Ancora sulla cattedra inclusiva: quando l’inclusione è reale

di Evelina Chiocca

Corresponsabilità e continuità educativo-didattica: le parole-chiave per scrivere / leggere “inclusione”
Le attività di sostegno, promosse dal docente “con incarico sul sostegno” (docente assegnato alla classe a favore degli alunni con disabilità e del processo inclusivo – che è un processo culturale, e questo aspetto, rilevante, non va sottovalutato), hanno ragion d’essere e possono affermarsi “efficaci” se l’alunno apprende e se impara ad apprendere insieme ai coetanei.
Se invece l’alunno si rapporta unicamente con un docente e non interagisce con gli altri (docenti) o rifiuta di interagire con altri, allora si è creata una “dipendenza” tale da impedire sia l’autonomia personale e sociale, fondamentale per la socializzazione, che la relazione, la comunicazione e l’interazione (in altri termini si preclude quegli aspetti vincolanti per l’attuazione del suo personale Progetto di Vita).
Il docente incaricato su posto di sostegno, allora, deve tradursi in una presenza trasparente, lieve, agendo “sullo sfondo e in primo piano contestualmente”, supportando le azioni, ma lasciando l’alunno quale protagonista e artefice attivo del suo percorso di crescita e di apprendimento.
A questo bisogna tendere.
Diversamente si riprodurrebbe quella condizione tipica degli antichi luoghi di “separazione e di segregazione”, in cui l’operatore, ad ogni azione, annunciava:
“Aspetto. Ci penso io”,
“Aspetta, non ho tempo, vedi he ho da fare?”,
“Aspetta! Abbi pazienza. Finisco qui e arrivo”…
Si chiamava “dipendenza”, si creavano condizioni tali per cui l’alunno era costretto “a dipendere da qualcuno”; e tutto ciò, diciamocelo, con il processo di inclusione non ha proprio nulla a che fare.
L’insegnante che promuove e sostiene un coerente processo di inclusione è un docente “che lavora e che collabora con i colleghi, secondo criteri di corresponsabilità, di collegialità, di cooperazione, di sinergia”; è un docente che interagisce e si interfaccia, che supporta e che, soprattutto, aiuta tutti gli alunni della classe, quindi anche l’alunno con disabilità, a imparare a rapportarsi con la propria unicità e identità e con quella del gruppo dei pari, con tutti i “suoi” docenti, sviluppando autoconsapevolezza e senso di autoefficacia.
In realtà questa impostazione, culturalmente intrisa nella dimensione professionale, non può appartenere o essere appannaggio di “alcuni docenti”, ma deve caratterizzare la figura professionale del docente, in quanto il processo di inclusione non è un percorso “in solitaria”, bensì un percorso ricco di presenze, di persone che orientano lo sguardo verso una stessa direzione (finalità).
Ed è quello che si propone la #cattedrainclusiva
Andare oltre, superare stigmatizzazioni, stereotipi, pregiudizi, preconcetti, atteggiamenti e comportamenti abiliSti, per intraprendere percorsi di autenticità, in cui
– la continuità educativo-didattica sia effettiva,
– le risorse per il sostegno siano interamente garantite,
– la corresponsabilità e la collegialità siano i paradigmi di riferimento dell’agire didattico,
– la collaborazione con i genitori sia imprescindibile e autentica,
– in cui la progettazione chiami in causa ogni nostra piccola azione.

#sipuòfare già da oggi con la #cattedrainclusiva
Si tratta della più autentica utopia realizzabile.
Dipende da noi!
Dipende da te!
Dipende da me!




Ma io ho studiato per insegnare la mia disciplina, non per insegnare agli alunni con disabilità

di Evelina Chiocca

Nelle nostre scuole entra personale che non solo afferma quanto ho scritto nel titolo, ma lo rivendica come “suo sacrosanto diritto”.
Secondo queste persone non è possibile chiedere loro di insegnare “agli alunni con disabilità” iscritti alle loro classi.
Secondo loro gli alunni con disabilità hanno “altri insegnanti”.
Tutto questo non entra nel dibattito.
Sfugge.

 

Tutto questo sembra “ordinario”,  tanto che neppure il Ministro interviene; così come non intervengono altri ministri o ministre che sembrano essere esperti /esperte del tema.
Che cosa significa tutto ciò?
Che quando un docente (il quale afferma di voler insegnare “la sua disciplina”, ma di non voler insegnare ad alunni con disabilità) entra in una classe, allora lo studente con disabilità “esce”, allontanandosi?
Questa è la scuola dell’inclusione?
Questa è la prospettiva che dobbiamo continuare a vedere, senza “battere ciglio”? Senza dire nulla?
Eppure in molti protestano al solo pensiero di “dover insegnare ad alunni con disabilità”.
Forse non hanno letto il loro contratto di lavoro?

E mi chiedo come si possa accettare che la scuola italiana, che vanta di essere leader a livello di inclusione, accetti di far entrare nelle classi personale che dice che “non se la sente di lavorare con gli alunni con disabilità”.
Ricordo una mia collega che una volta mi disse: “Se avessi voluto fare sostegno, mi sarei specializzata. Ma io preferisco insegnare la disciplina agli altri; a lui ci pensi tu”.
Sicuri tutti che a lui ci debba pensare “solo” io, in quanto docente specializzata? Sicuri tutti che il docente con incarico sulla disciplina sia esentato dall’insegnare all’alunno con disabilità? Sicuri tutti che stiamo parlando della scuola italiana che accoglie tutti?
Tutti noi (a ragione) ci scagliamo contro chi paventa il ripristino delle scuole o delle classi speciali; ma perché nessuno dice niente di fronte a color che “le classi speciali le fanno rivivere ogni giorno”?




Docente esperto: una scheda di sintesi

di Evelina Chiocca
(Coordinamento italiano insegnanti di sostegno)

Si leggono tanti commenti, si scrivono tante parole.
Direi di “leggere la norma” e di attingere direttamente alla fonte, ovvero dall’art. 38 del decreto-legge 115/2022 che, ricordo, è entrato in vigore il 10 agosto 2022.

Dopo la reazione negativa da parte dei docenti (e non solo) che, anche attraverso i social, hanno fatto pervenire il loro dissenso, le forze politiche, che hanno approvato il decreto-legge, si sono spese nell’affermarsi “non d’accordo con l’introduzione del docente esperto”, ribadendo l’impegno a stralciare il relativo articolo.
Ma se si afferma la volontà di stralciare la parte relativa al “docente esperto”, perché poi lo troviamo pubblicato in Gazzetta Ufficiale?
Mistero!

MA CHI È IL “DOCENTE ESPERTO”? Quali saranno i compiti che attribuiti? E i benefici? E quale giovamento porterà al sistema scuola?
Nella scheda qui pubblicata potete vedere, in sintesi, ciò che è scritto nella norma (che vi invito a leggere direttamente in Gazzetta Ufficiale)

 




L’alunno disabile non ha il “suo” insegnante, ma i “suoi” insegnanti

di Evelina Chiocca

L’errore di fondo è, per molti, è di ritenere che a scuola “solo il docente di sostegno” possa e debba assicurare il percorso di crescita e di formazione dell’alunno con disabilità. Si tratta di una visione totalmente distorta!!! L’inclusione si realizza grazie “alla sinergia e alla collaborazione reale” di tutti i docenti della classe.
Il docente “incaricato su posto di sostegno”, da solo, non garantisce gli apprendimenti né l’attuazione del processo inclusivo.
Insistere su un’unica figura professionale è controproducente e non è neppure in linea con l’impostazione di “integrazione” introdotta negli anni Settanta del secolo scorso e di “inclusione”, oggi.
Eppure stampa, servizi dedicati, servizi giornalistici, come pure le testimonianze di alcuni docenti, ripropongono questa impostazione, consolidando una “pseudo-cultura”, direi, opposta rispetto a quella che l’inclusione promuove.

Pertanto:

  • coloro che scrivono articoli nei quotidiani, nei giornali on-line, o in riviste dedicate, in blog o altro, come pure chi propone servizi radiofonici o televisivi, dovrebbero adottare un linguaggio corretto e offrire informazioni puntuali, non distorte o condite dal “sentito dire“; l’attenzione va posta non solo ai termini, ma anche e soprattutto al senso e al significato di questo processo,
  • i docenti dovrebbero riferire in modo corretto “la loro professione”. In particolare dovrebbero mostrare di conoscere i compiti che, contrattualmente, sono tenuti a rispettare, approfondendo le competenze ‘non possedute’ in tema di inclusione, onde evitare:

a) “deliri di onnipotenza”, per cui il bambino o il ragazzo impara “Se ci sono io, altrimenti no” (se ciò avviene, si deve registrare il fallimento e non il successo, perché, e i docenti ben lo sanno, “generalizzare” gli apprendimenti, e quindi anche i comportamenti acquisiti, per gli alunni costituisce una delle più grosse difficoltà);
b)  di pensare che senza di lei/lui “l’alunno non possa imparare”;
c)  di puntare unicamente sul “proprio ego” e su “un rapporto esclusivo con l’alunno”, mentre dovrebbero favorire la collaborazione “consapevole e corresponsabile” con i colleghi;
d) di stabilire un rapporto simbiotico ed esclusivo (di conseguenza “e-scludente”) anche con la famiglia: l’alleanza scuola-famiglia si costruisce fra “tutti i docenti della classe” e la stessa “famiglia”

  • genitori, insegnanti e giornalisti (e la società nel suo insieme) dovrebbero imparare a chiamare gli alunni per nome, riconoscerli come persone e non come “sindromi o disturbi”!!! A scuola gli insegnanti lavorano (e devono lavorare) con “persone“, per l’appunto gli alunni e le alunne, e non con un disturbo, una sindrome o, come sempre più frequentemente si sente dire, con una patologia!!!

Già i padri della pedagogia affermavano che la disabilità non è una malattia!
L’alunno o l’alunna con disabilità non è il suo disturbo, non è una patologia, non è la “sua disabilità”.
Se davvero il nostro comune obiettivo è di costruire una società in cui ciascuno sia chiamato per nome, sia riconosciuto come persona, sia rispettato come unicità, allora dobbiamo uscire da questi pericolosi e devianti stereotipi, che portano alla deriva e che trascinano, pericolosamente, verso la separazione, la divisione e l’emarginazione, dando vita alla “classe speciale” nella “classe comune” e alla ormai non più così remota ipotesi di riproporre le scuole speciali.
Iniziamo a cambiare noi, noi che nella scuola agiamo ogni giorno. Modifichiamo espressioni e lessico. Adottiamo nuove prospettive. Abbracciamo l’unica modalità possibile: quella in cui l’alunno con o l’alunna con disabilità è alunno di tutti i docenti della classe che, con responsabilità condivisa e con professionalità, lavorano insieme per promuovere lo sviluppo delle potenzialità di apprendimento, di socializzazione, di relazione e di comunicazione.

Il cambiamento è possibile: comincia da noi.