Esiti prove Invalsi: l’ardua impresa di vincere gli effetti del contesto
di Dino Cristanini, direttore editoriale di “Nuovo Gulliver News”
Per gentile concessione delle Edizioni Gulliver pubblichiamo l’editoriale del numero 2 della rivista
Nuovo Gulliver News.
Il Rapporto INVALSI sulla rilevazione 2019 dei livelli di apprendimento ha suscitato un dibattito molto più vivace rispetto agli anni precedenti, paragonabile solo a quelli di una decina di anni fa, quando sono iniziate le rilevazioni sistematiche.
Alcuni dati del rapporto ben si prestavano a titoli strillati e sensazionalistici sulle elevate percentuali di studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado che si fermano ai livelli più bassi nella scala dei risultati, ma un’attenta lettura dei documenti e il confronto con i rapporti precedenti evidenziano che non ci sono elementi di sostanziale novità: la situazione è più o meno la stessa da anni e le problematiche sono sempre le medesime1.
La prima problematica riguarda la progressiva divaricazione dei risultati tra il Nord e il Sud del Paese, coerentemente con quanto emerge dalle rilevazioni internazionali. Alla fine della seconda classe della scuola primaria non si registrano differenze significative tra le macroaree, anche se qualche piccolo divario già si manifesta e in quinta si amplia leggermente; è nella scuola secondaria di primo grado che la forbice dei risultati tra le aree settentrionali e quelle meridionali si allarga decisamente, mentre quelle centrali rimangono allineate alla media nazionale; questa tendenza si conferma e si consolida nella scuola secondaria di secondo grado.
I risultati nelle macroaree non sono però omogenei. Un fenomeno che interessa sia la scuola primaria sia la scuola secondaria di primo grado è la cosiddetta variabilità, ossia la differenza di risultato tra le scuole della medesima area e tra le classi della medesima istituzione scolastica, che risulta essere maggiore nell’Italia meridionale e insulare rispetto all’Italia centrale e settentrionale. È un fenomeno negativo ripetutamente segnalato perché ha a che fare con l’equità, ossia con la capacità del sistema scolastico di assicurare parità di opportunità a tutti gli alunni, cosa che non avviene se le classi vengono formate in modo omogeneo rispetto al retroterra socio-economico-culturale degli alunni e alle loro capacità.
Questa seconda problematica è collegata con la terza, riguardante la correlazione tra il contesto socio-economico-culturale e la riuscita scolastica. Gli alunni che hanno alle spalle un contesto sfavorevole sono in genere meno attrezzati per affrontare la scuola, avvalersi delle opportunità che essa offre e rispondere alle sue richieste, e il loro raggruppamento in classi omogenee produce effetti negativi ben noti in letteratura.
Se si vuole cambiare questa situazione – la scuola ha il compito di migliorare il contesto attraverso l’educazione e l’istruzione, ma è proprio il contesto a condizionare la sua azione e i relativi esiti – serve un’azione sinergica e continua nel tempo.
L’impegno per la scuola è quello di elevare il più possibile la qualità dell’azione didattica, per limitare i condizionamenti negativi dell’ambiente esterno e produrre un valore aggiunto positivo.
Chi ha responsabilità politico-amministrative deve però investire fortemente nel contrasto alla povertà culturale ed educativa che caratterizza determinati contesti, pur sapendo che gli effetti degli interventi di questo tipo non si vedono in tempi brevi, e nello sviluppo di una cultura di attenzione, di rispetto e di attesa positiva nei confronti della scuola.
1 Tutti i documenti sulle rilevazioni e utili approfondimenti sono facilmente consultabili sul nuovo sito INVALSIopen (www.invalsiopen.it) espressamente dedicato alle Prove nazionali.