Intelligenza artificiale: perché pone interrogativi etici e sui nostri diritti di cittadini?

di Rodolfo Marchisio
e Stefano Penge

Dopo aver introdotto il tema, averlo approfondito  vediamo di spiegare un po’ di più gli aspetti critici dal punto di vista della cittadinanza.
Un intervento educativo (formazione di competenze e cultura digitale) è possibile solo se si supera la visione della digitalizzazione come un processo di democratizzazione spontanea dell’accesso delle informazioni oggi non più possibile. Agenda digitale. E come un processo “magico” e spontaneo di riforma della scuola in senso democratico grazie alle tecnologie

Quale IA
L’Europa ha stabilito i limiti da porre allo sviluppo della IA per tutelare i cittadini:
AI Act.
Riguardano i modelli fondativi alla base di grandi sistemi di AI e il ricorso alla sorveglianza biometrica e alla (ipotizzata) polizia predittiva. L’AI Act, inquadra i diversi sistemi di intelligenza artificiale pone paletti, proibisce alcune applicazioni e introduce procedure di salvaguardia per mettere al riparo i cittadini dell’Unione da abusi e violazioni dei diritti fondamentali. L’attenzione è:
1- sui modelli fondativi, quelle forme di intelligenza artificiale generali in grado di svolgere compiti diversi (come creare un testo o un’immagine) e allenati attraverso un’enorme mole di dati non categorizzati.
Si è lavorato ad una applicazione preventiva delle regole su sicurezza informatica, trasparenza dei processi di addestramento e condivisione della documentazione tecnica prima di arrivare sul mercato. Wired.
2- La UE è arrivata ad un compromesso sull’uso dell’AI per compiti di polizia e di sorveglianza.
Sul riconoscimento biometrico in tempo reale, ma si era discusso anche di polizia predittiva poi vietata. Ossia usare gli algoritmi per prevedere le probabilità con cui può essere commesso un reato, da chi e dove? Quali diritti verrebbero violati con questa delega? AI Act Europa (Wired)

Oltre a questo ci sono nodi e modi di vedere la IA (che è mondo complesso) che emergono anche dal fatto che il termine sia sempre più spesso accompagnato da un aggettivo (generativa, etica, spiegabile …).
Si riflette su questi temi e interrogativi:

  • L’intelligenza artificiale può prendere decisioni basate sui dati e sul passato. Talora errate a causa di una mancanza di consapevolezza del contesto. Esiste una possibilità di sapere come? Dovrebbe essere la IA explainable. (spiegabile). Ma funziona? Per tutta la IA?
  • Una decisione può influenzare la vita delle persone, essere utilizzata per scopi maligni, essere influenzata dai pregiudizi e dai valori dei suoi creatori. Gli algoritmi utilizzati nell’IA possono essere influenzati da pregiudizi, anche involontari. O “premiati” in modo da imparare in una certa direzione prefissata da chi li progetta. Ciò può portare a decisioni discriminatorie, sbagliate, diverse da quelle che avrebbero preso degli umani (processi di selezione del personale, prestito bancario…). Anche se le stesse decisioni umane sono diverse se prese da persone competenti, da potenti, da una maggioranza più o meno informata. Come constatiamo da anni. Ma il meccanismo si potenzia ed opacizza con IA.
  • L’ IA comporta la raccolta e l’elaborazione di grandi quantità di dati personali. Questo solleva preoccupazioni sulla privacy delle persone e sulla sicurezza dei dati.
  • L’IA sta automatizzando e sostituendo sempre più lavori umani. Ciò solleva preoccupazioni sulla perdita di posti di lavoro e sulla necessità di una riqualificazione delle persone.
    Vedi studi del possibile impatto sulla occupazione.
  • Nonostante i progressi nell’IA, esistono ancora criticità sui sistemi di controllo decisionale affidabili e trasparenti. Questi problemi richiedono una rigorosa regolamentazione, un’etica e una responsabilità riguardo all’uso dell’IA, nonché un’attenzione costante alla sua implementazione e sviluppo.

Stefano Penge, filosofo e informatico, avverte:
“L’interesse recente – da un anno a questa parte – per l’intelligenza artificiale, con tutti i discorsi a favore e contro, si è concentrato su un sottoinsieme particolare di abilità che attraggono e spaventano apparentemente più delle altre: quelle linguistiche, che permettono ad un software di analizzare un testo, di tradurlo, di prepararne un riassunto, ma anche di continuarlo o riscriverlo secondo un altro stile; il tutto, attraverso un’interazione continua con le persone (il famoso ‘prompt’).
Il riconoscimento facciale e la guida autonoma (le altre abilità di cui si occupa l’AI ACT) hanno in comune con questo sottoinsieme linguistico  l’abbandono della logica tradizionale, quella basata su regole e deduzione, a favore di una logica induttiva
Niente di nuovo, insomma: tutto sommato anche la nostra specie funziona così la maggior parte del tempo e solo in casi speciali usiamo la logica classica e il ragionamento formale. Vedi anche https://www.stefanopenge.it/wp/intellig-enti/.
Quelli citati sopra sono tutti esempi di machine learning, che indica una maniera di costruire modelli artificiali che simulano una parte del mondo (per esempio, un testo)  a partire dalla raccolta di dati relativi a miliardi di situazioni, per induzione appunto.
Questo sistema è inerentemente soggetto ad errore, perché i dati di partenza non sono tutti i dati ma solo una selezione;  perché la maniera in cui sono stati selezionati quei dati (e la maniera in cui vengono “premiati” i modelli migliori) potrebbe essere non oggettiva ma guidata da preferenze culturali o sociali. Ma soprattutto perché il futuro non è per forza uguale al passato, mentre il machine learning per sua natura si basa proprio su questa fede.
Ma anche se decidessimo di fidarsi delle competenze dei software basati sul machine learning, il problema nasce quando queste competenze vengono usate non a fianco, ma  al posto di quelle umane come se fossero equivalenti in qualità, perché costano di meno e rendono di più a chi le governa.”

Anche Sasha Luccioni, ricercatrice nell’AI etica e sostenibile -HuggingFace – sottolinea:

  1. Consumi energetici troppo elevati, i bias cognitivi che vengono riproposti dagli algoritmi, e la tutela del copyright sono le tre sfide che l’intelligenza artificiale dovrà affrontare.
    La diversità deve essere presente all’interno dei modelli dell’intelligenza artificiale: “La tecnologia non è neutra, i bias dell’intelligenza artificiale altro non sono che quello che noi vediamo nella società. Qualsiasi stereotipo si applichi viene peggiorato dal sistema, che tende ad amplificare la distorsione. Solo il 12% di chi lavora nell’AI è donna …è fondamentale che questa tecnologia “non sia nelle mani di pochi soggetti, deve essere open, per intervenire su questi aspetti in modo condiviso”. Wired
  2. Per tutelare la proprietà intellettuale e il copyright (Luccioni) bisogna “implementare meccanismi per capire quali siano le fonti che sono state utilizzate, analizzare i dataset usati da un’intelligenza artificiale. Un lavoro immane che va fatto fare dalle macchine, ma come e da chi controllate? E i cittadini/utenti in tutto questo?
  3. L’impatto ambientale non è trascurabile:
    Ad esempio, sono state emesse 500 tonnellate di CO2 per la creazione di Gpt-3”.
    Wired

    A proposito della possibilità di controllare l’IA
    Penge paragonava la IA ad una piccola bomba atomica: ha un potere enorme, ma può essere costruita (e smontata) solo da quelli che hanno sufficiente potere per raccogliere, selezionare e gestire i materiali (radioattivi!) necessari. Il semplice cittadino non avrà mai questa possibilità; al massimo può giocare con le interfacce che permettono di interagire con i software di IA.
    “Per dire meglio ci sono tre aspetti:
    uno è quello della chiusura del software, in questo caso della proprietà dei modelli linguistici utilizzati, che hanno grande valore perché sono stati prodotti con molte ore di calcolo e molto lavoro di revisione umana;
    – il secondo è quello delle dimensioni di questi modelli, che per essere creati e trattati richiedono risorse informatiche enormi, che consumano elettricità, scaldano, etc.;
    – il terzo è quello dell’opacità: un Large Language Model è costruito con miliardi di parametri. Significa che non è analizzabile da umani, non si può capire perché risponde in un modo o in un altro. Questi tre aspetti insieme impediscono di mettere le mani in questi strumenti come si potrebbe fare con un software libero, ad esempio con LibreOffice (ma non con MS Word)
    .”

    Tornando alla scuola un esempio di preoccupante ottimismo in questo podcast che ipotizza una scuola alla cinese. Paese che notoriamente è da tempo l’incarnazione del “grande fratello” che viola costantemente i diritti dei cittadini, sudditi ipercontrollati e prigionieri.  Concluderemo sulla scuola.

 

 




Intelligenza artificiale a scuola? Domande e riflessioni

di Rodolfo Marchisio

Dopo aver introdotto l’argomento cerchiamo di approfondire.
Sembra che in merito alla IA ci siano 4 atteggiamenti che animano il dibattito: Tecno-apocalittici, utopisti, attenti all’etica o alla sicurezza (Wired).
Chiarito che mi interessa conoscere di più per capire meglio, penso utile essere attenti alle conseguenze delle tecnologie su di noi come persone e come cittadini. E sui nostri diritti, spesso violati non dalle tecnologie in sé (Bauman), ma dai padroni della rete che le e ci controllano.

Tecnologia in divenire, molto diversificata nelle applicazioni.

La IA si sta evolvendo, cresce in maniera costante ed esponenziale (negli ultimi 4 anni il numero di parametri per modelli linguistici di grandi dimensioni è cresciuto di 1.900 volte) ma “passerà almeno un decennio per assistere ad una vera svolta”.
A me profano pare una tecnologia molto variegata, non ancora del tutto chiara anche perché diversi sono i tentativi, gli usi, le tipologie che si stanno sperimentando. Talora in competizione tra loro. Dicevamo una operazione di mercato non ancora definitiva. Vedi dubbi di Musk, di B. Gates e di altri GAFAM.

Dubbi su IA e cittadinanza 

  • Non controlliamo i suoi effetti. Ma anche il suo uso, perché è in mano ai padroni della rete che hanno denaro e tecnologie potenti.
  • Noi non possiamo “costruire” IA né spesso controllarla. Penge rifacendosi alla contrapposizione software free, open /proprietario paragona “la IA ad una piccola bomba atomica che non abbiamo gli strumenti per costruire in modo libero perché non avremo mai quella potenza di fuoco. Con cui però stiamo giocando.”
  • Che ha ancora parecchi difetti: riconoscimento facciale tarato sui bianchi caucasici, discriminazioni di genere; controllo, gestione, dati; “nutrimento” ed addestramento.
  • Che ha un grosso bisogno di essere nutrita da noi, dai nostri dati e prodotti e dipende da chi la propone e dal perché la propone: la colpa non è del web (Bauman), ma dei padroni della rete. Quindi le polemiche sui dati e prodotti e di chi potranno essere usati per nutrire e far crescere applicazioni di IA. Tutti i nostri dati e scritti online, anche quelli con diritto d’autore? Chi autorizza chi? Chi ci tutela?

L’impressione è che sia al momento una “parola ombrello” (Guastavigna), che contiene cose diverse ed ha diversi significati; che prima di somministrare agli allievi, vanno chiariti e distinti: cosa, a chi, perché e come?
 La mia attenzione è concentrata sulla strada indicata da S. Turkle di domandarsi non cosa fare col web ma cosa il web (compresa l’IA) fa a noi, al nostro cervello, alla nostra sfera reazionale, emotiva. Ed ai nostri diritti.

Rischi denunciati

“La crescente capacità di automatizzare le decisioni su larga scala è un’arma a doppio taglio; com’è noto: il rischio discriminazione non è mai lontano. Gli algoritmi elaborati sui dati storici rafforzano e amplificano i pregiudizi e le disuguaglianze già esistenti, con annessi rischi e minacce per i principi democratici.”
“Ridurre al minimo gli impatti negativi sulla società e valorizzare quelli positivi richiede quindi più che sole soluzioni tecnologiche; è necessario un impegno costante e un’attenzione continua della società. Pertanto, la preoccupazione più immediata per l’IA è cosa accadrà se verrà incorporata irrimediabilmente nella vita quotidiana prima che le sue criticità siano completamente risolte.
I Garanti europei per la protezione dei dati, affermavano che “applicazioni come il riconoscimento facciale dal vivo interferiscono con i diritti e le libertà fondamentali in misura tale da poter mettere in discussione l’essenza di tali diritti e libertà. […] Un divieto generale dell’uso del riconoscimento facciale nelle aree accessibili al pubblico è il punto di partenza necessario se vogliamo preservare le nostre libertà e creare un quadro giuridico incentrato sull’uomo per l’IA”. (Agenda digitale)

Uno studio dell’Università di Stanford indica che i successi del settore rendono ora indispensabile pensare seriamente ai lati negativi e ai rischi che un’ampia applicazione dell’IA può rivelare.

Rampini, Bauman, Pariser, Zuboff ed altri ci hanno insegnato che l’alternativa già oggi nel web è tra essere dominati passivamente o cercare di conoscere e contrastare i metodi dei sistemi economici, politici, sociali che stanno dietro agli ambienti, che ci vengono imposti.
Quindi l’alternativa è cercare di dominare un po’ di più o essere dominati
Se noi cittadini siamo “prigionieri del capitalismo oligopolistico oggi digitale” dobbiamo avere la umiltà di ammettere che siamo tutti dei primitivi…e recuperare il senso critico nei (dei) tempi critici in cui viviamo. (De Kerchove).

Scuola

Se anche la scuola è (già) prigioniera del capitalismo oligopolistico oggi digitale. Bonsanto, Micro Mega, ci fermiamo a riflettere?

a) Perché (e come) proporla a scuola?
b) Ne ha bisogno la scuola (in genere priva di cultura digitale diffusa)?
c)  L’ha chiesta per risolvere qualche suo problema o ne ha già troppi?
d) A che livello di scuola è proponibile?

Tutte le mode e tutti i problemi si riversano in una scuola/contenitore di tutte le mode e di tutti i problemi, nonostante il disorientamento o l’esaurimento dei docenti. Non bastano un referente e qualche iniziativa per problema (Digitale, Ed Civica, Orientamento, Educazione alla relazione ed affettività, STEM …). La ed. civica al quarto anno di sperimentazione non è stata attivata in alcune scuole o in alcune classi e non da tutti i docenti. La scuola 4.0 quanti docenti coinvolgerà realmente? Mi pare che più aumenta la pressione sulla scuola per risolvere problemi complessi che riguardano la società, la politica, la famiglia, meno docenti si lascino coinvolgere. “Mi hanno lasciata sola” dice una referente di Ed. Civica.
D’altra parte anche Dig Comp 2.2. (marzo 22) “affronta l’interazione dei cittadini con sistemi basati su IA non sulla conoscenza tout court della stessa.
Le competenze digitali, non si possono ridurre a degli insegnamenti funzionali a singoli compiti, ma necessitano di una costante contestualizzazione culturale, politica e sociale.”

Approfondiremo ancora.

 

 




Intelligenza artificiale a scuola: argomento di moda o tema da approfondire?

di Rodolfo  Marchisio

Il tema di gran moda quest’anno è quella della IA. Come se non esistesse già prima. Naturalmente quando c’è un tema alla moda (o un problema purtroppo…) lo si vuole subito associare o meglio iniettare nella scuola. Fioriscono i primi convegni, i molti libri, soprattutto le case editrici non si fanno sfuggire l’occasione di essere tra le prime ad offrire corsi e webinar su questo argomento.

Conoscere per capire

Vorrei chiarire che il mio modo di ragionare da sempre è che di fronte a cose nuove e complesse “non è il caso di dividersi (pro vs contro) ma di conoscere di più per capire meglio”. Le osservazioni che farò spero servano a questo e derivano dalla mia esperienza di docente che si portava negli anni 80 i “computer” (allora ZX 81 o Vic 20 solo poi Spectrum o C 64) da casa e li attaccava alla TV. Che per 25 ha fatto l’”animatore digitale”, organizzato laboratori e ambienti di apprendimento “digitali”. Domandandosi quali competenze di docenti e allievi venivano messe in gioco. Come fare e perché. E che conseguenze avrebbero avuto su di noi come persone e cittadini. Poi come formatore dal 1982 (dal PSTD a Scuola 4.0) ha seguito tutte le costose iniezioni di tecnologie che la scuola ha subito – non richiesto – come mercato di riserva delle tecnologie da ufficio, non progettate secondo le sue esigenze. Una per Ministro, nella colpevole illusione che le tecnologie potessero risolvere i problemi della scuola e sostituire una riforma della stessa. Innovazione al posto di progetto. Tecnologie al posto di idee. Iniezioni mai monitorate, spese mai verificate dal ministero, come ha raccontato Gui e come posso testimoniare. Cercando, come formatore, di mediare tra le paure delle tecnologie prima e poi tra il saper usare e sapere come e perché funziona così verso la necessità di formare competenze di cittadinanza e cultura digitale. Il web nel frattempo è molto cambiato (“Non riconosco più la mia creatura”, dice T.B. Lee). Gli studi OCSE 2014, 15 e studi seguenti hanno rilevato che “Le tecnologie di per sé non modificano la qualità dell’insegnamento/apprendimento”. I “buoni docenti si. L’ideale sarebbe dare “buone” tecnologie” in mano a “buoni” docenti, che non solo le usino, ma che si domandino “come funziona e perché funziona in questo modo e che conseguenze ha su di noi”. Come richiesto anche dal Sillabo del MI nel 2018, in cui si scriveva: la situazione attuale del web è complessa, i ragazzi devono sapere cosa succede sulla loro pelle in rete, perché cambiare è ancora possibile. È anche l’anno in cui sono state ridefinite le competenze chiave a livello europeo introducendo le competenze digitali, collegate alle competenze di cittadinanza in Italia che con le prime si identificano: perché tutte  le competenze chiave sono competenze di cittadinanza e viceversa (come ci spiega Bruno Losito). Questo mi interessa visto che dobbiamo formare le persone ed i cittadini e orientarli nel mondo.

Per essere più chiaro ce l’ho coi padroni della rete (Rampini), col capitalismo degli oligopoli digitali che ci sfruttano e riducono i nostri diritti (Schiavi del clic, Casilli) e con quegli insegnanti che, per moda o per stanchezza, si concentrano sull’insegnare ad usare e non sull’insegnare a riflettere. Può essere utile leggere un articolo di Marco Guastavigna che condivido in pieno. Un esempio: la sciagurata scelta delle piattaforme per la DaD, in prevalenza Google (Zoom, Class room e simili) da cui però siamo ancora, dopo quattro pronunciamenti duri dell’allora Garante della privacy Soro, dipendenti.

Il compito della scuola non è quello di insegnare a usare solo, ma di insegnare a conoscere e smontare il giocattolo web per una cultura e cittadinanza digitale.  Se chiudo mia figlia in garage a giocare coi comandi non è che impara a guidare. (Attivissimo, A. O. Ferraris)

La legge 92/19 definisce in modo simile gli obiettivi della Ed. Civica: alla fine il ragazzo deve raggiungere obiettivi legati alla cittadinanza, in genere, non all’uso (cfr. art 5.2.) «Usare il digitale andrebbe insegnato nella scuola sin da piccoli e non parlo di come funziona uno smartphone ma dei sistemi sociali, politici, economici che sono alle spalle» (Soro, ex Garante privacy). L’EC ci ha insegnato che viviamo in contemporanea in 3 ambienti: Sociale, Naturale, Digitale intrecciati tra di loro. Il nostro mondo.

IA è una novità?

Se ne parla perché c’è. Vero, ma c’era in varie forme già prima. Allora come parlarne e perché? Molti ricordano i primi test di Turing, qualcuno ricorderà il chatterbot Eliza (1966) che dialogava come uno psicoanalista, rispondendo ad una domanda con una domanda che catturava una nostra frase chiave. Ricordo i sistemi esperti in medicina, quando insegnavo pedagogia, psicologia e un po’ di informatica agli Infermieri professionali dei corsi parauniversitari della Regione Piemonte. I sistemi esperti riproducevano, seguendo un diagramma di flusso, il comportamento di un medico umano: 1- Sintomi, 2- anamnesi, 3- ipotesi probabilistica della malattia da diagnosticare, 4- Nuovi accertamenti e dati da immagazzinare, 5. Ipotesi di diagnosi e 6- proposta di cura. Oggi la potenza di incorporare dati ed elaborarli è molto maggiore, ma continuo a pensare che sarebbero un ottimo assistente per gli amici medici, cui però dovrebbe spettare l’ultima parola, perché sono quelli che possono pensare: tutto porterebbe a…ma in base alla mia esperienza e conoscenza del paziente ho la sensazione cheIA è già tra noi: a partire dagli algoritmi di google e dei social di cui però non siamo né consapevoli né padroni se mai vittime o consum-attori.

Una operazione di marketing?

Ma perché tutti parlano di Ai? Perché è un’eccezionale operazione di marketing, una delle meglio organizzate degli ultimi anni. Su questa, le imprese della Silicon Valley si stanno giocando il tutto per tutto, per invertire il trend negativo fatto di tagli al personale e cambi drastici dei loro programmi di sviluppo. Intelligenza inesistente, Borroni Barale. Wired parla di “corsa all’oro”.

Quale intelligenza? Quante definizioni di intelligenza e quante di IA?  In un saggio del 2007 Legg e Hutter elencarono 53 definizioni di intelligenza umana e 18 di Intelligenza Artificiale (Floridi).

Cosa vuol dire intelligenza? Io mi tengo strette le idee di Gardner, sulla pluralità delle intelligenze e quella di Goleman sul rapporto tra intelligenza ed emozione. In base alla mia esperienza, intelligenza, apprendimento e contesto relazionale ed emotivo, clima di classe sono fortemente collegate. Si apprende (e si cambia) soprattutto in un gruppo, con esperienze emotive comuni e significative.

Mi sembra che la situazione sia piuttosto complessa e la semplicità non esiste se non come prodotto della riflessione sulla complessità. Vogliamo approfondire insieme?




PNRR Scuola 4.0. Organizzazione dell’ambiente di apprendimento digitale e ruoli del docente

di Rodolfo Marchisio

Dopo

Organizzazione degli spazi e dei tempi e loro necessaria flessibilità in didattica che usi il digitale.
Didattica digitale: il web e le TIC come ambiente di apprendimento
Dimensione pedagogica- organizzativa: gli spazi
Dimensione metodologica: esperienze e attività finalizzate allo sviluppo di competenze intellettuali e sociali attraverso la diffusione di metodologie didattiche.
Digitale nell’apprendimento: ricerca, esplorazione e scoperta
Ricerca e conoscenza
Apprendimento cooperativo e condivisione
Didattica laboratoriale.
Imparare ad imparare

Si tratta ora di affrontare i temi relativi a

  • Diversi ruoli del docente. Il docente non solo ha un ruolo nuovo, ma deve imparare a giocare diversi ruoli fondamentali
  • Importanza degli aspetti emotivi e relazionali anche, e soprattutto, in ambienti digitali.
  • E spiegare cosa intendiamo quando parliamo in modo insistente di cultura digitale, – contrapponendola all’addestramento all’uso di uno strumento o ambiente – come compito della scuola e quindi anche dei progetti relativi al PNRR.

Valutazione formativa
La valutazione formativa è la bussola che orienta il percorso educativo-didattico. [1]

La valutazione mediante software ha attraversato un momento strumentale con il CAI e il CAD, cioè la valutazione, spesso solo quantitativa, ancora in uso anche nelle Università, alle superiori e nei concorsi. Con questionari spesso a risposta multipla somministrati online e poi valutati con ottica sommativa o dando un peso alle varie risposte col programma stesso (talora poi comunicati in automatico via mail o pubblicati).
Ancora ora una parte della valutazione viene affidata a software ed algoritmi (es: Registro elettronico + tabelloni elettronici degli scrutini ed esami, prove standardizzate…).
Un apprendimento come quello descritto sopra non può invece essere accompagnato e concluso che con fasi di osservazione durante il lavoro, con strumenti e metodologie di valutazione formativa. E con forme di autovalutazione, proprio perché è un percorso personale di esperienza, anche relazionale ed emotiva, condiviso e non una singola performance.
E poi il docente non deve solo rilevare un errore o problema, ma caso mai rifletterci sopra con gli allievi, anche con forme di autovalutazione. E questo la macchina non lo fa. [2]
Il lavoro in ambiente digitale trova la collocazione della valutazione intesa come valutazione formativa in un processo metodologico per competenze che preveda le fasi: Progettazione -> Osservazione -> Riprogrammazione ->Valutazione e autovalutazione-> Documentazione.
Le forme di osservazione e valutazione sono già previste nella progettazione, che, come momenti di verifica, tendono a modificare.[3]

Ancora due annotazioni:
1- la osservazione per la valutazione (del progetto, non solo di singole performance individuali) è fatta di raccolta di informazioni e dati: l’uso di ambienti digitali facilita la raccolta, organizzazione ed elaborazione di dati e fornisce informazioni sul lavoro dei singoli o dei gruppi (chi fa cosa, chi consulta cosa, chi scambia messaggi, risorse…), evidenziando i contributi e documentando i progressi individuali e del percorso.
2- Inoltre l’ambiente digitale facilita, fornendo ambienti e strumenti (prima prassi i siti delle scuole), la documentazione, il rendere pubblico e condivisibile non solo il prodotto, ma il percorso fatto. Documentazione utile a far conoscere il progetto e la ricerca al fine di costruire archivi condivisibili e consultabili, come memoria della didattica ed evitando di fare tutti la stessa ricerca. Auspicabili archivi generali (a livello nazionale e regionale) accessibili.

Valorizzazione e diverso ruolo del ruolo del docente

 L’ambiente di apprendimento non può prescindere da coloro che lo abitano; in esso i docenti rivestono un ruolo essenziale. ibidem
In ambiente digitale il docente ha ruolo di proposta, di discussione, di progettazione, di mediazione, di coordinamento, di stimolo alla riflessione che deve avvenire durante e dopo il lavoro (meta riflessione). Senza consapevolezza di quanto si è fatto, imparato, dei problemi emersi o scoperti, delle dinamiche relazionali attivate non c’è formazione di competenze digitali utili. Quindi non basta far lavorare i ragazzi, se poi non li si fa riflettere sul percorso, sulle esperienze, sulle dinamiche, sui prodotti. Rivoltella. Inoltre il docente ha una funzione di esempio, di proposta, di co-costruzione del progetto, di coordinamento, di osservazione organizzata delle dinamiche, dei problemi, delle nuove strade che si aprono (ma anche di attenzione e stimolo rispetto ai temi della sicurezza online).

4- DIMENSIONE RELAZIONALE: CLIMA RELAZIONALE D’APPRENDIMENTO E COSTRUZIONE PARTECIPATA DI REGOLE CONDIVISE DI CONVIVENZA

Valorizzazione delle esperienze degli allievi.
Le esperienze di vita degli allievi rappresentano il terreno fertile su cui far crescere nuovi apprendimenti. ibidem
L’ esperienza di esplorazione e collaborazione in forme nuove spesso poco conosciute, con problemi tecnici da affrontare non può avvenire se il docente si ferma ad un atteggiamento di paura: paura di non dominare le tecnologie, di non dominare il processo o le cose sconosciute che si possono incontrare in rete, di dominare o scoprire insieme i due “fronti” quello tecnico-operativo e, in contemporanea, quello formativo ed operativo con la classe.
O se è demotivato o manca di fiducia nelle competenze, tecniche e non solo, in divenire, degli allievi; è utile essere consapevoli del fatto che queste competenze implicite non sono sufficienti a dominare il web e non esserne dominati. I nativi digitali non esistono – Attivissimo ed altri.

Spesso però la collaborazione fra competenze tecniche implicite degli allievi e competenze formative di progetto, di stimolo, meta riflessione e consapevolezza dei docenti per quanto riguarda la cittadinanza digitale, cioè il lavoro collaborativo con due diversi ruoli è esperienza formativa vincente e significativa dal punto di vista relazionale ed emotivo per gli allievi. Perché il docente si è messo in gioco con loro, pur conservando il suo ruolo di controllo, formativo, di organizzatore e tutor, ma accettando il contributo di altre esperienze e integrandosi con esse. Promuovendo gradualmente e consapevolmente autonomia.

Inclusione delle diversità

Per attivare procedure inclusive all’interno della classe ed evitare che le diversità si trasformino in disuguaglianze: è opportuno adottare specifiche strategie. ibidem

Ci sono tre modi per essere “diversi” nell’uso delle TIC e del web:
a- quella della disabilità o di BES cui le TIC offrono da decenni aiuti molto concreti sia in ottica aumentativa che in ottica sostitutiva e o di adattamento dei compiti. In questo il digitale è una risorsa storica e non un problema. Sempre che i docenti siano formati e capaci di usare in modo utile gli strumenti offerti. I disabili spesso se li portano da casa o li hanno usati nelle scuole precedenti. Li conoscono già.
b- Quella del divario digitale fra chi ha, anche a casa, le TIC e la rete e chi no e non può permetterselo (circa il 25  % degli Italiani non ha la connessione o non se la può permettere. Mentre tutti (94%) hanno uno smartphone. I dispersi della DaD (ca 30%) sono stati i disabili e i ragazzi in difficoltà socio-economica, anche perché si vergognavano di farci entrare a casa loro. Questo evidenzia differenze sociali ed economiche all’interno della classe.
Per questo occorre molta attenzione sia nel richiedere agli allievi di portare da casa strumenti digitali che la scuola non può offrire, sia nell’assegnare compiti/lavori a casa che alcuni allievi ed alcune famiglie non possono affrontare. È un problema educativo sulla strada della integrazione, solo in parte e solo a certi livelli di scuola (superiori) aggirabile con l’uso di smartphone, maggiormente, ma non universalmente diffusi. In DaD si è lavorato su questo, il PNRR oltre la spesa tecnologica compulsiva ha un filone apposta. Vedremo.
c- Dell’utilità delle TIC per l’inclusione: le TIC agevolano la possibilità di diversificare i contributi dei singoli allievi all’interno della classe o del piccolo gruppo di lavoro, permettendo quindi la valorizzazione dei vari diversi contributi ed abilità degli allievi, con i loro diversi stili di apprendimento e l’apprendimento tra pari.

Clima emotivo di classe
L’apprendimento avviene attraverso una relazione di empatia; ecco perché il clima della classe determina la qualità dei percorsi educativi-didattici. ibidem
Gli aspetti emotivi e relazionali sono, in “ultima analisi”, determinanti nell’apprendimento che “passa” attraverso il rapporto docente-allievo e tra gli allievi della classe. All’interno di quello che B. Losito ha spesso chiamato il “clima di classe”.[4]
L’apprendimento (e l’insegnamento) sono esperienze emotive, non solo concettuali e il clima emotivo condiziona fortemente (in positivo o in negativo) la riuscita in ogni gruppo di lavoro.
Gli ambienti e le tecnologie sono ambienti emotivi oltre che relazionali e la introduzione di ambienti e strumenti nuovi, da sempre provoca dinamiche di entusiasmo in pochi e di paura e disorientamento in molti  docenti, più ancora che tra gli allievi.
L’empatia da raggiungere dei docenti verso la classe e l’imbarazzo nei confronti di ambienti e strumenti nuovi sono da sempre, un ostacolo alla introduzione delle tecnologie. È quindi un obiettivo da raggiungere, attraverso la scelta condivisa, la formazione (non addestramento) e la esperienza tutorata. Ogni nuovo ambiente di apprendimento porta delle paure di essere incapaci di affrontarlo e potrebbe invece invogliare all’empatia il gruppo che lo affronta insieme.

Il docente

Il ruolo del docente nel determinare il clima di classe è fondamentale, perché i ragazzi imparano da ciò che noi siamo e dalle esperienze significative che facciamo insieme, soprattutto se hanno una componente emotiva. Ovviamente il tipo di relazione si giudica sul lungo periodo (coerenza) e non in base ad episodi temporanei.
È utile al clima di classe ad esempio che un docente:

1. dimostri un atteggiamento di disponibilità all’ascolto
2. dimostri empatia e capacità di tollerare i problemi, per poi cercare di risolverli
3. valorizzi la positività dei propri allievi piuttosto che sottolinearne le carenze
4. sia disponibile al dialogo e all’accettazione di pareri diversi dal suo se li ritiene utili
5. dimostri coerenza e sia trasparente nelle decisioni che riguardano allievi e classe e nella valutazione ibidem

Il tipo di lavoro attivo, collaborativo e cooperativo di una ricerca o di un’esperienza digitale col docente che lavora insieme agli allievi, con competenze e ruoli diversi, ma tendenti allo stesso fine comune non può che rafforzare la conoscenza reciproca, il senso di comunità di apprendimento e quindi il clima del gruppo. Anche cercando insieme le soluzioni e accettando tutti i suggerimenti utili. Diverso è se il docente, in aula o in laboratorio, “porta i ragazzi a lavorare” e poi non si mette in gioco con loro fino in fondo. Il lavoro col digitale esce dai sentieri conosciuti, tende all’esplorazione, al nuovo e quindi alla scoperta di percorsi e problemi nuovi e comuni. Una vera ricerca sa dove comincia, ma non sa come finisce.

Domande
Non è il digitale anche secondo gli studi OCSE 2014, 2015 e più recenti[5], che aggiunge valore di per sé e migliora l’apprendimento, ma il buon docente, il suo atteggiamento nel lavoro e nella relazione e le sue scelte metodologiche.
Ideale sarebbe dare “buone” tecnologie in mano a buoni docenti, ma se queste riflessioni sono condivisibili:
1- PNRR scuola 4.0 e relativa formazione sono su questa strada?  Oppure avremo la solita formazione tecnica orientata al “saper usare” un giocattolo nuovo e stupefacente (pareti e tavoli “immersivi” …)?
2- I docenti, in generale, una volta che la scuola avrà fatto la obbligatoria spesa digitale, sono poi disponibili aiutati e motivati a questa costosissima nuova situazione? O la subiranno, insabbiandola?
3- Avremo fatto un passo avanti ragionevole nella evoluzione dell’uso del digitale a scuola (da parte di tanti) o avremo buttato via un sacco di soldi?

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[1] Lo schema generale di questo contributo si rifà al lavoro, oggi da me aggiornato ed integrato, del gruppo di Cittadinanza e Costituzione dell’Istoreto, allora coordinato da R. Marchis; in particolare lo schema è stato elaborato da F. Ceriani e R. Marchisio e discusso con L. Truffo, M. Carello, F. Bilancini e le altre colleghe del gruppo. Prendiamo a prestito lo schema generale per riflettere oggi sulle implicazioni educative del Piano PNRR.

[2] Dobbiamo molte nuove idee e nuovi stimoli sulla valutazione formativa attuata in ambiente digitale al libro di S. Penge
https://www.edizionianicia.it/prodotto/valutare-negli-ambienti-digitali/

[3] Il concetto di circolarità del curricolo didattico è presente da tempo, ad esempio nei lavori di Nichols e Nichols, ma ha trovato una definizione più completa nella proposta metodologica del lavoro per competenze, peraltro spesso osteggiato, mal compreso o deformato nella scuola. Collegata è la esperienza di valutazione formativa nella primaria (talora non bene compresa e attuata) OM 172/20.

[4] Oltre a B.Losito, Goleman, Intelligenza emotiva

[5] Vedi anche Gui, Il digitale a scuola, https://www.mulino.it/isbn/9788815283207




PNRR Scuola 4.0. Organizzazione dell’ambiente di apprendimento digitale e ruoli del docente

di Rodolfo Marchisio

 Premessa
Dopo aver sviluppato

si tratta ora di affrontare i temi relativi a

  • Organizzazione degli spazi e dei tempi e loro necessaria flessibilità in didattica che usi il digitale.
  • Diversi ruoli del docente. Il docente non solo ha un ruolo nuovo, ma deve imparare a giocare ruoli diversi.
  • Cosa intendiamo quando parliamo in modo insistente di cultura digitale, contrapponendola all’addestramento all’uso di uno strumento o ambiente, come compito della scuola e quindi anche dei progetti relativi al piano.

Cos’è un ambiente di apprendimento, come si articola e organizza? Quali sono i ruoli che il docente deve imparare a giocare quando propone un lavoro in ambiente digitale

PROGETTARE L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO DIGITALE

“L’ambiente di apprendimento rappresenta il contesto in cui gli allievi maturano le proprie abilità e conoscenze e sviluppano le competenze di Cittadinanza; esso è un elemento fondamentale per la realizzazione di percorsi educativo-didattici significativi. Per questo motivo, risulta decisivo dare una conformazione pedagogica all’ambiente di apprendimento. [1]

Didattica digitale: il web e le TIC come ambiente di apprendimento

Parole chiave: esplorazione, ricerca, relazione, comunicazione, collaborazione, condivisione, costruzione, ipertestualità, lavoro a distanza, capacità di valutare, capacita di scegliere, libertà di espressione. In rete l’intelligenza non sta solo nella mia testa ma nella testa di tutti coloro che interagiscono con me producendo esperienza L. Rosso. Si è quindi parlato a proposito del web di “Intelligenza collettiva” o “connettiva”.
S. Penge definisce l’apprendimento la “Capacità di impadronirsi di un ambiente”.

Le risorse digitali arricchiscono il contesto scolastico, aprendo una finestra sul mondo. Inoltre, costituiscono già un luogo di apprendimento implicito non organizzato e di esperienza fuori dalla scuola (dall’iperscuola di Calvani, all’ ambiente digitale come ambiente in cui viviamo come persone e come cittadini). È necessario inserire la rete e le TIC, quando utili e come esperienza di riflessione e conoscenza del mondo e della cittadinanza “digitale” a scuola e nel lavoro, anche in classe in modo organizzato e consapevole.
Per gestire al meglio gli strumenti e gli ambienti legati al web è importante, dopo uno stimolo iniziale (osservazioni, dati, letture, video…), riflettere e sperimentare insieme i seguenti aspetti:

  1. Conoscere insieme in modo critico, più informato e consapevole, il web nella sua evoluzione attuale, che già i ragazzi vivono “sulla loro pelle”. MI 2018.
  2. Riflettere insieme sulle potenzialità didattiche e formative, ma anche sui pericoli e punti critici della rete.
  3. Educare gli allievi a compiere scelte consapevoli e selezionare materiali e ambienti secondo fini e criteri concordati.
  4. Abituare ad utilizzare in modo critico, consapevole di vantaggi e limiti, gli strumenti delle nuove tecnologie, quando utili. Non saper fare, ma sapere quello che si fa.
  5. Far sperimentare la valenza sociale della rete (cittadinanza, diritti, dati, privacy…)
  6. Affrontare insieme la esplorazione delle potenzialità del web con curiosità, senso critico, ma senza paure.

NB Nelle attività di ricerca, in particolare in ambiente digitale, per le sue caratteristiche di continua novità e di vastità delle esperienze, ha poco senso un approccio trasmissivo da parte del docente, che a mio avviso va limitato al necessario (lessico, prime istruzioni di uso…); si può partire da stimoli (dati, letture, video, esempi) per riflettere insieme e poi verificare, attraverso la esperienza condivisa, le idee emerse. [2]

DIMENSIONE PEDAGOGICA- ORGANIZZATIVA

Spazi

“L’utilizzo flessibile degli spazi, la presenza di arredi e di strumenti adeguati, contribuiscono alla realizzazione di un ambiente innovativo.” ibidem

L’ organizzazione e la forma di un laboratorio, di una classe in cui si usi il digitale, prefigura e condiziona il tipo di didattica, le competenze e gli obiettivi da raggiungere:

1 – Una classe organizzata con 1 pc per banco ed un master sulla cattedra a fronte, riproduce il modello della lezione o esercitazione frontale e non favorisce la ricerca di gruppo.
2- Un laboratorio o una classe organizzata a isole di lavoro o coi PC a ventaglio contro le pareti, è la struttura migliore per una ricerca a gruppi o in piccolo gruppo e favorisce la supervisione dinamica e pro-attiva ed il coordinamento da parte del docente.
3- Un modello 1 (ragazzo) a 1 (PC) suggerisce compiti e lavori individuali, mentre un modello 1 PC 2,3 ragazzi propone una discussione ed una mediazione utile alla ricerca. Imparano a lavorare insieme.
4- La classe con la LIM (o simili) permette una lezione partecipata e animata, ma sempre con un solo protagonista per volta alla lavagna. In molti casi, più che ricerca si fa lezione partecipata e iper-mediale. Se non semplice proiezione.
5- Una classe con tablet portati da casa e modelli didattici a questo ispirati può evidenziare chi ha e chi non ha il computer, (mentre tutti o quasi hanno uno smartphone) e far emergere una frattura digitale interna alla classe (come successo in DaD).
6- L’alternanza classe/altri spazi, laboratori diversamente attrezzati, spazi comuni, classi con LIM condivise a rotazione, postazioni mobili sono soluzioni più economiche e flessibili di tutti i modelli unici (nessuno dei quali è auspicabile né sostenibile economicamente per tutte le classi del paese) e favoriscono l’uscita dalla dimensione esclusiva della classe.

DIMENSIONE METODOLOGICA: Esperienze e attività finalizzate allo sviluppo di competenze intellettuali e sociali attraverso la diffusione di metodologie didattiche. ibidem

 Digitale nell’apprendimento ——> Ricerca, esplorazione e scoperta

Il “digitale”, come ambiente di apprendimento, se usato in modo attivo, critico e avveduto, ci propone il metodo dell’esplorazione, attraverso gli “inviti operativi dei link[3]” di un mondo, virtuale e reale insieme, talora in modo inscindibile, che si intreccia in modo sempre più stretto col mondo e coi meccanismi che agiscono offline e spesso li condizionano: dal  punto di vista della conoscenza, della ricerca, dell’apprendimento per esplorazione e per tentativi ed errori, ma anche dal punto di vista personale.

I social network sono luogo di identificazione (oltreché di relazione). Molti dei processi tradizionali di formazione personale e crescita – > individuazione -> autonomia dei ragazzi si sono trasferiti in rete a cominciare dalla identificazione: chi sono? Come mi presento? Per proseguire con le relazioni, con l’immagine di sé modificata attraverso i feed back o la percezione del proprio ruolo nel gruppo.

Il modello della rete è un modello ipertestuale (la rete come metafora dell’ipertesto universale): ne consegue che il web non è una rete di computer (struttura) ma di persone e che le relazioni fra loro sono più importanti del singolo (“nodo”).

Collegare, connettere significa dare/trovare (spesso insieme) un senso alle cose (P.Levy).

Occorre per questo:
1- Che i ragazzi conoscano il web ed i suoi ambienti anche nelle loro componenti e dinamiche attuali: come funziona e perché funziona così. Semplificando: il potere su di noi dei GAFAM.
2- Che imparino a navigare senza perdere l’orientamento e quindi che sappiano tornare al punto di partenza e puntare sempre all’obiettivo della navigazione.3- Che sappiano altresì sfruttare strade, materiali, idee nuove che incontrano nella ricerca.
4- Che evitino di navigare a caso e senza meta durante il lavoro programmato.
5- Che realizzino/sappiano che dietro ad ambienti, siti e computer ci sono persone con le loro idee e emozioni e con le loro scelte (social, siti, piattaforme), ma anche imprese ed interessi molto forti che li sfruttano; quindi che quello che succede nel web “non è responsabilità della rete né degli algoritmi, ma delle persone che hanno scelto i criteri di funzionamento degli algoritmi”. Bauman

Ricerca e conoscenza

Il secondo metodo proposto dalla rete è quello della ricerca.
1- L’eccesso d’informazioni incontrollate formatosi in rete, richiede di costruire competenze di scelta, metodi di valutazione e validazione delle informazioni reperite, in quanto non sempre utili e affidabili e consapevoli che una informazione non è conoscenza se non validata e se non c’è riflessione. Si richiedono oggi maggiori competenze di mediazione da parte del docente.
2- È quindi necessario che la rete non diventi un luogo di saccheggio indiscriminato (copia e incolla, rispetto del copyright, nuove forme di copyright).
3- È altrettanto importante non confondere il metodo (la ricerca) con gli strumenti, per quanto potenti e complessi (Ricercare = Googlare?)
4- Infine  i ragazzi devono sapere che la rete di per se non ha compiti definiti, non ha regole e non è neutrale, ma gli algoritmi che gestiscono le informazioni (motori di ricerca privati), le app, le piattaforme (anch’esse quasi sempre private, anche nel mondo della scuola) rispondono a logiche  commerciali e non di conoscenza. Sta a noi trarre da questi e in generale dalla rete, le informazioni, i materiali, le idee utili formando nuove competenze.
5- E studiare e sperimentare alternative a questi monopoli.

Apprendimento cooperativo e condivisione
La dimensione sociale dell’apprendimento riveste un ruolo essenziale per la crescita della persona. ibidem

Il modello innovativo, accanto a quello dell’utilizzo puro (mail, ricerca attraversi motori, reperimento materiali), da cui è nata e cui si è ispirata l’introduzione del web nell’apprendimento è il modello del collegamento e della relazione fra persone, della condivisione che la rete facilita in modo asimmetrico nello spazio e nel tempo, della cooperazione sia nella ricerca, sia nella costruzione di prodotti, sia nella riflessione allargata e comune (Intelligenza collettiva – P. Levy – o connettiva – De Kerchove)[4] sia nella collaborazione a distanza. Se nella rete l’intelligenza non sta più solo nella mia testa ma nella testa di tutte le persone che interagiscono con me producendo esperienza ed apprendimento (L. Rosso) ha quindi un senso limitato, rispetto all’apprendimento, l’uso individuale a scuola di strumenti digitali, perché la situazione che il web propone e permette è, anche nel lavoro, una situazione di collaborazione.

Didattica laboratoriale.

Il laboratorio è un ambiente di apprendimento che permette l’attivazione di una didattica per competenze, sia quando è attivato in ambienti interni alla scuola, sia quando valorizza il legame col territorio. ibidem

Un laboratorio basato sul digitale deve:

1- prevedere azioni che consentano agli allievi di essere operativi. Non ha senso portare i ragazzi in laboratorio o trasformare la classe in laboratorio per poi chiedere loro ruoli passivi o puramente esecutivi.
2- Incoraggiare la ricerca e la progettualità. La didattica in ambiente “digitale” nasce da un progetto discusso e condiviso.
3- Rendere gli allievi protagonisti nel progettare, realizzare e valutare attività laboratoriali di ricerca e azione dentro e fuori la scuola.

 Imparare ad imparare (allievi e docenti).

Compito fondamentale della scuola è promuovere in ciascun allievo la consapevolezza del proprio modo di apprendere e del proprio cammino. ibidem
Anche in ambiente digitale è fondamentale oltre a quanto già citato, accompagnare gli allievi ad acquisire un proprio metodo di lavoro, di indagine, di studio, di uso delle TIC. E la consapevolezza di esso. Che anche il docente conquista attraverso la esperienza.

Nella seconda parte parleremo di:
Valutazione formativa
Valorizzazione e diverso ruolo del ruolo del docente
Valorizzazione delle esperienze degli allievi.
Inclusione delle diversità
Clima emotivo di classe
Il docente e l’ambiente emotivo della classe

[1]  Lo schema di questo contributo è dovuto al lavoro, oggi da me aggiornato ed integrato, del gruppo di Cittadinanza e Costituzione dell’Istoreto, allora coordinato da R. Marchis; in particolare questo schema è stato elaborato da F. Ceriani e R. Marchisio e discusso con L. Truffo, M. Carello, F. Bilancini e le altre colleghe del gruppo. Prendiamo a prestito lo schema generale per riflettere sulle implicazioni educative del Piano PNRR.

[2] Per “critico” intendiamo un atteggiamento che non si fermi alla apparenza o alla fruizione passiva, ma si interroghi su come funziona e perché funziona così quella piattaforma o parte del web e quindi sia consapevole dei limiti e problemi connessi sia a livello personale che di cittadinanza, formando autonomia di giudizio e di scelta.

[3] Dobbiamo il concetto di “inviti operativi” a M. Guastavigna.

[4] Intelligenza collettiva https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_collettiva
Intelligenza connettiva https://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo/l-intelligenza-connettiva-di-de-kerckhove/3331 https://www.treccani.it/vocabolario/intelligenza-connettiva_%28Neologismi%29/




Soldi, soldi, soldi: PNRR e Scuola 4.0 – Ma voi sapete cosa si sta decidendo nella vostra scuola?

di Rodolfo Marchisio

Le scuole sono sovraccariche in questo periodo, a causa della produzione di progetti – cfr. elenco di Stefanel – spesso legati al PNRR; non sembra tutti utili o realizzabili, né, a mio avviso legati ad una strategia esplicita complessiva che sia convincente, che vada aldilà della causalità:
soldi disponibili -> progetto -> soldi erogati.

Poiché almeno 3 filoni di finanziamenti hanno a che fare con la nuova iniezione di tecnologie digitali nella scuola e tutte con la formazione, se non con un modello di scuola, resta da definire qual è l’incastro temporale e funzionale delle varie iniziative in un progetto complessivo.
Per quanto riguarda il cosiddetto “digitale” riprendiamo l’analisi già introdotta e “curiosiamo”.
Almeno all’inizio parrebbe abbastanza chiaro.

Al fine di coordinare le misure di trasformazione digitale, ciascuna istituzione scolastica adotta il documento “Strategia Scuola 4.0, che declina il programma e i processi che la scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR con la trasformazione degli spazi fisici e virtuali di apprendimento, le dotazioni digitali, le innovazioni della didattica, i traguardi di competenza in coerenza con il quadro di riferimento DigComp 2.2, l’aggiornamento del curricolo e del piano dell’offerta formativa, gli obiettivi e le azioni di educazione civica digitale, la definizione dei ruoli guida interni alla scuola per la gestione della transizione digitale, le misure di accompagnamento dei docenti e la formazione del personale, sulla base di un format comune reso disponibile dall’Unità di missione del PNRR”. Semplice no?
Si tratta di 2,1 miliardi per Scuola 4.0[1] già stanziati in base al numero delle classi (l’elenco completo dei fondi assegnati). Più altri dedicati ai laboratori (Ist. superiori), Labs (elenco completo).
Chi ha meno di 100 mila euro o ha buon senso o fa la figura del poveraccio, mentre gli altri avranno da 125 a 500 mila euro.


Da dove vengono questi soldi?
Dal PNRR, in genere da fondi UE (compresi i fondi versati dall’Italia) e parzialmente (in genere 2/3) sotto forma di prestiti. Come farà la scuola a restituire questi fondi (parliamo di 125- 250 mila per scuola)? Ne vale veramente la pena o ci stiamo facendo prendere dalla furia “digitale è di moda” e del “tanto è gratis”?
Dice un “esperto”: “unica clausola inderogabile è non scendere sotto il target”. Esageriamo!

Il linguaggio
Ci serve un Project manager (di solito, almeno formalmente, il DS), uno o più progettisti, collaudatori, DSGA, animatore digitale (che vede aumentata la sua dotazione a 2000 euro), un team digitale, un supporto tecnico-operativo al RUP.
Dopo di che se hai dei dubbi puoi aprire “un ticket”.
Basta definire e rispettare il time sheet, il capitolato e il disciplinare.
Sorgono dubbi:
Check list DNSH in particolare con la scheda 3 ex-ante?
Sono iscritti su MePA, i prodotti devono avere la certificazione CAM?
È possibile caricare i file SOLO in formato p7m?

Chi lo scrive, chi decide.
Si stanno formando, talora scalzando i “desueti” Animatori Digitali, nuovi (reali, talora presunti) gruppi di tecnocrati e amministratori “specializzati”: dov’erano nascosti sinora? Hanno avuto una formazione sul campo?
Il DS è, spesso, il project manager, almeno formalmente e come remunerazione, mentre i progetti vengono elaborati da lui, dai docenti più esperti in qualità di “progettisti” o da AD e team. Spesso direttamente dal fornitore.  Un budget del 10% va a costoro (es. 15 mila su 150 mila). Spesso occorrono graduatorie e bandi per scegliere i vari ruoli ed i vari strumenti.

I genitori, gli allievi e il collegio talora non sono stati neppure consultati
E il progetto si blocca in C. di Istituto come segnalato da M. Guastavigna.[2]
Ma non era un progetto educativo per innovare la scuola? Non si dovrebbe partire dal progetto educativo e dagli OOCC?

Dubbi.
Voi incaricate già anche il collaudatore? Anche se non ha ancora nulla da collaudare (pertanto nulla da inserire in timesheet)?
Vorrei sapere se il KIT xxxx”, Kit xxxx”, il Modello xxxx e xxxx con schiena aperta, che i docenti di matematica hanno richiesto per implementare (sarebbe integrare, arricchire?) l’ambiente innovativo dedicato alle scienze, possono essere inseriti nelle spese per l’acquisto di dotazioni digitali(?)

Altri “filosofici”
Un carrello per spostare le macchine può essere considerato tecnologia digitale?
Un tavolo che fa da supporto alla robotica può essere considerato nel digitale?
Un carrello STEM vuoto va conteggiato?
Sicuramente sono tecnologie, ma ormai confondiamo tecnologia con “digitale” anche se non ci sono chip. Cfr. Treccani.
Si può fare una parete immersiva?[3]
Ma il vero dubbio da cui partire potrebbe essere “Quali sono i requisiti minimi che deve avere un ambiente per essere innovativo? Ci sono degli elementi che si devono obbligatoriamente inserire in un ambiente per essere innovativo? Gli aggettivi sono usati in libertà. Innovativo e digitale sono sempre più sinonimi.
Più concretamente:
Possiamo far ridipingere i muri?
L’esperto: si ma dipingendo soggetti digitali. (!)
E comprare le tende? Si, se servono a oscurare l’aula per proiettare.

Focus tecnocentrico.
Parola d’ordine “digitalizzare” (qualunque cosa voglia dire).
Puoi togliere solo per incrementare le attrezzature tecnologiche (Infatti è scritto dal 60% fino a 100%).

Scorciatoie
Affidare tutto ad aziende esterne, alcune, come sempre in passato, nate apposta, forniscono pacchetti con progetti, preventivi e formazione.
Il Pnrr scuola 4.0, in affanno, sta scivolando verso l’asservimento digitale al privato. L’ennesimo.
Si avvicina la scadenza (forse rimandata a luglio o ottobre fra polemiche: ci mangiamo le vacanze!).
Risposta: “meglio fare tutto prima. Adeguarsi ai pacchetti offerti dalle ditte (!) rispettare quel che “vogliono loro” (NdA ministero) e affidare alle ditte (!).
Poi qualcuno la contrabbanderà come una “rivoluzione digitale della scuola”. La misura della innovazione calcolata sul numero e sul costo delle tecnologie comprate.
Ma senza cultura digitale comprare macchine è buttare soldi dalla finestra, perché usare il digitale senza cultura è non solo pericoloso, ma diseducativo, non motivato e perdente.
C’è chi invita alla riflessione “Dispiace leggere e sentire in giro stupidaggini, anche da aziende che creano e offrono specchietti per le allodole approfittando del gap conoscitivo di molti docenti sull’argomento. Usiamo bene i soldi pubblici, studiamo, informiamoci con i colleghi che usano già ciò che vorremmo acquistare, scegliamo bene per noi e per i nostri studenti.
Che il PNRR sia anche un’opportunità di crescita professionale! Solo così avrà una vera ricaduta sulla qualità dell’istruzione nel nostro paese.
In effetti chi ha scelto di integrare l’esistente, spesso non utilizzato da tutti, sta facendo una scelta ragionevole. Chi punta agli effetti speciali digitali aumenterà il museo delle tecnologie dalla vita breve.

I “pacchetti”
Fioriscono seminari con esperti Google o altri fornitori. Non impariamo dai nostri errori e rimaniamo prigionieri degli stessi “padroni” da cui potevamo liberarci.

Osservazioni dopo una prima lettura.
Non viene spesso discussa e dimostrata la utilità didattica ed educativa di quello che affannosamente si compra. Non ne è dimostrata quindi la necessità.
Non viene prima discussa (anche coi genitori o in collegio) la esigenza didattica ed educativa e le ipotesi educative e didattiche di questi acquisti. Gli acquisti affannosi non sono legati ad un nuovo progetto di scuola.
Spesso non sono previste ipotesi pedagogiche verificabili non legate alla stanca, falsa retorica che accompagna da decenni il “digitale” (“si annoiano meno, si creano situazioni nuove, il digitale facilita di per sé l’apprendimento, il lavoro di gruppo, il futuro nel mondo del lavoro” …)
Dubito che saranno monitorate e verificate utilità e vantaggi di queste spese ingenti.
Sarà possibile alle scuole avere questi soldi, ma restituirli? Chi, come e entro quando?
La cosa assurda è che le scuole che hanno molti problemi (dall’organico, alle risorse, alla sicurezza, soprattutto alla mancanza di un progetto di scuola insieme autonoma e Costituzionale, che garantisca però a tutti una base comune…) avranno soldi, tanti, per cose che non sono tra le loro priorità, ma una forma di condizionamento esterno non corretto metodologicamente, perché legato alla convergenza fra:

  • priorità emerse a livello europeo nel PNRR (ricostruzione e resilienza) insieme ad altre, a livello macro
  • mode, ministeriali e non solo, non pedagogie provate, che affidano alle tecnologie “digitali” il santo potere di risolvere i problemi della scuola
  • interessi delle grandi aziende che hanno da sempre nella scuola un facile mercato di riserva (Google non ci molla più da quando siamo caduti nella trappola delle piattaforme sponsorizzate dal MI e da cui siamo ancora pigramente dipendenti)
  • la apparente (e sempre più in bilico) abbondanza di fondi e prestiti del PNRR. Ammesso che arrivino.

Allora le scuole devono contestualizzare con realismo e buon senso le linee d’azione senza farsele imporre. Anche per quanto riguarda la relativa formazione.
Le conclusioni di Giannelli (ANP): “Ci troviamo nel paradosso per cui la nostra scuola, che soffre da sempre di carenza di risorse, ha il problema opposto: troppe risorse che non sa come spendere”.
Una riflessione su cui vorremo tornare è come dovrebbe cambiare il ruolo del docente, la didattica, la organizzazione di tempi e spazi, il progetto di scuola e delle scuole (obiettivi e competenze da raggiungere) su cui pare ci sia qui scarsa attenzione e consapevolezza.
E su cosa ne pensano i colleghi.

[1] https://pnrr.istruzione.it/infrastrutture/scuole-4-0-nuove-aule-didattiche-e-laboratori/

[2] Sulla motivata delibera contraria del liceo Albertelli vedi https://www.tecnicadellascuola.it/il-no-del-liceo-albertelli-al-pnrr-non-guarda-affatto-alle-urgenze-reali-non-e-una-battaglia-contro-le-tecnologie

[3] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-liceo_albertelli_di_roma_e_i_fondi_del_pnrr_perch_non__andata_come_ve_la_racconta_repubblica/39130_49699/

[3]  “Immersivo” significa “Nel quale si entra completamente, rimanendone avvolti”. Non può esistere una “parete immersiva”, può esistere uno spazio immersivo, chiuso a 360°.

 

 

 




PNRR Scuola 4.0. Ma se non cambiano le competenze pedagogiche, i ruoli, la cultura digitale dei docenti…

di Rodolfo Marchisio

Sto seguendo lo sviluppo affannoso dei colleghi delle varie scuole dei progetti PNRR Scuola 4.0, attraverso il dialogo con alcuni amici Animatori digitali e il dibattito serrato su alcuni ambienti social.
Si tratta, come tutto il Pnrr di soldi, tanti ed europei, ma anche della ennesima “iniezione” di tecnologie “didattiche” nella scuola. Questa volta la richiesta viene dalle scuole e dovrebbe essere più contestualizzata.
Ho vissuto la scuola dal 1969 come docente e con tanti, troppi, ruoli: da “Animatore Digitale” a Funzione Obiettivo, si chiamava così, del POF, a “preside ombra” per 25 anni.
Ho seguito, come docente (e formatore dal 1982) le varie iniezioni di “digitale” nella scuola tramite progetti, che ho scritto, seguito, presentato, realizzato, dagli anni 70.

Dal PNSD, a Fortic 1 e 2, a classi 2.0, 3.0, LIM, “Buona Scuola” e via delirando. DaD e Covid compresi.
Una scuola con sempre meno risorse (clamorosi i tagli anche di organico di Gelmini, ma anche il recente DEF vuole ridurre l’investimento nella scuola dal 4 al 3,5% del PIL, quasi tutto usato per gli stipendi dei docenti che stranamente continuano a mancare).

Allora la scuola era e continua ad essere, per avere risorse, un progettificio.
Si fanno tanti progetti per avere risorse, ma anche perché manca sempre un progetto comune di scuola e quelli tentati (da Moratti alla “Buona scuola”) non reggono. Specie con meno risorse.

Una constatazione
Come

  1. Sperimentato personalmente in questi decenni
  2. Dimostrato da studi OCSE dal 2014, 2015 fino ai più recenti degli scorsi anni
  3. Raccontato da Gui, nel libro Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio? che riassume quanto avvenuto.

    L’uso di tecnologie digitali non modifica la qualità dell’Insegnamento/apprendimento.
    I buoni docenti si. Indipendentemente dalle tecnologie che usano e anche in DaD.

a- “La capacità degli insegnanti emerge come prioritaria per il successo dell’innovazione quando le ICT vengono integrate come strumenti didattici a supporto dell’insegnamento di altre discipline”…
b- “Oltre ad un problema legato alla disponibilità di risorse, la scuola italiana mostra un certo grado di resistenza al cambiamento: solo il 73 per cento degli insegnanti in posizione direttiva ritiene che la propria scuola reagisca in maniera veloce ai cambiamenti quando necessari, contro una media OCSE dell’87,8 per cento”…
c- “Nel testo OCSE si segnala che il successo nell’uso delle ICT per scopi educativi si basa soprattutto sulla capacità degli insegnanti di selezionare, creare e gestire risorse digitali adeguate a un insegnamento innovativo e inclusivo perseguito adattando le strategie di inserimento delle ICT al contesto scolastico specifico. Non basta quindi la disponibilità di attrezzature ICT per garantire che gli studenti ottengano un miglioramento sul versante cognitivo…[1]

Iniezioni forzate di tecnologie vs riforma della scuola: innovazione tecnologica vs riforma

Ogni ministro dell’ex MIUR poi MI e oggi MIM ha velleitariamente e colpevolmente iniettato nella scuola, d’intesa con partner commerciali, una tecnologia “digitale” con relativa formazione, inclusa spesso nel pacchetto dal fornitore di turno, senza che questo fosse chiesto dalle scuole in base ad una analisi dei bisogni e dei contesti. E senza un progetto generale.
Spesso senza che questo diventasse patrimonio di tutti i docenti e senza monitorare l’esito di questi investimenti di soldi e di tempo, per pigrizia e perché intanto cambiava Ministro. Il report dell’impatto qualitativo delle classi 2.0 se ben ricordo elaborato dall’Ispettore Tecnico De Anna, che ho letto, non è mai stato preso in considerazione dal Ministero.

Quanti docenti coinvolgono questi progetti

Solo il Covid, per forza di cose, ha portato ad aumentare la percentuale di docenti interessati ed abbastanza addestrati (dal 30 a 70%) nell’usare piattaforme commerciali riciclate (come lo erano le LIM: la scuola come “mercato di riserva”) ed insicure: vedi pareri drastici dell’allora Garante della privacy A. Soro sul controllo dei dati sulle piattaforme Google (Zoom, Class room che continuiamo da usare) o Microsoft per la scuola; rigide, non nate per la scuola e che non hanno mai dato garanzie di controllo dei dati di docenti e famiglie .
“Se non siete in grado di controllare l’uso che dei vostri dati fanno i padroni delle piattaforme (e nessun DS è in grado di farlo) tornate ad usare solo il registro elettronico”. A. Soro

Quasi sempre la formazione era ed è legata a competenze di uso e ha coinvolto un numero limitato di docenti. “Saper usare” una LIM, un’aula 2.0 o 3.0; mentre il livello di consapevolezza delle implicazioni pedagogiche, didattiche, di cultura e cittadinanza digitale è, anche tra molti docenti, carente. Come peraltro dimostrato dalla sperimentazione, che sta finendo, della Educazione civica, in particolare della educazione alla cittadinanza digitale.

Tutti vogliamo usare, pochi vogliono riflettere su come funziona il web oggi e perché funziona così.
E sul fatto che il web è uno dei 3 ambienti in cui viviamo in contemporanea: insieme a quello sociale (Costituzione e diritti) e quello naturale (ambiente). Un ambiente che ci sta cambiando profondamente. [2]
Ma che è anche un campo di battaglia tra oligopoli, Stati e cittadini troppo spesso inconsapevoli e vittime. [3] I ragazzi debbono sapere cosa succede sulla loro pelle in rete” perché cambiare è ancora possibile. Vademecum MI 2018

Abbiamo girato pagina con la scuola 4.0?

Leggendo colpiscono:
a) il linguaggio da addetti ai lavori al limite della comprensione. Vecchio difetto. Come se una cosa detta da “figo” in Inglese la rendesse più utile e più appetibile (o inaccessibile?).
b) La varietà delle richieste e dei modelli in discussione (da chi organizza aule “digitalizzate”- qualunque cosa voglia dire – una per materia; a chi vuole organizzare un’aula virtuale a 360° in cui l’allievo si immerga; a chi chiede se si possono prevedere tra le spese a bilancio la tinteggiatura delle pareti – si ma solo se si dipingono soggetti “digitali” risponde l’esperto-; a chi integra più concretamente e cerca di rendere più flessibile l’uso delle tecnologie sganciandole dall’aula organizzata a lezione frontale con un PC sulla cattedra e uno per banco…); a chi si butta sulla robotica…

Alcuni aspetti da approfondire:

  1. L’iniezione di tecnologie “digitali” di per sé continuerà a non modificare la qualità dell’insegnamento/apprendimento indipendentemente da quanti soldi si sono spesi e dalla originalità della proposta.
  2. La formazione dovrà servire non ad “imparare ad usare” quella roba li con un nome strano in inglese, ma a:
  • A coinvolgere più colleghi possibile nella sperimentazione delle tecnologie, nei loro ambiti disciplinari e nelle attività trasversali di didattica attiva, a patto che ne capiscano l’utilità, elaborino attività convincenti e ne abbiano voglia.
  • Lo scopo della formazione non può essere solo di addestrare all’uso del nuovo giocattolo. È vero che nell’elaborare i progetti bisogna indicare obiettivi ed utilità didattica, ma la riflessione sul rapporto spazi, tempi e metodologie didattiche o quella sulla utilità ai fini della formazione di una cittadinanza digitale è da approfondire.
  • La riflessione su questi progetti è condizionata dal fatto che non si tratta solo di più tecnologie, ma di modificare le competenze ed i ruoli dei docenti che inevitabilmente debbono diventare organizzatori di spazi e di tempi, tutor, registi, animatori e gestori di una didattica formativa che coinvolga gli allievi li renda protagonisti di una ricerca attiva, che sa dove comincia ma non sa dove finisce. Che “ceda il controllo dell’ambiente” agli allievi (Penge). [4]

Ricordo un collega che, di fronte al laboratorio “nuovo” digitalizzato, organizzato fisicamente in aree/gruppi di lavoro e non ad aula frontale, perché orientato alla ricerca (la strutturazione degli spazi condiziona il tipo di didattica e di metodologia, vedremo, come la organizzazione dei tempi) lo trasformava in aula di proiezione: prima aveva usato la LIM come schermo cinematografico e prima ancora proiettava sul muro della classe. Però era passato dalla cassetta VHS, al CD e poi alla pennetta. Evoluzione dei supporti vs evoluzione della metodologia e della riflessione e consapevolezza didattica.

Sono invece condizioni necessarie
1- una capacità di organizzazione di spazi e tempi più flessibile da parte dei docenti
2- una maggiore articolazione dei ruoli e delle competenze dei docenti coinvolti e
3- la formazione di una cultura dell’ambiente digitale in cui viviamo, che sta dietro a tutto questo.
Ne parleremo presto.  Se interessa.

 

 

 

 

[1]  https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/ict-e-scuola-il-nuovo-questionario-ocse-pisa-2021/

https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-le-carenze-della-scuola-italiana-il-quadro-secondo-i-dati-ocse

[2]https://www.bing.com/videos/search?q=youtube+nuovo+pavonerisorse+come+il+web+ci+cambia&view=detail&mid=3D725C592E07AE7AE2BF3D725C592E07AE7AE2BF&FORM=VIRE

[3] Casilli, Schiavi del clic, https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/schiavi-del-clic/

[4] Per il concetto di apprendimento come cessione/conquista di un ambiente e molto altro vedi intervista a S. Penge sul suo ultimo libro https://www.youtube.com/watch?v=jsznEAr7whc