’allora Garante della privacy A. Soro sul controllo dei dati sulle piattaforme Google (Zoom, Class room che continuiamo da usare) o Microsoft per la scuola; rigide, non nate per la scuola e che non hanno mai dato garanzie di controllo dei dati di docenti e famiglie .
“Se non siete in grado di controllare l’uso che dei vostri dati fanno i padroni delle piattaforme (e nessun DS è in grado di farlo) tornate ad usare solo il registro elettronico”. A. Soro

Quasi sempre la formazione era ed è legata a competenze di uso e ha coinvolto un numero limitato di docenti. “Saper usare” una LIM, un’aula 2.0 o 3.0; mentre il livello di consapevolezza delle implicazioni pedagogiche, didattiche, di cultura e cittadinanza digitale è, anche tra molti docenti, carente. Come peraltro dimostrato dalla sperimentazione, che sta finendo, della Educazione civica, in particolare della educazione alla cittadinanza digitale.

Tutti vogliamo usare, pochi vogliono riflettere su come funziona il web oggi e perché funziona così.
E sul fatto che il web è uno dei 3 ambienti in cui viviamo in contemporanea: insieme a quello sociale (Costituzione e diritti) e quello naturale (ambiente). Un ambiente che ci sta cambiando profondamente. [2]
Ma che è anche un campo di battaglia tra oligopoli, Stati e cittadini troppo spesso inconsapevoli e vittime. [3] I ragazzi debbono sapere cosa succede sulla loro pelle in rete” perché cambiare è ancora possibile. Vademecum MI 2018

Abbiamo girato pagina con la scuola 4.0?

Leggendo colpiscono:
a) il linguaggio da addetti ai lavori al limite della comprensione. Vecchio difetto. Come se una cosa detta da “figo” in Inglese la rendesse più utile e più appetibile (o inaccessibile?).
b) La varietà delle richieste e dei modelli in discussione (da chi organizza aule “digitalizzate”- qualunque cosa voglia dire – una per materia; a chi vuole organizzare un’aula virtuale a 360° in cui l’allievo si immerga; a chi chiede se si possono prevedere tra le spese a bilancio la tinteggiatura delle pareti – si ma solo se si dipingono soggetti “digitali” risponde l’esperto-; a chi integra più concretamente e cerca di rendere più flessibile l’uso delle tecnologie sganciandole dall’aula organizzata a lezione frontale con un PC sulla cattedra e uno per banco…); a chi si butta sulla robotica…

Alcuni aspetti da approfondire:

  1. L’iniezione di tecnologie “digitali” di per sé continuerà a non modificare la qualità dell’insegnamento/apprendimento indipendentemente da quanti soldi si sono spesi e dalla originalità della proposta.
  2. La formazione dovrà servire non ad “imparare ad usare” quella roba li con un nome strano in inglese, ma a:
  • A coinvolgere più colleghi possibile nella sperimentazione delle tecnologie, nei loro ambiti disciplinari e nelle attività trasversali di didattica attiva, a patto che ne capiscano l’utilità, elaborino attività convincenti e ne abbiano voglia.
  • Lo scopo della formazione non può essere solo di addestrare all’uso del nuovo giocattolo. È vero che nell’elaborare i progetti bisogna indicare obiettivi ed utilità didattica, ma la riflessione sul rapporto spazi, tempi e metodologie didattiche o quella sulla utilità ai fini della formazione di una cittadinanza digitale è da approfondire.
  • La riflessione su questi progetti è condizionata dal fatto che non si tratta solo di più tecnologie, ma di modificare le competenze ed i ruoli dei docenti che inevitabilmente debbono diventare organizzatori di spazi e di tempi, tutor, registi, animatori e gestori di una didattica formativa che coinvolga gli allievi li renda protagonisti di una ricerca attiva, che sa dove comincia ma non sa dove finisce. Che “ceda il controllo dell’ambiente” agli allievi (Penge). [4]

Ricordo un collega che, di fronte al laboratorio “nuovo” digitalizzato, organizzato fisicamente in aree/gruppi di lavoro e non ad aula frontale, perché orientato alla ricerca (la strutturazione degli spazi condiziona il tipo di didattica e di metodologia, vedremo, come la organizzazione dei tempi) lo trasformava in aula di proiezione: prima aveva usato la LIM come schermo cinematografico e prima ancora proiettava sul muro della classe. Però era passato dalla cassetta VHS, al CD e poi alla pennetta. Evoluzione dei supporti vs evoluzione della metodologia e della riflessione e consapevolezza didattica.

Sono invece condizioni necessarie
1- una capacità di organizzazione di spazi e tempi più flessibile da parte dei docenti
2- una maggiore articolazione dei ruoli e delle competenze dei docenti coinvolti e
3- la formazione di una cultura dell’ambiente digitale in cui viviamo, che sta dietro a tutto questo.
Ne parleremo presto.  Se interessa.

 

 

 

 

[1]  https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/ict-e-scuola-il-nuovo-questionario-ocse-pisa-2021/

https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-le-carenze-della-scuola-italiana-il-quadro-secondo-i-dati-ocse

[2]https://www.bing.com/videos/search?q=youtube+nuovo+pavonerisorse+come+il+web+ci+cambia&view=detail&mid=3D725C592E07AE7AE2BF3D725C592E07AE7AE2BF&FORM=VIRE

[3] Casilli, Schiavi del clic, https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/schiavi-del-clic/

[4] Per il concetto di apprendimento come cessione/conquista di un ambiente e molto altro vedi intervista a S. Penge sul suo ultimo libro https://www.youtube.com/watch?v=jsznEAr7whc




La Costituzione ha radici profonde, ma è anche un progetto dinamico

di Rodolfo Marchisio

La Costituzione è un progetto da realizzare (e non un insieme definitivo di regole), e allora  “bisogna continuare a pedalare” (Calamandrei), perché se non viene realizzata, nel tempo diventa “un progetto tradito” (Bobbio).

I filoni fondamentali che hanno contribuito alla stesura della Carta sono come noto:

a) il pensiero illuminista (libertà e diritti individuali – diritti di prima generazione per N. Bobbio-),
b) quello socialista e comunista (diritti sociali: lavoro, istruzione, salute), diritti di II° generazione,
c) quello cristiano (famiglia, persona, lavoro…).

Nel tempo si sono aggiunti nel 1900 i diritti sanciti dalle Carte e Dichiarazioni internazionali cui l’Italia ha aderito (diritti di terza Generazione) e più recentemente i diritti legati al mondo digitale (che spesso si intrecciano con quelli di prima e seconda generazione).

Un utile punto di riferimento è il libretto Le età dei diritti di N. Bobbio in cui si descrivono le 4 generazioni dei diritti, secondo l’autore.
Per approfondire il discorso sui diritti, che nascono quando un gruppo sociale è disposto a lottare contro un altro per ottenerli e per difenderli, perché si possono perdere in tutto o in parte (vedi  Incontro con N. Bobbio).

Chi erano i padri e le madri della C. e perché è stato necessario riscriverla (C. Marchesi).
La Assemblea Costituente era formata prevalentemente da giuristi, esperti di diritto, politici, docenti. Non c’erano contadini, pochi operai o sindacalisti. Molti antifascisti e qualche partigiano. Solo 21 le madri della Costituzione, prevalentemente socialcomuniste e cattoliche, unite dall’obiettivo della parità da raggiungere nella nuova situazione.

Per una verifica puntuale di questa composizione si possono usare gli url
I Costituenti
https://it.wikipedia.org/wiki/Deputati_dell%27Assemblea_Costituente_(Italia)
che presenta i componenti e la loro professione (basta passar sopra col puntatore)
Le donne (le madri)
https://culturalfemminile.com/vari/le-madri-della-costituzione-italiana/

Per questo l’assemblea si è poi divisa in commissioni più ristrette che hanno redatto i vari articoli poi discussi e approvati in plenaria.
Come primo atto di democrazia la Costituente ha dato a Concetto Marchesi, l’incarico di riscrivere il documento finale, di 9900 parole ca, usando solo 900 lemmi, per renderlo un documento leggibile non solo da addetti ai lavori.

Concetti fondanti dei primi 54 articoli: Democrazia, diritti /doveri, Repubblica, potere, popolo, lavoro (art 1 e seg.), regole, equilibrio. Molti diritti, pochi doveri e 2 diritti/doveri.
I doveri non sono una “compensazione” dei diritti, ma parte dell’impegno che viene richiesto ai cittadini di partecipare col loro lavoro e col loro contributo al progetto complessivo.

Diritti e doveri

Art 2. La Repubblica… garantisce i diritti inviolabili dell’uomo… ma richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

  1. a) l Diritto/dovere di votare. Alle ultime elezioni il 40/45% non ha votato. Sommando le schede bianche/nulle succede che il 18/20% degli Italiani ha deciso chi avrebbe comandato. Perché?
  2. b) Il dovere di pagare le tasse ( 53) in modo proporzionale e progressivo. Evasione fiscale record 200 miliardi
  3. c) quello di difendere la Patria se attaccata ( 52).
  4. d) quello fondamentale di partecipare col proprio lavoro, le proprie risorse al bene comune (art 2, 4 ed altri)
  5. e) Il diritto ma anche il dovere di allevare e prendersi cura dei figli ( 30 e seguenti).Dobbiamo collaborare tutti a realizzare il progetto descritto dalla Costituzione.
    Il contrario di mi faccio i fatti miei, non pago le tasse, voglio essere padrone a casa mia.

Contribuire a prosperità, benessere, progresso della nazione (lavoro, partecipazione … art. 2 e 4) Oggi invece prevale “l’ipertrofia” del diritto individuale contro il diritto degli altri ed il dovere di solidarietà, Zagrebelsky.
Calamandrei diceva che in democrazia: «non mi sento padrone neanche a casa mia.»
Imparare ad imparare
per contribuire al progetto è una competenza di cittadinanza (2018) non una cosa che riguarda solo gli studenti, ma anche i lavoratori, gli artigiani, gli imprenditori. Tutti i cittadini.

Una verifica statistica

C’è la possibilità di verificare con uno studio linguistico/statistico del linguaggio della C. e delle ricorrenze dei concetti/parole dei primi 54 articoli con semplici software Snap o foglio Excell, come fatto nel libro Dati Cittadinanza e coding (Le Parole della Costituzione) di Penge, Marchisio ed altri e sperimentato con l’IIS Volterra di S. Donà del Piave.
https://www.anicialab.it/coding/dati

La democrazia è governo del popolo e non per o con il popolo che sono demagogia (dalla democrazia Greca coi suoi noti limiti e la deriva demagogica – I sofisti contro Socrate – allo scritto di Platone, Contro la democrazia)

La Costituzione deve tener conto della evoluzione storica e sociale. Non è fuori del tempo.
Il concetto di famiglia di cui tanto si discusse e che compare in più articoli è passato dal primato del pater familias romano alla parità dei coniugi, ad un diverso concetto di famiglia anche non eterosessuale.
L’affermazione della priorità della famiglia sullo stato aveva all’epoca senso dopo la esperienza delle dittature in cui avveniva il contrario. Oggi famiglia e Stato dovrebbero armonizzarsi.

La Costituzione non parlava di ambiente (integrazione recente dell’art 9), i problemi all’epoca erano altri e la carta non può contenere tutto, è un progetto non una enciclopedia. Vedi
https://www.cortecostituzionale.it/documenti/download/pdf/Costituzione_della_Repubblica_italiana.pdf  (art 9 e le altre integrazioni o modifiche).

Cos’è Democrazia.
Le condizioni per definire un governo democratico sono:

  • Che si eleggano regolarmente i propri rappresentanti Bobbio
  • Che li si elegga liberamente e a maggioranza. Bobbio cfr video Bobbio
  • Che ci sia una assemblea legislativa indipendente e democratica.
  • Che la Magistratura sia indipendente.
  • La Separazione dei 3 poteri.
  • Che la stampa sia libera ( Runciman)
  • La possibilità del popolo di cambiare la élite che lo governa, secondo altri

Equilibrio fra poteri. Quando storicamente, nel nostro paese la Magistratura invade e limita il potere politico (da “mani pulite” in poi) è un fatto spesso legato anche ad una crisi della politica ed a reati.
Quando il potere esecutivo invade il campo di quello legislativo, come in epoca Covid, la Corte Costituzionale ha stabilito che è legittimo se: a) Legato ad una emergenza, b) Limitato nel tempo c) bene giustificato e delimitato.
Non è quindi, in genere, come qualcuno sostiene, una invasione di campo, ma deve essere una eccezione.
Legata anche al fatto che noi oggi viviamo una situazione di Democrazia “malata”, con problemi, come tante democrazie liberali che passano una “crisi di mezza età” (Runciman).

Infine

  • Parole ombrello che vanno ridefinite: democrazia, diritto sono tra le parole da tutti abusate che hanno logorato il loro significato.
  • Persona o cittadino. Il personalismo cristiano sosteneva il concetto di persona, le forze di sinistra si riferivano alle persone, al popolo (che non devono però diventare massa). La attualità fa prevalere il concetto di cittadino, che mi pare meno divisivo.

Per concludere.
Ai giorni nostri con episodi di violenza politica di origine neofascista,  discussione per interessi di parte su aspetti e parole chiave (“colonne”) della Carta e l’incertezza di come uscire dalle querelle su questo progetto che di sicuro ha soprattutto una matrice storica antifascista per costruire insieme una democrazia meno malata possono essere utili studi specialistici tra esperti di diritto romano, da cui non può derivare una posizione di parte; ma è vitale riaffermare che la  Costituzione va realizzata, sviluppata, contestualizzata rispetto ai tempi e non deformata né “tirata per la giacchetta” per motivi politici sottolineando solo alcune parole chiave ( persona, famiglia , stato, proprietà, libertà) né tanto meno diventare campo di battaglie di parte.




Come il web cambia la nostra lingua

di Rodolfo Marchisio

Come il web cambia la nostra lingua.[1]

La lingua del web ed i linguaggi non verbali. Spunti per una riflessione sull’e-taliano.[2]

Lingua: aggressività e mancanza dei linguaggi non verbali nel web

 “Abbiamo avuto migliaia di anni di evoluzione per prendere confidenza con le interazioni umane in contesti faccia a faccia, ma appena due decenni per il mondo online diffuso su larga scala che ora è il luogo dove si svolge molta dell’interazione umana, con strumenti del tutto diversi.”
Quando si comunica online, la gente non solo sembra più brusca e aggressiva, in realtà lo è davvero.

A volte ci si dimentica che il tono, nelle comunicazioni più tradizionali, è veicolato con i segnali non verbali, le espressioni facciali, ma anche la postura del corpo, il contatto visivo, la voce, per esempio.
In assenza di questi segnali, online è più difficile esprimersi in maniera sottile, quindi le comunicazioni appaiono più brusche e aggressive”. Wallace, psicolinguista

Le comunicazioni online possono essere facilmente fraintese

Online, siamo insomma meno capaci di interpretare le comunicazioni testuali con precisione, anche quando il mittente pensa che il significato dovrebbe essere ovvio.
Questo accade con il sarcasmo, l’ironia, per esempio.
È molto difficile identificare con precisione un commento sarcastico in una e-mail (o in un messaggio scritto online NdA), una mancanza che può generare interpretazioni errate eclatanti.

Linguaggi non verbali in rete

Manca il contatto faccia a faccia, ma c’è anche

  •  la distanza fisica,
  • l’incertezza sul pubblico che ci vede e ci ascolta,
  • la percezione dell’anonimato (e della impunita NdA) Entrambi presunti.
  •  la mancanza di un feedback immediato e gli strumenti di comunicazione che usiamo si basano principalmente su testo e immagini.

” Al tempo stesso Internet è un motore senza precedenti d’innovazione, connessione e sviluppo umano“.

Il tono della voce e il contesto

Proviamo a dire: Ma quanto sei furbocon tre intonazioni diverse: assertivo, ammirativo, ironico.
Le parole sono le stesse, ma il messaggio che arriva è diverso.
1- Sono convinto, 2- ti ammiro per questo, 3- ti sto prendendo in giro.
Se lo scriviamo questo non è chiaro.

 I messaggi e il contesto.

I messaggi dipendono sia dal mezzo o ambiente, che dal contesto.
La professoressa ci ha dato l’ennesima insufficienza.
Come lo racconti
ad un tuo amico (Quella beep della X …),
ad un altro docente (la prof X mi ha dato, ma io mi sto impegnando…),
ai genitori (“Non è colpa mia, ma la X …)
o al Dirigente scolastico?

La comunicazione, oggi avviene soprattutto, non solo per i giovani, nei Social coi loro vantaggi (diffusione), limiti strutturali e coercizioni volute e imposte.

L’informazione dipende dalla rete. Googlare è uno dei neologismi, legato a una delle azioni più frequenti in rete. Anche da parte dei quei ragazzi che non sono consapevoli di essere in rete, perché confondono le 3 stanze che frequentano (di solito un social, un motore di ricerca, la posta elettronica) per il tutto. E non è colpa loro, perché sono indotti a pensarlo. Pariser.  [3]

Nel frattempo i SN sono diventati Social media – veicoli di informazioni, di cui negano la responsabilità – e si frequentano tramite smartphone.

Come funziona il linguaggio nei social? Breve, assertivo, aggressivo, per il poco tempo e per il poco spazio (vedi caratteri Twitter all’inizio 140 massimo poi 280. Non è cambiato granché).

Non è un problema tecnico, è emerso anche dalle ricerche, ma di abitudine e di cultura.

Emozioni ed emoticon

In rete proviamo allora ad usare faccine, emoticon, per integrare la comunicazione ed esprimere emozioni, stati d’animo, reazioni, ma non basta.
Esercizi con le emoticon: raccogliere, riconoscere e tradurle in parole.
Oppure produrre emoticon che imitino un tono o uno stato d’animo diverso.
È l’antico discorso della narrazione con le parole o con le immagini; oppure con immagini semplificate e torniamo ai racconti sulle pareti delle caverne o al linguaggio pittografico.
Dice la Wallace: in rete si litiga di più che in presenza.
Perché, tranne che nelle videoconferenze, mancano sia il tono della voce, che tutti i messaggi che inviamo attraverso il viso, gli occhi, la postura del corpo.
Io posso dirti che m’interessa quello che dici, ma se ho un’aria annoiata o sono girato dall’altra parte capisci che penso il contrario. Questo nei post è difficile da spiegare. Per questo nascono equivoci, discussioni, lunghi post o mail di chiarimenti.
Messaggi inutili e inquinanti.

Le emoticon

  • Le faccine hanno cambiato il nostro mondo? “Quando fu fondato il Consorzio (NdA delle emoticon), nel 1995, erano appena 76, oggi sono 3363, divise in dieci categorie. Dal 2015 esistono anche gli emoji personalizzabili a seconda del colore della pelle o delle abitudini sessuali.
  • “La lingua è lo specchio della società: quella parlata e ancor più quella scritta. Così oggi, se esiste la parola per esprimere un concetto, con ragionevole certezza si può dire che dovrebbe esistere anche l’emoji o gli emoji per farlo.
  • D’altra parte sono anni che grandi classici della letteratura vengono tradotti in pittogrammi: è successo, ad esempio, con Pinocchio o Moby Dick, opportunamente rinominato Emoji Dick.”
  • Potremmo interrogarci sul senso di ricerche e traduzioni come quella di Pinocchio raccontato solo tramite emoticon. Per farlo è stato necessario inventare una grammatica e un lessico appositi.

Come la lingua influenza il nostro modo di pensare.

 Ci sono circa 7.000 lingue parlate nel mondo, e ognuna è composta di suoni, parole e strutture diverse. Ma le lingue plasmano il modo in cui pensiamo? Come sono legate a noi ed al mondo in cui viviamo?
La studiosa di scienze cognitive Lera Boroditsky mostra esempi di varie lingue: da una comunità aborigena in Australia che usa i punti cardinali invece della destra o della sinistra, alle diverse parole usate per indicare il “blu” in russo (o alla mancanza di alcuni colori nel linguaggio degli eschimesi, che hanno invece molte tonalità dal bianco al grigio, al nero, a causa dell’ambiente in cui vivono NdA).
Chi non ha un colore o un oggetto non ha bisogno delle parole per dirlo.

Viceversa chi ha una cosa da dire e non possiede le parole per esprimerla ne soffre, oltre ad essere limitato, come le tribù che possono descrivere il dolore fisico, ma non quello psichico, cosa che li fa stare ancora peggio.

Universi linguistici e cognitivi e rapporto con l’ambiente

“La bellezza della diversità linguistica è che ci rivela come possa essere ingegnosa e flessibile la mente umana”, dice Boroditsky.
“La mente umana non ha inventato un unico universo cognitivo, bensì 7.000”.
TED Vera Borodisky  a lato sottotitoli in Italiano.

Linguistica e letteratura del coding

Il coding, il pensiero computazionale, ha inventato ormai più delle 7000 lingue conosciute: sono 8000 i linguaggi di programmazione ed hanno autori, correnti, collegamenti con l’arte e meritano una letteratura ed uno studio linguistico come quello sulla nostra lingua ed i suoi autori. In proposito vedi Il primo festival del codice sorgente  https://codefe.st/  e La prima mostra al mondo del codice sorgente come fenomeno letterario allestita coi ragazzi dell’ IIS Avogadro di Torino da  http://codexpo.org/ che si occupa di questo.  La mostra è visitabile: https://www.codeshow.it/

  1. Questo articolo è stato scritto utilizzando una delle più potenti possibilità che ci offre il web. Quella di una scrittura e quindi di una lettura ipertestuale che diventa ipermediale.

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[1] Queste osservazioni si riferiscono al linguaggio prevalente in rete cioè alla lingua scritta (210 miliardi di mail e 140 milioni di post al giorno solo nei 2 principali Social). Anche perché si presta meglio ad una riflessione sulla lingua italiana. In rete si stanno sviluppando linguaggi prevalentemente fatti di video (Youtube, Tik Tok) o linguaggi multimediali in senso lato. Ma allora il discorso si sposta dalla lingua del nostro paese ai linguaggi misti dove ad esempio l’immagine prevale, talora col linguaggio parlato, anche se non sempre decifrabile in modo evidente.  Anche la DaD ci ha insegnato qualcosa.

[2] Enciclopedia Treccani.

[3] TED di Pariser con testo in Italiano. 8 min. https://www.bing.com/videos/search?q=Pariser+TED&docid=608022015048428796&mid=39FE07E616144EBD5AC639FE07E616144EBD5AC6&view=detail&FORM=VIRE




La lingua italiana ai tempi del web

di Rodolfo Marchisio

“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Wittgenstein

 La lingua cambia continuamente. Ma le modifiche apportate alla lingua che usiamo, con l’avvento del web, sono molte e, come molte cose che passano attraverso quel moltiplicatore e acceleratore che è la rete, hanno conseguenze molto significative anche sulla nostra vita personale e sui nostri diritti di cittadini.
Tanto che la domanda oggi, a partire dalla lingua, non è più “cosa ci faccio col web” ma “cosa il web sta facendo a noi”, al nostro linguaggio e di conseguenza al nostro modo di esprimerci; quindi di ragionare, di sentire, di avere relazioni e fare amicizie, di agire e scegliere, cioè di essere cittadini. (S. Turkle).
“I ragazzi devono saper cosa succede sulla loro pelle in rete” …perché “cambiare è ancora possibile” recitava il Sillabo sulla Educazione civica digitale del MI 2018. In relazione alla attuale fase del web che ha fatto dire a T. B. Lee “Non riconosco più la mia creatura”.

Cominciando dalla lingua, perché di qui comincia il processo che coinvolge informazioni, conoscenze, pensieri; ma anche emozioni, sentimenti, percezioni, relazioni, amicizie e il nostro modo di essere. Persone e cittadini.

Allora è il momento di fare, insieme ai nostri ragazzi, una riflessione linguistica attraverso esempi, ricerche, dati ed autori, su come il nostro linguaggio, in molti modi, sia cambiato con l’avvento del web e su quali siano le conseguenze di questo cambiamento dinamico.

Se ne sta occupando anche la Accademia della Crusca. Ma, fortemente intrecciata con la dimensione lessicale, grammaticale e linguistica, c’è una dimensione culturale e di cittadinanza.

Ad esempio di semplificazione, del linguaggio e del pensiero. Da “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno…” a “E’ tutta colpa del governo”! Da ipotassi a paratassi.
Un problema che riguarda la grammatica, la linguistica, ma anche la cittadinanza.

Potremmo parlare allora della lingua e del pensiero come gioco di costruzioni.
Del rapporto, ad esempio, tra quantità e qualità di parole conosciute e democrazia (Don Milani, Orwell, Zagrebelsky).
Oppure del rapporto parole-azioni-potere come ci ricordano “Alice nel paese delle meraviglie” o Orwell con la neolingua (1984).
Del rapporto fra semplificazione della lingua e svalutazione della conoscenza e della competenza. Nichols, Asimov.
Della scomparsa di modi e tempi dei verbi nei media e della semplificazione della nostra espressione, specie nel web; anche, ma non solo, per la brevità imposta dagli ambienti social.

Verso la assertività: l’indicativo è il modo dei semplici e dei prepotenti.

Della lingua del web, spesso breve, aggressiva, equivocabile per mancanza di linguaggi non verbali (viso, gesti, tono). Wallace.
Del linguaggio dell’odio in rete (del rapporto odio/linguaggio), di odiatori seriali e di chi sono, della industria delle Fake news che, ormai regolarmente, “inquinano” il nostro stanco diritto/dovere di votare.
Della frammentazione e dell’eccesso di informazioni in rete, spesso inutili e inquinanti.
Di parole “ombrello” come digitaleGuastavigna – o di parole suicide.
Dei vantaggi e dei rischi (anche ecologici) legati alla disintermediazione nel campo della espressione; di post verità e delle sue conseguenze.
Dal punto di vista del vocabolario in ingresso. Dei neologismi, delle parole straniere entrate a far parte del nostro lessico, di sigle o abbreviazioni, del “gergo” dei social che fanno ormai parte anche della lingua parlata/scritta nella vita di tutti i giorni.

Dovremmo riflettere sul rapporto emozioni/emoticon: anche semplicemente giocando con le emoticon (oggi oltre 3600 divise in dieci categorie) o col tono della voce.
Ma anche lavorando su abbreviazioni e modifiche della grafia, sms, lapidi e placiti Cassinesi.
O ancora sul senso di esperienze di libri riscritti con le emoticon, come Pinocchio.
Soprattutto di riflettere su quanti e quali diritti queste modifiche, talora implicite, talora volute e pagate, parte di un sistema economico di controllo del cittadino e del consumatore, stiano limitando o violando.

In sintesi.

Occorrono nuove consapevolezze (e competenze) sulla lingua che partano da una riflessione su:

  1. come cambia la lingua del web,
  2. ma anche la nostra lingua col web,
  3. come il web condizioni la lingua che parliamo,
  4. quali siano le conseguenze relazionali, sociali e di cittadinanza on e off line

Essendo consapevoli:

a- del fatto che oggi i giovani ci propongono, attraverso il web, un modo nuovo di comunicare multimediale cui prestare attenzione,
b- che il loro linguaggio (ma solo il “loro”?) sta utilizzando sempre meno parole (800 secondo il MI Inglese, poche decine negli sms). Il vocabolario di base di De Mauro, partiva da meno di 2000 parole per arrivare a un massimo di 7000 di più largo uso.
c- ma anche delle potenzialità dei linguaggi ipertestuali (e ipermediali) a più livelli che ci offre la espressione online.

L’insegnamento deve adeguarsi al cambiamento dei linguaggi e dei comportamenti cognitivi, imparando ad animare gli spazi di un immaginario che si compone anche dentro e attraverso la Rete. C. Scognamiglio.




Educazione alla cittadinanza, occasioni (forse) perdute

di Rodolfo Marchisio

Pandemia, crisi ecologica e climatica, crisi energetica, elezioni e diritti

Siamo al terzo ed ultimo anno della sperimentazione dei progetti di Ed Civica (meglio Ed. alla cittadinanza), ma le attività, anche se rimaneggiate dai futuri governi, resteranno obbligatorie, oltre che collegiali e trasversali alle varie discipline.

Ci siamo confrontati su questo, negli ultimi 3 anni (come nei 15 precedenti sui temi di Cittadinanza e Costituzione) con centinaia di docenti; anche sul tema della valutazione (o meglio della Programmazione, Osservazione, Valutazione e Certificazione delle progettualità, perché i vari momenti sono inscindibili).
La valutazione proposta dalle linee guida della EC era molto vicina, come logica, a quella proposta per legge alla scuola primaria. Una valutazione formativa, collegiale, partecipata e condivisa con allievi e genitori. Trasparente, perché altrimenti non sarebbe stata democratica.
Questa era la prima sfida della EC legge 92/19. Portare la valutazione formativa anche negli altri ambiti di scuola. Osservare e descrivere il progresso verso le competenze e gli obiettivi attesi (in modo condivisibile) attraverso indicatori. Osservare i progressi. Non misurare i livelli.
Valutazione formativa e non voto come si discute anche alle superiori.

Il MI ha rilevato che diverse scuole non hanno ancora attivati progetti e aveva, mesi fa, stanziato fondi. In molte scuole dei vari livelli si erano realizzati notevoli progetti, esemplari buone pratiche.
In molte scuole, la progettualità è stata scaricata su un docente (nelle superiori diritto o storia ad es) o su un ristretto numero di docenti del Consiglio di classe.

Mi hanno lasciata sola. Non possiamo fare un lavoro collegiale, perché mancano gli spazi ed i tempi per confrontarci (specie nella secondaria); ma manca anche l’abitudine e spesso la disponibilità a lavorare insieme.
Non posso partecipare perché ho già poche ore per la mia materia; anche se una buona progettualità non sarebbe una attività in più, ma una flessibilizzazione del proprio curricolo – i programmi non esistono più ma molti ci si nascondono dietro – una partecipazione, con ricerche relative ad argomenti disciplinari, ad un puzzle interdisciplinare comune con una sua logica che quindi non richiederebbe più ore di didattica (attiva). Come molti progetti dimostrano.

Una prima impressione è che gli IC (infanzia, primaria, sec. di 1 grado) abbiano cercato di lavorare in verticale, anche se con qualche difficoltà. Mentre gli IIS abbiano fatto progetti più inquadrati in una programmazione di Istituto e lavorato in orizzontale (tutte le prime fanno una cosa…)
Partendo da quanto appreso in 43 anni di scuola come docente (e 40 come formatore), so che gli allievi non imparano da quello che diciamo, ma da quello che siamo (ad es democratici o no), dalle esperienze anche emotivamente significative che fanno con noi. Dal clima di classe (Losito).
Abbiamo vissuto, negli ultimi 3 anni, e vivremo ancora almeno 4 grosse esperienze sociali che ben si prestavano o si prestano ad essere ricerca attiva, concreta di cittadinanza. Imparare a lavorare insieme, raccogliere ed elaborare dati ed informazioni validate e riflettere su quello che viviamo.

  1. La crisi sanitaria, sociale ed economica della pandemia, è stata (o poteva essere) un enorme laboratorio attivo di esperienze di cittadinanza e di cittadinanza digitale Non sfruttata dalla scuola, presa ad affrontare la emergenza e miope nei confronti della realtà come esperienza che si vive insieme, drammatica, ma formativa.
    Questa riflessione, questo modo di vivere la crisi in modo attivo dipendeva dalle famiglie (già in crisi) e dalla scuola anch’essa in enorme difficoltà. Ma ci sono esempi di buone pratiche, un esempio alle superiori ma anche in altri ordini di scuola.

Con la pandemia – smart working, DaD, ma anche divieti e limitazioni di diritti, passaggio temporaneo e limitato dei poteri all’esecutivo, peraltro regolamentato dalla Corte Costituzionale; ma anche abuso della rete e dello smartphone (Cfr dati Polizia Postale: + 133% di uso e dipendenza dai device, + 77% reati e cyberbullismo) – abbiamo imparato che:

  1. La rete è finita. La rete, la banda, è una cosa finita come l’acqua. Non apparentemente infinita come l’aria. Se tutti usiamo l’acqua ne arriva un filino a ognuno e le cose si rallentano (specie con i video) e si complicano.
  2. Siamo ormai, a scuola e nel lavoro, “schiavi di Google” anche a causa del MI.

Quindi in Dad siamo “andati a scuola da Google”, per responsabilità del MI e per pigrizia.

  1. Usiamo la rete soprattutto attraverso lo smartphone, di cui abbiamo il record mondiale (93%), lo strumento più discutibile e pericoloso.
  2. Della rete usiamo solo alcune “stanze”, social o app ed ignoriamo tutto il resto: abbiamo un mondo da esplorare e stiamo chiusi in 3 stanze, sempre quelle. Quando domando ad un ragazzo “tu usi internet”, spesso la risposta è no. Poi scopro che ha un profilo social, fa ricerche con Google e invia mail e post. Quasi tutto da smartphone. È in rete, ma non lo sa.
  1. Siamo prigionieri in quelle poche stanze di Google e degli altri monopolisti (GAFAM), con i loro servizi apparentemente gratuiti e le loro app; anche nella scuola ed anche in epoca Covid hanno proseguito la loro politica di schedatura dei nostri dati, di “personalizzazione” della rete, di isolamento in gabbie [1] confortevoli ma vincolanti. (Bauman e Pariser).[2] Ed hanno guadagnato centinaia di miliardi di dollari.
  1. Esistono 4 tipi di fratture digitali

Si sono evidenziate nella società e nelle famiglie attraverso la scuola e la DaD quattro tipi di fratture digitali e di cittadinanza dovute a motivi sociali, economici, talora di zone del paese. Ma anche di arretratezza tecnologica (tipo di banda) o di scelte politiche: privato vs pubblico, chiuso/privato vs open/libero/pubblico:

  1. Chi ha e chi non ha la rete.
  2. Chi ha e chi non ha le tecnologie: soprattutto PC, Tablet.
  3. Chi ha e chi non ha le competenze alfabetiche (di base) digitali per usare la rete.
  4. L’essere esclusi per disabilità, povertà, cultura. I “dispersi” in DaD sono stati principalmente i disabili, gli stranieri, ma anche i più poveri che non avevano gli strumenti e che spesso si vergognavano di far vedere la casa in cui abitavano.

7- Che il web inquina. È la quarta potenza al mondo dopo USA, Cina, Russia, come consumo di energia elettrica e quindi produzione di CO2. Soprattutto se abusiamo di social e di video (spesso inutili), contribuiamo alla decadenza della terra. Coi nostri sfoghi o le nostre inutili esibizioni creiamo una massa di dati che si raddoppia ogni due giorni contribuendo a fare della rete una pattumiera digitale frammentaria di difficile utilizzo a livello informativo. Roncaglia.
E di questo è bene essere consapevoli.
Alla fine del percorso, dice la legge sulla Ed. civica i ragazzi non dovranno – come pensano troppi – “saper usare i computer”.  Dovranno invece oltre a Valutare fonti, Interagire con gli altri attraverso il web, informarsi, partecipare, crescere in modo autonomo. Conoscere e rispettare norme di comportamento e norme del web. Gestire la loro identità digitale. Preoccuparsi della Privacy e della dipendenza da device (smartphone e rete), ma anche… conoscere gli svantaggi della personalizzazione e del vivere in una bolla social. art 5.2 legge 92/19.
Essere consapevoli dei veri pericoli della rete
. Dai cattivi padroni (Rampini) al CB, sapere “Cosa succede sulla loro pelle in rete”. Vademecum MI 2018.

Bambini e ragazzi delle varie età dovranno essere consapevoli, in modo proporzionato alla età, di: in che mondo web vivo? Come funziona la rete e perché? Quali sono le conseguenze su di me anche come cittadino, e sulla società? Quali vantaggi posso trarre dal web e quale è la sua utilità?

In questo cammino è utile sapere che esistono vari tipi di intelligenze, e che si può essere bravi in una cosa e meno in un’altra. Molte di queste intelligenze (interpersonale/social, intra personale/ identificazione attraverso i social, oltre che linguistica, logico-matematica etc…) si esercitano in rete. [3]

b- La crisi ecologica, i cambiamenti climatici, la crisi energetica, che sarà anche una crisi economica ci pongono di fronte alla necessità, troppo trascurata, di modificare in fretta comportamenti individuali e collettivi.
Sinora, ci ricorda Zagreblesky da anni, abbiamo consumato “come se non ci fosse un domani e come se non avessimo figli”. In tre saggi paragona la ipertrofia ego-individualista attuale alla crisi dell’isola di Pasqua che è collassata su se stessa, sino al cannibalismo, consumando tutto (piante, habitat, fauna) per rivalità, guerre e sete di potere. Abbiamo i granai vuoti e consumiamo più di quanto possiamo permetterci.
La crisi energetica/economica sarà lunga e complessa, perché è l’intreccio di scelte politiche non lungimiranti, non generazionali (solo gli statisti “pensano alle generazioni future”- De Gasperi), di divisioni politiche, di una guerra complicata, di speculazioni finanziarie.
Non credo che i singoli comportamenti più razionali e virtuosi che in passato, ci possano salvare da soli, ma
– una somma di comportamenti improntati al risparmio a partire dalle piccole cose che possiamo fare, incide per una quota.
– Soprattutto dimostra, in modo esplicito, che stiamo cambiando mentalità individuale. Che non siamo più come quelli dell’Isola di Pasqua. Che c’è un cambiamento di mentalità, di cultura.

c- I 3 filoni indicati della Ed Civica si intrecciano in modo inscindibile in continuazione, perché non sono altro che i 3 ambienti in cui viviamo in contemporanea: l’ambiente sociale (le regole, i diversi tipi di diritti e i doveri); l’ambiente naturale (il mondo, le sue crisi e le sue risorse); il “digitale”, se possiamo usare questa parola “ombrello” ormai priva di significato, il luogo dove viviamo, noi e i nostri ragazzi anche 7 ore al giorno e 2, 3 di notte.
Da cui dipendiamo psicologicamente e fisicamente (dopamina).

La ipertrofia dell’individualismo sociale è speculare (e coltivata, indotta, dai “cattivi padroni della rete” Pariser, Bauman) all’uso che facciamo della rete, non come risorsa collettiva, ma come luogo della esibizione e vanto della nostra ignoranza (se 1 vale 1 “la mia ignoranza vale come la tua competenza”, Asimov); come luogo di protagonismo, di esibizione, come luogo dove sfogare la propria difficoltà di identificarci se non in contrapposizione ad un gruppo di altri, di diversi: ovviamente le donne, gli omossessuali, gli stranieri soprattutto.  Non come luogo di convivenza, cittadinanza, collaborazione, comunicazione, condivisione. Le finalità originali.
Sino alle parole dell’odio ed agli odiatori seriali.

d- Anche durante la crisi pandemica, in DaD e dopo, abbiamo continuato a voler usare gli strumenti digitali e alcuni ambienti che ci sono stati imposti dal MI in modo pericoloso.
Pochi di quelli che hanno usato le piattaforme per la DaD e continueranno (nella “Scuola di Google”: Zoom, Class room… ) ad usarle hanno potuto fare prima una riflessione sugli Ambienti di Apprendimento, sulle loro caratteristiche formative (non tecniche: ma spazi, tempi, relazioni, ruolo del docente, metodologie possibili o indotte) e sugli ambienti di apprendimento digitali.

Il digitale può essere inteso come strumento (e tutti li vogliamo o li abbiamo), ambiente di ricerca (googlare), lavoro, didattica, ma soprattutto è un ambiente di vita che richiede consapevolezza e cultura. Quante ricerche troviamo su questo tema?
Come il digitale può favorire la cittadinanza attiva ed agita e come si forma la cittadinanza e la cultura digitale?
Usare il digitale senza cultura non solo è pericoloso, ma è diseducativo.

e- Infine. Fra pochi giorni si vota. Sarebbe un atto di consapevole cittadinanza interrogarsi, prima (e a scuola a posteriori) e documentare in base a dati e riflessioni:

  • Quanti e perché non esercitano più questo stanco diritto/dovere?
  • Quali diritti, pochi sono stati menzionati sinora, corrono rischi in queste elezioni?Meglio che far studiare gli articoli della Costituzione o l’inno, perché studiare gli articoli senza una vera ricerca che si sa da dove parte, ma non si sa dove finisce, non forma cultura di cittadinanza.  

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_di_filtraggio
[2] https://www.ted.com/talks/eli_pariser_beware_online_filter_bubbles Breve conferenza TED di Pariser.
[3] Pluralità delle intelligenze, Gardner