Archivi tag: Giunta

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Non c’è via di uscita

di Raimondo Giunta

Gli insegnanti sono a scuola in nome di una società che in diverse maniere e sempre più spesso non intende riconoscere il valore e il significato del lavoro che svolgono e del ruolo che esercitano nei confronti delle nuove generazioni.
Sono stati spogliati della loro autorevolezza; un fatto che si rovescia con effetti deleteri sulla credibilità della stessa scuola e che inquina e rende difficili i rapporti con le nuove generazioni.

Alla radice del disincanto e anche dell’ostilità nei confronti della scuola e degli insegnanti va collocata l’impossibilità per la scuola di mantenere le promesse che nel passato l’hanno accreditata come un’istituzione fondamentale e imprescindibile per il funzionamento complessivo della società: buona e rifinita preparazione civica e professionale degli alunni, certificazioni indubitabili e insostituibili a garanzia di sicuri processi di mobilità sociale.
Purtroppo, proprio quando la società incomincia a definirsi e a organizzarsi come società della conoscenza, la scuola fa fatica ad avere un’adeguata capacità di individuare nuovi orizzonti, nuove prospettive che la  possano collocare al centro dell’attenzione pubblica.

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Sulla scuola e sulla pedagogia, frammenti di riflessione

di Raimondo Giunta 

La pedagogia è l’attività di riflessione che si esercita sull’azione educativa per poterne delineare in modo persuasivo le finalità e le procedure ad esse congruenti. Riflette sull’educazione come oggetto e sull’educazione come progetto, soprattutto se e quando si vuole mettere in campo un’idea di umanità e di società che abbia come valori fondanti la libertà, la dignità e la responsabilità delle persone.
Ripensando l’azione educativa nei suoi molteplici aspetti è possibile migliorarla e renderla adeguata alle varie e diverse esigenze umane per le quali è indispensabile. Con questa necessaria e continua opera di riflessione la scuola può essere ancora un luogo di speranza per i giovani e superare le difficoltà che la stanno soffocando.

La pedagogia è l’educazione che si pensa, che si parla, che si giudica, che si progetta.
“La pedagogia è l’insieme delle strategie che l’intelligenza dispiega in una società, affinché l’arbitrarietà di un’educazione bene o mal fatta ceda il posto alla scelta di fare meglio” (E. Durkheim-1911).
La pedagogia come scienza è un tributo rituale alla cultura di tipo scientista; sarebbe peraltro una scienza senza l’onere e la responsabilità di portare le prove. . .
La pedagogia non è nemmeno l’insieme delle cosiddette scienze dell’educazione, in grado forse di rispondere alla domanda “COME”, ma non a quella “PERCHE’ ” educare.

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Parole, parole, parole: usarle bene per mettere ordine nel mondo

di Raimondo Giunta

‎La parola ci aiuta a tenere a bada, a regolare la molteplicità delle cose che fanno parte del nostro mondo e delle nostre esperienze . Ci costringe a mettere ordine nelle nostre idee, a dare una direzione alla nostra volontà.
In questo modo crea lo spazio delle nostre relazioni e la possibilità, se lo si vuole, di metterci d’accordo, di comunicare, di dialogare. Nella parola scompare la particolarità, l’individualità della cosa; vi rimane attaccata la sua essenza, l’eidos, come dicevano i greci, l’immagine che ci facciamo della cosa e che per questo diventa il significato del nome che la indica.
La parola “orale” è immediata, fisica, contestuale; si accompagna alle emozioni e le provoca. E’ la parola della conversazione, dell’ascolto, della rabbia, della gioia, del pianto. La sussurri, ma la puoi anche gridare, mettendoci tutta l’anima. la Parola scritta è di suo astratta, riflessiva, malleabile modificabile, reversibile. E’ muta e per questo adatta al dialogo interiore. E’ la parola da leggere, che è nello stesso tempo un vedere e un ascoltare, anche se la pronunci in silenzio; ma richiede tempo, richiede la separatezza del raccoglimento; richiede attenzione: risorse tutte in via di estinzione nell’universo della chiacchiera multimediale e della nostra vita quotidiana.

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L’insegnante, il sapere, l’alunno

di Raimondo Giunta

A scuola, spesso e con diverse motivazioni, l’attenzione prevalente degli insegnanti è dedicata alle proprie discipline, che di fatto finiscono per dirigere il loro comportamento e per provocare, anche per sollecitazione esterna, l’assillo di non potere portare a compimento quanto stabilito all’inizio dell’anno scolastico.
Le prescrizioni curriculari in molti casi assorbono e condizionano la didattica e le modalità delle relazioni educative. Non sono pochi gli insegnanti che ne soffrono. Vorrebbero una scuola più vicina alla sensibilità e ai problemi degli alunni. Vorrebbero una scuola aperta al mondo e invece devono sbrigarsela con una miriade di carte, che irrigidiscono la libertà di movimento di cui si nutre la buona qualità dell’insegnamento.

La scuola non riesce a trovare le parole giuste per indicare le cose, gli esseri e le relazioni che popolano lo spazio di un istituto. Ha smesso di usare quelle di una volta, ma quelle nuove nascondono la complessità della vita dei processi educativi. Avendo dichiarato la guerra a tutto il lessico etico-affettivo della dedizione, della passione, della funzione sociale del lavoro del docente per costruire l’immagine di un professionismo a 24 carati (nelle regole, nelle procedure, nel rapporto di lavoro, nel linguaggio) non si è compreso che è diventato inafferrabile il mondo su cui si lavora e per cui si lavora.

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Quale legame fra modello politico e modello educativo?

di Raimondo Giunta

Il discorso funebre di Pericle per gli opliti morti in battaglia nel primo anno della guerra del Peloponneso, riportato da Tucidide, è un inno al modello politico democratico della propria città, prima di essere un omaggio a quanti erano morti per la propria patria.
Giustamente citato e riprodotto ogni volta che si vuole distinguere la democrazia da qualsiasi altro regime politico.
“Mi dedicherò, invece, all’elogio di questi caduti, ma solo dopo aver chiarito in primo luogo sulla base di quali principi di comportamento siamo pervenuti a questa situazione, con quale regime politico e in virtù di quali caratteristiche personali il nostro impero è divenuto grande” (La guerra del Peloponneso II 36, 4).
Un regime in cui tutti si trovano in una condizione di parità e si può eccellere negli onori pubblici per meriti personali e non per l’appartenenza ad un determinato ceto; un regime in cui coesistono la tolleranza nei rapporti privati e la fedeltà alle magistrature e alle leggi, soprattutto se sono state concepite per difendere le vittime delle ingiustizie. Un regime che assicura allo spirito numerose occasioni di sollievo dalle fatiche con gare di diverso genere e con feste religiose. Per quanto riguarda l’educazione, non ci sono costrizioni per pervenire al coraggio e per diventare capaci di affrontare i pericoli. Ad Atene, afferma Pericle, si ama ciò che è bello nella semplicità e il sapere senza mollezze e chi non partecipa alla vita pubblica viene considerato un cittadino inutile.
“E noi stessi esprimiamo giudizi o discutiamo come si deve sulle questioni, dal momento che non riteniamo che le parole siano un ostacolo per l’azione, ma piuttosto che lo sia il non essersi informati attraverso la parola prima di affrontare l’azione che deve essere intrapresa” (Ibidem II, 40, 2).
Pericle fa della democrazia il regime che rende liberi e che è sostenuto da uomini che vogliono essere liberi.

Nella mente di Pericle quel modello politico era consapevolmente legato ad un modello educativo: ”In conclusione affermo che la nostra città, nel suo complesso, costituisce un modello di educazione per la Grecia e che nella mia opinione i nostri uomini, presi individualmente, mostrano una personalità sufficiente a ricoprire con disinvoltura i ruoli più diversi” (Ibidem II 41, 1) .

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Errori a scuola e valutazione formativa

di Raimondo Giunta

“Gli errori sono le porte della scoperta”(J.Joyce)
“Pensare è andare da un errore all’altro”(Alain)
“Lo Spirito scientifico si costruisce su un insieme di errori rettificati”(G.Bachelard)
“Se gli uomini sono i soli a poter fare gli errori, sono anche i soli a poterli correggere”(G.Le Boterf).

Di simili citazioni se ne possono raccogliere tante altre, ma a scuola non si è riusciti a correggere il convincimento che l’errore sia una colpa di cui si deve rendere conto e di cui si deve pagare la pena, anche se come ci ricorda A.Giordan sono cinque secoli che l’errore è considerato come inevitabile nell’atto di apprendere, come inerente ai suoi processi.
Gli errori non sono colpe da condannare, nè imperfezioni da disprezzare.
Sono sintomi interessanti degli ostacoli con i quali si confronta il pensiero degli alunni.
Si collocano dentro il processo di apprendimento e indicano il progresso concettuale che bisogna ottenere (J.P.Astolfi).

L’ostacolo incontrato e non superato ha lo statuto di indicatore e di analizzatore dei processi intellettuali in giuoco.
L’errore segnala a volte un’incomprensione delle consegne da parte degli alunni o il loro disinteresse per l’argomento trattato o ancora la loro lontananza dalla cultura della scuola.
Può essere l’affiorare di concezioni proprie dell’ambiente umano e sociale di provenienza degli alunni; è prova del loro modo di ragionare.

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Filosofia nei tecnici. Parliamone, ma i dubbi sono tanti

di Raimondo Giunta

Il ministro Bianchi promette l’inserimento della filosofia nel curriculum dei tecnici.
Presa così, senza approfondimenti, sembra una buona notizia.
A chi può dispiacere che si studi filosofia in tutte le scuole superiori? Bisogna, però, ragionarci seriamente.
Cercherò di elencare i problemi che si presentano ogni volta che si parla di nuove discipline soprattutto se la questione riguarda i tecnici.

 

  1. Un tentativo nel passato era stato fatto con il liceo economico; farlo passare nella mia scuola ha comportato un certo e difficile lavoro di convincimento, perchè gli insegnanti di materie professionali paventavano una riduzione delle ore di insegnamento per loro disponibili.
  2. I tecnici e i professionali ancora di più hanno gli orari settimanali più estesi e pesanti tra tutti gli istituiti superiori. Ogni nuova materia dovrebbe comportare una riduzione delle ore di insegnamento di quelle esistenti, se non si vuole rendere insopportabile la vita degli studenti.
    A mio modesto parere, orari di lezione antimeridiani di 36 ore sono umanamente impraticabili, da qualsiasi punto di vista li si voglia considerare.
    Altra cosa sarebbe ,se le scuole potessero disporre di mensa, per potere dividere in due parti l’orario delle lezioni, se i trasporti pubblici fossero finalizzati per questo scopo e se per una certa categoria di studenti pendolari le scuole fossero dotate di convitto, come avviene per molti tecnici agrari
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