Dare senso al sapere

di Raimondo Giunta A scuola non si sta insieme per caso e nemmeno per fare qualsiasi cosa; a scuola gli insegnanti devono insegnare e gli alunni devono apprendere; tra docenti e alunni c’è di mezzo il sapere, che i primi devono trasmettere e i secondi devono apprendere. Un rapporto costituito dagli obblighi professionali, anche quando è pieno di rispetto e di attenzione verso gli alunni. Nel triangolo che nell’azione quotidiana a scuola si viene a costituire tra docenti, sapere e alunni, nessuno dei vertici può essere trascurato in favore degli altri due. Devono esserci per forza tutti e tre con pari dignità. Non può scomparire l’insegnante, come talvolta si favoleggia, perchè l’alunno non impara da sè; non può scomparire il sapere, perchè non ci sarebbe più scuola e nemmeno si può immaginare che l’alunno conti così poco, come se non ci fosse, perchè è per lui che si fa scuola. Tra l’insegnante e l’alunno non c’è solo il sapere, ci sono le istituzioni con le loro ingiunzioni, ci sono le aspettative della società che hanno influenza sul modo in cui il lavoro che si svolge a scuola deve essere fatto. La trasmissione del sapere, ma anche dei valori e delle tradizioni, alle nuove generazioni è l’atto fondatore con cui la scuola e quindi gli insegnanti per la loro parte garantiscono “la continuità del mondo”(Hannah Arendt). Le nuove generazioni non devono inventarsi il mondo, se non altro perchè non lo possono fare e perchè già c’è a loro disposizione; bisogna, però, dare loro gli strumenti, le conoscenze, la cultura perchè lo possano abitare in modo appropriato. E questo non avviene casualmente, ma con un’attività regolare e ordinata di istruzione/educazione. La trasmissione dei saperi, delle tradizioni e dei valori di una comunità è un’avventura in cui si incontrano chi crede nell’educabilità dei giovani e la volontà del giovane che vuole crescere e che si mette in gioco per il piacere di apprendere e di comprendere.(Ph.Meirieu) Continua a leggere

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Insegnando si impara

di Chiara Centola Vivo ad oggi emozioni contrastanti. L’arricchimento di un anno passato a svolgere il lavoro che considererei il più bello del mondo e la tristezza di averlo concluso. Sì perché l’emozione che si prova a cominciare un nuovo percorso è fondamentale per la propria crescita personale e quando quest’ultimo si conclude temporaneamente, ci si guarda indietro ponendoci domande e comprendendo che cosa ha veramente segnato nel nostro cuore, arricchendo così il nostro bagaglio di esperienze. Sicuramente dopo cinque anni di un percorso di studio molto impegnativo, è stato per me possibile mettere a frutto ciò per cui mi ero preparata da tempo. Sento spesso pareri contrastanti, chi vede in noi “giovani insegnanti” delle persone come tutta teoria e niente pratica o come una risorsa con cui poter scambiare e arricchirsi reciprocamente. Una cosa è certa, spesso ho vissuto nella consapevolezza che intorno all’idea di insegnare si pensi alla “semplicità” di questa professione, con l’idea generale che “tutti possano farlo”. Dietro invece alla reale complessità di questo lavoro, mi sono chiesta più volte durante il mio percorso quali fossero le caratteristiche che un’insegnante deve possedere per far fronte con professionalità al suo lavoro. La risposta che ancora oggi mi do è la “formazione, flessibilità e scambio”. Continua a leggere

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A proposito di sciatteria. La ministra risponde a Chiara Saraceno

a cura di Aristarco Ammazzacaffé   Quelle che qui proponiamo sono note scritte dalla Ministra Lucia Azzolina di suo pugno, pensate in risposta alla Sociologa e ritrovate casualmente dal nostro infaticabile collaboratore/giornalista d’inchiesta Aristarco Ammazzacaffè     “Non penso possa essere passato sotto silenzio il recente articolo della Prof. Chiara Saraceno a commento della mia proposta di Linee guida per la riapertura delle scuole a settembre; articolo nel quale, andando al sodo, mi si definisce una ministra sciatta. Prima ancora che protestare, mi preme dire subito e senza ambiguità: non è assolutamente vero. E comunque non sono d’accordo. Per niente. Ammetto che su singoli punti indicati dalla Sociologa – tra l’altro rivisti e migliorati con il mio consenso nella Conferenza Stato Regioni di un paio di giorni dopo la pubblicazione dell’articolo – si poteva convenire e fare di più. Per esempio, sull’autonomia. Sull’argomento io sono particolarmente ferrata – come è noto tra quanti mi conoscono – perché ho studiato per diventare preside. Pensavo di averla capita – l’autonomia, dico -. E infatti le indicazioni che davo nella mia proposta di Linee Guida di martedì scorso traducevano l’idea che mi ero fatta insegnando e studiando. Ma mi sono sentita dire, per tali convinzioni, che io, proprio io, non volevo assumermi le mie responsabilità, dicendo ai Ds, tra l’altro con rispetto e senza ambiguità: ‘Cari Presidi, il momento è delicato e difficile. Chi meglio di voi conosce le situazioni problematiche dei vostri istituti e può individuare condizioni e modalità per affrontarle e superarle?  Io vi do dei suggerimenti; per il resto, operate in totale autonomia. Io ci sono comunque, nel caso. Continua a leggere

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I dettagli del diavolo

di Raimondo Giunta

  • Il piano scuola 2020-2021 elaborato per garantire una ripresa delle attività didattiche all’insegna della normalità è corredato dall’accordo delle Regioni e dall ’impegno di risorse aggiuntive da utilizzare per l’assunzione di migliaia di nuovi docenti e di nuovo personale ATA . Il ritorno a scuola è in sé un fatto positivo e consentirà di riallacciare e rafforzare il legame con la società.Tutto dipenderà dalla passione e dall’entusiasmo con cui si lavorerà con gli alunni.L’esperienza fa dire che anche a moltiplicare le risorse che saranno disponibili,gli inizi del nuovo anno scolastico saranno complicati un po’ dappertutto.Non è nella disponibilità delle più efficienti amministrazioni predisporre e arredare i locali per il 15% della popolazione scolastica italiana,che non potrebbe rientrare a scuola, se si vogliono e si devono rispettare le norme di sicurezza prescritte dal CTS e fatte proprie dal Piano Scuola, nel giro di appena due mesi,uno dei quali dedicato alle ferie nella stragrande maggioranza delle aziende della nazione.Non è pensabile nemmeno,anche se auspicabile,che nello stesso lasso di tempo sia possibile dare corso a tutte le operazioni necessarie per garantire che a settembre entrino in servizio i dirigenti,gli insegnanti e il personale che mancano.Il buonsenso ,se ce n’è ancora,consiglierebbe pertanto di non alimentare richieste e proteste che si scontrerebbero con la durezza dei dati della realtà.Una scuola non si rivolta come un calzino in pochi giorni dell’anno;un anno questo in cui la scuola non è l’unico problema da affrontare.Per quanto riguarda la scuola,invece, farei un po’ più di attenzione a quanto viene detto e consigliato nel paragrafo che va sotto il titolo “Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa”.
  • Credo che si debba aprire una discussione seria su quello che vi si propone ,perchè le ambiguità che si nascondono dietro i buoni propositi rischiano di impoverire e di ridimensionare il ruolo della scuola e le sue funzioni.Viene detto:”in una logica di MASSIMA ADESIONE al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa” le scuole,soggetti pubblici,privati e terzo settore possono sottoscrivere,attraverso apposite conferenze di servizio,Patti educativi di comunità per “la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario”.Si sa come gli Enti locali debbano concorrere a realizzare il servizio scolastico ;un po’ meno come vi possano concorrere soggetti privati e del Terzo Settore;ciò che necessita capire è che cosa significhi e che cosa possa comportare la sussidiarietà nella realizzazione del servizio scolastico.Recita il comma 4 dell’art.118 della Costituzione che la istituisce:” Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. La sussidiarietà di cui si parla nel piano della scuola dovrebbe essere quella orizzontale, che in genere propone un criterio di ripartizione delle competenze tra soggetti pubblici,soggetti privati ed enti locali,ma che in una sua accezione letterale potrebbe operare come limite all’esercizio delle competenze da parte delle istituzioni scolastiche.Il sogno ricorrente di tutti quelli che vogliono disfare il sistema pubblico dell’istruzione: che vi possa dare adito,anche in un futuro lontano, un piano di rientro a scuola dopo la pandemia non puo’ non lasciare stupefatti e scandalizzati. “La sussidiarietà orizzontale si basa sul presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione ‘sussidiaria’, di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione”.(Enciclopedia Treccani on line).
  • E’ allora bisogna chiedersi se veramente sia necessario ricorrere alla sussidiarietà per rimettere in piedi il servizio scolastico e che senso abbia ancora l’autonomia scolastica alla quale è stata assegnata una tutela costituzionale,proprio per sottrarla a possibili intrusioni degli enti territoriali e dei privati.Sotto il velo della corresponsabilità educativa viene messa a rischio la specificità epistemologica e tecnica e dell’insegnamento,della trasmissione della conoscenza e dei saperi.La competenza dell’istruzione non è affidata agli enti locali e ai volontari del terzo settore,ma alle scuole.
  • Tutti nella società hanno responsabilità educative nei confronti delle nuove generazioni ,ma solo le scuole sono tenute ad istruirle.Istruire,non informare, per garantire un apprendimento rigoroso e strutturato.Nell’esercizio della funzione conoscitiva non ha senso che la scuola ricorra alla sussidiarietà ,perché perderebbe il ruolo che gli è stato assegnato nella società.L’autonomia è soprattutto elaborazione e possesso del curriculum e suona perlomeno strano affermare che le conferenze di servizio abbiano come obiettivo ultimo quello di “fornire unitarietà di visione ad un progetto organizzativo ,pedagogico e DIDATTICO,legato anche alle specificità e alle opprtunità territoriali”.L’autonomia scolastica non si declina nell’autosufficienza e nella chiusura ;si esprime nella capacità propria di connettere esigenze emergenti nel territorio di pertinenza alle indicazioni generali che delineano il compito che deve essere svolto.Un lavoro ermeneutico che la scuola puo’ svolgere perché dispone del personale che sa farlo e spesso anche senza l’esaltato contributo dei privati,del Terzo settore e degli Enti Locali.C’è del discredito nei confronti della scuola e ci sono non pochi pericoli per la sua incolumità nel ricorrente appello alla sussidiarietà e alla collaborazione educativa con tutto ciò che si muove nella società.Ragione per cui prima di organizzare una conferenza di servizio le scuole ci pensino non sette volte,ma settanta volte sette.
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Quali patti territoriali per ripartire

di Simonetta Fasoli Il riferimento è alla Legge 285 del 28 agosto 1997 – Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza Ho avuto modo di sperimentare sistematicamente forme di raccordo interistituzionale e di progettazione partecipata, attivate ai sensi della Legge 285/97, da preside di una Scuola media statale inserita nel territorio cittadino di Corviale-Casetta Mattei, a Roma. Territorio segnato da aree a forte rischio sociale, da povertà educativa e da fenomeni riconducibili alla dispersione scolastica. È stato in quegli anni, tra i Novanta e l’avvio dei Duemila, che ho visto da vicino quanto sia decisiva la cosiddetta “qualità culturale del territorio” per affrontare efficacemente i molteplici fattori di disagio sociale. Ho toccato con mano che costruire un “patto territoriale” è processo complesso, che non ammette facili scorciatoie; ho imparato che per alimentare il dialogo istituzioni diverse per livelli e finalità devono riconoscersi non autosufficienti e trovare pazientemente modi per parlarsi oltre i rispettivi steccati e linguaggi. Continua a leggere

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Promuovere la cittadinanza attiva e consapevole

di Daniele Scarampi Le persone considerano l’educazione come qualcosa che va portata a termine per poi non pensarci più, lo scriveva Isaac Asimov: proprio come si percepiscono i momenti di transizione o i riti di passaggio, nei quali si compiono azioni che sono  considerate come superate, quasi vetuste e non vengono ripetute perché date per acquisite. Diversamente, all’interno del complesso mondo educativo, l’educazione civica mira anzitutto a determinare il ruolo dei cittadini nella vita pubblica, a formarne la personalità o a incentivarne comportamenti responsabili e queste operazioni – ambiziose e strategiche – necessitano di un lungo percorso; di certo non costituiscono un momento transitorio, bensì una lenta e continua acquisizione successiva. L’educazione civica prende vita dalla lungimirante intuizione politica di Aldo Moro, riferibile a un sostrato etico che richiama i principi della Carta Costituzionale: essi non vanno solo salvaguardati, ma vanno applicati in toto perché rappresentano l’ideale morale della democrazia; pertanto l’educazione civica rammenta la funzione decisiva della democrazia nell’intuire e comprendere gli interrogativi della società; oggi, per esempio, di fronte a qualunque problema sociale (dalla crisi dell’economia ai razzismi e alle intolleranze) ci si riferisce sempre all’educazione, perché evidentemente tutti gli altri approcci volti a tutelare scelte e comportamenti democratici sono falliti. Continua a leggere

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Democrazia (etero)diretta

di Marco Guastavigna Intervengo sollecitato da una domanda di Reginaldo Palermo: chi ci governa davvero? Facebook? Rispondo subito, quasi seccamente: la governance è esercitata da chi sa meglio utilizzare gli strumenti manipolatori su cui è costruita la platform society. E questo vale anche per molte forme di pseudo-opposizione. Ora argomento. Come accennato in un’altra occasione, le mie letture si concentrano da tempo sulla critica radicale alla società che riceve forma ed espressione dalle piattaforme di intermediazione ad intenzionalità capitalistica, basate sull’estrazione di dati, sulla profilazione dei prosumer, sulla previsione e sull’induzione/ingiunzione di comportamenti, prevalentemente commerciali, ma anche – appunto – politici. Questo panorama generale richiede alcune precisazioni molto nette. Continua a leggere

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Chiamale se vuoi linee guida

di Raimondo Giunta Il desiderio di tornare  alla normalità dopo la lunga quarantena con cui ci si è difesi dal coronavirus è giustificabile, ma non dovrebbe travolgere le norme di prudenza alle quali ci si dovrebbe attenere per salvaguardare alunni, docenti e personale della scuola, considerato che non si dispone di un vaccino per contrastare il virus e che nessuno può escludere una seconda ondata della pandemia. Le linee guida per la riapertura delle scuole risentono di questa incertezza, della modestia delle risorse assegnate, dell’impossibilità di ottemperare alle indicazioni, proposte dal CTS, nel tempo irrisorio di due mesi, agosto compreso. Solo chi non ha idea dei tempi che si prendono anche le più efficienti amministrazioni può sperare che in questo lasso di tempo  si trovino aule sufficienti e idonee e il personale che manca; che tutti gli enti locali e tutti i CSA facciano avere quello che manca ed è necessario. Ciò nondimeno è evidente che alcune misure di contrasto al virus bisogna rispettarle. Compito che spetta alle regioni e ai comuni per la predisposizione degli edifici scolastici e per allestire e arredare le aule e gli spazi che necessariamente serviranno e alle singole scuole che dovranno riorganizzare le attività didattiche in funzione della sicurezza degli alunni. Continua a leggere

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Azzolina: la Ministra che lavora giorno e notte

di Aristarco Ammazzacaffè Mentre aspettiamo frementi i risultati sugli Stati addirittura Generali dell’addirittura Presidente Giuseppe Conte (siamo un paese che ama le esagerazioni), ci tocca anche preoccuparci della nostra Ministra che  – come lei stessa ha dichiarato (diretta su Skuola.net, scorsa settimana) – per star dietro a tutti i suoi impegni, lavora giorno e notte per riportare gli studenti a scuola. E questo, volendo, allarma. Perché se non dorme, né notte né giorno, uno si chiede: come fa? E soprattutto: cosa fa? Tanto che poi, chi si è fatto la domanda, fa due più due e capisce: scuole chiuse, anche quando tutto riapriva; apologia della DaD quando ormai non se ne poteva più, le uscite apodittiche sulla valutazione negli scrutini finali dove il quattro è quattro e l’otto, otto (e non ci sono santi, sia ben chiaro; vietato categoricamente ogni inversione!); e ancora: tempi e prove dei concorsi che aspettano ancora decisioni definitive, linee guida per la riapertura delle scuole che evocano addirittura antichi miti come l’araba fenice. Tutti segnali – a raffica – che la Ministra comunque c’è  e che gli studenti – a cui lei pensa sempre e ovunque   e che comunque non sono imbuti da riempire, (ma almeno, si arguisce, barrique: a dir poco); gli studenti, dicevo, le sono vicini e le scrivono in tantissimi – tanti quanti – per esprimerle gratitudine (per dire!),  ma anche per sostenerla nel suo lavoro e darle consigli che lei puntualmente annota sul suo diario che le invierà a breve il Gruppo Ufficiale ‘Bimbi di Azzolina’ (“non ci crederete, ma è vero ….”, Adriano Celentano 1968?). Continua a leggere

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Distanziamento sociale? Semmai "distanza di precauzione". Le parole sono importanti

di Riccarda Viglino Da insegnante appassionata della lingua e della potenza dei suoi significati, rabbrividisco ogni volta che sento parlare anche in ambito scolastico di distanziamento sociale e mi arrabbio proprio quando qualcuno mi spiega con condiscendenza, quella che si usa inopportunamente con i bambini e con gli anziani, che si tratta della traduzione dell’inglese social distancing. Anche perchè purtroppo lo so molto bene e non è questo il punto. Al massimo questo fatto, aggiunge la beffa al danno, inducendomi a constatare che ancora una volta copiamo pedestremente un termine senza interrogarci sul suo significato più profondo. Quale società civile può auspicare e promuovere un distanziamento sociale? E quale scuola? Entrambe sono intessute e formate da relazioni diverse e molteplici, le relazioni ne sono il cuore pulsante. La pandemia richiede di tenere le distanze dagli altri come precauzione per possibili contagi, di certo non impone di azzerare le relazioni sociali che fortunatamente hanno trovato in questi mesi strumenti e modi per realizzarsi: videochiamate, messaggi, telefonate, internet, cartelli e striscioni, poesie, musica dai balconi…. Tutto ci ha aiutato a rispondere al nostro bisogno innato di socialità, a sentirci connessi con gli altri e con il mondo, ad uscire dall’isolamento per sentirci meno soli. E gli altri ci sono mancati, la socialità quella vera, come l’aria, tanto da farne scorpacciate irresponsabili appena ne abbiamo avuto modo. Allora usiamo le parole dando loro il giusto peso, e soprattutto a scuola. Insegniamo ai nostri alunni a tenere la giusta distanza fisica di precauzione ma ricerchiamo ed inventiamo mille modi per mantenere ed incrementare le relazioni sociali all’interno ed all’esterno dell’aula. Promuoviamo e coltiviamo l’intelligenza sociale, fatta di empatia ed abilità sociali diverse ed indispensabili, intessuta di emozioni che come insegnanti dovremo saper accogliere e dar loro risposte.]]>

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