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La giornata della libertà senza libertà

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Giuseppe Bagni

(per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare)

Non sorprende che il nuovo governo riproponga il mantra storico delle destre sul comunismo e la sua storia, sorprende che lo faccia il Ministro dell’istruzione che sarebbe tenuto a garantire la libertà di insegnamento e la qualità dell’apprendimento nella scuola.
Il ministro con la sua lettera ci offre un ottimo esempio di quello che non deve mai fare un insegnante: dare un giudizio sul passato e imporre una visione ufficiale della storia invece che garantire gli strumenti per saperla leggere.

La scuola, in un paese democratico, si fonda sul pluralismo delle idee, sulla piena libertà di esprimerle e metterle a confronto. Se proprio vuol scrivere di storia, il Ministro si ricordi che essa ci insegna che è caratteristico dei paesi non democratici proporre un’ideologia di Stato e avere ministri incaricati della propaganda.

Il professor Valditara lasci le lezioni agli insegnanti. Che se tratteranno del percorso accidentato e tortuoso della libertà nella storia parleranno della caduta del muro di Berlino come il momento di una svolta epocale, non dimenticando tutti i momenti che nella storia europea, e anche del nostro paese, hanno segnato l’avvento di regimi nemici della libertà e della democrazia.

Non possiamo non commentare le parole del Ministro, ma vorremmo evitare di commettere ancora una volta l’errore di inseguire l’agenda delle priorità che stabilisce il governo. Prima il nuovo Ministero del Merito, poi la Giornata della Libertà.
Non sono questi i problemi veri della scuola, tantomeno del Paese. Queste sono uscite identitarie alla pari del decreto “rave”, delle navi Ong e migranti, dell’ergastolo ostativo, del tetto al contante, delle trivelle libere, dei medici novax in corsia, e degli altri provvedimenti che arriveranno con la stessa logica.
Segnali di fumo per indicare il cambiamento, ma anche tanto fumo negli occhi che testimonia un’impotenza verso le emergenze e i problemi reali.

Ma vogliamo davvero parlare di “libertà”? Se il ministro permette, gli spieghiamo noi qual è la libertà che vogliono i nostri ragazzi e le nostre ragazze.
La libertà di immaginare un futuro dove realizzare le proprie aspettative, che liberi dalla prigionia di un presente fatto di lavoro precario senza un domani.
La libertà di vivere al sud e nelle tante altre zone “disagiate” del nostro Paese senza portarsi sulle spalle quel disagio per tutta la vita.
La libertà di crescere in Italia senza dover scappare all’estero per trovare uno straccio di lavoro dignitoso. Oggi gli italiani che se ne vanno sono più degli stranieri che arrivano e dei fuggiti dall’Italia 1,2 milioni hanno tra i 18 e i 34 anni.
La libertà di sentirsi a casa nella propria scuola, “meritevoli tutti” di essere accompagnati fino dove consentiranno le potenzialità di ciascuno e ciascuna.

Non serve loro una Giornata della Libertà, serve una prospettiva di libertà. La storia è importante, ma non festeggeranno la caduta di un muro del passato quando tanti se li trovano davanti nel presente e tanti ne troveranno nel futuro.

Ma il docente esperto sarà in grado di collaborare con i colleghi?

di Beppe Bagni

Si può non ascoltare nessuno e non rileggere nulla di quello che è stato scritto negli anni recenti sulla valutazione dei docenti e la loro progressione di carriera. Ma c’è del metodo in questa follia del docente esperto partorito all’interno di un decreto denominato Aiuti, ma che in questo caso spinge a chiedere aiuto.
Ci deve essere una logica altrimenti non si spiegherebbe perché tutte le principali novità che riguardano la scuola vengono sempre proposte in estate a scuole chiuse. Quando dovremmo attenderci di sentire il rumore dei lavori in corso dentro le scuole in vista di un rientro degli alunni più sicuro ascoltiamo invece il rimbombo delle notizie su nuove normative che stravolgono i difficili equilibrio di un sistema complesso quale la scuola.

La figura del docente esperto spinge a tre brevi osservazioni.

La prima riguarda la scuola come contesto nel quale opera la nuova figura.
Fra una decina di anni saranno 8000 su 800.000 i nuovi docenti esperti. Uno su cento; in una ipotetica distribuzione omogenea sarebbero meno uno per collegio: quale contributo su presume possano dare al sistema scuola non è dato capirlo, forse raccoglieranno qualche incarico dal dirigente, ma sarà difficile non siano invisi agli altri colleghi.
Ma ovviamente non saranno distribuiti omogeneamente: alcune scuole ne avranno molti, altre pochi, altre ancora nessuno. Come verranno gestiti? Tutti in una sezione o come capita? E come si risponderà al genitore che chiede di avere per il figlio o la figlia il docente doc?
Come spenderanno la quota dei futuri super docenti in servizio nelle proprie istituzioni i dirigenti nel perenne marketing scolastico per alzare le iscrizioni? La “dote” sarà pubblicata nella Homepage e nei trasferimenti trattati come merce preziosa? Auguri a chi dovrà gestire la situazione.

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Istruire è diverso da forgiare (a proposito delle competenze non cognitive)

di  Giuseppe Bagni
(per gentile concessione dell’autore della Associazione CIDI)

Si fa fatica a commentare il Ddl approvato alla Camera l’11 gennaio scorso che vuole l’introduzione di competenze non cognitive nei percorsi formativi. Verrebbe voglia di fermarsi a una alzata di spalle, scuotere la testa in sala insegnanti e continuare il proprio lavoro nella scuola reale.
Quella che evidentemente è sconosciuta nelle sedi parlamentari. Eppure si deve commentare, perché la deriva verso cui si sta andando è grave e non può essere ignorata né minimizzata. La proposta approvata nel primo passaggio parlamentare mette in evidenza la convinzione che la scuola debba ammodernarsi rompendo il dominio del cognitivo e del formale per essere, come ha dichiarato Valentina Aprea, “volano delle economie innovative e creative, per poter consentire crescita, sviluppo e risoluzione dei problemi del nostro tempo in una prospettiva originale…”
Il propugnare un qualunque livello di originalità risulta paradossale se confrontato con il progetto di mettere le mani fin nella sfera più interna degli allievi per forgiarne il carattere.
Come se l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale fossero attitudini insegnabili direttamente dalla cattedra invece che il risultato della metabolizzazione personale delle conoscenze acquisite, dei legami costruiti, delle testimonianze offerte loro nella scuola.
Una scuola secondo Costituzione non forgia il carattere, non cerca elementi di valutazione nell’animo dei suoi allievi; crea e offre le condizioni per favorire “lo sviluppo armonico e integrale della persona”.
Le competenze non cognitive non sono oggetti misteriosi per la scuola: le norme e i suoi documenti vi fanno riferimento da molti anni.

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Grazie al digitale la scuola non si ferma. Ma è davvero così?

bambini_maestradi Giuseppe Bagni
presidente nazionale CIDI

In questo periodo di emergenza sono in pochi ad aver mantenuto un atteggiamento coerente e scientificamente sensato. Ancora meno i governanti che hanno saputo resistere alla tentazione di sfoggiare per scopi puramente elettoralistici il proprio potere territoriale, contribuendo a dare l’immagine di una Italia in pezzi nei suoi livelli decisionali, con scelte “fai da te” che hanno seminato caos e sconcerto in tutto il Paese, e dandoci anche un’idea più precisa di cosa potrebbe diventare con il regionalismo differenziato.

Ma ci si poteva almeno augurare che gli esperti di scuola rispondessero all’emergenza sanitaria senza trasformarla in un’occasione di propaganda dei propri “prodotti” vuota ipocrita e pericolosa.
Possibile che nessuno dica che una scuola che svolge “attività formative a distanza” è una scuola meno formativa?

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