Archivi tag: Fasoli

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Quali patti territoriali per ripartire

di Simonetta Fasoli

Il riferimento è alla Legge 285 del 28 agosto 1997 – Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza

Ho avuto modo di sperimentare sistematicamente forme di raccordo interistituzionale e di progettazione partecipata, attivate ai sensi della Legge 285/97, da preside di una Scuola media statale inserita nel territorio cittadino di Corviale-Casetta Mattei, a Roma. Territorio segnato da aree a forte rischio sociale, da povertà educativa e da fenomeni riconducibili alla dispersione scolastica.

È stato in quegli anni, tra i Novanta e l’avvio dei Duemila, che ho visto da vicino quanto sia decisiva la cosiddetta “qualità culturale del territorio” per affrontare efficacemente i molteplici fattori di disagio sociale. Ho toccato con mano che costruire un “patto territoriale” è processo complesso, che non ammette facili scorciatoie; ho imparato che per alimentare il dialogo istituzioni diverse per livelli e finalità devono riconoscersi non autosufficienti e trovare pazientemente modi per parlarsi oltre i rispettivi steccati e linguaggi.

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IL TERRITORIO COME “AULA DIDATTICA DECENTRATA”: un’utile prospettiva

ripresa_scuoladi Simonetta Fasoli

Ho virgolettato una parte del mio titolo, perché non ho coniato io quella formula, ma il professor Franco Frabboni.
E ho la buona abitudine di non appropriarmi di ciò che non è mio, ma di citare la fonte, sempre.

Parto da qui, in questo fitto discutere su come potrebbe o dovrebbe essere la scuola prossima ventura, in questo ricorrente prefigurare “patti territoriali” con l’impegnativo intento di mettere in relazione scuola e risorse del territorio sotto il medesimo orizzonte educativo.

Perché mi sembra utile riprendere quella formulazione, che trovo più che mai attuale? Perché penso che possa definire il perimetro della funzione della scuola, non in termini difensivi ma progressivi; perché “integrazione” significa concettualmente ed operativamente incontro di diversi e non con-fusione.

“Aula didattica decentrata” ci suggerisce almeno due riflessioni:

1) L’aula come spazio fisico strutturato non coincide necessariamente con un ambiente dell’edificio scolastico, come invece un consolidato immaginario collettivo, ampiamente confermato dall’esperienza, ci induce a pensare. Teniamolo ben presente, in questo particolare frangente in cui i vincoli e le restrizioni del dopo-Covid chiamano in causa uno sforzo comune di ri-progettazione e innovazione sensata.

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Educazione diffusa e scuola nel territorio

ripresa_scuoladi Simonetta Fasoli

La formula “educazione diffusa” è densa di significati e proprio per questo esposta a interpretazioni contrastanti e ad opposte opzioni di natura “politica”.

Dal mio punto di vista, postula alcune premesse:
1) la scuola, titolare della cosiddetta “educazione formale” è l’asse portante di un più vasto processo educativo che vede coinvolti altri attori nel territorio, titolari della cosiddetta “educazione non formale”.
2) In questa sua collocazione, la scuola esercita una funzione strategica, ma al tempo stesso si riconosce non autosufficiente, per la complessità dei processi socioculturali che la interpellano. In tale riconoscimento risiede la radice di una sua sistematica iniziativa di interazione che coinvolge le agenzie educative (o più generalmente culturali) che operano nel territorio.
3) La scuola è NEL territorio in un duplice senso:

A) attesta la presenza dell’istituzione, in questo senso è presidio di diritti sanciti costituzionalmente;
B) progetta e realizza concrete azioni di politica scolastica, con la specificità del suo progetto pedagogico e con gli strumenti giuridici che le sono conferiti dall’autonomia.

4) Le azioni sinergiche della scuola e dei suoi interlocutori nel territorio, istituzionali e non, rendono visibile la cosiddetta “comunità educante”. In questo senso, i confini dell’educazione non coincidono con quelli dell’istituzione-scuola. E ha fondamento l’espressione “educazione diffusa”.

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Valutazione formativa, valutazione sommativa: parliamone ancora

votidi Sinometta Fasoli

Le polarizzazioni in genere non mi sono mai sembrate utili a un confronto produttivo, meno che mai in educazione. Così, mi pare adesso sterile e fuorviante alimentare la polarizzazione “valutazione formativa – valutazione sommativa” che vedo ricorrere in diversi contesti di dibattito, fino a lambire documenti istituzionali.

Come se fosse possibile davvero scartare l’una a favore dell’altra, o teorizzare una supposta superiorità dell’una sull’altra.
Il motivo dell’inutile dilemma è al limite dell’autoevidenza: le due forme di valutazione insistono sul medesimo processo di insegnamento-apprendimento, ma si distinguono per funzione, scopo e tempo di adozione.

La prima, valutazione formativa, si compie in itinere, nel procedere del percorso, con lo scopo di accompagnare, descrivere, orientare il percorso stesso. La sua funzione regolativa investe, in questo senso, sia chi apprende sia chi esplica la sua azione didattica. L’insegnante valuta e si valuta; l’alunno è valutato e al tempo stesso si autovaluta.
Questa forma di valutazione è perciò intrinsecamente correlata alla programmazione educativo-didattica, come ben aveva visto la legge 517/1977 che infatti ha una volta per tutte sancito il nesso profondo, dando grande spessore pedagogico all’una e all’altra.

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Scuola-servizio o scuola-diritto?

bambini_scuoladi Simonetta Fasoli

Non mi convince affatto l’espressione “servizi alla persona”, che accomuna nel burocratese Sanità e Scuola: non sono “servizi”, sono “diritti”. In più di un’occasione pubblica o in incontri di riflessione ho ritenuto opportuno sottolinearlo. Non è una questione terminologica, ma politica, per ragioni che mi sembrano dirimenti. Il “servizio” si modula seguendo la logica economicista del rapporto costi/benefici. Il “diritto” non è modulabile: o c’è ed è garantito, o non c’è.

Questo passaggio epocale della pandemia, che è ben più di una semplice contingenza, sta dimostrando con drammatica evidenza la stortura di quella impostazione. Servizi tagliati, dunque diritti negati. Parliamo di vite, non di casistica.
I tempi sono maturi per innescare una vasta e articolata riflessione collettiva, “dal basso”, capace di condizionare le scelte dei decisori politici, in quanto libera dalla preoccupazione del consenso, o addirittura del successo elettorale, che da troppi anni affligge e distorce il quadro politico.
In caso contrario, c’è da temere che tutto si riduca ad una gestione dei problemi, senza andare a rimuovere le cause strutturali che li hanno determinati.

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DIDATTICA A DISTANZA: gestione dell’emergenza o prove tecniche di una scuola smantellata?

bambini_scuoladi Simonetta Fasoli

Leggo diversi e in qualche caso “autorevoli” commenti sulle modalità operative di gestione della forzata chiusura delle scuole adottata nel diffondersi del coronavirus.
Non mi pare il caso di spendere parole sull’opportunità o perfino la necessità dei provvedimenti che hanno interrotto le attività scolastiche per un periodo significativo e per un tempo di fatto non prevedibile.
Mi sembra al contrario dirimente aprire una discussione il più possibile partecipata sui tanti risvolti che la questione presenta.

I toni, al limite del trionfalismo, usati da chi ha responsabilità di governo del sistema scolastico, sono a mio parere non solo fuori luogo ma francamente inquietanti per quello che possono prefigurare. Si afferma che il sistema, in tutte le sue articolazioni, è attrezzato o si sta attrezzando per organizzare la didattica a distanza. Sembra, a leggere non solo tra le righe, che siamo di fronte non ad una soluzione di emergenza come tale parziale e provvisoria, ma all’epifania di una nuova stagione segnata dalle “magnifiche sorti e progressive”.

Provo a esporre, con la sintesi che il luogo e il mezzo richiedono, alcune considerazioni.

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