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#exlibris, ovvero a proposito dei “pericoli” dell’intelligenza artificiale

di Marco Guastavigna

È l’ennesima notizia di colore: il guru di turno – Geoffrey Hinton –  affida a Twitter la propria consapevolezza sui “”pericoli” dell’intelligenza artificiale e abbandona la propria giostra di comfort (Alphabet, la holding dei servizi di Google).

L’approccio sensazionalistico, del resto, è ormai quasi uno standard, in particolare dopo la serrata di ChatGPT, dai più presentata e interpretata come “blocco del garante”.

Non vi è medium che si sia sottratto a questo approccio.
Ultimo esempio una succulenta puntata di Zarathustra, che ha dedicato ampio e divertito spazio ai furbetti dell’IA come trucco scolastico.
Sono stato per altro coinvolto in prima persona, intervistato da Fahrescuola, di nuovo per Radio 3.
Quale che sia l’incipit, una cosa è certa: prima o poi i conduttori delle trasmissioni o gli autori degli articoli dovranno almeno accennare al rischio del superamento dell’umanità, dell’autonomia decisionale dei dispositivi, della Singolarità prossima ventura.
Questa impostazione, tra il mitologico, il distopico e il romantico, è davvero irrinunciabile.
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Admin(chiam)

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di Marco Guastavigna

“It is like
in the PNRR
on the cloud
the school”
(Google traduttore)

Sabato ho rimesso piede per la prima volta dopo il lockdown in un’aula scolastica. Alle mie spalle una LIM, collegata ad un PC dotato – ovviamente – di Windows. All’accensione, due possibili ingressi: il plenipotenziario e non meglio identificato possessore dei “privilegi” logistici e gestionali sul dispositivo, l’Admin, e il/la Docente, abilitato/a a utilizzare le risorse selezionate e installate dal grazioso supervisore, dalle cui decisioni dipende in toto.
Del resto, è questa la logica con cui molte – troppe – istituzioni scolastiche della Repubblica stanno affrontando in modo collegiale (sic!) le questioni relative ai finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: la delega tecnocratica, con progettazione degli ambienti e scelte in merito a tipologia e dotazione dei dispositivi confinate nell’ambito degli addetti ai lavori.
O, meglio: dei presunti addetti ai lavori così come li concepisce un immaginario collettivo e professionale superficiale e ritroso, incapace perfino di riflettere sul fatto che – per fare un esempio “caldo” e recente – sulla questione di ChatGPT e della cosiddetta “Intelligenza artificiale” si sono espressi e continuano a pronunciarsi non solo gli esperti dello specifico settore, ma sociologi, psicologi, giuristi, filosofi, linguisti, matematici e così via, che hanno colto la valenza generale delle istanze socio-tecniche e le loro implicazioni di configurazione complessa ed estesa.
E così stanotte ho fatto un sogno che mi vedeva entrare in un’aula scolastica per inaugurare la formazione di un gruppo di insegnanti, attività che ho svolto in centinaia di occasioni.
I personal computer pre-colonizzati da Microsoft venivano accesi e le password inserite, l’usuale chiacchiericcio si arrestava in attesa che io cominciassi a distribuire il Verbo (Word, nota di Google Traduttore).
Non ce l’ho fatta.
Ho salutato i colleghi, sono andato dal dirigente scolastico e mi sono dimesso da formatore.

Conversazione artificiale

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di Marco Guastavigna

Ieri ho fatto un’esperienza che mi ha riportato ai vecchi tempi, quando ero un ingenuo smanettone, e mi entusiasmavo di fronte a ogni novità, quale che fosse. Ma questo ritorno a un passato inconsapevolmente complice del Pensiero Pedagogico Unico è stato davvero effimero.

Utilizzando – leggermente controvoglia – Edge, il browser che ha sostituito Internet Explorer, accedendo a Bing e avviando la funzione “Chat”, ho infatti avuto modo di sperimentare la modalità conversazionale del motore di ricerca di Microsoft. Riporto in tabella domande (mie) e risposte (dell’accrocco).

Momenti della conversazione Considerazioni dell’umano sugli interventi dell’accrocco
L’approccio, narcisistico ma in terza persona

(D) Chi è Marco Guastavigna?

(R) Ciao, questo è Bing. Marco Guastavigna è un insegnante di scuola secondaria di secondo grado e formatore123È anche autore di numerose pubblicazioni sulle rappresentazioni grafiche della conoscenza e sull’uso didattico delle tecnologie digitali dell’informazione1Inoltre, è collaboratore a contratto dell’Università degli Studi di Torino2

Altre informazioni:
1. erickson.it2. corsi.tecnicadellascuola.it3. laricerca.loescher.it4. bing.com5. noiosito.it

Tutto vero. Una buona sintesi. E indica le fonti, tra cui il mito sito personale. Scrive perfino “secondaria di secondo grado”. Quasi quasi gli perdono di considerarmi ancora in servizio e non in quiescenza. Devo farlo vedere ai corsisti a cui ho mostrato Chatgpt, perché è diverso.
Il compiaciuto approfondimento culturale

(D) Quali sono le sue pubblicazioni?

(R)  Le sue pubblicazioni riguardano principalmente le mappe e gli schemi come strumenti di apprendimento e di didattica. Alcuni titoli sono: Non solo concettuali. Mappe, schemi, apprendimento1Mappe e schemi per la scuola2Mappe e schemi per il lavoro2Puoi trovare i suoi libri in vendita online su vari siti2.

Altre informazioni:
1. loescher.it2. ibs.it3. noiosito.it

 

 

Vediamo un po’ quali libri o articoli propone.

 

 

Principalmente… è abbastanza vero, anche se ho scritto su molti altri temi. Certo, i miei libri sono soprattutto su quello. Però con i titoli non ci siamo!

Il disvelamento, lo choc e la rinuncia

(D) Sono io Marco Guastavigna. Non ho mai scritto “Mappe e schemi per il lavoro”.
(R) Mi dispiace ma preferisco non continuare questa conversazione. Sto ancora imparando quindi apprezzo la tua comprensione e pazienza.🙏

Glielo dico, così impara, magari.

Offesa algoritmica? Frustrazione procedurale? Certamente la necessità di non perdere troppo in termini di immagine e di marketing.

Forse è ora di passare a un nuovo argomento.
Ricominciamo da capo

 

Formare i docenti alla Intelligenza Artificiale ? Si può fare, ma..

di Marco Guastavigna

Formare gli insegnanti (e più in generale il personale scolastico) all’Intelligenza Artificiale? Sono pienamente d’accordo: penso infatti che affrontare in modo critico questo tema sia una priorità assoluta per chi voglia adottare un approccio davvero emancipante ai dispositivi digitali, dal punto di vista sia operativo sia culturale. A patto, però, che si abbandoni il dibattito così come si configura attualmente, disperso tra sensazionalismo mediatico e escursioni empiriche, tra entusiasmo tecnofilo e rifiuto pregiudizievole, e imperniato sulla convinzione che ciò che conta sia capire – e giudicare – il funzionamento di superficie dei chatbot, dei traduttori automatici, dei ri-produttori di immagini, delle applicazioni per la realizzazione semi-istantanea di “mappe” a partire da testi. Per capire davvero quali possano essere le possibilità di arricchimento professionale e quali le opportunità di espansione, consolidamento, compensazione e mantenimento nel tempo di capacità di apprendimento e a quali condizioni ciò possa avvenire, è necessario invece decostruire i concetti che attualmente vanno per la maggiore, esito di marketing economico e veicolo di dominio lessicale. In primo luogo, proprio il riferimento all’intelligenza: va ricordato e compreso infatti che fin dal modo in cui fu concepito il test di Turing i dispositivi di AI hanno il compito di compiere prestazioni finalizzate a obiettivi definiti, con risultati paragonabili a quelli umani. E questo avviene mediante la raccolta e l’analisi di dataset, l’individuazione di correlazioni, la costruzione di modelli e la loro riproduzione.
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Non è una cittadinanza per vecchi

di Marco Guastavigna         

Acquisito e divorato. Sto parlando di Invecchiare al tempo della rete, di Massimo Mantellini. Il tema affrontato ha per me – e probabilmente per qualche lettrice/lettore di questa rubrica – una forte risonanza biografica, nonostante non sia mai tra le priorità del dibattito politico culturale. Che cosa significa diventare sempre più anziani oggi, di fronte alla conclamata pervasività dei dispositivi digitali nella quotidianità e nella strutturazione complessiva dell’esistenza, a partire da molte procedure amministrative o dalle applicazioni in campo bancario e finanziario?

Mantellini è molto netto: definisce le tecnologie all’opera come “anticicliche”, ovvero pensate e realizzate per una sorta di eterna giovinezza, in conflitto con le esigenze di lentezza e di latenza cognitiva dei “vecchi”. Un accumulo per “sommazione” di funzionalità sempre nuove e di conseguenza confusive e frustranti.

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Una vita da mediano anche per il testo?

di Marco Guastavigna

Hai voglia e curiosità di giocare con un ambiente della cosiddetta “intelligenza artificiale” che manipola il linguaggio? Puoi andare sull’apposito spazio di OpenAI e provare. Facendo – ma soltanto per ora! – finta di nulla sul fatto che il progetto sia ampiamente compromesso con Elon Musk e Microsoft.

Ti verrà chiesto “soltanto” di accreditarti, magari con uno dei passaporti digitali rilasciati da privati di cui già disponi, ovvero account appunto di Microsoft o di Google e, pertanto, di partecipare in misura ancora maggiore all’estrazione di valore attraverso l’elaborazione dei dati e delle conoscenze da te conferiti per “sperimentare” il dispositivo. Insomma, sarai esente da pagamenti in denaro, dal momento che ti collocherai volontariamente tra i fornitori di materia prima del capitalismo di sorveglianza.

Lo schema di funzionamento è molto semplice e immediato.
Tu scrivi una riga di comando in inglese, avendo l’accortezza di indicare una tipologia testuale, un riferimento tematico e una lingua (io ho provato italiano e latino, influenzato dagli ultimi residui dei miei studi classici); e poi attivi il pulsante “Submit”.

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Portfolio e pregiudizio

di Marco Guastavigna

Lo dico spesso, forse troppo: io ho avuto la fortuna di cimentarmi con un percorso formativo, culturale e professionale lontanissimo dalla mia laurea in Lettere, nel 1975, il cui unico (ed esclusivamente funzionale) passaggio tecnologico fu la battitura a macchina della tesi di laurea in bozza, con successiva normalizzazione in copisteria.

L’incontro con i dispositivi digitali avvenne dopo e per caso: a scuola c’erano un collega e uno studente dotati di Spectrum Sinclair e sotto casa aprì un negozio – siamo a metà degli anni ’80 – che vendeva Commodore 64. E così ho cominciato l’esplorazione, che continuo tuttora: cercare senso e significato con valenza intellettuale, politica e didattica analizzando e valutando aspetti operativi e cognitivi. E rifuggendo dagli slogan del pensiero unico della mistica dell’innovazione, la peggior forma di dominio tecnocratico possibile.

In quegli inizi accadde però un episodio che avrebbe dovuto mettermi sull’avviso su ciò che mi aspettava: ero in una scuola media, nell’aula degli audiovisivi, attigua a quella dove erano collocati un paio di C64 e alcuni Olivetti M24, quando entrò un’ausiliaria che non mi aveva mai visto prima. Vedendomi trafficare con quegli oggetti mi disse: “Lei deve essere il nuovo insegnante di educazione tecnica”. Non ricordo se delusi questa fortissima e limpida convinzione, ma l’aura che emanavo allora mi ha perseguitato per tutti i decenni successivi.

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