Logistica multimodale?

di Marco Guastavigna

Ammesso che a 72 anni ci si possa definire esperto di qualcosa, sono arrivato a individuare il mio campo da poche ore: è la logistica digitale della conoscenza, con una particolare attenzione all’istruzione.

Questa pomposa etichetta ha almeno un pregio: riporta “digitale” al suo ruolo politico-grammaticale di aggettivo. Per troppo tempo, infatti, è stato un sostantivo, “il digitale”, primigenio esempio di concetto intenzionalmente tenuto nello stato di nebulosità.

A condividere questa condizione di formulazione utile a contenere il pacchetto operativo, cognitivo e culturale del momento è arrivata da circa due anni l’intelligenza artificiale, espressione che in quasi 70 anni di vita ha a sua volta assunto significati e adottato paradigmi molto diversi gli uni dagli altri. Aumentando così il tasso di confusione, superficialità, pressapochismo, massimi-sistemismo di una discussione pubblica sempre più tossica, perché inutilmente polarizzata tra l’impreparazione degli apocalittici e quella degli integrati di turno.

A mio giudizio deve essere chiaro che i dispositivi rubricati attualmente come “intelligenza artificiale” – la cui dimensione funzionale è molto varia è articolata – sono al momento apparati socio-tecnici per l’estrazione e l’accumulazione di valore mediante cattura della conoscenza condivisa e monetizzazione diretta o indiretta.

E va affermato con forza che l’obiettivo di chi se ne occupa nel campo dell’istruzione deve essere politico: dispositivi con questo approccio vanno considerati servizi pubblici, sottoposti al controllo democratico, depurati dagli investimenti oligopolistici, dalla brevettazione e dal segreto industriale, sottratti all’epistemarketing accademico autopromozionale, verificati e adattati in termini di impatto ambientale, conformati ad un’etica del rispetto, dell’interdipendenza e dell’equità, fin dal primo momento della progettazione.

Questo cambiamento di rotta costituirebbe una vera e propria rivoluzione culturale, perché abbandonerebbe l’approccio, che ha come obiettivo strategico l’incremento dell’efficienza e dell’occupabilità individuali sul mercato del lavoro, in favore della costruzione di emancipazione mediante capacità socio-relazionali cooperative e mutualistiche, per uno sviluppo umano collettivo.

Fatta questa doverosa premessa, possiamo addentrarci con maggiore consapevolezza civile ed etica nello stato attuale del mercato della logistica della conoscenza; scopriremo che – per lo più a pagamento e quindi ponendo il problema dell’acquisizione di licenze da parte delle scuole – ci sono parecchi moduli operativi concepibili, da parte di insegnanti che mantengono il pieno controllo di ciò che è significativo ed evolutivo sul piano professionale, come assistenti cognitivi addetti a operazioni ripetitive e routinarie con finalità multimodali, all’interno di una didattica impostata sulla base dello Universal Design for Learning. L’esempio più noto di multimodalità riguarda i file di testo (documenti), che possono essere:

  • Stampati su carta;
  • Stampati in braille;
  • Letti dalla sintesi vocale;
  • Fruiti su monitor, in forme adattabili/adattande sul piano tipografico;
  • Fruiti su e-reader, conformemente all’impostazione tipografica dell’apparecchio.

Le opportunità multimodali vere e proprie sono state poi da tempo arricchite da quelle dell’estendibilità ipermediale:

  • Ipertestualità;
  • Immagini interattive;
  • Video interattivi;
  • QRcode;
  • Near Field Communication.

Le ultime due opzioni possono essere applicate anche ad oggetti materiali e spingono quindi all’ibridazione tra materiali analogici e digitali.

I dispositivi generativi consentono ora ulteriori adattamenti, integrazioni, trasformazioni, produzioni e così via di materiali per la mediazione didattica e lo stimolo dell’apprendimento, come raccolto in tabella:

 




Escursione estiva nell’IA: la politica come brand

di Marco Guastavigna

Stavolta ci sollazziamo con Captions, giocando con la sua funzione generativa di Ads, brevi spot pubblicitari di “prodotti”. La provocazione è la richiesta propagandare un mio blog, concetticontrastivi.org:

“Concetti Contrastivi è un brand che esamina criticamente i dispositivi digitali come prodotti sociali capitalistici, esponendone le ambiguità attraverso un approccio emancipato ed emancipante. Decostruisce l’inganno della “società della conoscenza sorvegliata” e dell’estrattivismo attraverso cortocircuiti concettuali, adempiendo a un dovere politico-culturale di critica radicale della “società delle piattaforme”. Il marchio mira a promuovere una comprensione più profonda dell’agenda tecno-liberista dietro i prodotti digitali.”.

La traduzione è molto indicativa, perché la definizione del blog e del suo scopo ruota intorno al concetto di brand (marchio).
Funzionano allo stesso modo, ovvero sono impostati secondo parametri tipici del messaggio pubblicitario, i sei micro-testi messi insieme da Captions, che riporto di seguito per permetterne una lettura agevole:

Product review – Recensione del prodotto

Ho messo alla prova Concetti Contrastivi per vedere se è all’altezza delle aspettative. Questo marchio esamina criticamente i dispositivi digitali come prodotti sociali capitalistici, esponendo le loro ambiguità attraverso un approccio emancipato ed emancipante. Decostruisce l’inganno della ‘società della conoscenza sorvegliata’ e dell’estrattivismo attraverso cortocircuiti concettuali, adempiendo a un dovere politico-culturale di critica radicale della ‘società delle piattaforme’.

Problem and solution – Problema e soluzione

Devi guardare questo video se fatichi a capire le ambiguità del capitalismo digitale. Se è così, Concetti Contrastivi fa per te. Offriamo un approccio emancipato per smascherare l’inganno della ‘società della sorveglianza’ e promuovere una comprensione più profonda dell’agenda tecno-liberista dietro i prodotti digitali.

Fomo- Fear of Missing Out

I Concetti Contrastivi esaminano i dispositivi digitali come prodotti sociali capitalistici, esponendone le ambiguità attraverso un approccio emancipato. Decostruiscono l’inganno della ‘società della conoscenza sorvegliata’ e l’estrattivismo, adempiendo a un dovere di critica radicale della ‘società delle piattaforme’. Promuovono una comprensione più profonda dell’agenda tecno-liberista dietro i prodotti digitali.

Three Benefits -Tre vantaggi

Ecco tre motivi per provare Concetti Contrastivi. Uno: esaminano criticamente i dispositivi digitali come prodotti sociali capitalistici. Due: smascherano le ambiguità della “società della conoscenza sorvegliata” attraverso cortocircuiti concettuali. Tre: adempiono a un dovere politico-culturale di critica radicale della “società delle piattaforme”.

Target Audience – Pubblico obiettivo

Se sei un attivista, militante o intellettuale, Concetti Contrastivi cambierà la tua vita. Questo brand esamina criticamente i dispositivi digitali come prodotti sociali capitalistici, esponendone le ambiguità attraverso un approccio emancipato ed emancipante. Decostruisce l’inganno della ‘società della conoscenza sorvegliata’ e l’estrattivismo attraverso cortocircuiti concettuali, adempiendo a un dovere politico-culturale di critica radicale della ‘società delle piattaforme’.

Attention Grab – Attira l’attenzione

Questo prodotto ti farà esplodere la mente. Si chiama Concetti Contrastivi. Un brand che esamina criticamente i dispositivi digitali come prodotti sociali capitalistici, esponendo le loro ambiguità attraverso un approccio emancipato ed emancipante. Decostruisce l’inganno della “società della conoscenza sorvegliata” e dell’estrattivismo attraverso cortocircuiti concettuali. Promuove una comprensione più profonda dell’agenda tecno-liberista dietro i prodotti digitali.

Proseguendo con l’applicazione, ci viene chiesto come intendiamo impostare i nostri Ads, ovvero a quale speaker ci affidiamo e quale tipo di sottotitolazione ci sembra più adatta:

Dopo una ragionevole attesa, ecco il risultato:

 

 

 

 

Quando però cerchiamo di scaricare i filmati, arriva la sorpresa: è necessaria un’estensione della licenza già pagata.
Ma non per questo ci arrendiamo: ricorriamo anzi ad altre funzioni dell’ambiente e ad altri accrocchi, con i risultati che proponiamo di seguito, tra cui spicca la possibilità di doppiaggio e sottotitolazione in lingue diverse da quelle della produzione originale.
Sottolineiamo anche il fatto che la piattaforma di condivisione richiede di indicare l’eventuale presenza di contenuti generati con l’intelligenza artificiale.

Ads di concetticontrastivi.org secondo il meccanismo problema-soluzione from Marco Guastavigna on Vimeo.

Ads di concetticontrastivi.org secondo il meccanismo problema-soluzione. tradotto in francese from Marco Guastavigna on Vimeo.


Ads di concetticontrastivi.org secondo il meccanismo del pubblico-target from Marco Guastavigna on Vimeo.

 
Ads di concetticontrastivi.org secondo il meccanismo del pubblico-target, tradotto in Spagnolo from Marco Guastavigna on Vimeo.

 

 

 




Artificiale, Watson!

Immagine realizzata con Copilot Pro

di Marco Guastavigna

Proponiamo un’attività davvero straordinaria, visti i tempi: formarsi un’opinione propria.

Come? Questo articolo incorpora il file di un documento ufficiale (“Strategia italiana per l’intelligenza artificiale”)

e – separatamente – un altro, contenente le sintesi del documento stesso ad opera di:

  • Google Gemini;
  • ChatGPT;
  • UPDF AI;
  • NotebookLM;
  • diffitme (due diverse proposte di lavoro).

A chi legge decidere se gli esiti delle elaborazioni dei dispositivi di intelligenza artificiale sono validi e fino a che punto.




Ri-copia e incolla

Immagine realizzata con Copilot Pro

di Marco Guastavigna

Non credevo alle mie orecchie quando ho avuto notizia di questa consegna di lavoro, assegnata in una prima classe di secondaria di primo grado: “Scrivi un testo descrittivo sul tuo quaderno e poi ricopialo con Google documenti”.
Eppure era proprio così!
Ora, al di là del fatto che il correttore ortografico del dispositivo segnala “ricopialo” come ortograficamente errato, questo approccio è indicativo di una delle molte catastrofi culturali verificatesi sotto l’egida dell’innovazione digitale.
Già, perché il tutto è rubricato come “informatica”.

Questa dicitura richiama, a chi ha vissuto tutte le diverse retoriche innovative  – dall’ingresso trionfale nelle aule dei Commodore 64 al respingimento degli smartphone – una visione assai diffusa negli anni ‘80: l’informatica (intesa come epopea della programmazione) era infatti considerata  il nuovo latino (ovvero le si assegnava valenza sintattica e logica universale) e quindi era necessario studiare e diffondere il Basic e, soprattutto,  il Logo, che aveva la referenza di linguaggio nato in ambito psico-pedagogico.

Per altro, la progenitura di ciò che adesso rappresentano Schratch e il pensiero computazionale fallì miseramente e fu sostituita dall’idea di imparare ad usare i “tools” nati per il lavoro d’ufficio, ma pregevoli per la loro plastica impiegabilità nel processo di scrittura, nel calcolo semi-automatizzato, nella presentazione di contenuti multimediali e così via.

Purtroppo, questo non comportò affatto che si smettesse di chiamare le aule teatro di queste attività “laboratori di informatica”, Del resto, è questa l’etichetta tuttora superficialmente affibbiata anche agli attuali corsi rivolti agli anziani, desiderosi in genere di uscire dall’incubo Spid, di capire un po’ meglio come funziona internet e di mettere in comunicazione il proprio smartphone con il laptop di famiglia per meglio organizzare e vedere le fotografie scattate da tutti i suoi componenti.

Torniamo però al compito assegnato a ragazzini contemporanei: la prima assurdità della consegna è far assurgere la meccanica trascrizione su supporto digitale di un testo progettato, steso e corretto su quello cartaceo, con tutti i vincoli che ne conseguono, a ordinamento, trattamento e trasmissione di informazione mediante elaborazione elettronica.

La seconda è davvero paradossale: una tecnologia nata per facilitare il rapporto con la produzione di un testo proprio perché ne permette la realizzazione per perfezionamenti successivi diventa un totem a cui ci si può accostare solo dopo aver mondato la propria offerta votiva da ogni impurità. Si esperisce e si apprende insomma esattamente il contrario di ciò che potrebbe generare autonomia operativa ed emancipazione cognitiva, con effetti inclusivi, stante una maggiore affrontabilità della complessità dello scrivere.

Tutto questo è sostituito dall’uso pretestuale della scrittura di un proprio testo come motivo per entrare in un’arena addestrativa, quella della trascrizione.

Oltre che di una profonda e forse irrimediabile ignoranza professionale di cui abbiamo già parlato, questa micro-vicenda è esemplificativa del fatto che molti insegnanti non hanno probabilmente alcuna esperienza di uso significativo dei dispositivi digitali e si limitano perciò a proposte operative il cui unico scopo è dare un ri-verniciata di modernità ad attività inerziali.




Cittadinanza ignorante

di Marco Guastavigna

Anche sull’ultimo provvedimento del ministro (divieto assoluto di uso dei cellulari) non si riesce ad andare oltre la polarizzazione.

Sono contrario per principio e storia personale e professionale a ogni divieto, ma non posso fare a meno di scrollarmi di dosso questo approccio e di riflettere sul fatto che la tendenziale complessità (che è un pregio) delle attività di apprendimento dovrebbe far propendere per una macchina ergonomicamente adeguata per dimensioni di tastiera e schermo e postura suggerita/richiesta, ovvero un PC desktop (sempre più rari) o laptop.

Qualche tempo fa, anzi, avevo proposto una sommaria classificazione, che riprendo:

Ricordo per altro i tempi del lockdown, in cui presso molti si diffuse l’illusione che i tablet potessero essere la soluzione più congruente con il contesto emergenziale. A quasi nessuno vennero invece in mente i personal computer a basso costo, magari con un sistema operativo non proprietario.

Entrambi gli approcci sono esempi lampanti di ignoranza di merito. Ignoranza che non è “tecnica” e settoriale, ma professionale e generale. E così cittadini adulti ignoranti formano all’ignoranza giovani cittadini ignari.

È l’ignoranza che porta a pubblicare documenti contro la formazione e le dotazioni del PNRR sul campione del capitalismo digitale (Google drive, per altro detto confidenzialmente “drive”), a registrare interviste al limite dell’eversione (retorica, of course) su YouTube (a sua volta branca di Alphabet e dispositivo a vocazione estrattiva), a condividere dibattiti infuocati mediante dirette-Facebook (altro esponente della messa a valore bio-politica e culturale).

È la medesima ignoranza che ha assistito imbelle al trasferimento della logistica dell’istruzione e della formazione sulle piattaforme BigTech, rifugiandosi in un mantra a sua volta illusorio: “In fondo sono strumenti, gli effetti dipendono da come li si usa”.

E qui siamo arrivati al vulnus culturale (e politico!) fondamentale, che si perpetua per colpa di un diffuso disimpegno, superficiale, snobistico e sempre più ingiustificato.
Ciò che fronteggiamo e a cui ci esponiamo tutte le volte che entriamo e agiamo a qualsiasi titolo nel moderno mercato dell’istruzione (che per altro comprende anche libri, quaderni, penne a sfera, lavagne di ardesia e così via) non sono affatto “strumenti”, ovvero apparati a complementarità nulla.
Sono piuttosto dispositivi socio-tecnici per l’estrazione e l’accumulazione di valore mediante cattura della conoscenza condivisa e monetizzazione diretta e indiretta, a complementarità attiva, capaci di influenzare profondamente – e spesso di dominare – contesti, attori, esiti, feedback delle situazioni in cui intervengono.

Che lungaggine! Quante complicazioni!

Tocca pure rileggere un paio di volte per capire tutto, per esempio il fatto che le versioni free dei chatbot generalisti estraggono valore dal perfezionamento implicato dalle conversazioni mentre quelle plus richiedono il pagamento di abbonamenti/crediti.

Oppure che i “motori di ricerca” più noti sfruttano il consumo informativo per profilare gli utenti e lucrare sul marketing.

O ancora che la cosiddetta “intelligenza artificiale” agisce su base statistico-induttiva, avendo esplicitamente rinunciato all’impostazione logico-deduttiva, perché in questo modo valorizza gli investimenti economici che le garantiscono la potenza di calcolo e l’impossessamento di enormi quantità di dati da cui sgorga la capacità predittiva, decisionale e generativa, mediante cattura della conoscenza diffusa e disponibile per la computazione. Corollario di questa acquisita consapevolezza, è il fatto che – forse – “intelligenza” è una formulazione destinata al marketing e all’innesco di discussioni sui massimi sistemi (coscienza, intenzione, singolarità, post-umanesimo…) che tanto piacciono a coloro che hanno fretta di (far) dimenticare il micro-lavoro di addestramento affidato al Sud globale da parte di un Nord globale dominato da oligopoli ormai quasi naturalizzati.

Potrei continuare, ma preferisco mettere in guardia da alcune implicazioni di questa campagna di auto-disinformazione a proposito dell’universo digitale che dura da decenni:

  • si usano formulazioni vaghe e imprecise, che possono diventare fuorvianti (il già citato e confutato “strumenti”);
  • mancano lessico e concettualizzazioni autenticamente professionali, sostituiti spesso da espressioni confuse e confusive (“drive”);
  • si impiegano concetti non autenticamente padroneggiati (“intelligenza artificiale”) e molto probabilmente con significati diversi per i diversi attori; questo rischio è particolarmente grave nelle istituzioni scolastiche che si accingono a mettersi in gioco in “curvature” e altre amenità curricularizzanti, destinate a fornire agli studenti “competenze per il futuro”;
  • si utilizza una deleteria gerarchia delle conoscenze e delle capacità necessarie per “insegnare”, che privilegia la (rassicurante) tradizione professionale, giudicandola assolutamente sufficiente per comprendere l’innovazione, impedendosi di conseguenza di cogliere e contrastare davvero gli aspetti di distruzione creatrice di quest’ultima, in campo etico, politico, culturale e cognitivo.

Soprattutto, si assume l’unicità della cultura e dell’operatività digitali, considerate coincidenti con le tecnologie estrattive, quando invece non è così e vi sono visioni e pratiche alternative, il cui approccio conviviale sarebbe più coerente con le attività di una scuola che avesse davvero conservato la sua vocazione critica ed emancipante.




Umani ad alta sostituibilità?

di Marco Guastavigna

Avuta notizia delle ultime esternazioni del ministro Valditara, mi accingevo a salire a mia volta sul pero dell’indignazione stupita e dello stupore indignato, luogo di elezione dell’intelligencija nostrana praticante il pensiero critico innocuo.

Immagine realizzata con Copilot Pro

Ero quasi in cima, quando mi è venuta l’idea di fare una sperimentazione. Ho avviato un accrocco di intelligenza artificiale generativa text2video e gli ho chiesto: “Come usare l’intelligenza artificiale generativa a scuola?”, ottenendo il filmato che propongo di seguito:

Proprio così: la trama concettuale è identica a quella ministeriale!
Cerchiamo perciò di capire perché i nostri esponenti politici corrono il rischio di essere sostituiti da contenuti digitali realizzati in modo automatizzato e riprodotti in streaming.

La spiegazione è semplice: entrambi – soggetti istituzionali e dispositivi digitali – hanno fatto ricorso alla conoscenza “condivisa”, ovvero a quanto si accumula in rete come moda statistica, senso comune, nozioni ripetute e (a volte) trivializzate.
Va aggiunto che i “cobot” – robot collaborativi –, utilizzati in alcune aule scolastiche della Repubblica Popolare Cinese, sono citati come esempi virtuosi nelle pagine iniziali del volume Pedagogia algoritmica, primo avamposto accademico di occupazione dello spazio culturale relativo all’AI nell’istruzione mediante epistemarketing, ovvero traduzione in fondamenti professionali delle caratteristiche operative e cognitive dichiarate dai produttori dei congegni analizzati.

Ragion per cui restano aperti vari quesiti: gli assistenti annunciati da Valditara sono di questo tipo? Quanto costano? Chi ha deciso dove e come utilizzarli?
Le medesime domande andrebbero poi ripetute se ad affiancare gli insegnanti fossero invece i software che stanno animando il mercato della conoscenza e dell’istruzione: da una parte mentori e precettori attivabili online, dall’altra moduli operativi che supportano l’insegnante in varie attività di routine, dalla realizzazione di quiz, alla riscrittura calibrata di testi, al perfezionamento di slide, alla confezione di domande stimolo per la comprensione di filmati e così via.




Narcisismo digitale funzionale

di Marco Guastavigna

“L’articolo critica l’approccio accademico e istituzionale all’intelligenza artificiale nell’istruzione come un sistema che privilegia l’innovazione fine a sé stessa, ignorando le reali necessità degli studenti e degli insegnanti. Questo approccio, definito “tecno-feudalesimo intellettuale”, si concentra sulla pubblicazione di monografie e sulla partecipazione a convegni, senza affrontare le questioni concrete legate all’implementazione dell’IA nell’istruzione.

Ecco alcuni punti chiave della critica:

● Innovazione conservatrice: l’accademia si proclama paladina dell’innovazione tecnologica, ma la sua implementazione si traduce nella creazione di “sapere da scaffale”, utile solo a mantenere lo status quo e i rapporti di potere esistenti.

● Epistemologia dell’improvvisazione: la corsa all’ultima novità tecnologica porta a una mancanza di riflessione critica e di analisi approfondita sulle reali potenzialità dell’IA nell’educazione.

● Trivializzazione: la formazione sull’IA si riduce spesso a una serie di ricette pratiche, senza fornire agli insegnanti gli strumenti per una comprensione profonda e critica di queste tecnologie.

● Mancanza di attenzione per l’etica: il dibattito sull’IA si concentra sugli aspetti tecnici e teorici, ignorando le implicazioni etiche e sociali, come lo sfruttamento dei lavoratori del Sud globale per l’addestramento degli algoritmi.

● Formazione adattiva: i percorsi di formazione sull’IA per gli insegnanti si basano spesso su un approccio passivo e adattivo, anziché promuovere un uso critico e consapevole di queste tecnologie.

L’articolo sottolinea la necessità di un approccio alternativo all’IA nell’istruzione, che metta al centro le esigenze degli studenti e degli insegnanti, promuovendo un uso critico, consapevole e socialmente responsabile di queste tecnologie”.

La “recensione” qui sopra riportata è di Google NotebookLM; il riferimento sono alcuni ragionamenti che ho pubblicato su Gessetticolorati.
Tecnicamente si tratta della risposta (automatizzata) a una domanda-stimolo proposto dal dispositivo medesimo e da me sottoscritta e inviata: “In che modo viene criticato l’approccio accademico e istituzionale all’intelligenza artificiale nell’istruzione?”.

Confesso apertamente di riconoscermi nella sintesi del dispositivo di assistenza, nonostante lo consideri il mio principale avversario sul piano etico e politico e non abbia remore a utilizzarlo solo perché vengo tracciato in decine di altri modi dal capitalismo digitale estrattivo di cui Alphabet è l’esponente probabilmente più avanzato ed efficiente.
Allo stesso modo, trovo abbastanza convincente il “documento di briefing” prodotto da NotebookLM – è uno dei suggerimenti operativi di base dell’architettura dell’ambiente.

Analisi dei temi principali e delle idee chiave nelle fonti fornite

Le fonti analizzate offrono una panoramica critica sull’uso delle tecnologie digitali nell’istruzione, concentrandosi in particolare sul contesto italiano e sul ruolo degli insegnanti.

Temi principali

  • Critica al “digitalismo” acritico e all’innovazione fine a sé stessa: Le fonti mettono in guardia da un’adesione acritica al “digitale”, sottolineando la necessità di un approccio critico e consapevole. L’innovazione tecnologica non è di per sé garanzia di miglioramento e può portare alla frammentazione del sistema educativo, come evidenziato nel caso della “didattica innovativa” e del Piano Nazionale Scuola Digitale.
    “L’introduzione del “digitale” nella scuola italiana è stata in larga misura una diffusione latente e incontrastata di una visione e di una mentalità neoliberiste.” – Concetti contrastivi – di Marco Guastavigna
    “Ed ecco rispuntare, più tronfia che mai, nonostante le gigantesche difficoltà, la locuzione “fare innovazione”, a cui seguirà il focus – che verrà ripreso dai finanziamenti nell’ambito del PNRR – sugli ambienti di apprendimento “innovativi”; non “rinnovati”, perché questa prospettiva richiederebbe di attribuire senso e significato non al modificare in sé ma alle ragioni e agli obiettivi del cambiamento.” – Contro la deriva della digitalizzazione subordinata e subordinante – Collettivo Le Gauche
  • Importanza di un approccio etico e sociale all’uso delle tecnologie.
    Le fonti sottolineano la necessità di un approccio etico all’uso delle tecnologie, che tenga conto delle implicazioni sociali, economiche e politiche. Si critica il modello del “capitalismo di sorveglianza” e si promuove un uso delle tecnologie che metta al centro lo sviluppo umano, l’equità e la sostenibilità.
    “La contrapposizione politicamente utile e significativa, quindi, non è “digitale sì” versus “digitale no”, ma quella tra dispositivi digitali a logistica estrattiva, tipici del modello tecno-liberista, e dispositivi digitali a vocazione aperta e decentralizzata, non profilanti.” – Contro la deriva della digitalizzazione subordinata e subordinante – Collettivo Le Gauche
    “Detto in un altro modo, voglio valorizzare l’approccio etico-politico e non economicista, in particolare l’idea che ciascun singolo e soprattutto ogni comunità hanno diritto al controllo di ciò che utilizzano e dei propri dati.” – Tecnologie_per_lo_sviluppo_umano_di_Guas.pdfIl ruolo del software libero e dei contenuti aperti: Le fonti promuovono l’uso del software libero e dei contenuti aperti come alternativa al modello proprietario del “capitalismo digitale”.
    Si sottolinea l’importanza del codice aperto, della condivisione della conoscenza e del controllo collettivo sulle tecnologie”

    Insomma, software libero è un modo di sviluppo del software che si adatta particolarmente bene al software educativo; ma bisogna trovare un modo di sostenerne economicamente lo sviluppo nel tempo, altrimenti si finisce per fare un guaio peggiore: far scomparire dalla faccia della terra quel tessuto di sviluppatori, di piccole imprese, di cooperative che potrebbero costituire un’alternativa alle multinazionali digitali.” – Tecnologie_per_lo_sviluppo_umano_di_Guas.pdfLa centralità dell’insegnante come mediatore critico: Le fonti sottolineano il ruolo centrale dell’insegnante come mediatore critico tra le tecnologie e gli studenti. L’insegnante è chiamato a scegliere gli strumenti più adatti ai contesti specifici, a formare gli studenti ad un uso consapevole e critico delle tecnologie e a promuovere un apprendimento significativo.
    “Il compito di questa generazione di insegnanti è far comprendere che le risorse delle rete vanno integrate con quelle tradizionali, dalle biblioteche cartacee ai libri di testo, anche sul piano metodologico. Per ottenere questo, se ne devono convincere in prima persona.” – L’insegnante del terzo millennio – La ricerca
    “Disporre di testo su supporto flessibile consente inoltre agli insegnanti di mettere in atto in prima persona gli interventi di adattamento previsti dai relativi protocolli per i libri di testo.” – Tecnologie_per_lo_sviluppo_umano_di_Guas.pdfIdee chiave:

  • Distinzione tra “lavoro” e “mestiere” della scrittura: La distinzione tra scrittura vincolata da tempi e obiettivi di mercato e la scrittura come espressione libera e creativa.
    “Da una parte il mestiere di scrivere, insomma, dall’altra il lavoro di scrittura.” – Excursus nel mercato della scrittura digitale, probabilmente incompleto | NUOVO PAVONERISORSE
    Rischio di “trivializzazione” della scrittura: L’uso di strumenti di intelligenza artificiale può portare ad una semplificazione eccessiva e ad un impoverimento della scrittura.
    “Vi è comunque un rischio di fondo, ovvero la trivializzazione, di cui ci siamo già occupati e che nel contesto della mercificazione della scrittura è rappresentabile come segue.” – Excursus nel mercato della scrittura digitale, probabilmente incompleto | NUOVO PAVONERISORSE
    Importanza del “pensiero computazionale” emancipato: Insegnare agli studenti a programmare non solo come una competenza tecnica, ma come uno strumento critico per comprendere il funzionamento delle tecnologie.
    “sarebbero necessarie modalità di istruzione molto diversa da quella attuale (prerequisito una visione emancipata e non adattiva del pensiero computazionale)” ? Tecnologie_per_lo_sviluppo_umano_di_Guas.pdf

    Insomma, siamo davvero di fronte a un dispositivo che può forse avere impieghi utili, almeno nel caso in cui si domini il campo di conoscenza su cui lo si utilizza, come assistente cognitivo per analisi, sintesi, confronto e incrocio di documenti già letti per parte umana. Quel che è certo è che è sempre più priva di fondamento ogni riduzione dell’intelligenza artificiale generativa a chatbot generalisti, addestrati su materiale non ben precisato.