RICERCA D’AMBIENTE IN FREINET E NEL MCE

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 di Giancarlo Cavinato

Nell’introdurre i ragazzi all’esplorazione ambientale, quindi alla conoscenza del sé in un contesto sociale, il metodo della ricerca si avvicina al tatȏnnement di Freinet, in cui la globalità del reale è intuita attraverso l’esperienza diretta di molteplici fenomeni sociali e naturali, attraverso l’osservazione e la manipolazione.

Freinet introduce la ‘classe promenade’: attraverso il contatto con l’ambiente naturale ( il fiume, la cava, il bosco,..) ed artificiale ( la città, il quartiere, i trasporti, la fabbrica,..) i ragazzi osservano, documentano, colgono le trasformazioni ad opera dell’uomo.

Le ricerche d’ambiente sono finalizzate alla comunicazione della realtà vissuta dai ragazzi: le ‘scoperte’ vengono descritte attraverso le lettere (tecnica di base della corrispondenza) .
‘I ragazzi di ambedue le classi trarranno spunto da questo scambio per scavare in profondità nel proprio ambiente e per entrare in contatto con un mondo diverso’ ( B. Ciari)

Successivamente nel MCE la metodologia della ricerca in una società via via più complessa viene ampliata assumendo le proposte di Dewey (‘Logica, teoria dell’indagine’), di Bruner sul transfer di acquisizioni attraverso il modello ricorsivo di costruzione dei concetti a spirale aperta per successivi livelli di approfondimento e gli apporti delle scienze umane e sociali (cfr. il programma di studi sull’uomo di Bruner in cui si indicano le ‘forze di ominizzazione’ nelle diverse culture: gli strumenti materiali, le risorse ambientali, il linguaggio, l’immaginario).

Molta attenzione viene posta sull’aspetto democratico della ricerca.
De Bartolomeis in ‘La ricerca come antipedagogia’) ne rileva il carattere aperto, non riducibile a schemi e metodi preconfezionati. La ricerca coinvolge insegnante e allievi, a differenze del modello trasmissivo e unidirezionale di lezione.

Perché fare ricerca:

  • per la conoscenza della propria realtà
  • la ricerca parte dal principio che il soggetto che conosce è inserito nella realtà che intende conoscere, sta con essa in rapporto dinamico, può diventare un soggetto attivo
  • ogni esperienza ha una fase di contatto diretto con i fenomeni che è impregnato di emotività: c’è uno stretto rapporto fra emozione e conoscenza
  • al rapporto emotivo poco a poco si sostituisce la riflessività: il pensiero consente la mediazione e la simbolizzazione e quindi la creazione di concetti, simboli, modelli interpretativi attraverso tre fasi:
    –   riconosco anche agli altri i caratteri del mio o dei miei problemi ( generalizzo)
    –   tendo ad elaborare modelli esplicativi delle cause dei miei problemi
    –   tendo ad elaborare concetti atti comportamenti che mettono in discussione critica le cause individuando i problemi nel contesto della società, della storia
  • la ricerca apre a un continuo confronto fra presente- passato-futuro con la  costruzione di una visione unitaria della realtà
  • i concetti, le variabili della dinamica sociale devono essere scoperti e costruiti dai ragazzi: non trasmessi. E’ fondamentale il lavorio che produce forme di categorizzazione degli aspetti della realtà.
  • la conoscenza autentica produce interesse critico per le situazioni sociali ed economiche
  • la ricerca non è pura descrizione della realtà ( non si limita a formare osservatori passivi ma individui critici)
  • la ricerca è messa in crisi della ‘oggettività’ del dato.
  • consente un passaggio dall’opinabilità del pensiero comune ( stereotipi,..) alla verificabilità delle affermazioni.

Ogni ricerca deve dare origine a un quadro di riferimento dei problemi e alla presa di coscienza della necessità di nuovi comportamenti di compiere delle scelte.
L’impiego di una serie di concetti socio-economici ( habitat, lavoro, livello tecnologico,..) consente di definire il campo di indagine sul quartiere o sulla famiglia così come di un’indagine geografica sul mondo o di un’indagine storica sulle civiltà, procedendo per somiglianze e differenze.
Acquisire dei concetti interpretativi permette di innestare, a partire dal lavoro di ricerca d’ambiente ,le successive ricerche storiche, geografiche, ecologiche.

A un primo livello l’indagine verte sulla realtà psicologica del ragazzo, esplorando temi quali il gioco, la scuola, la famiglia, le paure, i compagni,… La visione é ancora egocentrica, è una prima ricostruzione di un ambiente che per i b. è ancora destrutturato, sfocato. Si scoprono le prime interrelazioni.
A un secondo livello il campo si amplia al contesto di vita, si estende ai fatti economici, sociali, fisici: il quartiere, la casa, i servizi, i problemi della famiglia, l’urbanizzazione, il rapporto città-campagna, il lavoro, la casa, il tempo libero, la storia familiare e generazionale.

Ad esempio in una classe quarta l’interesse si è concentrato sulle case, sui criteri di costruzione, sulla loro età. E’ così stata svolta un’indagine sul paese acquisendo i dati sul periodo di costruzione degli edifici dall’ufficio urbanistica del comune. Si sono colorati per fasce di età case ed edifici pubblici, determinando così le fasce di sviluppo del paese dal centro urbano verso la periferia e verso il progressivo unificarsi con i centri limitrofi. Confermando la propria ipotesi circa la forza di attrazione di alcune zone rispetto ad altre: legate non solo, come a una prima percezione era stato ipotizzato, a scelte soggettive (‘perché si vive meglio, ‘perché gli piace di più’) ma a precise decisioni economiche e urbanistiche.

A un terzo livello si possono analizzare comportamenti e valori della realtà ambientale e sociale in rapporto a modelli antropologici e sociologici di spiegazione dei fatti umani: l’ambiente, l’economia, le strutture sociali, la cultura, le trasformazioni e le permanenze.

La ricerca non ha sempre un andamento lineare, ma il risultato è un lavoro per tentativi successivi, per approssimazioni, per successivi livelli di approfondimento producendo quadri sintetici delle diverse ricerche ed evidenziando  l’ipotesi non formulata una volta per tutte ma oggetto di definizioni successive.

L’ambiente è costituito da una rete di interazioni fra elementi naturali e sociali che devono essere evidenziate e spiegate dai ragazzi, in cui la dimensione economica accanto a quella culturale e naturale viene progressivamente scoperta nella sua incidenza sulla vita e le dinamiche sociali.
Individuazione di una prima serie di rapporti su cui si basa ogni organizzazione umana, isolandone alcune componenti e permettendo ai ragazzi di riconoscerne, attraverso un’attività logico-conoscitiva, la funzione e l’importanza.
E’ quindi visto come un sistema di relazioni dinamiche tra elementi ( persone cose istituzioni…), l’insieme di tutti gli elementi che possono entrare in relazione dinamica tra loro: il rapporto nel quale ciascun termine influisce sulla struttura e sulla posizione relativa di tutti gli altri).

Viene quindi superato un modello descrittivo dell’ambiente e delle sue caratteristiche, quale si trova nei libri di testo a favore di una selezione degli aspetti della realtà che assumono maggior rilievo selezionando spazialmente e temporalmente il campo di indagine su cui porre/ porsi domande.
La conoscenza non è statica e chiusa, è un’interpretazione della struttura dinamica della realtà, ogni acquisizione rinvia a spiegazioni più approfondite.

La ricerca presuppone il lavoro di gruppo e lo scambio degli esiti di settori su cui si indaga.

L’insegnante ricerca con i ragazzi ed è garante della correttezza metodologica.

FASI DELLA RICERCA

EMERGENZA DEI PROBLEMI: si parte da domande e problemi che suscitano interesse
DEFINIZIONE DI UN’IPOTESI DI RICERCA: tentativo di capire come risolvere il problema
DEFINIZIONE DEL CAMPO: ambito spaziale e temporale della ricerca

Il CAMPO non è un dato. La definizione di campo è un’operazione che si fa in modo funzionale al problema e all’ipotesi.
Nella definizione di campo l’operazione fondamentale è la scelta di certi nessi relazionali da indagare tralasciandone altri concentrandosi su punti focali.
Il campo può essere il Veneto, ma è definito correttamente quando si precisa che si intende occuparsi di un aspetto, non di tutto: ad esempio della sua economia   per cui ci si andrà chiarendo che ci si occupa della distribuzione della forza lavoro nelle differenti attività produttive; o dell’emigrazione ( quando? oggi, un secolo fa?)
Si ottengono risultati positivi quando a un certo punto ci si rende conto di dover cercare una spiegazione più generale prendendo in considerazione nessi più ampi.

SCELTA DEL CAMPIONE quanti e quali individui o istituzioni controllare.
Il dato è il punto di riferimento di un’indagine. Di per sé non dice nulla, acquista significato per confronto e sulla base di parametri scelti ( es. costo del trasporto in confronto con altre città o paesi). Si possono avere impossibilità a rilevare i dati da tutta l’estensione del campo di indagine. Ci si serve delle tecniche del campione per rilevare dati da una parte dell’universo di indagine’ che per induzione si possono considerare probabilmente validi per tutto il campo. ( rappresentatività del campione).
Un campione è tanto più rappresentativo quanto più rappresenta le varietà interne all’universo ( es. per calcolare la quantità media di calorie consumate da abitanti di un paese di 1000 persone con un campione di 100 unità, devo riprodurre proporzionalmente il livello di vita- classi di reddito e di occupazione, età. In una ricerca si è comparato il consumo medio di carne o di pesce delle famiglie in un mese)

LE FONTI più vicine- più lontane dall’esperienza dei ragazzi: la biblioteca di classe, gli audiovisivi, il digitale.

GLI STRUMENTI
I ragazzi dovranno poter controllare con sicurezza metodologie e strumenti e metterli alla prova in contesti più complessi ( indagine statistica, visualizzazione grafica, concetti di ordine, relazione, interazione, causalità,..)
Strumenti fondamentali ( ipotesi, mezzi di indagine, rappresentazione grafica, costruzione modello di spiegazione) devono essere conquistati autonomamente: intervista, questionario, dati statistici, documenti,….
Il questionario é strumento complesso alla cui costruzione si giunge per momenti successivi ( colloquio informale, domande senza un ordine, classificazione domande nel testo scritto, formulazione sempre più chiara,..)
Nella formulazione delle domande bisogna   possedere un’idea chiara di ciò che si intende sapere e dell’uso che se ne vuol fare.
Ci possono essere domande con risposte guidate ( sì-no) o a risposte più libere ( più vicine alla tecnica dell’intervista).
Nel primo caso é facile quantificare risposte e stabilire relazioni fra i dati.
Nel secondo caso l’ utilizzo é più complesso. Possono costituire strumento di controllo del significato delle prime ( es.: in un’inchiesta sul passaggio da campagna a città può essere utile confrontare i dati quantitativi sul numero di anni del passaggio di residenza con domande tipo ‘che abitudini avete cambiato?’)
La precisa rilevazione dei dati è condizione indispensabile: rilevazione diretta ( es. registrazione di quante auto passano per una via in una certa ora; questionari; interviste;…) o indirettamente ( giornali, fonti statistiche,…)
Con le fonti indirette si hanno risposte univoche quantificabili, , con le dirette si privilegia il contatto interpersonale.

RACCOLTA DI INFORMAZIONI ED ELABORAZIONE DEI DATI IN TABELLE con scelta dei criteri di classificazione. E’ la fase centrale.

MESSA IN RELAZIONE DEGLI ELEMENTI
La relazione è un confronto fra due fenomeni: a una variazione del primo corrisponde una variazione del secondo

TESI ( DEDUZIONE) risultante dalla relazione fra variabili se si individuano i rapporti causa-effetto.

RAPPRESENTAZIONE DEI RISULTATI E COMUNICAZIONE
La relazione, punto di arrivo – strumento di controllo degli apprendimenti- non deve avvenire solo alla fine ma già nel corso ricerca ci vogliono momenti di scambio delle informazioni e di discussione sull’andamento del lavoro. Bisogna abituare a inserire sempre annotazioni sulla metodologia di lavoro ( motivazione delle scelte, strumenti impiegati, distribuzione dei compiti all’interno del gruppo di lavoro, valutazione del funzionamento del gruppo,..) suggerire tecniche per vivacizzare la comunicazione: cartelloni, PP, disegni, rotazione degli espositori, animazione,… tecniche di drammatizzazione, role playing e simulazioni, burattini, cantastorie, montaggi multimediali, reportage fotografici, video, cartelloni, schede di ricerca, giornalino e corrispondenza, mostra.

Al termine si verifica l’  EMERGENZA DEI CONCETTI. E DELLE STRUTTURE E FORMULAZIONE DI MODELLI ESPLICATIVI.

fonti
C. Freinet ‘La scuola del fare’, Junior, Bergamo, 2002
C. Freinet ‘Le mie tecniche’ La Nuova Italia, Firenze, 1990
G. Giardiello B. Chiesa ‘I campi di indagine scuola elementare’, ‘Gli strumenti per la ricerca’, I contenuti della ricerca’, La Linea, Padova, 1976
S. Mosca ‘Psicopedagogia per il curricolo’, La Linea, Padova, 1975
J. Bruner ‘Verso una teoria dell’istruzione’, Armando, Roma, 1976
F. De Bartolomeis, ‘La ricerca come antipedagogia’, Feltrinelli, Milano, 1970
Gilli ‘Come si fa ricerca’, Oscar Mondadori, Milano, 1971
M.Busoni P. Falteri ‘Antropologia e cultura’ Emme, Milano, 1980




Scrittura collettiva

abcdi Giancarlo Cavinato

Molteplici sono le possibilità offerte dalla circolarità e dall’interazione consentite da spazi dedicati allo scrivere insieme. Nella classe Freinet si valorizzano i processi individuali, ma anche i processi di gruppo, le interazioni, le negoziazioni e condivisioni di significati. Freinet propone che i testi dei singoli ragazzi siano ‘corretti’ (messi a punto) dall’intera classe attraverso discussioni, revisioni, ristrutturazioni di parti del testo per migliorarlo.
Nel MCE la composizione collettiva di testi, poesie, relazioni di esperienze ha sempre avuto spazio. Ma la tecnica (o meglio l’arte) dello scrivere a più mani trova alcuni punti fermi nella corrispondenza fra classi e gruppi di ragazzi e in alcune proposte che hanno segnato un ruolo fondamentale nella didattica e nella pedagogia della scrittura.

Mario Lodi, in visita a Barbiana, racconta che nella sua classe si scrive insieme un racconto, la sceneggiatura di un film, il resoconto di una discussione, una poesia, il report di un’esperienza. Racconta come è nato Cipì. Riceve una lunga lettera.

La scuola di Barbiana. NOI SI FA COSI’
«Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi. Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini. Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene. Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta. Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola»
(lettera dei ragazzi di d. Milani a Mario Lodi)

LA LETTERA COLLETTIVA
La collaborazione e il lungo ripensamento hanno prodotto una lettera che pur essendo assolutamente opera di questi ragazzi è risultata d’una maturità che è molto superiore a quella di ognuno dei singoli autori. Quando si leggono ad alta voce le venticinque proposte dei singoli ragazzi accade sempre che o l’uno o l’altro (e non è detto che sia dei più grandi) ha per caso azzeccato un vocabolo o un giro di frase particolarmente preciso o felice. Tutti i presenti (che pure non l’avevano saputo trovare nel momento in cui scrivevano) capiscono a colpo che il vocabolo è il migliore.
( Lettera di d. Milani a Mario Lodi)

L’ARTE DELLO SCRIVERE
Esiste oggettivamente una soluzione che è migliore delle altre.
 In questa fase si possono studiare insieme tutti i problemi dell’arte dello scrivere: completare e semplificare. Finir di cercare quel che
 non si è ancora detto, cercare di dire col minimo di mezzi. Cercare 
di indovinare la reazione del lettore, eliminare le ripetizioni, le cacofonie, gli attributi e le relative, i periodi troppo lunghi, ridomandandosi all’infinito se un dato concetto è vero,
 se è nel suo giusto valore gerarchico, se è essenziale, se il destinatario avrà gli elementi per comprenderlo, se provocherà malintesi.
 L’arte dello scrivere consiste nel riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo e che pensiamo, non nel mascherarci
( lettera di d. Milani a Mario Lodi)
( da ‘L’arte dello scrivere’ a cura di Cosetta Lodi e Francesco Tonucci, ed. Casa delle arti e del gioco, 2017)

GIOCO E MAGIA DELLA SCRITTURA COLLETTIVA
Paul Le Bohec, maestro francese del movimento Freinet, a lungo collaboratore di Celéstin ed Elise Freinet, ha elaborato una propria proposta originale, un laboratorio di scrittura collettiva. Scrivere insieme in una situazione di libertà fa leva sul rapporto individualità-collettività, in quanto ognuno/a é se stesso/a in interazione con altri. Si gioca sulla sorpresa, sulla curiosità, sull’attesa degli effetti sempre diversi che si producono. Si supera il timore della scrittura, il panico del foglio vuoto. Si attiva l’evocazione consentita dalla parola (la parola evoca, rimanda, richiama…) e sul pensiero che la parola ‘trascina’ con sé. Si scopre come cambia il significato attribuito da ciascuno in base al cambiamento di contesto. Si sperimenta il piacere delle parole in libertà, delle infinite possibilità della scrittura, dello scambio e del dialogo con gli altri. Poiché la mente tende sempre a connettere, si costruiscono sempre nuove connessioni, fino a… costruire trame di parole legate in intrecci forniti di coerenza e coesione a partire dall’assenza di connessioni. Ma soprattutto in un clima di rispetto e di assenza di giudizio si libera la parola, l’espressione/desiderio/riparazione delle piccole e grandi frustrazioni e ferite della vita.

Si può giocare con giri di parole, giri di frasi, anche giri di” prese in giro’’ bonarie (se si è sufficientemente in confidenza…) o giri di complimenti; giri di versi poetici; infine con giri di racconti in cui ognuno/a aggiunge una parte e via via storie inattese si configurano per magia. Si esplorano così le diverse dimensioni della scrittura cui faceva riferimento il gruppo francese dell’Oulipo: il rapporto con sé, con gli altri, con la realtà e il mondo, la trasfigurazione fantastica, l’espressione- creazione, le convenzioni da rispettare o da ‘rompere’, a volte anche il risarcimento dalle ferite e dalle ingiustizie della vita, si scopre come convivono in ognuno l’homo sapiens e l’homo demens… Data la possibilità di ‘nascondersi-confondersi’ nel gruppo l’individuo si lancia, emerge, affida i propri pensieri senza timore. Si sente protagonista, libero dal timore del giudizio, del confronto, della valutazione.

Scrive Franco Lorenzoni su Repubblica: ‘In un tempo in cui le imprese comunitarie sono guardate con sospetto, la pratica del testo collettivo può combattere le disuguaglianze.[…]Si tratta di offrire e costruire la più ampia libertà di scelta possibile per tutti.[….]Vorrei consigliare di sperimentare in classe, almeno una volta, la scrittura collettiva dandoci tutto il tempo che occorre, non solo perché è uno strumento efficace di affinamento della lingua, ma perché necessita di un ascolto reciproco attento, in primo luogo da parte di noi insegnanti. Dà inoltre voce e aiuta ogni allievo a sostare attorno alle domande, approfondire i concetti, mediare tra il proprio punto di vista e quello degli altri e imparare ad argomentare dando respiro al proprio pensiero.’




UNA TECNICA DI VITA: IL TESTO LIBERO

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UNA TECNICA DI VITA: IL TESTO LIBERO
(twitter, SMS, Messenger…e il piacere della scrittura?)

di Giancarlo Cavinato

 

A distanza di quasi cento anni, il testo libero fa ancora parte delle ‘nuove tecniche’ didattiche[1]

Nella pedagogia popolare c’è un concetto centrale, il testo libero, da vedersi non come pura tecnica strumentale (“occasione” per esercizi di vario tipo), ma, in un ambito più vasto, pensiero che si esprime e si comunica ad altri, che si estende ad altre forme espressive anche non verbali, ad attività manuali (ad es. la tipografia), alla riflessione linguistica muovendo dalla messa a punto collettiva dei testi”[2]
Il testo libero’, scrive Gisella Galassi[3], ‘consente una ricchezza di articolazioni come lingua viva, ‘vissuto’ che si deposita nella scrittura, entra ed esce dalla scuola e conduce al possesso di molti codici linguistici oltre che ad un notevole arricchimento umano.’

Eppure la pratica del tema continua a prevalere nella scuola nonostante uno sviluppo delle scienze del linguaggio fondato sulla comunicazione e sulla necessità di interlocutori reali e contenuti significativi per i soggetti.
Pierre Clanché, un pedagogista francese, ha raccolto centinaia di testi liberi adottando come schema di analisi dei contenuti il lavoro di Barthes sul piacere del testo e ricercando delle costanti, legate a temi di ambito familiare e di vita vissuta.[4]

Scrivere senza un argomento definito a priori, (lo stesso per tutti gli alunni della classe), richiede come condizione la libertà di scelta e di espressione.
Paul Le Bohec, maestro francese del movimento Freinet, parla di ‘testo libero “libero”[5].
La consegna agli alunni non può esaurirsi nel dire loro ‘scrivete quello che volete’. Questa, dice Paul, è una falsa libertà. In realtà di tratta di un testo condizionato all’atmosfera povera della classe, al modello offerto dall’insegnante, ad interventi adulti che sminuiscono il valore degli sforzi. Si dice ‘scrivete liberamente’ ma in realtà il messaggio subliminale è: ‘scrivere così che l’insegnante sia contento’.

Quello che la pragmatica della comunicazione definisce un doppio vincolo.
Muovendo dai primi racconti orali, che l’insegnante trascrive su grandi fogli appesi alle pareti, così che possano essere letti e apprezzati dai compagni e da altri insegnanti, genitori, dai corrispondenti, in cui si raccontano piccoli episodi di vita familiare o del quartiere, giochi e scherzi, si parla dei propri animali, di un film, uno spettacolo di circo, una sagra, si perviene al desiderio di scrivere da sé le proprie storie, così da suscitare negli altri voglia di ascoltarle, leggerle, scriverne a propria volta. Ma bisogna che sia stato dato il segnale che si può ‘davvero’ scrivere di tutto.

Anche giochi di parole[6], codici inventati, storie ‘a rovescio’ (partendo dalla fine), catene di parole e di frasi, elenchi, spiegazioni del funzionamento (di un gioco, di uno strumento,…), ricette ‘vomitevoli’,…[7]

Questo desiderio di libertà non è lo stesso anche per gli adulti? ‘Nessuno ama girare a vuoto’ scrive Freinet nelle sue Invarianti[8]; ‘Nessuno- il bambino come l’adulto- ama essere comandato d’autorità’ ‘A nessuno piace essere costretto a fare un certo lavoro. La costrizione è paralizzante.’
Scrivo per la stessa ragione per cui leggo, per cercare di vivere meglio, per provare un maggior numero di sensazioni e con più intensità, per riuscire a comprendere meglio le persone e le cose, per vedere più chiaro dentro di me e fuori di me, per donare e ricevere, ed ancora per ricevere e donare, per sfogarmi, per riuscire a vivere imparando a comportarmi sempre meglio. Qualche volta anche per gioco, per il piacere dato dall’immaginazione, per gioire della libertà, uguale a quella del gioco, di eludere la vita quotidiana. La passione di scrivere non fa vivere un po’meno per creare un po’ di più, bensì penso che sia per sé e per gli altri l’arte di illuminare un po’ più la vita per viverla intensamente.’[9]

Molte di queste sensazioni ed esperienze si possono provare fin dai 7-8 anni. Provare per credere. I testi via via prodotti, che aumenteranno in qualità e in quantità, possono trovare un’adeguata collocazione in giornalini, corrispondenze, in un ‘libro di vita della classe’, abbelliti con disegni, foto, incisioni,…
Ogni alunno nel suo piano di lavoro personale potrà settimanalmente proporre di scrivere da uno a più testi che, raccolti in dossier, verranno via via letti ( in momenti molto attesi in cui i compagni ascoltano, consigliano, chiedono… senza timori di giudizi e voti). Si crea così un circuito fra la produzione, la comunicazione, il perfezionamento attraverso la messa a punto ( ben diversa dalla correzione degli errori da parte dell’adulto.

Un circuito che passa attraverso l’espressione e la creazione personale e di gruppo di canti, poesie, grandi pannelli con storie in sequenza,… così che le fantasie si accendano e si contaminino e ogni alunno possa esplorare possibilità diverse.
G. Perec, del gruppo dell’Oulipo, scriveva che l’individuo nel suo sviluppo parte parlando di sé, poi degli altri, del mondo, e inventando situazioni nuove.
Ci sarà chi preferisce una strada, un ingresso nel mondo della scrittura, chi un altro, a seconda di quanto lo avrà colpito e a cui sente il bisogno di reagire, e chi un altro. I percorsi, per essere liberi, non possono seguire tutti la stessa progressione.

L’insegnante ha il compito di curare la cornice, l’organizzazione dei tempi e degli spazi, la lettura agli altri dei propri testi (gli alunni si accorgeranno che se ci sono più testi da leggere nello spazio dedicato a questa attività e bisogna scegliere uno-due testi al giorno, per rendere appetibile il proprio testo dovranno dargli un titolo il più accattivante possibile; un titolo come ‘Delitto in cucina’ attirò subito la curiosità- trattava della nonna che aveva tirato il collo a una gallina), l’attività di revisione per renderlo più comunicativo. Ma l’insegnante può anche proporre degli stimoli (immagini, musiche, uscite interessanti, giochi, argomenti di ricerca, laboratori tematici di carattere espressivo o scientifico,…). Rodari definiva la pedagogia Freinet una pedagogia dello stimolo e non del modello, con proposte aperte.

Lo sforzo di noi educatori, scriveva Le Bohec, è di fornire opportunità per impadronirsi del linguaggio e non farne strumento di potere per indurre a comportamenti condizionati ma tramite di emancipazione. ‘E’ illusorio credere di poter raggiungere tale scopo concentrandosi unicamente su una dimensione. Bisogna poter circolare continuamente e liberamente da un campo all’altro, dal livello ‘demens’ a quello ‘sapiens’, attraversando l’aspetto ‘ludens’ senza bloccare i processi di elaborazione che sono specifici di ogni singola persona. Riuscire a fare questo richiede, è chiaro, da parte dell’insegnante, una formazione, una pratica personale, una effettiva esperienza.’[10]

Chi vuole avventurarsi su questa strada troverà nel Movimento di cooperazione educativa idee e proposte di lavoro e supporto alle esperienze.

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[1] Ciari B., ‘Le nuove tecniche didattiche’, ed. dell’Asino, riedizione 2015
[2] Pettini A., Informazioni MCE, bollettino della pedagogia popolare, n. 6/1984, p.19
[3] Galassi G., ‘Il testo libero’, Cooperazione educativa, La Nuova Italia, Firenze, n. 6/1985, p. 16
[4] Clanché P., ‘Le texte libre, écriture des enfants’, Maspéro, Paris ; ‘Anthropologie de l’écriture et pédagogie Freinet’, Prresses Uiversitaires de Caen
[5] Le Bohec P., ‘Le texte libre…libre’, éd. Odilon, Nailly, 1996
[6] Vretenar N. ( a cura di) ‘Dire fare inventare. Parole e grammatiche in gioco’, Asterios, Trieste, 2019
[7] Le Bohec P., ‘Scrivere è anche giocare’, Cooperazione Educativa, La Nuova Italia, n. 8/ 1988, p. 32 sgg..
[8] Freinet C. ‘ Gli invarianti pedagogici’ (Les invariants pédagogiques- Oeuvres pédagogiques- Seuil-Paris-1994-vol2 pp383-413 ; (traduzione Alain Goussot)
[9] Roy C., ‘Permis de séjour’, Gallimard 1986, p. 78
[10] Le Bohec P., ‘Scrivere è anche giocare’, cit., p. 39




CORRISPONDENZA INTERSCOLASTICA: UNA TECNICA DI VITA

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Francobollo dedicato dal Ministero delle poste francese a Célestin e Elise Freinet

di Giancarlo Cavinato

‘Ragazzi miei, non siamo più soli!’ esclama Freinet all’aprire, nella sua classe di un paesino delle Alpi Marittime in Provenza, il pacco proveniente da un paesino della Bretagna, contenente gallette, conchiglie, lettere, il giornalino ‘Il menhir’. Sono gli anni 20.
La corrispondenza fra classi e scuole è apertura sulla vita: prende in considerazione la vita familiare, culturale e sociale dei bambini, le loro esperienze, amplia il loro universo.
Stimola l’autoespressione, risveglia sensibilità e curiosità; sviluppa immaginazione, creatività, spirito critico, senso estetico, piacere di mettersi alla prova con un impegno costante. Si apprende ad accettare i vincoli necessari per sviluppare dei progetti di gruppo: l’ascolto, il confronto, la scelta, il prendere decisioni assieme, l’assunzione di responsabilità. Richiede di impegnarsi con gli altri per lasciare tracce di sé, per conoscere di più la realtà mondo, per collegarsi ad altri, per comunicare.

E’ una tecnica della scuola moderna che prepara i bambini di oggi a prendere parte nel mondo di domani, vivendo in prima persona l’espressione, la comunicazione, la cooperazione.
La corrispondenza, tecnica di vita, come la definisce Freinet [1], sottende una scelta politica e filosofica dei docenti a favore dei diritti dell’infanzia, della laicità dell’istruzione, della cooperazione internazionale, dei valori di giustizia, libertà, fratellanza e pace nel mondo.
La scrittura viene usata come strumento per comunicare non solo ‘in presenza’ ma anche con chi è lontano. Si apprende a scrivere sperimentando la scrittura non come esercizio tecnico ma come pratica che consente di mettersi in contatto con altri superando i limiti dello spazio e del tempo. [2]
Certo oggi lo si può fare con molte altre tecnologie raffinate e rapide: ma come sostituire l’emozionante apprendimento della lettura tutti assieme tentando di decodificare i giornali murali, le lettere collettive via via più complesse che vengono appese alle pareti? E lo scrivere insieme dettando a ‘chi sa già’ per comunicare ai corrispondenti avventure, esperienze, progetti?

Si impara a leggere leggendo testi reali. E si impara a scrivere utilizzando da subito la scrittura per comunicare.
L’esigenza di una scrittura corretta e coerente diventa non la ricerca di adeguarsi a un modello, ma la ricerca di una sempre maggiore efficacia nel costruire la comunicazione.
‘Evitiamo di scrivere per scrivere’, dice Freinet. Ogni testo deve avere un destinatario e uno scopo.
La corrispondenza è un’impresa collettiva, che coinvolge l’intera classe.
Poi via via si costituiscono coppie di corrispondenti, gruppetti per ricerche e monografie.
La scuola che offre nel suo percorso l’esperienza della corrispondenza offre un’opportunità in più sul piano della costruzione di un’identità plurale, delle relazioni, della costruzione di un contesto in cui le persone sono oggetto di interesse e attenzione e si sentono valorizzate, cercate., riconosciute.
Chi vuol provare come gli insegnanti del MCE questa affascinante avventura ?[3]

[1] Tecniche di vita: la pedagogia Freinet indica nella corrispondenza, nel giornalino, nella costruzione collettiva di libri di vita della classe, nell’intervista e nella ricerca, nell’indagine ambientale, nella narrazione di esperienze, nel lavoro per gruppi legato all’organizzazione collettiva della classe, le situazioni reali in cui la parola viene usata nel suo significato di strumento fondamentale per la conoscenza e lo scambio.

[2] N. Vretenar, Introduzione a ‘Cari amici vi scrivo’, ed. Junior Spaggiari, Parma, 2016, pp. 16-17

[3] Per informazioni e contatti maestrocristiano@libero.it

Mostra della corrispondenza fra classi italiane e francesi
(a.s. 2018 / 2019 )

corrispondenza2 corrispondenza1

Mostra della corrispondenza fra classi dell’Emilia Romagna e classi del Pays de la Loire
(a.s. 2013/2014) sul tema della città

corrispondenza4        corrispondenza3




COOPERAZIONE

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di Giancarlo Cavinato (Movimento di Cooperazione Educativa)

Cooperazione è il contrario di individualismo, egoismo, sopraffazione, depredazione delle risorse comuni, guerra.
Educare alla cooperazione è necessario per ritrovare interesse ai valori collettivi e dare senso alla vita, per immaginare e costruire mondi migliori.

Nel mondo attuale segnato da pesanti disuguaglianze e individualismi distruttivi educare alla cooperazione è necessario per costruire equilibrio sociale, per combattere l’iniquità e l’ingiustizia, perché siano riconosciuti i diritti fondamentali a tutti gli esseri viventi e ognuno/a si assuma la responsabilità della loro realizzazione.

In un mondo in cui troppo spesso il conflitto è la cifra dei rapporti sociali e il linguaggio delle armi risuona sempre più forte, è necessario educare alla cooperazione:

  • per ritrovare interesse ai valori collettivi e dare senso alla vita, immaginare e costruire mondi migliori
  • per costruire equilibrio sociale, per combattere l’iniquità e l’ingiustizia (dati ultimo rapporto istat)
  • per riconoscere diritti a tutti gli esseri viventi e salvaguardare la vita nel pianeta
  • per una reale cultura della pace

Cooperare, fin dai primi anni di vita, significa ri-conoscere sé e l’altro, sviluppare la capacità di ascolto, dare e ricevere fiducia, saper lavorare insieme a un progetto comune, essere accolti/e e riconosciuti/e con la propria identità e la propria storia ed essere arricchiti/e dal confronto con le identità e le storie degli/delle altri/e. Ampliare la percezione, costruendo solidarietà piuttosto che rinforzare la competizione e la disparità, evita che si formino rappresentazioni dei fatti sociali   rigide e immodificabili.

Nella scuola la cooperazione nasce se l’ambiente educativo è pensato per accogliere, far interagire, sviluppare relazioni di reciprocità nella concretezza dell’agire quotidiano, se da parte degli adulti vi è apprezzamento, curiosità e ascolto ed è bandito il giudizio. Per dare ‘ a tutti, ossia a ciascuno, la possibilità di avere nella scuola il punto di incontro dei motivi più profondi della propria vita e della propria ricerca’ (A. Canevaro).

Il che significa, nell’agire quotidiano, agire sugli spazi e sui tempi, istituire democraticamente un ordine dinamico da comporre e ricomporre, attuare una pedagogia della ricerca e della narrazione ( un ‘pensare per storie’), studiare strategie di valorizzazione di ciascuno/a che consentano di star bene insieme, provare il piacere del fare, l’emozione del conoscere, dell’ agire in modo riflessivo e condiviso, per scoprirsi uguali e diversi.

Significa attuare una scuola laboratorio sociale, palestra di democrazia, ma nello stesso tempo nuova agorà aperta al territorio, luogo di incontro, di pensiero e di cultura. Una scuola viva con un’IDENTITA’, un sistema di memoria e documentazione, una propria cultura.

S. Asch ( in ‘Psicologia sociale’, SEI) : ‘l’azione di cooperazione è analoga alla formazione di un gruppo: il gruppo e il compito costituiscono un sistema, ed il cambiamento in una qualsiasi delle parti del sistema modifica tutte le altre parti.’
Freinet definiva la propria didattica come un insieme di ‘tecniche’ e sosteneva che ogni tecnica ha valenza formativa se è tecnica di vita inserita in un sistema di valori. L’insieme delle tecniche modifica l’impostazione, il ritmo, le norme della scuola attraverso pratiche , strumenti, messa a disposizione di condizioni operative, crea le condizioni per crescere insieme in una dimensione sociale superando i condizionamenti negativi, le diverse forme di emarginazione, la rigidità percettiva e culturale, gli stereotipi, l’etnocentrismo, l’assunzione di punti di vista parziali.
Intervenire su tali idee, ampliando la percezione, costruendo solidarietà piuttosto che rinforzare la competizione e la disparità, evita che le rappresentazioni dei fatti sociali siano rigide e   immodificabili.
F. Oury, padre della pedagogia istituzionale, aggiungeva che ‘le relazioni umane ( sottostanti alle tecniche ) sono educative’ in quanto arricchiscono le percezioni reciproche.

Una classe organizzata cooperativamente non è un mondo a sé, ma un sistema complesso e coerente in evoluzione, che crea proprie ‘istituzioni’ , che funzionano grazie a strategie e a progetti non lineari o fondati su parametri di efficientismo , ma su una sensibilità ’ecologica’. Riflettere su come regolare la vita comune, su come tener conto dei pareri e dei diritti di tutti, è un percorso trasversale all’intera esperienza scolastica, forma cittadini/e attivi/e . Mario Lodi , commentando una seduta di bilancio della cooperativa nella sua classe, afferma l’importanza di ‘render conto agli altri’, della condivisione della responsabilità, dell’assumere il bene comune come valore.
In un paese in cui spesso le istituzioni sono soggette a pressioni esterne, a forme di familismo amorale, a forme di deregulation, in cui singoli e gruppi sociali sono guidati da forme di fascinazione derivate da quella che Philippe Meirieu definisce ’la terza fase del capitalismo: il capitalismo compulsivo’, la cooperazione può essere lo strumento per una trasformazione del modi di fare scuola, per il decondizionamento, elemento fondante di una cittadinanza attiva e della costruzione di un’etica pubblica.




Metodo naturale e didattica cooperativa

abcdi Giancarlo Cavinato (Movimento di Cooperazione Educativa)

I gruppi brasiliani della Fimem fanno riferimento per l’impostazione pedagogica del primo apprendimento della scrittura e della lettura alle ‘3 F’ (Freinet, Freire, Ferreiro) a cui noi italiani aggiungemmo Foucambert (Foucambert, studioso francese, si è occupato dell’’atto di lettura’ e della lettura come ricostruzione del significato).

Il bagaglio di riflessioni e di proposte offerto da questa impostazione è vasto e fornisce agli/alle insegnanti disponibili a mettersi in ricerca un materiale di osservazione ricchissimo.

Il momento del primo apprendimento della lettura e della scrittura, si dice nel manifesto ‘Educare alla parola’ è un momento delicato, da curare con grande attenzione.

Si tratta di partire con il piede giusto, considerando il/la bambino/a un soggetto competente, assumendolo nella sua interezza, valorizzando i processi che spontaneamente mette in atto: processi di pensiero, tentativi sperimentali, formulazione di ipotesi, anticipazioni, … Sono processi che il bambino ha iniziato a compiere ben prima dell’arrivo a scuola e che è compito dell’insegnante conoscere e valorizzare.
E’ importante riconoscere al/la bambino/a la dignità di lettore da subito, ossia di soggetto che cerca di ricavare un significato dai segni scritti. Immettendolo, da subito, in situazioni funzionali di lettura. Il percorso di apprendimento non va scisso in un ‘prima’ (imparare sotto la guida di un insegnamento sistematico la corrispondenza segni-suoni) e un ‘dopo’ (la lettura autentica per ricavare significati e informazioni, per incontrare emozioni, per soddisfare un bisogno estetico, …).

Dice Freinet che un buon metodo non è né analitico né globale, ma procede per strategie diverse in relazione ai processi personali di ciascun allievo/a.
Ciascuno/a, infatti, si costruisce dei punti di riferimento personali in seguito alla scoperta di ricorrenze, corrispondenze, … punti di riferimento che possono essere percettivi, sonori, spaziali, … Sta a noi osservare e stimolare i processi aiutando i bambini/e a diventare consapevoli delle loro scoperte e dei loro percorsi. La percezione visiva gioca un ruolo molto importante, i testi scritti vengono ‘esplorati’ visivamente (la ‘traduzione’ dello scritto in significato procede direttamente dall’occhio al cervello, la ‘sonorizzazione’ ha un ruolo marginale).

Occorre rendersi conto che la mente non può rispondere a eccessive richieste nello stesso momento: se la richiesta è di concentrarsi sul rapporto suoni-segni, non si è liberi di interrogarsi sui significati (e, fin dalla nascita, è il significato l’aspetto su cui l’essere umano si interroga).
Quindi non si tratta, da parte dell’insegnante, di scegliere un metodo o un altro, ma di sostenere e stimolare i processi costruendo un ambiente di apprendimento favorevole: in cui la lingua – orale e scritta- sia usata per comunicare; in cui sia possibile un incontro positivo con i libri; in cui per ciascuno/a ci sia la possibilità di mettere in gioco le competenze individualmente e in gruppo; in cui la proposta di attività ludiche aiuti ad acquisire consapevolezza sulle ‘regole’ del codice; in cui i tentativi sperimentali non vengano considerati ‘errori’ e sanzionati spegnendo la spinta alla ricerca.

E questo è il ‘metodo naturale’, un ‘non-metodo’ che si preoccupa di stimolare i processi e di guidare le scoperte, non di imporre un unico percorso uguale per tutti. I francesi lo hanno rinominato ‘metodo relazionale’, perché i processi non si svolgono solo in solitudine ma soprattutto nello scambio, nel confronto, nella negoziazione con gli altri. Il significato, dice Eco, non sta nel testo, ma nella testa che lo costruisce confrontando ciò che ha elaborato con quanto hanno capito gli altri.

Una classe contenitore di tante attività cui sono legate tante scritture è un luogo favorevole alla ricerca e dell’apprendimento: le strisce personali, i giornali scolastici, i giornali murali, le lettere dei corrispondenti, i verbali delle uscite e delle visite, le storie co-costruite e trascritte dall’insegnante, le storie illustrate, i regolamenti, i ‘vocabolari’ figurati, …sono materiali importanti per la ricerca e l’esplorazione.

Un analogo discorso si può fare per la matematica, che può essere appresa secondo un metodo naturale.
Anche in questo caso, se la matematica è formazione di pensiero logico, di capacità di verifica di dati, di loro messa in relazione, in un sistema interrelato, non si può pensare che ‘prima’ si apprendono gli elementi base, ‘poi’ si ragionerà. Si tratta di portare a pensare per relazioni, funzioni, elementi interconnessi, cioè di immettere in un sistema.
La matematica può essere inventata, facendo spazio a processi creativi, all’immaginazione, costruendo via via un sistema di pensiero elastico, probabilistico, non delle certezze immobili, non acquisizioni tecniche slegate le une dalle altre. Ci vuole tempo, ad esrmpio, per costruire il concetto di numero correlando aspetti ordinali e aspetti cardinali.

Anche in questo caso sono le preconoscenze e le competenze già presenti ed i tentativi spontanei, da incoraggiare e stimolare, al centro dell’attenzione dell’insegnante.




E COME EDUCAZIONE CIVICA

abc

di Giancarlo Cavinato

QUALE EDUCAZIONE CIVICA (CON RELATIVO VOTO)

Il governo uscente ha prodotto per la scuola due disposizioni fondamentali: la videosorveglianza nelle istituzioni educative per l’infanzia e nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e disabili con l’emendamento al DDL 1248 ‘Sblocca cantieri’ (garantendo così protezione e cura dell’intero ciclo di vita) e la legge n. 92 sull’educazione civica (un revival di grande efficacia soprattutto se accompagnato dalla votazione numerica, indubbio deterrente per bulli e sregolati).

Che dire sulla prima misura? Che è una semplificazione anestetica a fronte di complesse problematiche di disagio e sofferenza. Una scuola che viene presentata e considerata non come luogo in cui sia piacevole e costruttivo sostare, ma come luogo di rischio, sottoposta a controlli esterni alla relazione educativa, non può consentire l’instaurarsi di rapporti fiduciari, come ben sottolinea in una lettera all’Arena di Verona il maestro Antonio Rocca.

Sulla seconda scrive Freinet nell’ invariante n. 13 ‘Le acquisizioni non si fanno tramite lo studio delle regole e delle leggi, ma con l’esperienza’ soprattutto in un ambito così delicato come la costruzione di atteggiamenti, orientamenti verso la realtà, valori e scelte di vita.
E’ illusorio pensare di modificare comportamenti e costruire senso di responsabilità disciplina personale e cura del bene comune attraverso una disciplina, quando è l’intera esperienza scolastica che deve funzionare come un contesto democratico.
Ancora Freinet nell’ invariante n. 27: ‘La democrazia di domani si prepara con la democrazia a scuola. Un regime autoritario a scuola non può essere formatore di cittadini democratici.’; e, nell’invariante n. 24: ‘La vita nuova della scuola presuppone la cooperazione scolastica, cioè la gestione da parte degli utenti , educatori compresi, della vita e del lavoro scolastico.’
E’ questa la condizione per un’autentica educazione di cittadine e cittadini: non un insegnamento esterno ma la condivisione di spazi tempi attività in cui si sperimenti la condizione di soggetti istituenti le proprie regole, e non istituiti.

Giancarlo Cavinato (Movimento di Cooperazione Educativa)