Il disagio degli insegnanti

di Raimondo Giunta

Gli insegnanti sono a scuola in nome di una società che non vuole riconoscere il valore e il significato del ruolo che esercitano nei confronti delle nuove generazioni.

La loro autorevolezza, se e quando viene riconosciuta, deriva da quella della scuola e tutte e due sono necessarie per istituire fin dai primi anni di vita di una persona un rapporto di fiducia con le istituzioni; tutte e due, però, si nutrono del rispetto, delle cure, del prestigio che vengono ad essi assegnati da ogni componente della società. Alla radice dei malumori se non proprio dell’ostilità nei confronti della scuola e degli insegnanti va collocata l’impossibilità per la scuola di mantenere le promesse che nel passato l’hanno accreditata come un’istituzione fondamentale e imprescindibile per il funzionamento complessivo della società: buona e rifinita preparazione civica e professionale degli alunni, certificazioni indubitabili e insostituibili a garanzia di sicuri processi di mobilità sociale.
Il prezzo maggiore di questa divaricazione tra scuola e società lo pagano gli insegnanti, sempre e comunque, come si può constatare ancora oggi, anche se senza il loro contributo determinante si sarebbe perso l’intero anno scolastico a causa della pandemia. Poca comprensione nei confronti degli insegnanti, da troppo tempo al centro di un ostile e prevenuto dibattito, che sarebbe azzardato definire politico e culturale. Accanto ad esso si sono sviluppate, quasi come conseguenza, la percezione diffusa tra i docenti di una propria marginalità sociale e la convinzione di un’assegnazione esorbitante di responsabilità, priva di sostegni e di garanzie.

Nel passaggio da una scuola d’élite, alla quale l’insegnante era contiguo dal punto di vista sociale e culturale, ad una scuola di massa di fatto si è modificato il suo ruolo pubblico, ma non si sono modificati la sua consapevolezza e il suo approccio al compito da svolgere.

Lo smarrimento causato da questa transizione per molti di loro non si è ancora risolto in uno sbocco chiaramente definito di responsabilità e di comportamenti professionali, anche per la sua interminabile ed estenuante durata.

Anzi questo stato soggettivo di sofferenza, pubblicamente e più volte individuato da serie ricerche sociologiche, in alcuni casi si è accompagnato a processi di dequalificazione professionale ed è stato aggravato dalle inquietudini originate dall’emergere di nuove figure di intellettuali e di professionisti socialmente più apprezzati, e dalla lenta e continua erosione della propria posizione economica.

Nella scuola dell’autonomia, inoltre, la valorizzazione del ruolo del dirigente scolastico e i tentativi di scomposizione della funzione del docente con l’introduzione delle figure di staff hanno fatto esplodere reazioni risentite e aggressive di rifiuto nei confronti di ogni innovazione di sistema e l’insoddisfazione della propria condizione professionale.

Con l’autonomia gli insegnanti non sono andati al timone della scuola (N. Bottani).  Anzi.

I cambiamenti degli ultimi anni sono vissuti dagli insegnanti più anziani, spesso, come una grave ferita alla “parità” celebrata nei decreti delegati dei primi anni 70, come un declassamento.

L’introduzione della R.S.U. in ogni singolo istituto non ha risolto la grande questione della “dignità” e dello “status” del docente nella scuola e nella società; in alcuni casi anzi ha irrobustito il sentimento di estraneità alla proprie responsabilità pubbliche ed ha alimentato conflitti interni ad ogni sede scolastica, privi di significato.

L’esplosione della crisi e del disagio sociale degli insegnanti è da collegare alla proletarizzazione delle loro condizioni di vita, e allo stravolgimento delle aspettative di status e di considerazione sociale, causate dalle costanti politiche governative di riduzione della spesa scolastica.

Questi fenomeni vengono registrati nella coscienza di parte considerevole della categoria con inquietudine e talvolta con rancore.

Tra l’altro gli insegnanti, come categoria, nelle proprie rivendicazioni hanno avuto molte incertezze che dipendono dal fatto che come gruppo sociale non hanno unitariamente e ragionevolmente interpretato le trasformazioni che hanno investito il loro ruolo e la loro immagine sociale.

L’ideologia dell’autonomia professionale verso cui si orientano, quasi per compensazione, discrete porzioni della categoria oscilla dall’esaltazione della specificità della professione (con i tratti di incommensurabilità del proprio lavoro, enfasi sulla funzione etc) alle richieste di privilegi corporativi e rappresenta comunque un impedimento a razionalizzare la propria posizione nella società. La soluzione al problema del disagio degli insegnanti non può essere trovata nella rincorsa nostalgica di presunti antichi privilegi, anche se nelle loro contrastanti richieste di considerazione e di valorizzazione, nella loro ricerca di valori da ceto medio va riconosciuta un’esigenza che deve essere presa in considerazione e che può tornare utile all’intero sistema scolastico.

Il problema non è solo di natura economica, anche se il bisogno di un esercizio altamente professionale dell’insegnamento richiede dei costi sociali.

La questione del “prestigio” e dell’ ”autorevolezza” del docente, che emerge imperiosamente nelle aspettative della categoria, non si può relegare nell’ambito dei problemi di psicologia sociale, come si trattasse di un caso di falsa o cattiva coscienza collettiva.

Nel tempo si è visto che è un problema serio, la cui soluzione richiede un riordino generale del reclutamento dei docenti, del rapporto di lavoro, una battaglia culturale di grande respiro a sostegno del lavoro dei docenti, una modifica profonda del regime disciplinare interno delle scuole, un controllo rigoroso del lavoro scolastico.

La sindacabilità di tutte le scelte dell’insegnante a prescindere dagli aspetti squisitamente tecnici, ha tolto autonomia e dignità al lavoro dei docenti. Ha ingenerato l’insicurezza che porta alla remissività e alla condiscendenza nei confronti degli “utenti” o all’aggressività nei confronti di ogni controparte e in alcuni casi all’abdicazione alle proprie responsabilità.

Occorre ripristinare per quanto possibile quel poco o quel tanto di funzione pubblica della scuola, che serva a riportare l’insegnamento tra i compiti istituzionali di uno stato da difendere, per disancorarla dalla collocazione tra i semplici servizi sociali. La scuola e gli insegnanti dovrebbero essere uno degli aspetti tra i più civili e umani del volto delle istituzioni pubbliche presso le nuove generazioni.

Finora disagio e attaccamento ai propri doveri, rifiuto e adesione ai valori del sistema scuola sono stati i termini entro i quali si sono definiti, con tendenza al peggioramento gli atteggiamenti pubblici degli insegnanti. Bisogna rompere questa logica. Sarebbe un grave errore provocare o rafforzare con scelte sbagliate atteggiamenti e posizioni antistituzionali dell’insegnante.

Gli atteggiamenti “non collaborativi” o peggio ancora di rifiuto servono a confermare solo gli aspetti peggiori del sistema scuola (selettività, abbandono degli alunni di estrazione popolare; diffusione di comportamenti rinunciatari; degrado dell’insegnamento).

Non sarà facile uscire dal “disagio”: duraturi e radicati sono la disillusione e lo scoraggiamento degli insegnanti.

La mancanza di turn – over, la stazionarietà generazionale del corpo docente, con prevalenza di individui anziani, la friabilità di tutte le ipotesi di innovazione, che hanno frantumato le residue riserve di entusiasmo e di energie, hanno consolidato una cultura del disincanto che si potrà rimuovere con molta fatica.

Ci vuole una grande scommessa pubblica sulla scuola e sulla valorizzazione del docente per cominciare un’altra volta a sperare che le innovazioni piccole o grandi che siano, ma necessarie, possano mettere radici, consolidarsi e dare frutto. Il momento non è dei più facili e richiede un surplus di passione educativa e di cura delle persone e il mondo della scuola non si può permettere il lusso della rassegnazione

L’insegnante deve poter svolgere il proprio lavoro, senza inutili impedimenti, senza imbarazzo e senza umiliazioni.

 

 

 

 




Settembre mon amour

di Raimondo Giunta

Dopo i mesi della quarantena si è cominciato a sperare, anche contro le evidenze dei fatti, che a settembre tutto sarebbe tornato come prima.
Una speranza ed una necessità, perchè bisogna tornare tutti al lavoro; si dice sempre più spesso che si muore anche di crisi economica, e se tutti si torna al lavoro le scuole per forza devono riaprire i battenti e lavorare a pieno ritmo.
Nessuna società moderna si può permettere di tenere le scuole chiuse. Questo è un dato di fatto insuperabile e non c’è idea di scuola e di educazione che lo possa ignorare.
Il problema allora è questo: ci sono le condizioni per riprendere in sicurezza le attività didattiche?
Ho più volte detto sulla base della mia esperienza amministrativa e di preside che a settembre non sarebbe stato facile ricominciare e che ci si sarebbe trovati per forza di cose in molteplici situazioni di precarietà per la mancanza di nuove aule, per l’assenza dei piani locali dei trasporti, per l’indisponibilità immediata degli arredi che servono e perchè no, anche per la difficoltà di avere in servizio il personale scolastico necessario.
Ho detto e lo ripeto che anche lavorando notte e giorno sarebbe stato difficile riuscirci, perchè la soluzione del problema è in capo a istituzioni che hanno tempi e mezzi diversi per arrivarci.
Faccio un esempio.


Le graduatorie dei supplenti ancora non sono state pubblicate e quando lo saranno dovranno essere concessi a chi ha fatto domanda i giorni utili per avanzare reclamo, se non ha avuto riconosciuto il punteggio che gli spettava.
E’ probabile, quindi, che a ai primi settembre non possano essere fatte le nomine per sostituire gli insegnanti andati in pensione e per coprire i posti resi necessari per garantire le misure di sicurezza a scuola.
Ma a settembre non dovrebbero avere inizio le attività di recupero dedicate agli studenti che sono passati ope legis all’anno successivo?
Non essendosi adoperato il linguaggio della prudenza ,non avendo fatto conoscere le difficoltà vere che bisognava affrontare si sono alimentate speranze ingiustificate sulla riapertura delle scuole e si sono create proprio per questo le condizioni per un gioco perverso di reciproco discarico di responsabilità, quando ciò che si sperava e si è promesso sarà molto diverso da quanto nella realtà ci sarà scuola per scuola.
Si è ancora in tempo per rimediare e per rimettere nel giusto verso le cose.
Dipende dalla buona volontà di tutti i soggetti che hanno competenze sulla soluzione dei problemi della scuola e dal loro impegno a trovare i rimedi possibili caso per caso nel dovuto spirito di servizio e come generoso contributo al mantenimento degli equilibri sociali delle comunità di cui fanno parte. Credo che una condizione imprescindibile per avere questo risultato sia quella di accogliere la richiesta di discaricare i dirigenti dalle responsabilità penali per fatti relativi a casi di epidemia riscontrati nelle scuole.

Anzi e lo dico a voce alta e convinta che sarebbe l’occasione giusta per farla finita con l’idiozia di considerare il dirigente scolastico datore di lavoro.

 




Se 20mila aule vi sembran troppe

di Raimondo Giunta

Settembre è alle porte e le scuole riapriranno, sapendo tutti che il rischio di contagi non è azzerato.
La riapertura è un’esigenza sociale ed umana di prima grandezza e questo comporta da parte di tutti i soggetti interessati, alunni, genitori, personale della scuola, sindacati, enti locali, ministero un surplus di responsabilità, di pazienza, di collaborazione.
Miracoli all’orizzonte non ce ne sono.
Ci sono soluzioni che di volta in volta, di luogo in luogo, di scuola in scuola si possono trovare e adottare, perchè non sarà la stessa musica dappertutto. Gli accordi siglati, i provvedimenti presi per garantire la ripresa delle attività didattiche vanno accolti favorevolmente, ma non va nascosto che alcuni problemi non hanno trovato ancora una soluzione e questo potrebbe rivelarsi un serio inciampo.
Mi riferisco al reperimento delle aule, per garantire la misura del distanziamento e al piano trasporti per evitare assembramenti all’inizio e al termine delle lezioni.
Per quanto riguarda le aule l’ANP ritiene che ce ne vogliano ben 20.000 per stare nei termini del protocollo di sicurezza; altri affermano che sia una cifra eccessiva.
Se si pensa a quante classi sovraffollate esistevano nell’anno scolastico passato, forse di aule ce ne vorranno di più di 20.000, se si considera lo stato reale della totalità delle aule degli istituti scolastici italiani.

E allora, le scuole hanno fatto presenti le proprie necessità agli enti locali? Gli enti locali si sono premurati di predisporli in tempo utile e con le caratteristiche richieste dalle nuove norme di sicurezza?
Francamente non sarà per nulla facile e con molte probabilità si dovrà ricorrere ai doppi turni, senza dimenticare che se si dovessero sdoppiare le classi numerose a tante migliaia di alunni non si potrebbe garantire la continuità didattica.
Forse si dovrà ricorrere alla poco amata didattica a distanza e con soluzioni alquanto fantasiose…
Gli ingressi differenziati esigono un piano articolato del trasporto locale al quale le regioni non hanno intenzione di provvedere.
Basta osservare quello che è successo nei giorni passati; ma se non si garantisce il distanziamento nei trasporti locali come si può pensare di mettere la scuola al riparo dai rischi della pandemia? Ecco per quali motivi dicevo che senza la responsabilità di tutti e la collaborazione difficilmente si avrà un anno scolastico sereno.
E quello dei banchi monoposto come quello dell’organico aggiuntivo di docenti e di personale ATA si vedrà che non sono problemi difficili da affrontare.

P.S.
Se è difficile trovare 20.000 aule per la didattica in presenza e in sicurezza, sarà molto più difficile trovare i locali esterni alla scuola per collocarvi i seggi elettorali.
E’ mai possibile che il buonsenso debba sparire ogni volta che ci va di mezzo la scuola?
Non era più saggio iniziare il nuovo anno scolastico dopo le elezioni?




La scuola è una istituzione pubblica, la homeschool una faccenda privata

di Raimondo Giunta

La scuola ha una sua forma e senza questa puo’ essere tutto ,ma non è più scuola;si puo’ lavorare per rafforzarla e si puo’ con le più spericolate motivazioni lavorare per sbaraccarla.
Nella società della conoscenza,della diffusione crescente dell’istruzione tra la popolazione e dell’imponente disponibilità delle informazioni creata da internet affiora periodicamente la questione se la scuola abbia ancora il diritto di esistere e se abbia ancora un senso.
Un problema che puo’ interessare quanti sono in grado di sostituirla per disponibilità di mezzi personali e culturali e quanti vogliono sottrarre la propria figliolanza alle regole,ai principi e ai valori dal netto profilo pubblico che un’istituzione come la scuola deve sostenere e praticare.Perchè la scuola è un’istituzione pubblica e la homeschool è una faccenda privata.
E allora il problema è proprio questo: la perdita strisciante dell’importanza di ciò che è pubblico nel mantenimento della coesione sociale.
L’incosciente corsa alla privatizzazione di ciò che per il bene di tutti deve essere comune e pubblico.Il danno che si creerebbe a scuola con l’individualizzazione privatistica dei processi di insegnamento ,sarebbe maggiore di quello che si è creato con la privatizzazione della sanità,dell’apparato industriale e finanziario, delle poste,delle, ferrovie e dell ‘acqua.
La legittimazione della homeschool, anche all’interno di una logica emergenziale, sarebbe, infatti, la proclamazione dell’esplicito disinteresse di fare della scuola l’unico luogo in cui i giovani possono apprendere a vivere come comunità, che si riconosce negli stessi valori negli stessi diritti e negli stessi obblighi.
E senza comunità si ha solo un coacervo di individui gli uni contro gli altri armati.Avremmo una società incapace di darsi un progetto comune di sviluppo e di futuro

I giorni difficili della pandemia hanno riacceso gli interrogativi sul destino della scuola ,sull’identità e sul significato che debba avere.
Ne è stata causa la necessità di ricorrere alla didattica a distanza per mantenere nei limiti del possibile il rapporto educativo con gli alunni; una necessità che per alcuni si è subito trasformata in una opportunità per pensare di riconfigurare con uno sguardo proiettato nel futuro gli ambienti di apprendimento e l’articolazione del rapporto tra alunni e luoghi di formazione.
Di cambiamenti nel modo di essere scuola se ne sono visti tanti negli ultimi decenni e in qualche modo la scuola è riuscita a reinventarsi rimanendo se stessa ,conservando la propria forma.La legittimazione della homeschool potrebbe essere il grimaldello per farla saltare.

La scuola è un’istituzione ancora facilmente identificabile per i luoghi in cui le sue attività si svolgono,per le finalità che deve o che dovrebbe realizzare,per l’organizzazione complessiva che la distingue da ogni altro ufficio pubblicoNel tempo la forma della scuola si è dilatata per comprendere nuovi contenuti e nuova popolazione,ma a pensarci bene non è sostanzialmente cambiata.Si sono moltiplicati gli spazi e le aule;si si sono creati tanti laboratori ,si è diversificata l’enciclopedia dei suoi saperi,ma la sua forma(insegnamento in presenza,progressione dei contenuti/classi progressive per età,orari,procedure organizzative,attività )fino ad oggi è rimasta fedele a se stessa.

La scuola ha funzionato e funziona per diffondere e difendere la lingua nazionale; propone valori comuni contro ogni forma di separatismo culturale;dà prospettive anche ai diseredati contro i privilegi familiari;trasmette pubblicamente saperi,competenze e tecniche che rendono le persone libere dai vincoli delle corporazioni e rompono il sancta sanctorum del segreto professionale,del segreto del mestiere .
La scuola è luogo di formazione della cittadinanza ,compito che puo’ svolgere e di cui si ha bisogno perché è pubblica,aperta a tutti e non discrimina nessuno.Perchè nei suoi spazi e solo in questi tutti i bambini e tutti i giovani sono uguali,come dovrebbero essere da adulti davanti alla legge.

La homeschool porta al superamento del percorso formativo per classi e forse in un futuro non lontano a quello per anni di corso,..Il superamento del gruppo classe e dell’anno di corso rompe con l’organizzazione tradizionale della scuola,comunemente accettata sia dagli insegnanti,sia dagli alunni,sia dalla stragrande maggioranza delle famiglie.
Per fortuna ancora classe e anno di corso restano i pilastri della scuola.Il superamento potrebbe trasformare l’istruzione pubblica in un servizio a domanda individuale,che la consegnerebbe mani e piedi a quella parte della società che sa formulare le domande e sa come imporle.Un problema che non si puo’ sottovalutare e che in veste mutata si riproporrebbe con la didattica a distanza,se dovesse diventare una modalità permanente del lavoro scolastico.
La home school non ci porta avanti;ma molto indietro.
Ci riporta ai tempi dei precettori privati-




L’erba voglio non cresce a scuola

di Raimondo Giunta

E’ stato sempre così; quasi tutti ne abbiamo dovuto fare esperienza.
La scuola che tanti di noi hanno fatto non era quella che desideravamo di fare; non era nemmeno quella che sarebbe stato giusto fare. Si è fatto con grande impegno e andando avanti con tanti ostacoli la scuola che era possibile fare.
Se questo andava per le vie ordinarie della vita del sistema scolastico, sicuramente succederà dopo il colpo durissimo che gli è stato arrecato dalla pandemia.
Un’istituzione ferita da tanti anni di saccheggio, come fa a funzionare con la rapidità che si spera e che le esigenze di ritorno alla normalità richiedono?
Come fa a disporre nel giro di poche settimane del personale, degli spazi e degli arredi che sono necessari per rispettare le norme di sicurezza previste a tutela della salute del personale e degli alunni? E gli enti locali costretti allo smart-working saranno in grado di fare la loro parte? Perchè non si dice che a scuola un ritorno alla normalità sarebbe un insperato miracolo?
Perchè continuare con pietose illusioni?
Ne faccio un esempio clamoroso: l’impegno a non installare i seggi elettorali negli edifici scolastici. Mi piacerebbe sapere quanti locali pubblici, immagino, sono disponibili paese per paese, città per città per collocarvi i seggi elettorali; credo che non ce ne siano a sufficienza e che in molti posti non ce ne siano affatto.

Non solo, ma penso che nel caso si trovassero, sarà con molta probabilità necessario riformulare il numero dei seggi e quindi anche gli elenchi degli elettori che ognuno di essi deve ospitare.
Lavoro che deve essere fatto dagli enti locali, dopo apposita delibera sindacale o della giunta comunale o del consiglio.
Quando? Esonerare la scuola dal compito di ospitare i seggi elettorali a me sembra operazione impossibile anche disponendo di tempi lunghi.
Se invece dell’ansia di prestazione ci fosse stato un po’ di buon senso, tutte le elezioni avrebbero dovuto svolgersi prima dell’apertura dell’anno scolastico, rinviandone la data.
E poi, come si fa a non sapere che in ogni tornata elettorale e soprattutto in quelle locali trovare il personale scolastico in servizio è quasi impossibile, tolti quelli che fanno i candidati, i presidenti di seggio, gli scrutinatori e i rappresentanti di lista? Pazienza.
Come da previsione ragionevole, nel mese di Settembre ci toccherà di sorbire le filippiche di quelli che non conoscono la scuola ma la usano contro l’incapacità del governo di salvaguardare l’incolumità del calendario scolastico.




Ci sono tante idee di scuola

di Raimondo Giunta

  • In giro ci sono tante idee di scuola, ognuna delle quali ha il proprio seguito di fedeli.
    C’è quella che hanno gli insegnanti, che grosso modo ricalca l’esperienza che hanno fatto anche da studenti, ma debitamente integrata con le correzioni che la diversità dei tempi reclama.
    Un’idea che finisce in genere per esaltare la scuola che “forma” e ”dà cultura”; una scuola che trova compimento nell’Università e che procura un’occupazione stabile e decorosa.
  • C’è quella di cui sono convinte tantissime famiglie; a loro interessa una scuola breve, senza tante pretese culturali, disciplinata al punto giusto anche per sovvenire alle loro difficoltà educative, tutta proiettata sulle opportunità di lavoro. Sono le famiglie che non si possono permettere lunghi percorsi di studio per i propri figli e che a volte vedono di malocchio il prolungamento dell’obbligo scolastico fino a 15 anni. Ma il mondo è vario e ricco di sorprese, perchè ci sono anche quelli che vogliono una scuola lunga, distintiva, distanziante e censitaria nella popolazione che la deve frequentare e nel curriculum; è gente che non ha problemi per l’avvenire dei propri pargoli e dalla posizione sociale inattaccabile da qualsiasi crisi economica.
  • Alla scuola che crea e alimenta distanze sociali si oppone quella ugualitaria, che dovrebbe dare a tutti una chance proporzionata ai meriti individuali, che soccorre gli alunni in difficoltà, creatrice di buoni costumi e di attiva cittadinanza; ricca di passioni umane, sociali e civiche; è la scuola degli insegnanti e dei dirigenti generosi che non si arrendono mai.
  • Per la fortuna di tutti anche i grandi opinionisti si interessano di scuola.
    Gente che sa da dove veniamo e dove dobbiamo andare, che ne ha per tutti i problemi e che vede quello che il resto dell’umano genere non vede.
    I loro discorsi sulla scuola si nutrono di rigore ,di realismo e di serietà; fanno la differenza con la Koinè pedagogico-didattica che imperversa nelle scuole e che sta creando moltitudini di idioti.
    I loro colloqui fanno curriculum anche per un Capo di Governo e per un Ministro della Pubblica Istruzione.
    Piangono sulla miseria degli stipendi degli insegnanti, ma in genere non li ritengono preparati per quello che dovrebbero fare, anche per colpa delle immissioni in ruolo ope-legis.
    Detestano quanto sa di accompagnamento e di sostegno e in genere prediligono una scuola che nella selezione, nella disciplina e nell’elevatezza del curriculum deve trovare le proprie fondamenta per risorgere dalla palude in cui sta imputridendo.
    Non guasterebbe a parere di uno dei più noti una pedana sotto la cattedra e l’obbligo per gli alunni di alzarsi in piedi quando l’insegnante entra in classe. Se fossimo in Francia potremmo definirli fautori di un’école repubblicaine et antipédagogique. Se fossimo in Francia…
  • C’è anche l’idea di scuola (e non poteva mancare) che producono e diffondono i centri studi delle consorterie aziendali; una scuola tutto fare, tutto agire; una scuola che si fa più nei locali delle fabbriche che nelle aule; una scuola che abilita ad operare, ma un po’ incurante del sapere pensare.
    Tutta immersa nel presente e sicura del futuro che ci sarà.
    In poche parole, una scuola spiccia, solerte, efficiente, efficace.
    La scuola dei tempi moderni, molto ammanicata nelle stanze ministeriali.
  • Ci saranno sicuramente altre idee di scuola, ma non è insensato distinguerle tutte in quelle che ne fanno una magistra vitae e in quelle che ne fanno una ancilla societatis.
    Per quanto le prime per i tempi che corrono siano soggette a prenderle di sana ragione e a incorrere in quotidiane e severe sconfitte, sono proprio queste idee ad appassionarmi ancora ai problemi della scuola, forse per la collaudata imperizia personale nel cogliere e comprendere le opportunità che il mondo offre.

 




La scuola e il principio di realtà

di Raimondo Giunta

Solo parlando il linguaggio della verità si possono affrontare e risolvere i problemi di una certa dimensione.
Quello della scuola lo è sotto diversi aspetti, anche per gli immediati risvolti sociali post-epidemici.
Sulla scuola si sta compiendo un grande inganno e la responsabilità non è solo di questo governo.
Per essere chiari, a scuola si potrà ritornare come prima alla sola condizione di una netta vittoria sul coronavirus o dichiarando mendacemente come vogliono fare certe regioni, certi comuni e certe associazioni che ormai non ci sono più pericoli per alunni e personale della scuola.
Se però si vuole restare ancorati alla realtà dei fatti e si deve tenere nel dovuto conto delle raccomandazioni del CTS, è evidente ad occhio nudo che a settembre difficilmente si potrà tornare alla normalità, perchè anche lavorando notte e giorno non tutti i locali e gli spazi necessari saranno pronti; non tutte le scuole potranno avere i banchi monoposti con o senza rotelle; non tutti gli insegnanti che mancano saranno nominati.
Ma è così difficile fare i conti con la realtà quando di mezzo c’è la scuola?
E se gli ingressi devono essere distanziati, è pronto un nuovo piano dei trasporti?
E se non tutti i locali necessari saranno disponibili non si dovrà per forza ricorrere ai doppi turni o alla didattica a distanza? Se non si vuole fare della scuola l’occasione di un interminabile conflitto sociale ognuno dei soggetti coinvolti nella gestione della scuola deve fare la propria parte: il Ministero, gli Ambiti territoriali, gli Enti Locali, i sindacati della scuola, i dirigenti scolastici, gli insegnanti e il personale non docente.
A nessuno è consentito moralmente di tirarsi indietro e di evocare le altrui e non le proprie responsabilità.