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Le buone parole della scuola: EQUITA’

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Raimondo Giunta

E’ uno dei nodi più difficili da sciogliere nelle scelte di politica scolastica, perchè in genere si intende giocare la sfida dell’equità contro quella ricorrente dell’efficacia, come se non potesse essere garantito quanto è necessario in termini di qualificazioni elevate ed utili alla società, consentendo a tutti pari opportunità di formazione, non lasciando nessuno indietro.
E’ questo un problema che hanno fatto emergere la consapevolezza dell’importanza dell’istruzione nei processi di mobilità sociale e l’insofferenza verso tutte le forme di privilegio sociale, in qualche modo confermate dalla preclusione ad alcuni corsi di studio.
L’istruzione come bene comune è un principio di democrazia che si è fatto strada lentamente nella società ed ha alimentato nei decenni precedenti le lotte politiche tese a renderlo disponibile in una scuola aperta a tutti. L’universalizzazione del diritto all’istruzione e all’educazione è un bisogno della società; è un bisogno di ogni singola persona.
Molti sono stati i modi per affrontare il problema dell’equità a scuola.
La misura ricorrente e iniziale per fare della scuola un’istituzione equa è quella di abbattere ogni forma di barriera al diritto di accesso ad ogni corso di studio.
Non ci sono motivi per sostenerne le ragioni e anche per poterle camuffare. Continua a leggere

La cura dei giovani: spetta alla scuola o alla famiglia?

di Raimondo Giunta

  • SCUOLA E FAMIGLIE: UN RAPPORTO PROBLEMATICO

Le cronache sconvolgenti di violenza giovanile contro le proprie coetanee ammoniscono sul fatto che l’educazione dei giovani, oggi, è diventato un problema serio, grave, che riguarda tutti indistintamente e purtroppo non facile da affrontare, perché la responsabilità educativa è declinata in modo diverso da chi se ne dovrebbe fare carico. La responsabilità educativa nei confronti dei giovani ricade su chiunque per ruolo o per età con loro abbia o sia tenuto ad avere delle relazioni, anche se diverse per gradi di obbligatorietà.
Nessuno, infatti, può essere responsabile nei confronti dei giovani come sono tenuti ad esserlo i genitori. La responsabilità educativa dei genitori costituisce “l’archetipo di ogni responsabilità” (H. Jonas) e si comprende come sia difficile rimediare ai danni procurati quando questa, come sempre più spesso accade, non viene esercitata, perché ai giovani mancheranno la guida, il buon esempio, i consigli e la cura nello sviluppo del proprio carattere, nella costruzione delle capacità di relazione, nella sollecitazione a regolarsi nella vita secondo principi e valori condivisi. Continua a leggere

Esami di Stato e prove Invalsi

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Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

E’ difficile sperare che della scuola si possa parlare con giudizio e razionalità sulla base di una adeguata conoscenza della sua realtà, dei suoi meccanismi, della sua cultura, delle sue finalità e anche del suo personale. Ogni occasione è buona per parlarne come di un mondo modesto e bizzarro in balia di se stesso, sempre pronto a scandalizzare per quello che vi succede platee affollate di immancabili censori ora per l’incuria delle sue strutture, ora per la supposta imperizia dei docenti, ora per l’incorreggibilità degli studenti, ora per l’arretratezza dei curricoli, ora per l’avversione al mondo aziendale.
Non può sfuggire in questo genere di letteratura l’occasione offerta annualmente dalla differenza tra i dati emersi nell’ indagine INVALSI e quelli riscontrati negli esami di maturità appena conclusi. Nelle regioni del Sud, nelle quali gli studenti dell’ultimo anno nell’indagine INVALSI avevano denunciato carenze in più discipline, si sono avuti agli Esami di Stato risultati ampiamente diversi e migliori.

E allora ci si chiede quali dati siano davvero affidabili sulla preparazione degli studenti e ancora se un esame che fa tutti promossi dappertutto sia davvero un esame che può darci informazioni sul funzionamento dell’attività didattica delle scuole. Mettere in contrasto i dati INVALSI e quelli degli Esami è un gioco facile e si sa in anticipo come va a finire.

Va a finire con la demonizzazione del lavoro degli insegnanti, con la riprovazione della loro incerta etica professionale, con la perorazione di nuove e più incisive forme di valutazione della scuola e degli insegnanti. Per il bene della scuola, invece, vanno migliorati sia gli scopi e i metodi delle indagini INVALSI, sia soprattutto l’architettura degli Esami di Stato.
Il vizio di fondo degli Esami di Stato, che compromette qualsiasi buona intenzione e che va cancellato, è costituito dalla composizione delle commissioni. Fino a quando le commissioni saranno composte paritariamente tra membri interni e membri esterni; fino a quando i commissari devono essere scelti solo tra gli insegnanti della provincia in cui ha sede un istituto i risultati saranno sempre gli stessi. Tutti promossi e tutti con voti più o meno alti, soprattutto dove è difficile e complicato sottrarsi all’ambizione di potere documentare un ricco palmares della propria scuola e talvolta alle sollecitazioni interessate di autorevoli patrocinatori delle sorti degli alunni.

Il Codice di Camaldoli, 80 anni dopo

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Raimondo Giunta

E’ giusto che si torni a parlare del Codice di Camaldoli, del suo significato e della sua possibile attualità, soprattutto nella fase politica in cui si proclama di volere mettere ancora una volta mano alla Costituzione, per farla diventare altra da quella che è e da quella che era stata pensata e desiderata.

Il Codice di Camaldoli è a distanza siderale dalla situazione di oggi, dalle scelte di oggi, dallo spirito di oggi, dagli uomini di oggi.

CLICCA QUI PER LEGGERE IL TESTO DEL CODICE

Parlare di Camaldoli non è però inutile.
Significa parlare del modo in cui si fa una Costituzione, del modo in cui si pensa una Costituzione e anche del tempo che ci vuole per avere UNA BUONA COSTITUZIONE.
Tutto comincia in una settimana del mese di Luglio del ‘43. Parte del mondo cattolico sente ”l’urgenza di prendere posizione di fronte alle più vive e dibattute questioni sociali ed economiche”(Codice) per essere preparata, quando si sarebbe presentata l’occasione, a dare soluzioni ai problemi di una nazione, che già era prostrata da tre lunghi e sanguinosi anni di guerra e si trovava le truppe straniere in casa.

Venne organizzato un convegno nell’Eremo di Camaldoli, cui partecipò una trentina di studiosi laici ed ecclesiastici. I partecipanti ai lavori, che durarono una settimana, si proponevano di dare forma organica e scientifica e anche sintetica alle enunciazioni del Magistero della Chiesa sui principali problemi della vita economica e sociale; di sceverare tra le affermazioni quelle più adatte alle contingenze del tempo con particolare riguardo ai problemi della ricostruzione di un ordine sociale dopo il collasso della guerra; di tentare una prudente opera di esegesi e di interpretazione e se necessario di integrazione e sviluppo del pensiero espresso nei documenti ufficiali. Continua a leggere

La scuola: una comunità di adulti che ha cura di una comunità di alunni

di Raimondo Giunta

Frammenti di riflessione sull’azione educativa

1) La pedagogia è l’attività di riflessione che si esercita sull’azione educativa per poterne delineare in modo persuasivo le finalità e le procedure ad esse congruenti. Riflette sull’educazione come oggetto e sull’educazione come progetto, soprattutto se e quando si vuole mettere in campo un’idea di umanità e di società che abbia come valori fondanti la libertà, la dignità e la responsabilità delle persone. In una società democratica i valori dell’educazione sono quelli che rendono possibile l’esercizio della democrazia. Con questa necessaria e continua opera di riflessione la scuola può essere ancora un luogo di speranza per i giovani e affrontare le sue quotidiane difficoltà. La pedagogia è, quindi, l’educazione che si pensa, che si parla, che si giudica, che si progetta.
“La pedagogia è l’insieme delle strategie che l’intelligenza dispiega in una società, affinchè l’arbitrarietà di un’educazione bene o mal fatta ceda il posto alla scelta di fare meglio”(E. Durkheim-1911). La riflessione pedagogica è indispensabile per contestualizzare il discorso formativo e per poterne rinnovare le pratiche in una situazione di sovvertimento continuo dei saperi e dei paradigmi scientifici. La pedagogia è situata all’incrocio tra educazione reale, educazione possibile ed educazione “sperata”. E’ impossibile educare senza credere, senza sperare, senza preoccuparsi dello stato in cui si trova il bene più prezioso di una società: i suoi giovani.

2) L’attività educativa ha una dimensione naturale di progettualità, di futuro e di liberazione; solo per abdicazione può essere piegata ad una logica dell’adattamento alle condizioni date. Senza finalità non c’è attività educativa. Le finalità ci conducono a scelte di valore che oltrepassano sempre quelle pragmatiche dell’efficacia e dell’efficienza, alle quali si finisce per rifugiarsi talvolta in nome di un malinteso senso di razionalità. Le finalità sottintendono una particolare figura d’uomo: quella che vorremmo è l’uomo consapevole della sua posizione, libero, cittadino, capace di affrontare in modo razionale i problemi, aperto alle novità, disponibile all’accettazione della diversità e al dialogo. Dovrebbero cogliere aspetti della sua consistenza e tentare una configurazione della sua complessità. Devono rispondere alle domande “Chi”, “Perchè” e “Per quale scopo” istruire ed educare. Le finalità devono aiutarci a comprendere in quale mondo vogliamo vivere, quale avvenire speriamo per i nostri figli, quali saperi occorre trasmettere, quale tipo di cultura si dovrebbe privilegiare. La problematizzazione delle finalità educative è la pedagogia.

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E portò via anche l’origano…

di Raimondo Giunta

Non ci sono parole per esprimere il disgusto per quello di cui è stata accusata la dirigente dell’ICS GIOVANNI FALCONE, situato nel quartiere Zen a Palermo.
Il danno arrecato alla scuola e al principio di legalità in terra di mafia è incalcolabile e non sarà per nulla facile riedificare ciò che è stato distrutto, soprattutto se si considera quanti vengono colti in questioni di malaffare ,regolarmente coperte da quotidiane esternazioni contro la mafia.
Questa orribile vicenda mi spinge a fare qualche riflessione sul ruolo del dirigente in regime di autonomia scolastica,perché credo che ci siano tanti modi e tante ragioni per evitare che possano ripetersi fatti come quelli verificatisi allo Zen di Palermo.
In una scuola che vuole essere una comunità educativa l’autorità del dirigente scolastico si dovrebbe fondare sulla capacità di fare della propria scuola un modello di convivenza collegiale e culturale e non sull’esercizio arbitrario dei poteri che gli affida la legge.
Non sono pochi, purtroppo, i dirigenti scolastici che ritengono di non potere fare bene il proprio mestiere ,perché sarebbero molestati dagli insegnanti che sollevano obiezioni e perplessità sul loro operato, e perché devono tenere conto di quello che ancora si decide nei collegi degli insegnanti e nei consigli di istituto.
Ricordo ancora la dichiarazione pubblica “LASCIATECI LAVORARE”, sottoscritta da alcuni dirigenti scolastici, in piena pandemia, come se il lavoro a scuola consista nell’esecuzione dei loro ordini di servizio.

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La pedagogia per amica

di Raimondo Giunta

Quand’ero studente di filosofia a Padova guardavo con sufficienza la pedagogia, perché pensavo che dovesse interessare i maestri elementari o i futuri direttori didattici, ma non gli studenti che avrebbero dovuto insegnare storia e filosofia nei licei.  Non mi aiutava a cambiare opinione nei confronti di questa disciplina l’avversione viscerale verso il cattedratico che ne teneva le lezioni, per la sua esibita alterigia accademica.
Quando venne la stagione della libertà dei piani di studio non mi sembrò vero che potessi togliermi dai piedi la pedagogia.
La sostituii con filosofia della religione.

L’insegnamento alle medie mi ha costretto ad una rapida inversione di rotta; non ho avuto giorni migliori e più felici di quelli trascorsi con i ragazzi che andavano dagli undici ai quattordici anni e per come sono fatto, per non perdere tempo e per fare nel modo migliore il mio lavoro, mi sono messo subito davanti testi di didattica, di pedagogia, di psicologia, di linguistica, di storia delle istituzioni scolastiche, di sociologia dell’educazione.
Sono stati anni ti travolgente entusiasmo e di fervide letture.
Ho incominciato seriamente a chiedermi quali fossero le finalità del lavoro che facevo, come sarebbe stato giusto farlo, che cosa ne doveva essere dei ragazzi delle mie classi. Mi ponevo queste domande ogni volta che mi scontravo con una difficoltà o con un problema imprevisto. Erano i ragazzi senza prerequisiti; erano i ragazzi stanchi per il lavoro fatto nei campi; erano i ragazzi che non volevano starci a scuola; erano i ragazzi che non avevano a casa tempo, spazi e modi per imparare; erano i ragazzi di famiglie numerose che non ci credevano; erano i ragazzi che si distraevano e quelli che provavano vergogna per come si sentivano, per come erano vestiti e per come erano giudicati. Da tutti mi dovevo fare capire; da tutti mi dovevo fare accettare e da tutti qualcosa dovevo ottenere. Continua a leggere