“C’è chi insegna/ guidando gli altri come cavalli/ passo per passo”.
Sono i versi con cui si apre la poesia di Danilo Dolci: Ciascuno cresce solo se sognato.
Mi sono ritrovato spesso a riflettere sul loro significato e ho incontrato un analogo riferimento negli scritti di Helen Parkhurst, quando osserva che insegnare è la stessa cosa che portare un cavallo all’abbeveratoio, non si può costringere il discente ad apprendere più di quanto lo stalliere possa costringere il cavallo a bere.
Ecco, la nostra scuola non sogna i suoi ragazzi e le sue ragazze, ma li conduce all’abbeveratoio del sapere. Non si pone dal punto di vista di ciascuno di loro, non si interroga sulla complessità della vita umana, sul futuro di quel ragazzo o di quella ragazza, sul suo destino di donna e di uomo, della sorpresa che potranno essere una volta cresciuti. Chi oserebbe pretendere che si possano educare i ragazzi senza conoscerli, scriveva Roger Dottrens.
Non so se coloro che sostengono la centralità della cattedra e dell’ora di lezione si siano mai posti dal punto di vista dei giovani che hanno di fronte, delle potenzialità che nascondono e riservano.
Lo studente come oggetto del loro lavoro, come terminale della loro voce.
Se si siano qualche volta posti il problema di pretendere di avere una parte veramente eccessiva nell’attività mentale degli alunni. Se accade che la mente di un insegnante sia sfiorata dall’idea che quella ragazza o quel ragazzo che gli stanno di fronte, di cui se mai disapprova le qualità, possa essere allo stato latente, la crisalide d’una donna o di un uomo che oltrepassa di molto le sue capacità mentali.
Continua a leggere