Tempo perso? Ma quando mai!

di Raimondo Giunta Un bel post di Simonetta Fasoli mi spinge a tornare sull’infelice, sgradevole e immotivato proposito di recuperare il tempo che si sarebbe perso nelle tante settimane di didattica a distanza. Non credo che ci sia stato un periodo così difficile nella vita della scuola come quello che si è trascorso e si trascorre per mantenere in vita e sviluppare nei limiti del possibile il rapporto educativo tra docenti e alunni. Il tempo della scuola è stato ed è quello determinato dalle istituzioni che la governano; lo sarà ancora, per gli evidenti vincoli che tutti conosciamo. Non può essere dilatato a piacimento; forse a piacimento lo si è ridotto e ancora lo si può ridurre con le più complicate motivazioni. Nel tempo della scuola scorre con un proprio e diverso ritmo quello della crescita, dell’educazione, della maturazione degli alunni. Non sono rari i casi in cui il tempo della formazione non collima con quello istituzionale e dentro questa cornice può soffocare. Continua a leggere

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Valutazione, valutazione formativa e opinione pubblica

di Raimondo Giunta

  • Non si va molto lontano dalla realtà se si dice che fuori dalla scuola non ci si pone molti problemi su come debba essere esercitata la valutazione a scuola, né ci si domanda se addirittura si possa praticarla in modo diverso nei vari gradi dell’istruzione. Fuori dalla scuola è convinzione largamente accettata che in fatto di valutazione oltre quella che distingue e seleziona non possa esserci nulla di serio e che quella numerica non abbia rivali in termini di chiarezza e di precisione. Anzi si pensa che sarebbe tanto di guadagnato se gli alunni fin da piccoli venissero abituati ad essere giudicati ed educati a dare il meglio di sé e ad eccellere. A misurarsi e a competere con gli altri, perché la vita è una lotta continua e a questo bisogna prepararli, in modo che quando sarà il momento di incominciare a prendersi qualche responsabilità possano essere pronti  e armati di tutto punto.
  • Nell’opinione pubblica si pretende serietà e questa viene accompagnata dalla richiesta di rigore nelle valutazioni; non a caso si accolgono favorevolmente tutte le campagne contro le promozioni facili, dalla primaria alla secondaria superiore. Di mezzo c’è ancora il valore legale del titolo di studio e si pensa che solo la severità in sede di valutazione possa salvaguardarlo, per potere ancora riconoscerne gli effetti per gli impieghi pubblici e sociali ai quali si può accedere. Ne deriva una forte ed evidente insensibilità verso certe forme di esclusione sociale che possono scaturire dal modo in cui viene esercitata la valutazione. Non possono essere tutti dottori…I risultati scolastici, racchiusi in un titolo di studio, che meritano di essere apprezzati sono solo quelli per i quali si può dichiarare la loro adeguatezza agli standard delle professioni, delle attività e dei mestieri che si possono esercitare e ai quali si può accedere. Per questo genere di valutazione l’unico interesse che può esserci, di parte o pubblico, è che venga fatta in modo trasparente e con regole concordate e fatte conoscere. Continua a leggere

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Valutazione formativa: serve solo alla primaria?

di Raimondo Giunta      

LA VALUTAZIONE COME AIUTO

La valutazione che per legge diventa formativa nella scuola primaria è ancora un’illustre sconosciuta nella secondaria di secondo grado, dove sarebbe una vera rivoluzione, un cambiamento di paradigma se cominciasse ad essere praticata con coerenza e continuità. E’ in riferimento a questa prevalente situazione che si intende parlarne. La valutazione formativa non ha come oggetto diretto il profitto scolastico, ma la relazione pedagogica del processo formativo, che viene valutata per poterla migliorare in modo che l’alunno sia aiutato a identificare, a superare le sue difficoltà e a progredire. ”La valutazione formativa mira a consentire all’alunno di sapere perchè è riuscito in un caso e non in un altro. (. . . . . ) L’obiettivo di questo tipo di valutazione è in effetti di confrontare l’alunno con se stesso e di aiutarlo a compensare le difficoltà identificate da lui e per lui”(De Peretti). E’ la volontà di favorire e sostenere gli apprendimenti degli alunni a caratterizzare la valutazione formativa. Lo scopo della valutazione formativa è quello di aiutare ciascuno alunno ad apprendere e non quello di rendere conto agli altri del suo rendimento. La valutazione formativa è essenzialmente un’operazione di natura pedagogica; le funzioni annesse sono, secondo Ch.  Hadji, quelle di: rassicurazione (sostenere la fiducia in sè dell’alunno); assistenza (fornire dei riferimenti, dare dei punti d’appoggio per progredire); feed-back (dare al più presto possibile un’informazione utile sulle tappe raggiunte e sulle difficoltà incontrate); dialogo (nutrire un vero dialogo insegnante-alunno, fondandolo su dati precisi). La valutazione formativa è una valutazione del durante e non del dopo; ha la funzione di migliorare, orientare e controllare il processo di apprendimento, il comportamento dell’alunno e dell’insegnante nella prospettiva della padronanza degli obiettivi di apprendimento. Ha un’intenzione di aiuto individualizzato, ma anche di specchio per il docente. Il successo dell’apprendimento è un risultato che si deve alle procedure di correzione e di aggiustamento continuo del processo di formazione, nei casi in cui si riscontrano delle difficoltà. La valutazione formativa è pensata come contributo alla regolazione degli apprendimenti e come contributo alla regolazione dell’insegnamento. Si fonda sulla confidenza e non sulle minacce, sulla cooperazione tra docenti e alunni. ”La regolazione non è un momento specifico dell’azione pedagogica, ma una sua componente permanente”(Ph. Perrenoud). La regolazione messa in atto dall’insegnante ha un senso se ispira e sostiene la regolazione del processo di apprendimento che deve mettere in atto l’alunno.

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Lo sceriffo e l'insegnante

di Raimondo Giunta Sceriffi a scuola si diventa da dirigenti, perchè l’ultima manomissione del sistema scolastico a questo tendeva, anche se si è provveduto ultimamente a fare qualche cambiamento. Un passaggio che a molti dirigenti sembra naturale compiere, perchè di fatto nell’autonomia sono prevalenti i tratti amministrativi su quelli culturali e pedagogici; amministrativi, non gestionali. E in amministrazione si finisce per amare il potere gerarchico e il potere di vigilanza…A tanti di questi amministrator/dirigenti scolastici sfugge che la scuola appartiene ad un territorio, ad una comunità con cui deve mettersi in rapporto e che questo fatto cancella l’autoreferenzialità del capo che ogni giorno dirama gli ordini di servizio ai propri dipendenti. Quel che è grave è il disconoscimento praticato e a volte esibito della particolare struttura collegiale della gestione della scuola, attenuata, ma non cancellata. Nella collegialità il dirigente non è il primus inter pares, ma solo uno dei tanti come viene sottolineato da Mario Maviglia. Continua a leggere

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C'è ancora un futuro per la scuola?

di Raimondo Giunta  

RIPENSARE LA SCUOLA

Ragionare di scuola nei giorni in cui viene sacrificata e costretta alla didattica a distanza per coprire le pubbliche inadempienze soprattutto in materia di trasporti pubblici, dopo mesi estenuanti e difficili in cui gli istituti scolastici hanno lavorato per garantire in sicurezza la ripresa delle attività didattiche del nuovo anno scolastico, può sembrare un mero esercizio retorico; forse una provocazione in un clima di esasperata delusione. Credo invece che serva per alzare lo sguardo “in modo da contrastare il rischio di ritirarci impauriti e talvolta rabbiosi nel nostro particulare.” (Chiara Saraceno). Se vogliamo pensare al futuro con ragionevole speranza, sempre con la scuola dobbiamo fare i conti, perché necessariamente ci proietta su quello che potrebbe essere il nostro domani, avendo il compito di prendersi cura delle nuove generazioni . Ma la scuola così come l’abbiamo vissuta e così come ancora funziona ha un suo futuro? Questo è il problema e non è per nulla ozioso che in modo particolare chi riveste un ruolo in un sistema di istruzione si chieda come dovrebbe/potrebbe essere la scuola fra qualche anno. Pensarci significa impegnarsi per impedire, ognuno per la propria parte, che la scuola si lasci trascinare dagli eventi, anche se non è dato di potere definire con nettezza i confini di quel che sarà la nostra società tra un decennio, ma sapendo già che sono cambiati gli orientamenti e le scelte di moltitudini di persone relativi ai processi di istruzione e formazione. La scuola che verrà dovrà fare i conti sia con le mutate esigenze di molte famiglie e della società, sia col fatto che fuori della scuola esistono tanti modi di istruirsi e tanti modi di far valere quello che si è imparato fuori dai circuiti istituzionali. Continua a leggere

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La centralità dell'insegnante

di Raimondo Giunta

  • DALL’INSEGNAMENTO ALL’APPRENDIMENTO.
Nel processo di formazione l’insegnante svolge opera necessaria di  mediazione tra il sapere costituito e il bisogno di apprendere dell’alunno; un bisogno che non può essere preso a pretesto per volerne la sottomissione, perché la funzione e la posizione dell’insegnante non possono essere sostenute da alcuna pretesa di potere sugli alunni. Ciò nondimeno, anche sgombrate da ogni forma  impropria di autoritarismo la funzione e la posizione dell’insegnante, da qualche tempo e da più parti  sono state sottoposte a critiche severe, alcune delle quali più suggestive che fondate. Si sa che la scuola e quindi l’insegnante non sono più nella società attuale  gli unici dispensatori delle conoscenze, divenute ormai  reperibili in ogni momento e in ogni luogo. Che non siano più gli unici, non vuol dire che non debbano più svolgere la funzione di trasmetterle o che non lo possano più fare. Questo comporta che con chiarezza debba essere circoscritta, indicata e valorizzata l’area specifica che in questo campo attiene alla scuola e che solo a scuola può essere coltivata. Fatto che richiede specifiche  prestazioni professionali, connesse necessariamente alla funzione magistrale dell’insegnante, alla sua responsabilità di orientamento e di direzione nei processi di formazione. Continua a leggere

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Le immagini pubbliche degli insegnanti

Un convegno promosso da Gessetti Colorati[/caption] di Raimondo Giunta Le immagini pubbliche di un gruppo professionale o di una componente della società qualche volta  non esprimono la realtà delle cose, ma hanno purtroppo una sicura incidenza nei rapporti umani, condizionandone lo sviluppo, gli esiti e la qualità. Nel caso degli insegnanti ci si trova di fronte ad una molteplicità di rappresentazioni pubbliche, alcune delle quali, molto negative, sono il risultato di giudizi, che oscillano dall’avversione preconcetta alla misconoscenza delle condizioni dell’esercizio dell’insegnamento: “lavorano poco”; “non si aggiornano”; “non hanno professionalità”; “non sanno ascoltare”; “non sanno valutare”; “è un mestiere per donne “; “inculcano valori ostili alla famiglia”; ”nei momenti cruciali si danno per malati” e così via pre-giudicando. Continua a leggere

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Riapertura scuole, fra promesse non mantenute ed errori più o meno gravi

di Raimondo Giunta Una volta che al buon senso non si è dato retta, a settembre ci si sta trovando in più di un pasticcio con i problemi della scuola.     1) Promettere dopo quello che si è passato in primavera un rientro normale a scuola era e resta un pio desiderio. 2) La riapertura delle scuole nei primi giorni di settembre, rispettando le nuove norme di sicurezza, richiedeva un intervento sollecito e imperioso non solo del Governo, ma anche delle Regioni, di quel che resta delle vecchie Province e dei Comuni, ai quali spetta da sempre garantire un sistema di trasporti locali funzionale alle esigenze della scuola e fornire locali idonei e arredi. Non mi pare che gli enti locali abbiano fatto per intero il loro dovere. Si può anzi dire che in tanti l’hanno presa comoda per mettere nei guai il governo. Continua a leggere

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Il disagio degli insegnanti

di Raimondo Giunta Gli insegnanti sono a scuola in nome di una società che non vuole riconoscere il valore e il significato del ruolo che esercitano nei confronti delle nuove generazioni. La loro autorevolezza, se e quando viene riconosciuta, deriva da quella della scuola e tutte e due sono necessarie per istituire fin dai primi anni di vita di una persona un rapporto di fiducia con le istituzioni; tutte e due, però, si nutrono del rispetto, delle cure, del prestigio che vengono ad essi assegnati da ogni componente della società. Alla radice dei malumori se non proprio dell’ostilità nei confronti della scuola e degli insegnanti va collocata l’impossibilità per la scuola di mantenere le promesse che nel passato l’hanno accreditata come un’istituzione fondamentale e imprescindibile per il funzionamento complessivo della società: buona e rifinita preparazione civica e professionale degli alunni, certificazioni indubitabili e insostituibili a garanzia di sicuri processi di mobilità sociale. Il prezzo maggiore di questa divaricazione tra scuola e società lo pagano gli insegnanti, sempre e comunque, come si può constatare ancora oggi, anche se senza il loro contributo determinante si sarebbe perso l’intero anno scolastico a causa della pandemia. Poca comprensione nei confronti degli insegnanti, da troppo tempo al centro di un ostile e prevenuto dibattito, che sarebbe azzardato definire politico e culturale. Accanto ad esso si sono sviluppate, quasi come conseguenza, la percezione diffusa tra i docenti di una propria marginalità sociale e la convinzione di un’assegnazione esorbitante di responsabilità, priva di sostegni e di garanzie. Nel passaggio da una scuola d’élite, alla quale l’insegnante era contiguo dal punto di vista sociale e culturale, ad una scuola di massa di fatto si è modificato il suo ruolo pubblico, ma non si sono modificati la sua consapevolezza e il suo approccio al compito da svolgere. Continua a leggere

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Settembre mon amour

di Raimondo Giunta Dopo i mesi della quarantena si è cominciato a sperare, anche contro le evidenze dei fatti, che a settembre tutto sarebbe tornato come prima. Una speranza ed una necessità, perchè bisogna tornare tutti al lavoro; si dice sempre più spesso che si muore anche di crisi economica, e se tutti si torna al lavoro le scuole per forza devono riaprire i battenti e lavorare a pieno ritmo. Nessuna società moderna si può permettere di tenere le scuole chiuse. Questo è un dato di fatto insuperabile e non c’è idea di scuola e di educazione che lo possa ignorare. Il problema allora è questo: ci sono le condizioni per riprendere in sicurezza le attività didattiche? Ho più volte detto sulla base della mia esperienza amministrativa e di preside che a settembre non sarebbe stato facile ricominciare e che ci si sarebbe trovati per forza di cose in molteplici situazioni di precarietà per la mancanza di nuove aule, per l’assenza dei piani locali dei trasporti, per l’indisponibilità immediata degli arredi che servono e perchè no, anche per la difficoltà di avere in servizio il personale scolastico necessario. Ho detto e lo ripeto che anche lavorando notte e giorno sarebbe stato difficile riuscirci, perchè la soluzione del problema è in capo a istituzioni che hanno tempi e mezzi diversi per arrivarci. Faccio un esempio. Continua a leggere

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