Una delle ragioni per cui in Italia le pedagogie attive non sono riuscite a incidere nell’Istituzione scuola e la sua pedagogia è la divisione tra due interpretazioni politiche delle stesse: a sinistra c’era chi le considerava un modo importante per cambiare la società a partire dalla scuola e chi, invece, ritenendo prioritaria anche temporalmente la battaglia politica contro il capitalismo, pensava che fosse del tutto inutile, anzi controproducente, cercare di cambiare un’istituzione borghese che sarebbe di per sé repressiva e quindi meritava di sprofondare. Quest’ultima posizione era sostenuta, ad esempio, dai Quaderni Piacentini.
Quaderni Piacentini era una Rivista politica trimestrale fondata da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi nel 1962. E’ stata un’importante rivista della sinistra extraparlamentare. Continua a leggere
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Un’educazione nuova per il XXI secolo?
di Enrico Bottero
Gli educatori della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova, riuniti in Congresso a Nizza nel1932, redassero una Carta che iniziava con queste parole: “L’attuale crisi impone a tutto il mondo di concentrare gli sforzi nella direzione di una rinnovata educazione. In vent’anni l’educazione potrebbe trasformare la società e infondere uno spirito di cooperazione capace di trovare soluzioni ai problemi del nostro tempo. Nessuno sforzo nazionale è sufficiente per raggiungere questo risultato.
La Lega Internazionale per l’Educazione Nuova rivolge un appello urgente ai genitori, agli educatori, agli amministratori e agli operatori sociali affinché si uniscano in un vasto movimento universale. Solo un’educazione che realizzi in tutte le sue attività un cambiamento di atteggiamento nei confronti dei ragazzi può inaugura-re un’epoca liberata dalla rovinosa competizione, dai pregiudizi, dalle preoccupazioni e dalle miserie che caratterizzano la nostra civiltà attuale, caotica e insicura”.
Quegli educatori, pur molto diversi tra loro, credevano che solo una nuova educazione avrebbe potuto formare cittadini aperti al mondo, tolleranti e solidali, evitando così nuovi sanguinosi conflitti.
Avevano una forte visione provvidenziale, poi, purtroppo, smentita dagli eventi successivi. Oggi, dopo quasi un secolo, abbiamo meno certezze sulla possibilità di cambiare il mondo grazie all’educazione e tuttavia quelle parole ci interrogano ancora.
Questo articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Encyclopaideia.
Lo si può leggere integralmente cliccando qui.
Ma il piano estate c’entra poco con il sistema formativo allargato
Il Piano scuola per l’estate 2021 è un documento interessante perché prende finalmente atto che, dopo più di un anno di confinamento i nostri ragazzi non hanno solo (e tanto) bisogno di un tradizionale recupero didattico (soprattutto se realizzato con i soliti metodi trasmissivi) ma di luoghi di relazione di esperienze di vita sociale.
Il Piano, seguendo la normativa precedente propone “patti di comunità” tra scuola, Enti Locali, enti pubblici e privati (e assegna fondi cospicui). Assisteremo alla riedizione del sistema formativo integrato (o allargato, secondo la dizione di De Bartolomeis in “Fare scuola fuori della scuola, Aracne, 2018, …) quello che abbiamo vissuto tra gli anni 70 e 80? C’è da dubitarne.
Tra allora e oggi abbiamo assistito a un’importante modifica strutturale del nostro sistema. Con il principio di sussidiarietà (formulato per la prima volta da Papa Leone XIII nel 1891 contro lo Stato laico e liberale) è stata attribuita di fatto funzione pubblica ad enti privati. Nello stesso tempo con le leggi degli anni 90 negli Enti Locali è stata introdotta una logica aziendale di tipo privatistico.
Come già notava allora De Bartolomeis “l’allargamento conquista scarso spazio senza il contributo decisivo dell’Ente Locale”.
Oggi purtroppo, in nome dell’efficienza (sic!), la logica privatistica ha invaso lo spazio sociale, anche le Istituzioni. In queste condizioni, come osserva Christian Raimo in un recente articolo pubblicato su Internazionale, è logico porsi la domanda: accordi tra scuola e terzo settore (un terzo settore falcidiato dalla crisi e affamato di contratti) saranno in grado di costruire progetti pedagogicamente fondati e motivati da un reale interesse collettivo? Chi farà la regia di tutto questo ora che Stato ed Enti Locali hanno ormai quasi del tutto dismesso i loro servizi diretti (quasi spariti gli insegnanti comunali di allora, servizi educativi assegnati a cooperative e privati, ecc.) in nome della sussidiarietà? Bastano la buona volontà e i soldi se non ci sono le condizioni strutturali? Spero di sì, naturalmente, ma un’analisi spassionata non permettere di essere molto ottimisti.
Scuole chiuse, scuole aperte: apocalittici e integrati
di Enrico Bottero
(www.enricobottero.com)
L’attuale situazione di emergenza, provocando la chiusura delle scuole, ha aperto un’ampia discussione sull’uso della didattica a distanza, sui suoi limiti e sulle sue possibilità. Questa discussione è stata l’occasione per far emergere un contrasto più profondo che da tempo circola nella scuola e nella società. Sono emerse diverse posizioni ma per brevità mi limito a segnalare quelle più significative e apertamente opposte tra loro.
Parafrasando Umberto Eco, definirei le prime quelle degli apocalittici e le seconde quelle degli integrati.
Gli apocalittici denunciano il tentativo di sfruttare l’emergenza coronavirus per imporre un maggior controllo sui metodi di insegnamento limitando così la libertà degli insegnanti. Gli apocalittici hanno ottime frecce al loro arco. In effetti, da tempo si sta tentando di uniformare gli insegnanti a una sorta di esperanto neoliberista che identifica la buona didattica con i mezzi utilizzati per realizzarla e organizza dall’alto il controllo dei risultati senza mai preoccuparsi di ciò che si fa in classe in termine di trasmissione di cultura e di crescita delle persone. Si pensa che grazie alla “società della conoscenza” l’accesso ai saperi sarà democratizzato, si afferma che i metodi attivi sarebbero miracolosamente resi operativi grazie alle tecnologie dell’informazione e molto altro. Il miglior insegnante, per i sostenitori di questo modello, che qualcuno ha definito del progressismo organizzativo (1), è quello che riproduce pratiche standardizzate per ottenere determinate performance, anche grazie all’utilizzo salvifico delle nuove tecnologie.
Il tutto si può realizzare all’interno di una scuola che di fatto non è più un’istituzione ma un semplice servizio la cui qualità si misura con il metro della soddisfazione degli utenti/clienti. (2)
La didattica a distanza non è un nemico della buona didattica
Questa emergenza ha messo la scuola di fronte al problema della didattica a distanza e dei suoi strumenti.
Anche in assenza di una piattaforma pubblica messa a disposizione del Ministero (come accade in altri Paesi), molti insegnanti si stanno impegnando con costanza e attenzione utilizzando diverse piattaforme disponibili per mantenere un rapporto, non solo didattico, con i loro ragazzi.
Il loro lavoro è prezioso anche per il futuro e conferma che la didattica a distanza, pur con i suoi limiti, non è un nemico della buona didattica. Negli stessi giorni molti hanno aperto una discussione sul senso della didattica a distanza, sulla sua necessità, obbligatorietà e limiti. Dal mondo della scuola sono emerse diverse riserve.
Quella che stupisce di più invoca le norme contrattuali per sostenere la non obbligatorietà. Sul tema non mi pronuncio per assenza di competenza in merito, anche se resta lo stupore. Mi limito a osservare che sulla non obbligatorietà alcuni giuristi hanno sollevato qualche dubbio.
Qualcuno rifiuta anche la necessità di un “giuramento di Pestalozzi”. I medici sono una cosa, si dice, gli insegnanti un’altra. Non sono d’accordo. La professione docente è una professione di cura, anche se non del fisico. Esiste dunque un obbligo morale, deontologico, anche se non ancora formalizzato. Purtroppo chi unisse queste obiezioni, spero pochi, oggi avrebbe argomenti per giustificare il suo non fare nulla. E questo non sarebbe un bel messaggio nel momento in cui molte categorie di lavoratori sono impegnate ad aiutare la collettività a superare l’emergenza.
LESSICO PEDAGOGICO: CONTRATTO DIDATTICO
di Enrico Bottero
Una nuova voce del Lessico Pedagogico
Il contratto didattico è il contratto che si realizza tra l’insegnante e gli allievi. Se viene rispettato da tutti il contratto garantisce che le relazioni all’interno della classe si svolgano senza difficoltà. Il contratto può essere esplicito o implicito (Brousseau). Il contratto legittima gli status, i ruoli, le attese di ognuno nei confronti degli altri, sempre a condizione che non ci siano inganni o errori di interpretazione. Quando in una situazione didattica all’allievo viene assegnato un compito, la sua realizzazione dipende dalle domande che vengono poste, dalle informazioni fornite in fase iniziale e soprattutto dagli obblighi e dai vincoli (espliciti o impliciti) posti dall’insegnante.
LESSICO PEDAGOGICO: IL PROGETTO
LESSICO PEDAGOGICO
di Enrico Bottero
PROGETTO
Metodo pedagogico in cui l’insegnante si propone di mobilitare gli allievi attorno a un’attività che ha lo scopo di realizzare qualcosa, anche al di fuori della scuola (fare uno spettacolo, preparare un’uscita, preparare una mostra, ecc.). Il progetto può avere anche uno scopo intellettuale. In questo caso, tuttavia, si preferisce parlare di pedagogia del problema. Il progetto è stata una pratica molto diffusa nelle scuole attive e ha visto tra i suoi sostenitori Dewey, Kilpatrick, Freinet. Il valore pedagogico del progetto consiste nel fatto che, attraverso di esso, si motivano gli allievi. Si pensa sempre di far acquisire conoscenze formali, ma non prima di aver finalizzato l’attività. La priorità è che l’attività abbia un senso per i suoi protagonisti. Il concetto di progetto è stato recentemente modificato dall’uso inflazionato di questo termine per indicare ogni documento che serve a indicare obiettivi di una scuola o di sue attività specifiche. Spesso il progetto è anche uno strumento di controllo e promozione delle innovazioni didattiche e organizzative. Si tratta di un utile strumento organizzativo che tuttavia non va confuso con la pedagogia del progetto.
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