Lacrime di coccodrillo e sei in condotta

di Giovanni Fioravanti  Ho letto e riletto l’articolo di Eraldo Affinati, L’importanza di un “no”, relativo al voto in condotta, pubblicato su la Repubblica del 20 settembre. Non sono d’accordo. Intanto non ritengo che il sei, come il cinque in condotta, siano una necessità, un provvedimento “necessitato”, anche se accompagnato dall’ammissione muta di una sconfitta come insegnanti. Non abbiamo saputo fare di meglio, è un provvedimento a cui non ci possiamo sottrarre perché abbiamo a cuore la tua crescita. Ti bastono, le bastonate fanno più male a me che a te, ma un giorno capirai che quelle bastonate sono state una cura benefica. Non interviene il sospetto dell’anacronismo? Dell’ombra inquietante di una sorta di pedagogia nera? No, Eraldo cita don Milani, quello di L’equivoco don Milani scritto da  Adolfo Scotto di Luzio, la nuova vulgata di chi vede la così detta “pedagogia progressista” come il fumo negli occhi. L’affetto manesco, semmai senza mani, l’educazione preventiva che si nutre della  stessa sostanza, come ineluttabili. E allora il voto in condotta, portato all’estremo del sei e del cinque, e magari la convocazione davanti al giudice a partire dai dodici anni, il daspo urbano, il carcere preventivo, tutto necessitato, sebbene gli adulti avvertano di essere i veri sconfitti, ma questa è la cura per il bene dei giovani che sgarrano. Se di fronte a provvedimenti punitivi, come sostiene Affinati, sono gli adulti ad aver fallito, equità vorrebbe che a pagare non fosse sempre solo il giovane, il più debole,  ma anche l’adulto. Il giovane punito con il sei in condotta, con la bocciatura e l’adulto, insegnante, o altro che sia, cosa fa, come risponde? Continua a leggere

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Non lo psicologo ma tanta psicologia per curare le patologie della scuola

di Giovanni Fioravanti [caption id="attachment_3815" align="alignright" width="293"] Composizione geometrica di Gabriella Romano[/caption] Lo psicologo a scuola c’è ormai da tempo, con un eccesso di certificazioni per ogni disturbo specifico dell’apprendimento, per ogni bisogno educativo speciale. È la scuola che non è mai ricorsa all’ausilio di uno psicologo per curarsi, eppure è da tempo che si segnalano vere e proprie malattie, crisi di identità, malesseri, sintomi di disadattamento e di sfinimento, addirittura pare che sia la scuola ad essere dannosa a se stessa. Ma non è attraverso il continuo ricorso alla clinica che la scuola può pensare di guarire dalle sue patologie. La scuola più che di psicologi ha bisogno di psicologia a tutti i livelli. Nelle professioni di relazione la competenza psicologica è fondamentale. Nella scuola questo vale dall’ultimo dei collaboratori scolastici fino al primo dei dirigenti. Ma la relazione tra psicologia e scuola nel nostro paese non è mai stata delle più felici. Ci aveva tentato, all’indomani della Liberazione, Carleton Washburne, pedagogista statunitense, a capo della ricostruzione della scuola italiana, mandando cinque insegnanti della scuola elementare all’Università di Ginevra perché apprendessero le teorie di Piaget. Ma il progetto naufragò perché il governo italiano di allora non aveva i soldi per pagare il viaggio e il soggiorno. Continua a leggere

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Apprendimento permanente, per affrontare le sfide del XXI secolo

Stefaneldi Giovanni Fioravanti Era la scommessa dell’Illuminismo il cittadino cosmopolita del sapere, come dire che solo la ragione può unire il mondo, perché l’uomo razionale non accetta barriere nazionali. La società della conoscenza nasce nutrendosi della fiducia nell’universalità del sapere come forza unificatrice contro le spinte scioviniste dei vari nazionalismi. La seduzione dell’apprendimento permanente, per tutta la vita, è l’enunciazione di un particolare atteggiamento illuministico verso esistenze guidate dalla ragione, dalla compassione per l’altro, dalla continua ricerca di innovazione e cambiamento, in cui l’unica cosa che non è una scelta è compiere delle scelte. L’apprendimento è un processo continuo che non tollera più d’essere relegato alle sole aule scolastiche e alle loro forme rituali di istruzione, perché la vita esige sempre un di più di conoscenza per affrontare problemi e innovazioni che non hanno un punto di arrivo, cambiamenti che richiedono responsabilizzazione e processi decisionali i cui effetti non riguardano solo il singolo individuo, ma l’appartenenza collettiva alla comunità mondiale. Siamo entrati nel tempo del problem solving, dell’apprendere a risolvere problemi, dove non è più sufficiente essere istruiti su problemi già risolti da altri, ma piuttosto è necessario imparare come dare soluzione a quelli che hanno da venire, per i quali non esistono ancora formule ed eserciziari. Continua a leggere

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"Scuola media unica": sessant'anni portati male

di Giovanni Fioravanti La scuola media unica ha sessant’anni, la legge istitutiva li ha compiuti il 31 dicembre scorso. Anche la sua gestazione è stata lunga, circa altri sessant’anni prima di vedere la luce. Nel 1905 la Reale Commissione, istituita per volontà dell’allora ministro dell’istruzione Leonardo Bianchi, si era pronunciata a favore della scuola media unica, ma l’opposizione si manifestò subito soprattutto da parte liberale e socialista, tanto che si opposero Salvemini e Galletti, Croce, Gentile e Codignola. Poi come è andata la storia è ormai cosa nota. Del resto nel dicembre del 1962 a votare contro la legge numero 1859  non furono solo missini e monarchici, ma anche i comunisti, sebbene con motivazioni differenti. Ma di scuole di “mezzo” non ne abbiamo più, né inferiori né superiori. L’istruzione è ora organizzata per cicli: primo e secondo. Poi le scuole sono primarie e secondarie. L’articolo 1 della legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 affidava alla scuola media unica il compito di concorrere “a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione” e a favorire “l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”. Cinquant’anni dopo, nel 2012, le Indicazioni nazionali per il curricolo del Primo Ciclo, a proposito di finalità da affidare alla scuola, puntano direttamente allo scopo: “La finalità è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base”. Continua a leggere

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Il Ministro dell’Umiliazione Nazionale

di Giovanni Fioravanti In un celebre Fioretto riportato dai libri di lettura della mia infanzia, san Francesco spiega a frate Leone cosa sia la “perfetta letizia” alla quale la laica e pagana resilienza neppure assomiglia. La perfetta letizia è il piacere d’essere umiliato, vilipeso, una sorta di masochismo esaltato come ascesi. Non so se l’attuale ministro dell’istruzione e del merito (diciamolo tra parentesi, già il merito puzza di umiliazione per quelli che merito non hanno) sia un terziario francescano, certo è a digiuno, per stare nell’ascesi, di pedagogia, per lo meno di quella non nera. Di fronte all’uscita, rivelatrice, del Ministro mi è tornata immediatamente alla mente l’iniziativa del suo alleato di governo, onorevole Maurizio Lupi, che nella scorsa legislatura si fece promotore di un disegno di legge per introdurre nei programmi scolastici della Repubblica l’educazione alle competenze non cognitive. Ecco che il ministro l’ha preso in parola, pensando bene di iniziare con l’educare all’umiliazione; competenza indubbiamente non cognitiva, con i lavori socialmente utili come conseguenza punitiva. Tenere pulita e in ordine l’aula dove lavori e studi è umiliante, perché è come se fosse una punizione. Bella educazione a proposito di educazione civica, materia reintrodotta al posto di Cittadinanza e Costituzione! Continua a leggere

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Il volto gesuitico dei voti

di Giovanni Fioravanti Era facilmente prevedibile che l’attenzione dal merito scivolasse sui voti. È stato sufficiente  il lancio di stampa che al liceo Morgagni di Roma si sperimenta la scuola senza voti  che l’italico qualunquismo pedagogico si scatenasse, come se una scuola senza voti fosse destinata all’estinzione. Del resto, se questo governo ritiene che l’istruzione deve essere sorretta dalla stampella del merito, è evidente che una scuola senza voti è una pugnalata alla schiena. Il merito per essere tale necessita di una graduatoria, appunto la graduatoria di merito, e a scuola le graduatorie (come tante altre cose) dai tempi della gesuitica ratio studiorum si fanno con la scala ordinale dei voti in numeri o in lettere come nei paesi anglosassoni. Quando l’idraulico viene a casa ad aggiustarmi la doccia che non funziona, al termine del suo lavoro non gli do un voto, lo pago sulla base della fattura che mi rilascia. O ha riparato la doccia o non l’ha riparata, è abile o non è abile, è competente o non è competente. In definitiva funziona una logica binaria. Tutta la nostra vita poggia sull’aperto/chiuso, dentro/fuori, sopra/sotto, negativo o positivo. A scuola no. La logica è quantitativa, il sapere va a peso. Domina la domanda che la figlia fa al padre in un famoso metalogo di Gregory Batison: “Papà, quante cose sai?” E siccome il sapere non si può pesare e neppure misurare è compito degli insegnanti impilarlo nella scala decimale, ne va del loro ruolo, della loro autorità, del loro prestigio sociale. Il voto è un potente ricatto, una punizione morale double face che fa dello studente un somaro come un secchione. È comunque l’anima del profitto scolastico, l’incentivo a studiare. Continua a leggere

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ENTRIAMO NEL "MERITO"

di Giovanni Fioravanti Se sono povero di parole anche il mio pensiero sarà povero, se le parole sono sempre le stesse anche il mio pensiero sarà sempre lo stesso. Ci mancano le parole per immaginare un mondo nuovo e rischiamo di usare solo quelle vecchie che appartengono a un mondo che non c’è più. Per chi guarda al passato e sogna una sua restaurazione questo non costituisce un problema perché il  vocabolario che gli serve è sempre lo stesso. Contrapporre alla riproposizione di quel passato le parole che possediamo da sempre è come cadere nella trappola, oltre a rilevare la debolezza del nostro pensiero ormai usurato dal tempo. È quello che ci accade nella comunicazione pubblica per cui ci facciamo catturare dalle parole che ci sono famigliari e diffidiamo dei linguaggi che ci sembrano stranieri. E soprattutto sono lingue straniere quelle che provengono da mondi che ancora non ci sono e che non ci saranno mai se nessuno si assumerà l’ardire di iniziare a gettare le fondamenta per costruirli. Un mondo che attende di essere costruito di nuovo è quello della scuola che non c’è. Mentre tutti bombardano l’edificio vetusto d’oltre un secolo, c’è chi pensa di ricostruirlo a immagine di come era e di come è sempre stato, più forte e più robusto di prima. Allora se c’è chi pensa che la scuola deve selezionare, deve bocciare e in questo fa consistere il merito, semmai trovando d’accordo ampia parte di un pensiero pubblico immiserito dalle parole, che crede che chi non si impegna non merita di essere aiutato e quindi va sanzionato, caschiamo nell’inganno del moralismo per cui un furto è sempre un furto anche se rubi per fame. Continua a leggere

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Vygotskij: le vie dell’uomo verso la libertà e l’individualità

disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di Giovanni Fioravanti Ho incontrato Vygotskij agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, la collana “Paideia” degli Editori Riuniti ne pubblicava due opere: Lo sviluppo psichico del bambino, con l’introduzione di Leontjev e cenni bio-bibliografici a cura, già allora, di Luciano Mecacci, Immagina-zione e creatività nell’età infantile, con la prefazione di Alberto Alberti, in fine il libro di Lurija Linguaggio e comportamento. Poi nel 1976 Vygotskij approda alle edizioni Giunti con la pubblicazione di Pensiero e Linguaggio” nella collana di psicologia scientifica diretta, tra gli altri, da Guido Petter. L’iniziativa è di Angela Massucco Costa, ordinario di psicologia sperimentale all’università di Torino, che ne cura anche l’edizione, con l’introduzione di Bruner. Gli anni ’70-’80 segnano l’esplosione d’interesse in Italia per il pedologo russo. La pedologia, censurata dal regime sovietico, comprende biologia, pediatria, psicologia, pedagogia, qualcosa come le scienze dell’educazione. Per Vygotskij è la riorganizzazione delle funzioni psichiche sotto l’influenza dei fattori sociali e culturali. All’indomani del crollo del muro di Berlino, dopo la caduta del regime sovietico, viene meno la censura nei confronti delle opere di Vygotskij, si scoprono i suoi taccuini, opere inedite, la figlia Gita ne pubblica la biografia. Un po’ in tutto il mondo si riaccende l’interesse per lo psicologo russo. Così non accade in Italia, nonostante sia italiano il maggior studioso di Vygotskij, Luciano Mecacci, che ha lavorato con Lurija nell’Istituto di Psicologia di Mosca dove lo stesso Vy-gotskij condusse le sue ricerche. Sarebbe interessante indagare le ragioni di questa diserzione tutta italiana, certamente crisi della cultura e crisi dell’insegnamento vanno di pari passo. Da tempo manca nel nostro paese una riflessione seria sulla cultura necessaria alla scuola, in una scuola che si è andata sempre più avvitando su se stessa in questioni di cattedre e di precariato. Può essere che abbia inciso, come ha osservato Alain Goussot, la profonda crisi della cultura marxista italiana, anche nella sua versione gramsciana. Ma non ne sono convinto, perché l’opera di Vygotskij va ben oltre ogni confine riduttivamente culturale. È più credibile il perdurare di una opzione cognitivista ancora prevalente nell’ambito dell’insegnamento/apprendimento. Se sei interessato all’argomento ti suggeriamo questa nostra intervista con Raffaele Iosa che racconta il suo incontro con la figlia di Vygotskij CLICCA QUI PER LEGGERE TUTTO IL SAGGIO ]]>

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Non sparate a zero sul Docente Esperto

di Giovanni Fioravanti Si conosce poco circa il docente esperto spuntato durante la calura estiva tra le norme del decreto Aiuti bis. Si sa che saranno in tutto ottomila per quattro anni, per un totale di trentaduemila, che per diventare esperti occorre studiare per dieci anni e che al termine del percorso si riceverà un aumento stipendiale pensionabile. Pare che non sarà una nuova figura di sistema perché continuerà a esercitare la sua funzione docente. La reazione del mondo della scuola a leggere petizioni, stampa e social è senza alcun dubbio di generale rigetto rispetto al trapianto che sembrerebbe nelle intenzioni del ministero, per cui non si comprende come sia possibile produrre un rinnovamento, se tale era nelle intenzioni governative, senza il coinvolgimento dei diretti interessati, vale a dire gli insegnanti. Compulsando internet ho scoperto che l’idea del docente esperto non è nuova, qualcuno ci ha già pensato da tempo e siccome ormai nulla è novità, se non assume un brand anglosassone, si tratta dei corsi di formazione e-learning con esame in presenza per  acquisire la qualifica di Expert Teacher organizzati dall’Erickson in collaborazione con la IUL, Università Telematica  degli Studi, e con l’ANPA, associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola. In cuor mio confidavo che ci fosse un nesso tra l’iniziativa del Ministro e l’offerta dell’Erickson, un nesso che avrebbe aiutato a fornire un senso all’evanescente figura scaturita dal decreto Aiuti bis. Non pensavo a nulla che non fosse più che legittimo e trasparente, ma evidentemente, indubbiamente per causa mia, ho suscitato con un mio articolo la sensibilità degli ideatori e dei promotori dell’Expert Teacher, della qualcosa mi dolgo pubblicamente. VAI ALLA PAGINA DEDICATA AL TEMA DEL DOCENTE ESPERTO Continua a leggere

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Jerome Bruner: Il Conoscere, saggi per la mano sinistra

Stefaneldi Giovanni Fioravanti Introduzione Sono tra coloro che ritengono Bruner uno dei quattro titani, insieme a Freud, Piaget, Vygotskij, che il secolo scorso ci ha donato nel campo della conoscenza. “Come conosciamo” è tema ancora trascurato, nonostante la scuola sia l’istituzione in cui si apprende a conoscere. Ci occupiamo di come educhiamo, di come istruiamo, ma poco di come conosciamo, e qui non da un punto di vista psicologico. La prima opera di Bruner pubblicata in Italia da Armando Armando nel 1964 è Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture. Bruner lo scrive dopo aver partecipato alla Conferenza di Woods Hole con la quale gli Americani convocano nel Massachussetts, nel 1959, i maggiori scienziati e studiosi in tutti campi per mettere in discussione i propri programmi scolastici preoccupati di essere superati dai Sovietici che avevano lanciato nello spazio lo Sputnik. Con il suo “Dopo Dewey” Bruner smonta il Mio credo pedagogico di John Dewey, compiendo lui sì un’autentica rivoluzione copernicana e non già l’illustre filosofo americano. Non più la scuola come luogo di trasmissione del sapere per partecipare alla cultura della propria specie, come sosteneva l’atto di fede deweyano, ma la scuola come istituzione in cui si apprende a conoscere, come luogo di negoziazione della conoscenza. È sul tema della conoscenza che si esercita il mestiere dell’istruzione e dell’apprendimento, non come si trasmette, ma come si accede al sapere. Di qui i temi di fondo della teoria dell’istruzione di Bruner che si muove tra strutturalismo e costruttivismo. L’importanza della scoperta come modo di avanzare in un apprendimento che si amplia a spirale, indagando la struttura delle discipline per rendere autonomo nel viaggio verso la conoscenza ogni singolo studente. La sintesi è nell’apprendere ad apprendere: learning to learn, learning how to learn, oggi divenuto patrimonio dell’Europa della società della conoscenza, manifesto dell’apprendimento permanente. Continua a leggere

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