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RECOVERY PLAN E MISSIONE 4. TORNA LA SCUOLA DELLE TRE I?

di Raimondo Giunta

Con le risorse del Recovery si nutre l’ambizione di disegnare l’Italia che verrà e che ci sarà per almeno un decennio.
Con quelle assegnate alla Missione4, Istruzione e Ricerca (32, 32 miliardi di euro per la precisione) si può operare per un profondo riassetto dell’intero sistema di istruzione e formazione, perché dia risultati appropriati alle esigenze di una società in continua trasformazione, visto e considerato che quelli avuti fino ad oggi non tutti lo siano.
Avremo allora una nuova scuola?
Credo che si possa ragionevolmente nutrire qualche dubbio, perché nonostante la mole degli investimenti che si intendono fare non si intravede niente di diverso rispetto alla scuola che oggi c’è; non credo che ci sia un’idea di scuola diversa da quella che si fa.
Gli obiettivi generali che vengono proclamati non smentiscono questa affermazione.
Basta leggerli :
1) Colmare in misura significativa le carenze strutturali , quantitative, qualitative che oggi caratterizzano l’offerta di servizi di istruzione, educazione e formazione nel nostro paese;
2) Rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni.
Come si può constatare si è davanti ad una vasta proposta di manutenzione, che ad ogni buon conto è utile, diciamo pure molto utile, ma che di fatto accantona l’interrogativo cruciale che nei tempi della diffusione invasiva delle informazioni e delle conoscenze, della moltiplicazione quotidiana delle agenzie formative e dei luoghi in cui è possibile apprendere ci si deve porre sul destino della scuola nella società.

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A scuola senza rete di protezione. Il difficile mestiere di insegnare

di Raimondo Giunta

“Gli insegnanti sono rimandati solo al loro carisma personale. Lavorano senza rete di protezione e senza chiaro mandato istituzionale. La società non sta più dietro di loro a cominciare dalla loro amministrazione. E’ questo che scatena la crisi dell’autorità nella scuola: gli insegnanti sono là a nome di una collettività che non riconosce il ruolo che esercitano” (Marcel Guachet).

Nemmeno nei lunghi e non ancora terminati mesi della pandemia, pur essendosi constatato quanto siano importanti per gli equilibri sociali della nazione la presenza e il lavoro degli insegnanti, si è riusciti a saldare la frattura tra loro e la società e motivi per arrivarci ce ne sarebbero, a cominciare dall’impegno che ci hanno messo per tenere in piedi uno straccio di continuità del rapporto educativo. Impegno e lavoro che non possono essere scalfiti da episodi come quello della studentessa bendata in una verifica orale a distanza.
Quello che gli insegnanti hanno fatto e stanno facendo nei tanti giorni difficili della pandemia dovrebbe restare nella memoria degli alunni e in quella delle loro famiglie.
La considerazione pubblica degli insegnanti e della scuola se in giro ci fosse un po’ di serietà, dovrebbe tenere conto solo di tutto questo.
Tutti dovrebbero ricordare quanta passione, quanta intelligenza e quanta fatica ci sono volute per tenere in piedi un’istituzione fondamentale per l’intera comunità.

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La scuola non è solo un servizio ma soprattutto una istituzione

di Raimondo Giunta

Si aspettano con ansia i giorni in cui si potrà tornare serenamente a scuola e mettersi dietro le spalle due anni tra i più infelici degli ultimi tempi. Tornare come prima? Come se niente fosse? Spero che non accada, perché vorrebbe dire che non si è imparato nulla, nemmeno dai giorni più difficili. Al primo posto delle preoccupazioni dovrebbe esserci quella di rendere le scuole sicure, sotto ogni profilo e non soltanto dal punto di vista sanitario. Sicure non basta; devono essere accoglienti per la convivialità dei giovani e multifunzionali per attività che non possono ridursi a lezioni e ad esercitazioni.
Luoghi non solo di istruzione, ma della più ampia formazione umana, per generazioni che fuori dal recinto scolastico un po’ dappertutto trovano solo occasioni per dissipare i loro anni migliori. Mai come in questi ultimi tempi si è potuto constatare la centralità della scuola e degli insegnanti; mai come in questi ultimi tempi si è sentito il bisogno di una scuola che funzioni bene in qualsiasi circostanza, senza abbassare il livello delle sue prestazioni. Una scuola a pieno regime per ogni evenienza è la grande sfida da affrontare.
Ma la scuola nella società che cosa è?
E’ questa una questione preliminare ad ogni sua possibile organizzazione e manifestazione e ad essa si cercherà di dare qualche cenno di risposta.

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Una idea di giustizia

di Raimondo Giunta

    • Le sofferenze, i disagi e le preoccupazioni che la pandemia sta seminando in ogni angolo della terra rende nelle coscienze più avvertite necessaria una riflessione sulle condizioni di debolezza delle istituzioni democratiche, mostrate nell’affrontare una sciagura che ha sconvolto la vita di moltissime nazioni ed ha allargato il fossato delle disuguaglianze . Una riflessione che per forza di cose ci conduce ai problemi della giustizia  sociale, dopo qualche decennio di abbandono sistematico . I partiti e i sindacati, nati nel suo segno, dovrebbero essere i primi a farla e dovrebbero aver preso coscienza che è stato alto il prezzo pagato  per avere allentato e diluito i rapporti  con le proprie tradizioni; i primi col ridimensionamento del peso politico, i secondi con  la perdita di consensi e di iscritti.  Pagano, soprattutto i partiti, per essersi fatti testimoni e garanti della promessa di buone occasioni per tutti, proclamata ad alta voce dall’imperante neo-liberismo.  Non è bastato, però, suonare la fanfara per i nuovi diritti civili conquistati, per occultare la miseria dei risultati ottenuti.  E’ stato un grave errore, perchè i diritti civili non possono e non devono essere messi in rotta di collisione con quelli sociali.

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Un economista al comando della scuola. Quando toccherà ad un pedagogista?

di Raimondo Giunta

UNA NUOVA DISCIPLINA

Il nuovo ministro è un nome dell’economia dell’istruzione ed è stato assessore regionale all’istruzione nella Regione Emilia-Romagna. Ogni ministro si porta appresso il proprio bagaglio di cultura, di esperienze e di specifica professionalità. Il bagaglio dell’economia dell’istruzione non è di quelli che si può lasciare a casa ed è molto ingombrante.
Questo ramo dell’economia politica viene fuori con forza dalle riflessioni sulla crisi fiscale dello Stato negli anni ’70 e anche in Italia ha cominciato ad avere i suoi cultori.
Nel DNA di questa disciplina c’è l’impulso a rendere efficiente la spesa pubblica per l’istruzione e soprattutto c’è la preoccupazione a non ad aumentare.
Si è cominciato a dire, proprio perché c’è la crisi fiscale dello Stato, che non è più sostenibile la pretesa di pensare che la composizione della spesa pubblica non debba cambiare e che debba solo crescere. Le risorse per l’istruzione che bisogna strappare all’avidità di altri reparti dello Stato devono essere spese bene, senza sprechi, in modo efficace e ogni innovazione, così come il mantenimento dell’esistente, devono essere sottoposti ad una rigorosa analisi dei costi.
Anche il diritto allo studio e alla formazione, come il necessario prolungamento dell’obbligo scolastico non possono e non devono essere esclusi da una ricerca approfondita di questo genere. Potrebbero non essere inviolabili come si crede. . .
Ma già nei primi tempi qualche dubbio sulle pretese di questa disciplina incominciò a circolare.
In un saggio esemplare per chiarezza e profondità di analisi pubblicato nel n.  239 del quindicinale CENSIS del Febbraio ’76,  U.  Trivellato, che è stato sempre un grande esperto di problemi scolastici e anche Rettore della Facoltà di Statistica a Padova,  indicava le notevoli difficoltà analitiche nel definire l’impiego ottimale delle risorse in campo educativo.
“Queste sorgono già nell’identificazione di una metrica comune delle variabili influenti sul prodotto scolastico; emergono nella valutazione delle relazioni fra output e input per individuare la combinazione efficiente di fattori e permangono nella determinazione delle soglie dimensionali e dei criteri organizzativi per l’impiego efficiente dei fattori”.

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Eduscopio, ovvero scuole in competizione

di Raimondo Giunta

Anche quest’anno EDUSCOPIO ha pubblicato l’atlante delle scuole superiori, di cui ci si può fidare, perchè vanno bene e fanno tutto quello che bisogna fare per primeggiare sulle altre. Sono informazioni, ammesso che abbiano solide fondamenta, utili solo a quelli e a quanti hanno il tempo per leggerle, ma che contribuiscono a iniettare il veleno della concorrenza tra le scuole, non certamente per avere migliori servizi.

Questa specie di mercato scolastico è uno dei frutti avariati dell’autonomia scolastica. La formazione delle nuove generazioni non è un compito che si può far meglio mettendo le scuole una contro l’altra; è un compito difficile, complicato che può dare risultati soddisfacenti solo se le scuole collaborano, se scambiano tra di loro esperienze e competenze, aperte l’una all’altra e non in guerra per l’accaparramento di risorse e per vanitose ricerche di visibilità, di cui fa le spese la coerenza del processo educativo e del curriculum.

Il principio che ogni scuola debba essere una comunità educativa viene messo in discussione da queste pratiche concorrenziali. D’altra parte vorrei chiedere a quanti producono graduatorie tra le scuole e se ne godono se al punteggio contribuisca la capacità di dare risposte efficaci agli alunni portatori di disabilità o quella di riuscire a migliorare il rendimento degli alunni difficili o quella di accogliere nel proprio seno e integrare alunni figli di immigrati. Vorrei chiedere se sono buone le scuole che lavorano con alunni che non avrebbero bisogno di insegnanti o quelle in cui ai ragazzi bisogna dare tutto, a cominciare dai libri di testo.

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Tempo perso? Ma quando mai!

di Raimondo Giunta

Un bel post di Simonetta Fasoli mi spinge a tornare sull’infelice, sgradevole e immotivato proposito di recuperare il tempo che si sarebbe perso nelle tante settimane di didattica a distanza.
Non credo che ci sia stato un periodo così difficile nella vita della scuola come quello che si è trascorso e si trascorre per mantenere in vita e sviluppare nei limiti del possibile il rapporto educativo tra docenti e alunni. Il tempo della scuola è stato ed è quello determinato dalle istituzioni che la governano; lo sarà ancora, per gli evidenti vincoli che tutti conosciamo. Non può essere dilatato a piacimento; forse a piacimento lo si è ridotto e ancora lo si può ridurre con le più complicate motivazioni.
Nel tempo della scuola scorre con un proprio e diverso ritmo quello della crescita, dell’educazione, della maturazione degli alunni. Non sono rari i casi in cui il tempo della formazione non collima con quello istituzionale e dentro questa cornice può soffocare. Continua a leggere