“Scuola estiva”, servizio a domanda individuale?

di Emma Colonna

Qualcuno ha definito questa cosa della scuola estiva “trasformazione della scuola pubblica in un servizio a domanda individuale”.
Forse io non ho capito niente e mi sono davvero fatta un film che non esiste, ma mi chiedo due cose: questa proposta è rivolta a tutti gli alunni? Sì. È a pagamento? No. E allora? Io non vedo il problema.
Mi si dice: ma la partecipazione è volontaria, degli studenti come dei docenti.
E allora? Partecipare volontariamente e liberamente ad una attività della propria scuola è il modo migliore per aderire a una proposta educativa e culturale. Qui non ci troviamo di fronte a una ‘domanda individuale’, ma a una scuola che, in un momento particolarmente difficile e durante la pausa estiva (che per molti studenti, non dimentichiamolo, può essere un altro periodo di solitudine), decide di rimanere aperta e di mettere a disposizione degli studenti e delle famiglie un programma di attività più o meno ricco.


Invece non sarei d’accordo se, in questo momento, dovessimo individuare chi deve recuperare e che cosa. Certo, ogni insegnante lo sa, chi deve recuperare e che cosa, ma non credo sia questa la sede, si isolerebbero i più deboli, con risultati incerti, come l’esperienza dimostra. E poi, ognuno ha qualcosa da recuperare.
Per esempio, conosco tanti ragazzi studiosissimi che devono recuperare il piacere di leggere. Così, a tempo perso. E che hanno usato lo studio ‘matto e disperatissimo’ per riempire il vuoto di questi lunghissimi mesi.
Invece di dare quelle orrende liste di libri da leggere durante l’estate (sempre le stesse da non so quanti anni), chi ci impedisce di organizzare delle attività che vedano i ragazzi protagonisti?
Ci sono tanti esempi che si potrebbero fare, basta avere un po’ di fantasia, e guardarsi un po’ attorno: bancarelle di scambio gestite dai ragazzi, piccoli festival autogestiti (del racconto giallo, o fantasy, o del fumetto, ecc.), con tanto di giuria, confronti con gare fra le classi (ci sono tanti esempi su queste cose, anche di trasmissioni televisive celebri), ecc. ecc.
È un’attività di recupero? Sì. È un’attività curricolare? Non in senso stretto, ma sì. È rivolta a tutti? Sì.
E ancora: sfide di calcolo mentale e di giochi matematici, organizzati ovviamente per età. Oppure: dare ai più bravi in inglese, che spesso sono gli alunni stranieri, il compito di organizzare la conversazione in lingua con gli altri.
Come si vede, non si tratta di mettersi in cattedra: se si punta sul protagonismo delle ragazze e dei ragazzi, non ci sarà bisogno neanche di tanti insegnanti. Però lo sappiamo tutti che esperienze ‘significative’ di apprendimento possono fare la differenza.
Altro esempio: il Cidi di Roma ha nel suo materiale storico un prezioso opuscolo/librino degli anni ‘90 del secolo scorso, che ha per titolo: Roma Capitale. Itinerari storico-urbanistici attraverso gli ultimi cento anni. Frutto del lavoro di alcuni insegnanti del Cidi di quegli anni e di studiosi esterni.
Bellissimo, ricchissimo di spunti didattici di ogni tipo: storia, archeologia, arte, ma anche scienze, botanica e tecnologia (i percorsi nelle ville storiche con tutte le mappe di vario tipo sono davvero preziosi).
Domanda: è scuola o non è scuola? È fuori o dentro il curricolo? Capite da voi quanto queste domande siano oziose.
Un itinerario urbanistico (o una visita a un museo, o uno spettacolo teatrale, e così via) diventa scuola se la scuola se ne impadronisce e lo usa all’interno di un percorso didattico.
Non è neanche importante chi lo fa, può essere benissimo un’associazione del terzo settore. L’importante è che la scuola lo abbia scelto perché in quel momento serve al percorso didattico.
Ma questo è l’abc, è pleonastico ribadirlo. E allora perché ci stiamo accanendo così tanto sul senso delle attività estive? Le domande sono due: chi e che cosa bisogna recuperare? Chi governa questo processo? Mi sembra che le risposte, all’interno delle norme che definiscono le attività della scuola estiva, siano abbastanza chiare.
Con la pandemia sono venute fuori con evidenza molte ‘criticità’ e rigidità del sistema scuola, già presenti prima, e ormai mature. Dalla necessità di dilatare tempi e spazi (e questa della scuola estiva ne è un esempio) alla annosa questione della valutazione. Siamo in una fase di grandi cambiamenti, e la scuola del dopo non sarà più la stessa.
Forse dobbiamo recuperare anche un po’ noi stessi e la nostra voglia di metterci in gioco.




“Scuola estiva”: reazioni stizzite, persino ostili

di Emma ColonnaStefanel

Qualche considerazione a caldo a proposito di ‘scuola estiva’.
Ho visto reazioni stizzite, quando non ostili. Certo, la scuola non ce la fa più, dopo tanto affanno, e non c’è dubbio che l’idea di dover pensare anche all’estate (al di là del fatto se poi si darà la propria disponibilità, bisogna comunque pensarci, proporre, pianificare, organizzare, e bisogna farlo ora) può non piacere. Anzi, diciamolo francamente: la reazione diffusa è di fastidio, e il sentimento prevalente è quello di non volere rinunciare alla parentesi estiva vissuta e soprattutto pensata come indispensabile ‘ricarica’, per grandi e piccoli.

Però, se ci pensiamo bene:
1. Se le scuole sono aperte d’estate è un bene per tutti
2. Il fatto che finiranno per andarci solo gli ‘sfigati’ dipende da quello che si fa
3. E’ questa la vera scuola? Detta così, mi sembra un dibattito davvero sterile. Ogni istituto scolastico farà quello che può, ma una cosa è certa: sarà ogni scuola, e nessun altro, a proporre il suo modello, e a individuare tutte le risorse su cui contare
4. E gli insegnanti? Non ci nascondiamo dietro un dito. A me sembra un’ottima idea quella dell’adesione volontaria. Vuol dire che chi sceglierà di farlo sarà motivato, e questa mi sembra un’ottima partenza.
5. Per le stesse ragioni, è un’ottima idea anche quella di lasciare alle scuole gran parte dell’iniziativa.

Ciò detto, chi ha filo tessa. Questa volta dipende da noi. Andateglielo a raccontare voi, a quei genitori che sbattono la testa per gran parte del mese di giugno e di luglio, e pagano fior di soldi ai centri estivi. Ma noi non siamo un parcheggio! – è l’obiezione. Certo che no, infatti le proposte educative e culturali delle scuole saranno di gran lunga migliori di tutto quello che ha circolato fino ad ora durante l’estate. Alla fine è solo questo quello che conta: il senso della proposta di una scuola, e la qualità di quello che si mette in campo. L’Italia è ricca di città d’arte, di luoghi meravigliosi dove fare scuola all’aperto, di una vivacità culturale diffusa a cui si può attingere.
La scuola non può che guadagnarci. Basta volerlo, e avere il coraggio di mettersi in gioco.
L’abbiamo detto tante volte in questi mesi che siamo in una situazione eccezionale che richiede risposte non scontate. Dipende solo da noi dare un senso a questa cosa. E’ una scommessa. Io ci proverei