Alla ricerca delle competenze sperdute (le non cognitive). Commento semiserio a un recente ardito disegno di legge

di Aristarco Ammazzacaffè

“Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche …”.

È il titolo del ddl che la Camera ha approvato l’11 gennaio scorso e che ora tocca al Senato esaminare e approvare, se ne ha l’animo. I parlamentari firmatari, poco più di una decina (per la precisione, una Dozzina, con l’iniziale maiuscola per deferenza) appartengono ai diversi schieramenti politici del Parlamento, nessuno escluso. (Almeno 4 però di sola Forza Italia: con tutti nomi arcinoti agli ‘scolastici’. Gli altri parlamentari presentatori della proposta, con l’eccezione di un paio, sono associabili al mondo della scuola più o meno come la catalogna alla pasta al forno. Per dire.

Comunque un disegno di legge (ddl) sulle competenze non cognitive[1], se ci pensate, era proprio quello che ci voleva e soprattutto in questo periodo. Quando uno dice, le mancanze! E le attese!
Tranquilli, però. Gli articoli sono solo cinque e quasi tutti brevi. E non pochi passaggi, come accade spesso: acqua fresca e mica fresca.

Partiamo comunque fiduciosi.

L’articolo 1. L’inizio – molta nebbia padana anni ’60 (semplice annotazione d’ambiente; non critica) – dà per scontato che l’oggetto (le competenze non cognitive) sia chiaro a tutti.
‘Competenze non cognitive’? Cioè? Una declinazione esotica di competenza? Una proposta nuova e innovativa per la scuola che recupera il passato? Un’idea dirompente che apre al futuro, da parte di parlamentari attrezzati in teorie della conoscenza, che sfidano elaborazioni che vanno per la maggiore?
Perché no? Perché sì? Mah!

L’articolo si intitola opportunamente alle finalità del ddl.
Sulla prima delle quali: promuovere la cultura della competenza, si preferisce però passarci sopra, un po’ per le ragioni di prima (un discreto esempio di acqua fresca, ma di quella buona), un po’ per la curiosità di scoprire, il più presto possibile, come si sbroglia il ‘disegno’. E infatti nelle righe seguenti, già con la finalità – integrare i saperi disciplinari e le relative abilità fondamentali – i parlamentari proponenti un qualche segnale sembrano lanciarlo: le competenze dei saperi disciplinari addirittura declassate a semplici abilità.

– Ma come si permettono?
Però siamo in democrazia e la cosa non può destare scandalo.
Comunque, una scivolata che uno non se l’aspetta.
Con la terza finalità – miglio­rare il successo formativo prevenendo (1) anal­fabetismi funzionali, (2) povertà educativa e (3) di­spersione scolastica – siamo già veramente, sembra di capire, al top della visionarietà pedagogica, proprio. E questo grazie alle competenze specificamente non cognitive, chiamate a ‘migliorare’ il famoso successo formativo; abbattendo così in un sol colpo, come neanche Sandokan Sandokàan, le tre piaghe del nostro sistema di istruzione. Complimenti!

Dopo la prima terna di finalità non si precisa ancora di che si tratta, ma si specifica dove questa tipologia di competenze va individuata. Il chiarimento che ne segue è netto: nelle attività educative e didattiche delle scuole. Non all’osteria, ma neanche all’oratorio o al campo di calcetto del quartiere. Solo nella attività citate. Indubbiamente c’è occhio nella proposta.
Nel comma seguente però un primo succoso anticipo: la sperimentazione. Ci sarà una sperimentazione! Ma se ne parlerà però solo nell’articolo 3. Pazienza. Se ne preannunciano qui comunque Linee guida che lasciano presagire cose grosse: mica bucce di pomodoro per la salsa, per dire.

Infatti queste Linee guida si individuano – preparatevi! – nientemeno che in specifici traguardi per lo sviluppo delle competenze e in obiettivi specifici di ap­prendimento.
Esclamazioni tutt’intorno: – Ma veramente! Quando il banale girotondo diventa metafora di cose grosse.

Ma passiamo direttamente all’articolo 3, dopo aver solo ricordato – per compiutezza di quadro – che il 2 è dedicato alla Formazione dei docenti per lo sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi scolastici.

Articolo 3: finalmente si riprende il filo interrotto della Sperimentazione; che, come per la Formazione e per le Finalità degli articoli precedenti, ci ripete premuroso – nel caso ci si fosse distratti – che tutto quanto è previsto è in funzione – di che, secondo voi? – dello “sviluppo di competenze non cognitive”. Senza tale sviluppo – si aggiunge sentenziosamente – non c’è “recupero moti­vazionale degli studenti”; né – e qui il colpo d’ali – l’abbattimento della dispersione scolastica: sia quella esplicita, sia quella implicita.

Ammonimento chiaro con piglio intransigente. Così si fa.
La sfida lanciata alla nostra scuola diventa così: individuare buone pratiche relative alle metodologie e ai processi di in­ segnamento che favoriscano – suspence – lo sviluppo delle competenze non cognitive, …. . Sfida difficilissima, come si vede. Praticamente, come inseguire lucciole in una notte tempestosa.

Ma, accettando le sfide, si vince: è il monito implicito che condividiamo. Penso all’unanimità.
Qui si permetta però un piccolo interrogativo: – ma prima di lanciare la sfida perché non specificare l’oggetto e chiarirne termini e portata? Nella stessa presentazione del ddl si parla delle competenze non cognitive in termini di “abilità non direttamente legate al processo di informazione” e di “caratteristiche individuali legate agli ambiti emotivi, psicosociali …” (che ci possono certo stare, per conto loro però), ma anche di “posture” (le posture no! La posture no, non le avevo considerate) come ‘l’amicalità [oddio!], la coscienziosità (anche? Qui si esagera!), la stabilità emotiva e l’apertura mentale’(E sì, tombola) . Tutte cose giuste, per carità. Ma, 1: cosa c’entrano con le competenze per come le abbiamo intese finora, anche sulla base delle Raccomandazioni dell’UE (del 2006 e 2018) sulla questione? 2. Qual è il loro senso in un ddl, trattandosi di abilità, caratteristiche e posture il cui sviluppo riguarda soprattutto le metodologie di insegnamento e, in modo particolare, la qualità della relazione educativa? 3. È poi del tutto vero che tali caratteristiche e posture appartengono al ‘non cognitivo’? Ricerche e studi accreditati sulle teorie della conoscenza e dell’apprendimento (dell’ultimo mezzo secolo almeno), dicono tutt’altro, credo.

Ma evidentemente la Dozzina (veri Capitani Coraggiosi, mi sembra) ha voluto giocare in proprio, a prescindere. Per passare alla storia? Per ambizioni personali? Orgoglio? Cosa possiamo saperne? Comunque è del tutto legittimo, ovvio, e forse anche ammirevole questa loro interessamento a fin di bene. Così.

Ma alla fine, questo ddl – potrebbe dire chi ne avesse voglia – è un castello costruito sulla sabbia?
Piano, per favore, con le deduzioni frettolose. Il discorso non sembra chiudersi qui. Che, se si opacizza (mamma! Che ho detto) l’oggetto del ddl, il suo senso – del ddl, intendo – è ancora tutto da scoprire, Whatson.

Nei commi finali dell’articolo infatti – un vero e fantastico labirinto concettuale -, si vanno a individuare e prospettare, come un miracoloso, intrecciato filo di Arianna, ben tre risorse / chiave che permettono di uscirne sensatamente (arrampicandosi comunque e felicemente sui vetri). Che sono, messe in ordine: uno, le competenze trasversali; due, l’orientamento; tre i progetti di partenariato con organizzazioni del Terzo settore e del volon­tariato.

Idea lampo: Ma vuoi vedere che in questa terna c’è la vera ragione del ddl n. 2493, trasmesso al Senato l’11 Gennaio 2022?
Che non riguarda certo l’individuazione delle competenze trasversali e l’orientamento, che nelle nostre scuole non solo sono state individuate da mo’, ma si si praticano anche (probabilmente è sul ‘come’ che in qualche caso casca l’asino).
E se la ragione del ddl – domanda – fosse proprio la decisione di riconoscere a soggetti privati, per quanto benemeriti – e quelli citati certamente lo sono – di essere parte in causa in progetti di partenariato? Decisione messa lì alla chetichella, quasi en passant; probabilmente anche per dare un segnale – sempre apprezzabile – di sobrietà e velocità comunicativa. Perché no? Pensiamoci. Però è che anche verosimile che sia stata messa lì con nonchalance “per vedere l’effetto che fa. No? O sì? Mah.

Mini-dialogo tra il Relatore Autorevole della Dozzina (R.A.) e una Dirigente Scolastica Scettica (D.S.), informata dei fatti. Colto a volo, appena licenziato il ddl.

R.A. – BEL LAVORO. Credo che l’operazione sia ben congegnata e il riferimento ai progetti di partenariato, quasi non si nota. Non era il caso di dargli una evidenza che non devono avere.

D.S. – Beh, messi in quella selva di parole, è un’impresa accorgersene. Immagino comunque che, in questi progetti di partenariato, il ruolo strategico sarà delle scuole.

R.A. – E perché? Non è detto. Generalmente tale ruolo è dei partner privati. Ma gli obiettivi sono comunque prerogativa assoluta dei singoli Istituti scolastici.

D:S. – Veramente? Una conquista allora! E il caffè chi lo offre?

R.A. – Non mettiamo il carro davanti ai buoi! Aspettiamo la discussione al Senato, dove il testo è già stato inviato con sollecitudine.

D.S. – Veri strateghi della comunicazione. Fare presto e fare bene, senza inutili allarmismi, vero? Alla fine ne verrà fuori un pasticcio, vedrai.

R.A. Ma no. Se ne uscirà bene. ‘O famo strano’, e ‘Vedrai che passerà’. Ci aiuteranno Verdone e la Vanoni. E poi, diciamocela tutta e seriamente: calma con questa Autonomia scolastica! Si vorrà mica negare il contributo autonomo e imprescindibile del territorio?

D.S. (con sorriso da interpretare): Figuriamoci! Pensa: me ne stavo quasi dimenticando..

  1. In corsivo tutte le parti estrapolate dal ddl N. 2493. Approvato dalla Camera dei deputati l’11 gennaio 2022 Trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza del Senato il 12 gennaio 2022.

 




La Ministra scrive a Babbo Natale. In esclusiva la risposta del Babbo

Il nostro infaticabile inviato speciale Aristarco Ammazzacaffé è riuscito questa volta a scovare la risposta di Babbo Natale ad una lettere inviatagli dalla ministra Lucia Azzolina.

La risposta di Babbo Natale

Cara Lucia, mi permetta, per favore, di chiamarla solo così.

Per dirle, in primo luogo, che non ho parole.  

A me arrivano lettere e richieste solo di bambini dai 4 fino agli 8 anni (massimo). Perciò ho pensato, davanti alla Sua lettera, ad un errore delle poste europee. O anche, pensando al mittente, a un caso di momentanea follia o di persona cronicamente fuori di testa.
Ma andando avanti nella lettura ho capito che no, era molto probabilmente una lettera inviatami da una persona giovane, anche se non giovanissima, e, nientemeno, Ministra della Pubblica Istruzione in Italia, come risulta anche dalla carta intestata che ha utilizzato.

Con un po’ di difficoltà – qui nevica che Dio la manda e le connessioni ne risentono – ho telefonato al Suo Ministero.
Gentilissimi, mi hanno risposto che sì, la lettera era proprio della Ministra e mi hanno inviato anche una Sua foto (molto bella. Complimenti!), con la mascherina e una scritta e un cuore – tra una parola e un’altra – che non ho capito. Ma forse meglio così.

Devo anche dirle subito che a seguito della telefonata, mi è immediatamente salita l’autostima, un po’ bassina negli ultimi tempi, per il fatto che sempre più bambini sanno più di Amazon che della mia slitta e dei miei doni. Comunque la sua lettera mi ha commosso.

Che una ministra scriva a Babbo Natale, è cosa da Guinness dei primati; che scriva poi una lunga lettera (7 pagine!) con tutto quello cha ha da fare, può meritatamente rientrare nelle leggende più natalizie dello stesso Natale.

Mi faccia dire subito che le pagine più belle sono quelle in cui parla del suo desiderio per il prossimo anno, che è poi ciò che le preme di più in questo periodo funestato dall’epidemia: poter tornare dai suoi studenti e visitare le sue scuole.
Certamente mi impegnerò da subito per realizzarlo, ci mancherebbe. Però, su due piedi, vorrei dirle preliminarmente che non dovrebbe soffrire così intensamente la mancanza dei suoi studenti e, insieme, l’impossibilità di visitare le scuole. È un po’ troppo.

Su quest’ultima, non dovrebbe preoccuparsi più di tanto. Da che mondo e mondo, classi e docenti non ne hanno mai sofferto; anzi.  Parlo per esperienza diretta. E sul fatto poi che i suoi studenti le mancano, vorrei manifestarle un mio personale interrogativo: “Ma la cosa è veramente reciproca?. Lo ha mai chiesto agli interessati?”.
E, a proposito del possessivo (miei studenti di qua, miei ragazzi di là), a cui lei ricorre spesso per rendere esplicito il suo attaccamento (che comunque le fa onore, diciamo), ancora una domanda: i genitori ed eventuali fidanzati e fidanzate dei ragazze / ragazzi (parliamo, ovvio, delle scuole superiori), non le hanno mai detto niente? Io, se fossi in lei, qualche informazione la chiederei in giro.

Il rischio dell’accusa di circonvenzione di minori: l’ha considerato?

Consigli a parte, desidero esprimerle tutta la mia considerazione per questa sua nobile sensibilità. Se vuole.
Non posso non riprendere anche, cara Lucia, il richiamo, che ho trovato nella sua lettera, alla Didattica Digitale Integrata. È bello e confortante che tra gli insegnanti abbia riscosso – e lei ne parla convintamente come fosse vero – grande interesse; e che – giura – ha prodotto profonda innovazione (addirittura!) nel  modo di fare didattica. Sono molto contento per lei. A queste latitudini arrivano altre voci.  Comunque contenta lei …

Però, mi raccomando: si stanchi di meno, si riposi e dorma di più. Nel colloquio telefonico col Ministero, mi hanno informato che lei, cara Lucia, lavora giorno e notte – come anche lei stessa dice – per risolvere i guai della scuola italiana. Ed è per questo che dorme pochissimo e sogna meno; e che vede tutto nero, come dentro la pancia di una balena.

Cara Luci’– mi permetta di chiamarla così, proprio come la chiama sua sorella con la quale, come lei stessa ha voluto farci sapere (rendendoci felici come una Pasqua), trascorrerà il Natale in tutta sicurezza –; dicevo, cara Luci’, che desidero però riprendere il riferimento – nella lettera – alla sensazione che si porta dentro: pensare che solo pochissimi riescono ad apprezzare i risultati del suo faticoso lavoro – soprattutto, per esempio, sulla riapertura delle scuole -. Forse solo il Presidente Conte e il Suo predecessore Marco Bussetti (una stella cometa – per usare una metafora natalizia – anche per tanti in Groenlandia). Un po’ poco, certo. E questo la mortifica. La capisco perfettamente.

Ecco, io temo che questa sensazione derivi dal fatto che lavora troppo e dorme poco.  Dovrebbe invece impegnarsi di meno (tanto …) e riposarsi di più; farebbe così il suo bene e anche quasi certamente dei suoi studenti e di tutto il personale che amministra.
E dormire; e non solo di notte. Si ricordi sempre: un pisolino pomeridiano aiuta, è rigenerante. E lei questa buona usanza meridionale deve recuperarla. Lasci perdere.

E alla scuola pensi quel tanto che basta. Se anche meno, meglio; ne trarrebbe giovamento lei e si realizzerebbe il sogno di tanti dirigenti e insegnanti (di lettere natalizie me ne hanno inviato moltissime anche loro). E forse anche dei genitori e un po’ di tutti.
Anzi: perché non pensa di staccare completamente per qualche mese? O, potendo, anche di più? Io mi impegno comunque a farla ritornare dai suoi studenti e a visitare le sue scuole. Ci mancherebbe.
Sarebbe una gran bella cosa, carissima Luci’; per l’intera scuola, un vero grande regalo per tutto il 2021 e forse anche oltre. Ci pensi.
Un augurio anche per sua sorella e un abbraccio natalizio – me lo consenta – per lei.

Il suo affezionatissimo Babbo Natale

 

 

 




A proposito di sciatteria. La ministra risponde a Chiara Saraceno

a cura di Aristarco Ammazzacaffé

 

Quelle che qui proponiamo sono note scritte dalla Ministra Lucia Azzolina di suo pugno, pensate in risposta alla Sociologa e ritrovate casualmente dal nostro infaticabile collaboratore/giornalista d’inchiesta Aristarco Ammazzacaffè

 

 

“Non penso possa essere passato sotto silenzio il recente articolo della Prof. Chiara Saraceno a commento della mia proposta di Linee guida per la riapertura delle scuole a settembre; articolo nel quale, andando al sodo, mi si definisce una ministra sciatta.

Prima ancora che protestare, mi preme dire subito e senza ambiguità: non è assolutamente vero. E comunque non sono d’accordo. Per niente. Ammetto che su singoli punti indicati dalla Sociologa – tra l’altro rivisti e migliorati con il mio consenso nella Conferenza Stato Regioni di un paio di giorni dopo la pubblicazione dell’articolo – si poteva convenire e fare di più.

Per esempio, sull’autonomia.

Sull’argomento io sono particolarmente ferrata – come è noto tra quanti mi conoscono – perché ho studiato per diventare preside. Pensavo di averla capita – l’autonomia, dico -. E infatti le indicazioni che davo nella mia proposta di Linee Guida di martedì scorso traducevano l’idea che mi ero fatta insegnando e studiando. Ma mi sono sentita dire, per tali convinzioni, che io, proprio io, non volevo assumermi le mie responsabilità, dicendo ai Ds, tra l’altro con rispetto e senza ambiguità: ‘Cari Presidi, il momento è delicato e difficile. Chi meglio di voi conosce le situazioni problematiche dei vostri istituti e può individuare condizioni e modalità per affrontarle e superarle?  Io vi do dei suggerimenti; per il resto, operate in totale autonomia. Io ci sono comunque, nel caso.

Ho sbagliato a scrivere le cose che ho scritto? La Saraceno sosteneva invece nel suo articolo che l’autonomia è senza gambe se mancano – soprattutto in questa situazione di non superata emergenza – le condizioni opportune e necessarie per ripartire bene. E citava: spazi, strumenti, risorse in termini di personale aggiuntivo, eccetera.

Riconosco ora – soprattutto dopo la Conferenza Stato-Regioni di giovedì scorso – che i suoi ragionamenti non erano privi di fondamento. Tant’è che non mi sono opposta a nessuna delle proposte migliorative al testo emerse nell’incontro.

Io però dico, non per giustificarmi, ma per chiarire le ragioni della mia proposta di Linee Guida: ‘Certe cose – quelle, ad esempio, che la Professoressa segnalava – bisognerebbe saperle prima, o no? A me nessuno le ha dette. Dovevo saperle di mio? E perché?’

Eppure per questo me ne hanno cantate in tutte le rime.

Anche sul ritorno alla didattica in presenza, qualcosa di più preciso potevo in effetti dirla nella mia proposta. Comunque sul punto devo prima ribadire, anche adesso, che la Dad è stata per me, che ci ho creduto, un grande successo in sé. Mi chiederete come è stato possibile, da parte mia, arrivare ad una convinzione così netta? Niente. In questi casi – credetemi – basta convincersi; come ho fatto io. Tra l’altro, in perfetta autonomia e senza spinte. Per me è stato un grande passo in avanti.

Poi, per carità, riaffermiamo pure la centralità del fare scuola in presenza, come è stato fatto col testo approvato nella Conferenza citata.  Io, tra l’altro, l’insegnamento in presenza l’ho sempre fatto, anche perché con le tecnologie digitali non ho mai avuto grande confidenza.

Ci tengo però a ribadire che, per settembre, le alternative possibili per partire – in sicurezza e bene – le ho indicate tutte e con chiarezza nelle mie Linee Guida; nessuna esclusa. E le ho indicate addirittura in una logica binaria: turni: si – no; anche al sabato: si – no; divisione delle classi in più gruppi: si – no; didattica mista (un po’ in presenza e un po’ a distanza): si – no; organico aggiuntivo: si – no, eccetera.

Per questa modalità di rappresentare le alternative devo dire che ho registrato un buon successo presso il mio staff; ma le stesse hanno scatenato un uragano di critiche in tutte le articolazioni del mondo scuola. Per dire: le differenze dei modi di pensare! Comunque di critiche ne ho avute veramente tante. Un vero primato. Tanto che non so che pensare.

Comunque è bene quel che finisce bene. Infatti, sul punto, grazie al contributo e alla collaborazione di tutti, c’è stato un bell’accordo finale in sede di Conferenza. Credo.

Sui patti educativi di comunità – un terzo punto delle contestazioni della Saraceno -, premetto subito che l’idea mi è suonata bene da quando l’ho sentita per la prima volta. Solo che per me si colloca, ancora adesso, in un pianeta avvolto da nube fitta. Però se si può fare, si fa. Non c’è problema. L’ho detto nella Conferenza, sia a Conte che al Presidente Bonaccini. Mi sembra una bella cosa. Facciamola. Io sono resiliente.

Infine, sui nidi e i servizi educativi per la primissima infanzia – quarto punto considerato nell’articolo di Repubblica -: devo confessare, in tutta onestà, che non sapevo proprio che fosse un’area di responsabilità del mio ministero. È – mi hanno spiegato – una novità prevista dalla Legge sulla Buona Scuola (ti pareva che non ci fosse lo zampino di Renzi!) e regolata da un Decreto di 3 anni fa. Addirittura! Pensate le cose che succedono senza che uno se ne accorga! Se sapevo di questa ulteriore responsabilità, ci avrei pensato però almeno tanticchia, prima di accettare il Ministero dell’Istruzione. (Se posso però confessarlo, almeno ora, a me sarebbe piaciuto di più, come Ministero, Turismo e Spettacolo. È il mio mondo. Me lo dice spesso anche mio marito)

Comunque, tutto questo accanimento su di me in queste ultime settimane, non lo capisco e non lo merito. La Saraceno non è stata neanche l’ultima. Hanno addossato su di me tutte le colpe per ciò che non ha funzionato in questi mesi di pandemia. E mica solo quelle.

Io lo riconosco: la gestione dell’emergenza non è stata sempre all’altezza.

Ma, ammesso questo, dico: sono tutte mie le possibili colpe? c’entro veramente solo io?

Il Movimento mi ha chiesto – a gennaio, mi sembra, quando ancora l’epidemia non era scoppiata – di fare la ministra nel nuovo governo rosso-verde. Io cosa potevo fare? Rifiutavo? Chi li avrebbe sentiti i miei genitori! Mia madre soprattutto. Che appena glielo ho detto, si è fatta il giro di tutte le chiese di Siracusa per accendere un cero di ringraziamento a Santa Lucia, nostra patrona e protettrice.

Come facevo a dirle che non accettavo la proposta del Movimento? Anche con la Santa ci avrei fatto una magra figura.
Poi c’era mio marito.  Ma su questo, lascerei perdere. Son cose private.
Io ho così accettato – scusate se mi dilungo un po’ sul punto, ma è importante – per puro senso di responsabilità e per l’amore verso tutti gli studenti d’Italia che da allora, come forse ho già detto o forse no, sono sempre in cima ai miei pensieri.
E ho accettato anche perché, tra i miei colleghi pentastellati, è convinzione prevalente (abbastanza diffusa anche fuori) che le competenze servono a poco. E che meno ci sono, meglio è. Perciò, sul punto, mi sentivo ‘coperta’.

Capite ora perchè non ho avuto dubbi ad accettare? D’altra parte, il mio curriculum lo avevano letto tutti. Tra l’altro, c’era poco da leggere.
Comunque, tornando a bomba, l’accusa di sciatteria – ci ho più volte ripensato – la ritengo ingiusta. Non me la merito. Altre accuse sì, forse; ma questa no. Mi brucia. Ed è d’accordo con me anche il presidente Conte, che mi ha inviato, per confortarmi e gratificarmi, una sua massima inedita che mi fa invece piacere condividere: “Ridiamo energia all’Italia. No alle classi pollaio!”.
Vorrei esprimere infine la mia soddisfazione perché, nel più volte citato incontro Governo – Regioni, grazie all’insistenza del Presidente Bonaccini, è stato previsto un ulteriore miliardo per la scuola. Queste sì che sono buone notizie.
‘L’Italia si muove alla grande’, ha detto il premier Conte, pensandosi.




Azzolina: la Ministra che lavora giorno e notte

di Aristarco Ammazzacaffè

Mentre aspettiamo frementi i risultati sugli Stati addirittura Generali dell’addirittura Presidente Giuseppe Conte (siamo un paese che ama le esagerazioni), ci tocca anche preoccuparci della nostra Ministra che  – come lei stessa ha dichiarato (diretta su Skuola.net, scorsa settimana) – per star dietro a tutti i suoi impegni, lavora giorno e notte per riportare gli studenti a scuola.

E questo, volendo, allarma. Perché se non dorme, né notte né giorno, uno si chiede: come fa? E soprattutto: cosa fa? Tanto che poi, chi si è fatto la domanda, fa due più due e capisce: scuole chiuse, anche quando tutto riapriva; apologia della DaD quando ormai non se ne poteva più, le uscite apodittiche sulla valutazione negli scrutini finali dove il quattro è quattro e l’otto, otto (e non ci sono santi, sia ben chiaro; vietato categoricamente ogni inversione!); e ancora: tempi e prove dei concorsi che aspettano ancora decisioni definitive, linee guida per la riapertura delle scuole che evocano addirittura antichi miti come l’araba fenice.

Tutti segnali – a raffica – che la Ministra comunque c’è  e che gli studenti – a cui lei pensa sempre e ovunque   e che comunque non sono imbuti da riempire, (ma almeno, si arguisce, barrique: a dir poco); gli studenti, dicevo, le sono vicini e le scrivono in tantissimi – tanti quanti – per esprimerle gratitudine (per dire!),  ma anche per sostenerla nel suo lavoro e darle consigli che lei puntualmente annota sul suo diario che le invierà a breve il Gruppo Ufficiale ‘Bimbi di Azzolina’ (“non ci crederete, ma è vero ….”, Adriano Celentano 1968?).

Ma nonostante questi suoi tanti impegni che, come già si è già riferito, la portano a lavorare giorno e notte per riportare gli studenti a scuola (“se non ora, quando”si vedrà: ripete tenace a se stessa), c’è gente malevola che sta li a rivolgerle accuse che non merita. Poverina.

Per esempio: Fieramonti (l’ex ministro: ma come si permette?) che, soprattutto per fare lui bella figura, le ricorda su Repubblica che, lui medesimo, si è dimesso a inizio gennaio perché aveva richiesto al Governo 3 miliardi,  e gliene aveva accordato solo la metà.
‘Ah sì. Niente 3 miliardi? Allora mi dimetto’. Ha detto. E si è dimesso.
Mentre lei – accusa l’ex ministro – ne a né ba, con risorse finanziarie addirittura inferiori a quelle stanziate per il suo Ministero.
La Ministra colta di sorpresa a queste dichiarazioni, non crede ovviamente all’uscita del Fiera e interpella il suo Capo Gabinetto; che, sapendo il fatto suo – che però la ministra lì per lì ignora – le suggerisce di rispondere che il suo Ministero ora ne mobilita addirittura 4 di miliardi; e le passa l’appunto.

La risposta a tono arriva al Fiera con un post su fb: – Altro che un miliardo e mezzo! Io di miliardi ne mobilito ben 4 –
E, con un occhio all’appunto, elenca una serie di voci di bilancio (tipo: fondi europei  per il PON, o per provvedimenti precedenti per l’edilizia, sbloccati quando lei non era ministra, o fondi per la pulizia delle scuole, dopo il blocco delle attività didattiche, e per la DaD….): tutte molto nette e precise. Quasi tutte però fuori bersaglio – come nota su  Repubblica il giornalista che aveva seguito il caso: o perché risorse non proprio fresche o perché, con i cambiamenti necessari e urgenti di cui parlava il Fiera, molte delle somme mobilitate c’entravano un po’ come lei con il Ministero che dirige.
Solo che lei non lo sapeva. Per cui quando il giornalista glielo ha ricordato, lei – dicono – ci ha pensato quel tanto che basta e poi gli ha sorriso debolmente. E la chiude così. Troppo complicata la storia.

Ma ci fosse solo il Fiera! Qualche altro (addirittura un Andrea Gavosto, per capirci – Fondazione Agnelli) arriva addirittura a rinfacciarle, sul Corriere di domenica scorsa, la mancanza di una direzione di marcia nel governo della scuola.  “Ma come? – ribatte lei – Ma se ne ho sempre indicato – di strade da imboccare – almeno un quadrivio e forse più – azzarda -.
E passa a richiamare, ad esempio, tutte le trovate che tirava fuori – una ogni settimana e a volte anche due – nelle varie circostanze; a cominciare dalla situazione che si era venuta a creare nelle scuole dopo la fase clou della pandemia: quando ci si era ormai resi conto dei grossi limiti della DAD e, riaperti ormai bar e ristoranti, tanti premevano perché riaprissero anche le scuole.

In quella circostanza – si infervora – lei non si è tirata indietro e di idee ne tirava fuori a iosa, geniali e anche simpatiche, apprezzate persino a Malta, dice.
Tipo: sdoppiamento delle classi con metà classe in aula e l’altra a casa; turni mattina e pomeriggio; classi sdoppiate o senza turni, ma anche: doppi turni in contemporanea o classi senza classi ma con divisori di plexiglass tra i banchi.
Riferisce a questo punto con un po’ di orgoglio che molti dei suoi collaboratori al Ministero la chiamavano addirittura ‘Vulcano’, per sottolineare la sua capacità di farsi venire idee addirittura esplosive e che, a chi se ne meravigliava, lei ammetteva, con naturale modestia: – Probabilmente sono solo un tipo ipotetico -.

Questo per dire il personaggio e la pesantezza del momento che sta attraversando, ma anche la considerazione di cui ha ora bisogno.
Comunque le è sempre di conforto e stimolo in queste situazioni il suo predecessore, Marco Bussetti e le sue massime; tra le quali cita sempre l’ultima che il Marco, netto e deciso, ma con una sfumatura di mistero, ha postato sulla sua pagina fb di alcune settimane fa: “Insegnare non è un lavoro come gli altri”. Dicono che la Ministra ne sia rimasta colpita.
Affinità?  Sintonie? L’una e l’altra, si potrebbe azzardare.




Veneziani, un pensatore che ha un debole per i presidi. E ce lo racconta

rete_numeridi Aristarco Ammazzacaffè

Non è da tutti rendere esplicita la propria identità culturale in poco più di quattro righe. E farlo senza ambiguità e camuffamenti.
E non è da tutti, perché non tutti possono vantare, come fa lui sul suo blog[1], qualifiche di scrittore, giornalista, polemista e grossista (nel senso che le spara grosse: ci sta), oltre che di intrattenitore e, soprattutto, pensatore.
Anche pensatore, pensate.

 

Se ancora non l’aveste dedotto, si sta parlando di Marcello Veneziani (EmmeVu, per gli amici) e del suo ultimo pezzo di bravura, Presidi e bidelli espulsi dalla video-scuola – da qualche giorno sul suo blog –.
Nel quale pezzo riprende e approfondisce da par suo il tema della clandestinità e inutilità soprattutto dei capi di Istituto (‘cripto-presidi’ li definisce) in questa fase della “video-scuola”, causa pandemia.
Non so chi gli ha fornito questo tipo di informazioni; comunque, meglio mettersi il cuore in pace: essendo lui anche un polemista creativo, non lo si può neanche denunciare.

Probabilmente – si mormora in giro, ma non si sa con quale fondamento – ha voluto far satira, con venature umoristiche, per far colpo soprattutto la sua nuova fidanzata – una prof. che per questo lo apprezza incondizionatamente.

Eccovi comunque il passo:

Ho una personale statistica sui cripto-presidi incontrati in questi ultimi anni: 4 su 5 meridionali, 4 su 5 di sinistra, 4 su 5 incapaci.”
E chiarisce: 1.“La loro etichetta di sinistra la capivi dopo due frasi, quasi come la loro inflessione meridionale, oltre al cognome; 2. la loro idea della scuola e il loro spessore erano subito chiari; 3. Tra i migliori conosciuti, un preside cieco, che usava un docente come cane lupo, e una preside paralitica, in carrozzella, ambedue del sud: i più validi erano due invalidi.

Uno può obiettargli: – Ma ce l’hai con i presidi?”
Chi pensa così sbaglia di grosso. E infatti lui ci tiene a chiarire subito. “…ho un debole per loro. Perché mio padre era preside…”.
Un preside di una volta, ovviamente; di quelli, sembra di capire, dei quali si è rotta la macchinetta: autorevole, superprofessore, umanista, educatore. Tanto che uno si chiede: – E il figlio Marcello, per come pensa e scrive? Come si spiega? Qualche trauma di cui è stato inconsapevole causa? O addirittura consapevole e quindi colpevole? Oppure è il caso di uno schiribizzo della natura? E lui, poverino, non ha potuto farci niente? Indagare.

Comunque, sembra accertato: Marcello non ce l’ha con i presidi come categoria. Lui distingue. E infatti – sembra di capire – nella lista dei ‘no bbuon’, ci mette quelli che sarebbero l’opposto di suo padre; cioè: i meridionali, quelli di sinistra, gli incapaci.
A questo punto, per non arrivare subito a giudizi affrettati, bisogna sempre ricordarsi che lui è un intellettuale e, per giunta, un pensatore: non ama le generalizzazioni, come è giusto. E infatti ne salva, per ciascuna delle tre categorie, 1 su 5.

Ma è troppo – sembra gli abbiano detto gli amici del suo giro (a destra).
Non però la sua nuova fidanzata – quella di prima -: che apprezza la di lui umanità e sempre la di lui assenza di pregiudizi. Ed EmmeVu sta giustamente con lei. Non cede cioè, da pensatore, a quel che pensano i suoi amici.
Qualcuno dovrebbe rendergliene merito.

Nella sua considerazione pensosa sulla lista variegata, introduce poi una ulteriore criterio classificatorio (come ogni pensatore, è chiaramente un analista), suggeritogli, questo, dalla figura del suo preside, quand’era liceale, che si dovrebbe, a ragion veduta, definire sollazzevole.
Il nostro preside – sempre testuale – era pure la nostra ricreazione. Interrompeva le lezioni e arrivava lui a cantare le canzoni napoletane. Si faceva precedere dalla bidella che portava in classe la chitarra, e tra noi scoppiava l’euforia. Poi veniva lui e tra lezioni di latino e dialetto locale, ci infilava le canzoni del repertorio classico napoletano. Un sollazzo.” Un simpaticone, quindi. Una vera, autentica macchietta. Un quadretto di sapido colore partenopeo, per dirla elegante: napoletano piacione e ovviamente canterino.
C’è – evidente, per come il quadro è pennellato – tutto l’intellettuale superiore agli stereotipi, che sa quel che dice e lo dice in tutta sincerità e senza pudore. Ammeterete che ce ne vuole. E lo dice, il pensatore, quasi invogliandoci a trarne sollazzo come fa lui. Ma capite?

Cosa pensare alla fine della sua identità culturale? per riprendere la categoria da cui siamo partiti. Mah!
Personalmente eviterei solo conclusioni affrettate – che sarebbero ovvie -: qui ci troviamo, ve ne sarete accorti, di fronte ad un intellettuale rigoroso e per giunta pensatore.
Comunque, fate voi.

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Azzolina alla Conferenza stampa: una ministra for ever

ripresa_scuoladi Aristarco Ammazzacaffè

Pensava di non farcela ad essere all’altezza. Invece in questi ultimi mesi ha fatto salti da gigantessa. Si parla ovviamente della Ministra Azzolina. Per la quale – dicono – continua ad essere una sorta di icona il suo predecessore, prof. Bussetti: non si è infatti mai sentita di raggiungerne i meriti, ma neanche di stargli molto indietro. Non ci sta, lei, a sfigurare, orgogliosa com’è.

Ora invece si trova addirittura a superarlo. Ma come fa? Il piglio? La statura? La competenza? Ma forse c’è anche la sua cultura, a pensarci bene; pur senza voler approfondire.

L’ultima conferenza stampa, di alcuni giorni fa, è stata effettivamente la sua mossa vincente. Davanti: un tavolo immenso, con due presenze, ai lati e a distanza sociale: molto importanti – queste presenze -, pare, e particolarmente coreografiche nello scenario da Corona virus. E lei, fornita solo di alcuni fogli che leggeva e non leggeva e comunque sfogliava. E cercava di convincere. Ma come si fa?
A conti fatti però – va riconosciuto – la sua figura, la Ministra, l’ha fatta tutta.

Anche grazie ad un discorso di presentazione delle Ordinanze – addirittura tre! – che in effetti il Bussetti se lo poteva solo sognare. D’altra parte lui preferiva sorridere. Sorrideva sempre. E non si è mai capito perché. Ci ha lasciato col suo sorriso e il mistero che nascondeva. Chissà dove sarà adesso. Una perdita!

Sarà così anche per la Azzolina? E quando? C’è già gente che prega.

Ma torniamo alla Conferenza stampa e alla sua presentazione. Ben tre ordinanze – si diceva -: sulla valutazione negli scrutini di fine anno, sugli esami di terza media e su quelli di maturità. Le stesse ordinanze che erano girate da due mesi, con modifiche più o meno settimanali, in omaggio al principio che il cambiamento è vita.

Non scontato l’incipit della Conferenza: che avvalora decisamente il profilo anticonformista della Ministra. La spia più evidente, i ringraziamenti; che generalmente si fanno alla fine, mentre in questa conferenza hanno addirittura introdotto la presentazione.

E che ringraziamenti! Comincia: con il Comitato Tecnico scientifico (CTS) e nominativamente coi i due angeli custodi della conferenza, i dirigenti in capo al CTS, il dott. Miozzo e il prof. Villani: che però non reagiscono; poi tocca al ministro Speranza al quale saranno sicuramente fischiate le orecchie; e, dopo Speranza, tocca a tutti i docenti e dirigenti scolastici, al personale ausiliario tecnico e amministrativo delle scuole tutte; e ai disabili, a cui manda un abbraccio speciale; e poi, ancora, agli Uffici Scolastici regionali e a quelli Territoriali e alle parti sociali – che, se no, si offendono -; a cui fan seguito: la Croce Rossa Italiana e il Dalai Lama con i Pink Floyd. E tutti, citati senza leggere. Ma come fa?

Sorvolo sui contenuti specifici di ogni singola Ordinanza, versione definitiva, forse. Ci tiene però a dire in premessa – la Ministra –: 1. che, comunque, la lettura delle ordinanze “va fatta a 360 gradi” (evidentemente non bastano più neanche i 180. Si vede che è esigente, e fa bene; ma sui gradi, c’è qualche interrogativo appeso. Strategia comunicativa? Chi lo può dire? ); 2. che, soprattutto, con la pandemia, le è costata molto la decisione di chiudere le scuole, ma che ha dovuto farlo “per salvare vite umane”. Pensate! Sarebbe stato – chiarisce – più facile e più coerente con la sua missione di ministro dell’istruzione riaprirle, ma non l’ha fatto. E perché non l’ha fatto?

Primo perché – spiega – lei ha giurato, come tutti i suoi colleghi ministri, sulla Costituzione e quando si giura sulla Costituzione non ci si può tirare indietro: il bene dei cittadini prevale. Il ragionamento, fuori contesto, non fa una piega.

E poi perché lei, prima di diventare ministra, era insegnante e quindi capisce. Il cosa, non si dice, così ognuno può metterci il suo. Massima libertà, si intuisce. Una questione di stile. Ma anche di strategia. Se ci pensate, ma poco però.

Un passaggio centrale, prima delle spiegazioni sulle ordinanze, è sul metodo. Su questo insiste molto perché lei ci crede. E questo le fa onore. E chiarisce, al riguardo, che al primo posto c’è la collaborazione e l’intesa con il Comitato Tecnico Scientifico; mentre al secondo posto c’è, se ho capito bene, la sicurezza per studenti e operatori scolastici durante gli esami finali e le operazioni di fine anno. Il ragionamento, come si vede, non fa una grinza. Infatti, se non è metodo questo, cos’è? Boh!

Sulla prima Ordinanza (la valutazione), l’insistenza è sul rigore e la serietà a cui lei è sempre stata molto affezionata. L’Azzolina è fatta così! È nel suo DNA, sembra di capire, dal tono accurato che usa. E quindi, sì, promozione per tutti, ma i voti restino voti – e non diventino carciofi, si intuiva -: devono rispecchiare il rendimento degli alunni, anche nella primaria e anche se praticamente l’insegnamento e le verifiche, nei mesi di scuola a distanza, sono state generalmente quello che sappiamo. Cioè a distanza.

Lei comunque capisce – ci tiene a dirlo – gli appelli di pedagogisti, insegnanti, dirigenti, psicologi perché si recuperi la scelta dell’abolizione dei voti (L. 517/1977); considerata anche l’eccezionalità estrema della situazione attuale. Ma i voti sul rendimento – ribadisce – non si possono sostituire dall’oggi al domani perché ci sono troppe complicazioni e bisogna pensarci e averci tempo per pensare e, ancor prima, esserci abituati, a pensare (però!). Ma c’è soprattutto un ‘perché’ ancora più generale che lei per discrezione non dice e che, tradotto in napoletano, potrebbe suonare così: “perché, cu’ ‘stu drìnghete e ‘ndrà, mièzz o’ mare ‘nu scoglio ce sta; … pe:cchè drìnghete, drìnghete e ‘ndrà”.

Discrezione e saggezza. Se ce le vedete.

Sulla Maturità in presenza, poi, i chiarimenti sono espliciti e addirittura lirici: “Non si possono defraudare i giovani di questa esperienza eccezionale senza sentirsi in colpa!”. E aggiunge: “Per me è stato il giorno più bello della mia vita” (sic!).
Qui però c’è subito un interrogativo: in che senso: “il più bello”? quale evento l’ha segnato al punto da spingerla a questa dichiarazione? Ne erano al corrente i genitori? E l’evento, prima o dopo l’esame? Per alleviare la tensione o per scaricarla? Tutto lecito?
E c’è anche un’altra domanda: ammettiamo pure che possa essere il giorno più bello per un giovane che si libera finalmente della scuola; ma il problema sicurezza, per il quale lei ha giurato sulla Costituzione, qui non vale? Mah!

Mi sa che ci vuole un’interpellanza parlamentare.

E anche sulla decisione di non far svolgere in presenza l’esame di stato di terza media: non è forse un momento importante anche il passaggio dall’adolescenza alla prima giovinezza dei quattordicenni? Perché questa discriminazione? Ministra, ci ripensi, visto che c’è abituata. Dirigenti e insegnanti se ne faranno una ragione: sono abituati.

Pregnante infine il passaggio conclusivo (o iniziale? Ma, tanto…) della presentazione. Nel quale, dopo aver dichiarato di aver parlato “in tutta sincerità” (grazie, prof., come è buona, lei!), lancia a tutti noi, in cerca di certezze, un colto messaggio nientemeno che “cum grano salis”: che, qualunque cosa significhi in bocca alla Ministra, ci interroga e rassicura. Che è il massimo. A pensarci.




Il Prof. Galli della Loggia e la Ministra Azzolina: disputa a distanza sulla serietà della scuola

arcobalenodi Aristarco Ammazzacaffè

Vivaddio! Qualcuno l’ha finalmente detto: c’è bisogno di qualcosa di ben diverso: c’è bisogno soprattutto di “una nuova serietà”.
Sono queste le preoccupazioni di Ernesto Galli della Loggia (ma perché non se l’accorcia un po’ tutto questo nome?) nell’Editoriale sulla scuola per il Corriere di domenica scorsa.

Ed ha ragione. Perchè se non è nuova, la serietà, che è? Vecchia, tradizionale?
Ma non esiste nell’era digitale, che è tutta smart. Al massimo si può prevedere, in astratto, una serietà intermedia. Che, a occhio e croce, è però sconsigliabile.

Perciò per chiarirla il Nostro ha fatto bene a concentrarsi in questo Editoriale sui suoi opposti (della serietà, intendo), opportunamente identificati: nella bonarietà vacua e indulgente (i due aggettivi, sembra di capire, devono esserci entrambi. Si rischia se no) e anche, perché no, nel demopaternalismo. Termine importante, quest’ultimo, perché vale per quel che dice a ciascuno, secondo la propria coscienza. Se è chiaro.

L’obiettivo polemico di questo messaggio dell’Editorialista è, con tutta evidenza, la scuola italiana che “ha messo al bando tutto ciò”; dove il tutto ciò è ‘la nuova serietà’.
E alla prevedibile domanda del lettore a metà articolo: – Ma, alla fine, con chi ce l’hai? Cosa ti ha sconvolto? Cosa vuoi? -, la preoccupata risposta dei passaggi successivi.

Lui è contro la decisione della Ministra perché non gli va giù il “tutti promossi”, previsti dalla decisione ministeriale; e perché lui vuole anche i bocciati; se no – pensa giustamente – che scuola è?
Parole sante. A pensarci bene.
E aggiunge: è soprattutto sbagliata e diseducativa – la decisione – perché: 1. non è coerente con la massima lapidaria che lui propone: “nulla può o deve essere come prima” (già sentita. Bella, comunque); e perché 2. la decisione presa dalla Ministra non ci obbliga a “ripensare tutto” (meno diffusa, come battuta. Comunque interessante). Parole anche queste benedette.
Stringi, stringi, lui ce l’ha a morte con “l’improbabile bambagia protettiva”, e con “la solita pappa dolce della benevolenza per decreto” che il governo ha fornito ai nostri studenti con “il passaggio automatico all’anno di corso successivo”.

Affermazione quest’ultima che, appena letta dalla Ministra di prima mattina – così almeno dicono i ben informati – le ha fatto sbiancare financo le sue ormai mitiche labbra rosso-fuoco.
Insomma la Ministra non ci sta proprio e ha così improvvisato una dichiarazione immediata e pubblica, come si fa in questi casi: “Non è vero – lapidaria – Galli della Loggia (ma che nome è, pensa nel mentre) sbaglia obiettivo. Lei ha a cuore la vera serietà (e sembra abbia insistito sull’aggettivo. In polemica? Chi lo può dire!) e la garantirà – come è suo costume (però non chiarisce quale) attraverso il più rigoroso accertamento, quando ci sarà. Perché lei ci crede, almeno quanto Salvini nella Madonna (scivolata evidente dell’autore della quale si scusa in anticipo). E qui ribadisce la strategia già annunciata nei giorni precedenti: la serietà sarà garantita dalle diversificate votazioni che verranno dati agli alunni a seguito delle verifiche dopo i recuperi. “E quindi 7 se 7; 8 se 8; ma anche 4 o 5 se 4 o 5”. (“Quaterna e tombola!”: così a commento – e ovviamente a bassa voce – il solito giornalista napoletano presente alla dichiarazione)

Comunque la pensiate, qui è fuori dubbio la solidità della visione di scuola della sempre neo-ministra.
Che qualcuno gliene renda merito.
Dell’uscita della Ministra viene informato subito il prof. Galli eccetera, ma non lo convince. Così almeno le cronache. “Perché – si confida con un amico – la serietà della Ministra non può essere classificata e garantita come ‘nuova’. Nuova – e qui chiarisce definitivamente (e noi sintetizziamo rigorosamente) – può essere solo una proposta che dica a chiare lettere anche agli studenti: La situazione è tragica per tutti. Anche voi “dovete stringere i denti e mettervi a studiare”. Altro che promozione garantita! Anche voi siete “chiamati a guardare in faccia la realtà e a fare i sacrifici necessari: rinunciare alla normalità, alle solite vacanze, studiare di più”.
Affermazioni sante anche queste, che dicono tutto. E, se ci fate caso, anche il loro contrario. Pensateci!
Dopo queste premesse, ripete la sua proposta dell’Editoriale: si annulli l’anno scolastico in corso; si ritorni a scuola il 25 agosto e si recuperi fino a metà ottobre; gli scrutini non fatti a giugno, si facciano nelle due settimane successive ai recuperi; e chi sarebbe stato bocciato a giugno potrà sempre esserlo a ottobre. Così niente è come prima.
Parola di Galli eccetera.
Ma la Ministra non lo seguirà. A lei piacciono i voti. È fatta così. È il suo bello.