- Non si va molto lontano dalla realtà se si dice che fuori dalla scuola non ci si pone molti problemi su come debba essere esercitata la valutazione a scuola, né ci si domanda se addirittura si possa praticarla in modo diverso nei vari gradi dell’istruzione. Fuori dalla scuola è convinzione largamente accettata che in fatto di valutazione oltre quella che distingue e seleziona non possa esserci nulla di serio e che quella numerica non abbia rivali in termini di chiarezza e di precisione. Anzi si pensa che sarebbe tanto di guadagnato se gli alunni fin da piccoli venissero abituati ad essere giudicati ed educati a dare il meglio di sé e ad eccellere. A misurarsi e a competere con gli altri, perché la vita è una lotta continua e a questo bisogna prepararli, in modo che quando sarà il momento di incominciare a prendersi qualche responsabilità possano essere pronti e armati di tutto punto.
- Nell’opinione pubblica si pretende serietà e questa viene accompagnata dalla richiesta di rigore nelle valutazioni; non a caso si accolgono favorevolmente tutte le campagne contro le promozioni facili, dalla primaria alla secondaria superiore. Di mezzo c’è ancora il valore legale del titolo di studio e si pensa che solo la severità in sede di valutazione possa salvaguardarlo, per potere ancora riconoscerne gli effetti per gli impieghi pubblici e sociali ai quali si può accedere. Ne deriva una forte ed evidente insensibilità verso certe forme di esclusione sociale che possono scaturire dal modo in cui viene esercitata la valutazione. Non possono essere tutti dottori…I risultati scolastici, racchiusi in un titolo di studio, che meritano di essere apprezzati sono solo quelli per i quali si può dichiarare la loro adeguatezza agli standard delle professioni, delle attività e dei mestieri che si possono esercitare e ai quali si può accedere. Per questo genere di valutazione l’unico interesse che può esserci, di parte o pubblico, è che venga fatta in modo trasparente e con regole concordate e fatte conoscere. Continua a leggere