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ICF, un nuovo approccio alla disabilità

bimbo_leggedi Antonia Carlini

La definizione di “persona handicappata” usata nell’art.3 legge 104 restituisce un’idea della disabilità ancora legata al modello medico tradizionale, coerente con la logica della categorizzazione e della classificazione delle patologie riconosciute a livello organico. Secondo tale norma, è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

Nella definizione, la disabilità (difficoltà nello svolgimento di una attività o azione nei tempi e nei modi convenzionali) è strettamente legata alla patologia (minorazione), secondo una logica deterministica lineare, da cui consegue una condizione di svantaggio personale e sociale (handicap). Secondo tale visione, solo per un gruppo ristretto di soggetti speciali viene prevista la necessità di un intervento di compensazione, di adeguamento e molto spesso di “normalizzazione”. Sicché solo gli alunni disabili con deficit strutturati e certificati risultano titolati a ricevere interventi individualizzati mirati.

Tale paradigma, tuttavia, anche nel dibattito culturale e pedagogico nazionale e internazionale, è evoluto verso una prospettiva diversa, coerente con un approccio di tipo socio-culturale, per cui la disabilità è determinata dall’interazione negativa tra le caratteristiche personali (patologia e funzionamenti) e le condizioni ambientali e di contesto poco favorevoli ed ostacolanti, piuttosto che l’effetto automatico di un deficit. Ne consegue che non sempre il deficit è causa di disabilità.

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