Comunità educante o Sistema nazionale di istruzione?

di Giovanni Fioravanti La consideravo archiviata, appartenere ad altri tempi, una sorta di attrezzo arrugginito del secolo scorso, riposto in soffitta tra la polvere delle cose da abbandonare all’usura del tempo. Poi l’espressione in questi lunghi mesi stravolti dalla pandemia ha iniziato a salire di tono, a ridondare nel lessico ministeriale e in quello scolastico: la “comunità educante”. Incuriosito sono tornato a leggere la lettera che il 27 marzo 2020 la ministra Azzolina ha indirizzato alla comunità scolastica nella quale l’espressione “comunità educante” ricorre ben due volte. Non c‘è documento ministeriale dall’inizio della pandemia in cui compaiano espressioni come società della conoscenza, apprendimento permanente, come se le nostre istituzioni scolastiche fossero calate in un altro mondo, quello ancora del secolo scorso insieme alla loro scarsa familiarità con le nuove tecnologie. Continua a leggere

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Istruzioneducazione

di Simonetta Fasoli No, non è un refuso quello che si legge nel mio titolo. È un modo per richiamare il nesso inscindibile che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, il nostro sistema scolastico. Dove comincia l’una e dove finisce l’altra? A mio avviso, si tratta di una questione mal posta e insomma indecidibile. Un fatto è certo: se si perde di vista questo tratto, si va incontro a derive che hanno radici antiche e che purtroppo sembrano allungare le proprie ombre sul presente e sulle sue prospettive. Detto altrimenti: una visione unilaterale della scuola ridotta alla sua funzione di istruzione o, alternativamente, circoscritta al suo compito educativo produce effetti perversi. La storia ce lo insegna, fino alla più stretta attualità. Nel primo caso, ecco fiorire prese di posizione, documenti che solennemente sollecitano al ritorno alla scuola delle “conoscenze”, all’ora di “lezione” come stella polare di un sistema smarrito. Come non avvertire in questi richiami il sentore allettante quanto insidioso della nostalgia? Bisogna dire con disarmante linearità che il futuro ha radici antiche, certo!, ma non sta mai dietro alle spalle. E ricordare, semmai ce ne fosse bisogno, che quella scuola reca l’impronta elitaria (userei il termine “classista”, con buona pace di chi lo ritiene obsoleto) di un sistema pensato per la riproduzione sociale, non per l’emancipazione. Continua a leggere

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Il posto giusto per qualche esercizio di libertà

di Raimondo Giunta Non credo che le classi dirigenti della nostra società siano molto preoccupate se la scuola non rende migliori le nuove generazioni rispetto a come erano quando hanno incominciato a frequentarla. A loro interessa solo che escano dalla scuola come quelle che le hanno preceduto e che fuori sgomitano, competono, confliggono, si adattano e si fanno i fatti propri. Unica preoccupazione delle classi dirigenti è che le nuove generazioni, dopo il lungo tirocinio scolastico, siano in grado di adeguarsi alle condizioni di vita e di lavoro che sono state predisposte. Significa che amerebbero avere gente che non crea problemi, che si rende utile dove e quando e ogni volta che dovranno svolgere una qualche mansione. Che siano collaborativi e anche autonomi, ma fin dove è stato stabilito che lo possano essere. Continua a leggere

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La valutazione di fine anno fra norma e buonismo

di Pietro Calascibetta Con una nota ministeriale recante per oggetto “Valutazione periodica e finale nelle classi intermedie primo e secondo ciclo di istruzione” il capo dipartimento del MIUR riepiloga tutta la normativa e le procedure di valutazione per gli scrutini. Nulla da dire, solo tre osservazioni che mi sembrano importanti anche come riflessione generale sulla valutazione. 1) La nota sembra proprio una sorta di annuncio di ritorno alla normalità. Una circolare alla “nuora perché suocera intenda” . Un messaggio all’opinione pubblica per dire che l’epoca delle deroghe è terminata, si torna alla scuola vera. E’ un prezioso documento per le scuole, sicuramente da conservare come un “Bignami”, ma nulla di nuovo è scritto che il docente e il dirigente non sappia già. Mi domando quali sono state le deroghe sulla valutazione, se non quelle relative agli scrutini dello scorso anno. Continua a leggere

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Ragionando sulla scuola dell'estate 2021

di Fiorella Paone (redazione della Rivista Insegnare) La crescita e l’emancipazione culturale di alunni e alunne è l’orizzonte di senso della scuola pubblica, secondo Costituzione. La scuola non può quindi in nessun caso essere intesa come un servizio a domanda individuale. La funzione di istruzione ed educazione è, infatti, un diritto che passa attraverso un progetto culturale che si apra al territorio e che metta al centro l’alunno/a e il conoscere insieme attraverso lo studio, la discussione, la problematizzazione, la sperimentazione e la ricerca. Questo è possibile se si avviano e sostengono processi formali di lungo respiro. Insomma, per realizzare davvero la scuola di tutti e tutte e non trasformare le differenze in disuguaglianze sono necessari interventi strutturali e sistematici. Il rapporto con il territorio ha senso ed è un’opportunità se inquadrato in un progetto curricolare e extracurricolare che individui specifici interlocutori, traguardi precisi e un sistema di azioni e interazioni di sostegno complementare e di co-partecipazione. Non tutto è scuola. Continua a leggere

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Il calcolo vivente

di Giancarlo Cavinato Si parla oggi di somministrare ‘compiti di realtà’  (=simulazioni) per costruire competenze. Tutto bene se non si tratta di artifici non emersi da reali interessi della classe. Freinet, per superare un apprendimento meccanico – quello che Guido Petter definiva ‘l’aritmetica del  droghiere’ il ‘far di conto’, il meccanismo delle operazioni),  proponeva la tecnica del calcolo vivente. Esperienze reali, che mettono in gioco le strutture logiche del pensiero. ‘La fecondità del calcolo vivente non sta solo nella sua vitalità, nel fatto che il fanciullo non sente il problema come materia estranea ma come qualcosa che gli nasce dentro, ma dal fatto che dal problema immediato nasce spesso (nasce specialmente quando gli stimoli del maestro lo mettano in evidenza) un problema più generale, più formale.[1] https://youtu.be/DtoBHXVHCkY Continua a leggere

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La libera espressione

di Giancarlo Cavinato Il concetto di ‘libera espressione’ ha avuto varie interpretazioni nella pedagogia attiva a seconda dei diversi autori, Steiner, Bettelheim, Rogers, Neill, Korczak, le teorie della creatività (Guilford), Munari… Il Movimento di cooperazione educativa ha introdotto le pratiche di liberazione attraverso le proposte di Rodari e le esperienze dei suoi maestri e maestre, Mario Lodi, Nora Giacobini, Idana Pescioli, Aldo Pettini fra i tanti. Negli anni 70 l’incontro con Franco Passatore e il Teatro Gioco Vita con le proposte di animazione teatrale (il teatro dei ragazzi)  ha dato origine a una varietà di esperienze confluite poi nella proposta ‘a scuola con il corpo’. Nell’accezione di Freinet, la libera espressione corrisponde a un progetto di interezza degli individui, che non va interrotta nel percorso scolastico settorializzando le diverse aree della personalità infantile. . Per Freinet il bambino  non è un soggetto passivo, ma neppure una creta  modellata per intervento dell’ adulto: sin dalla nascita è dotato di un potenziale di vita. Freinet usa, per esemplificare il bisogno di  potenza, la metafora del torrente che scende impetuosamente verso la pianura. Continua a leggere

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Aldo Moro moriva 43 anni fa. Si deve a lui la prima legge sull'insegnamento dell'educazione civica

Il 9 maggio del 1978, dopo 55 giorni trascorsi in una “prigione del popolo”,  veniva ucciso Aldo Moro. Il presidente della Democrazia Cristiana era stato sequestrato il 16 marzo da un nucleo armato delle Brigate Rosse con un’operazione “militare” nel corso della quale vennero uccisi tutti gli uomini della scorta (2 che viaggiavano nell’auto con Moro e 3 in una seconda auto). L’evento  tenne con il fiato sospeso l’intero Paese anche perché l’esito della “trattativa” fra lo Stato e le Brigate e Rosse non era per nulla scontato. Cogliamo l’occasione di questa drammatica circostanza per ricordare una delle iniziative più importanti di Aldo Moro, quella che risale al 1958, 20 anni prima della sua morte, quando – nella sua veste di ministro dell’Istruzione – fece approvare la legge sull’insegnamento dell’educazione civica. L’evento viene raccontato nel corso di una intervista al pedagogista Luciano Corradini. https://youtu.be/dr7gYmUhlLU]]>

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Ritorno al futuro del tempo pieno nella città educativa

di Ermanno Morello (per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare)  Scrivo di tempo pieno sulla base dell’esperienza personale di insegnante di scuola media che, per sorte fortunata prima e scelta motivata poi, ha sempre lavorato in classi a tempo pieno e prolungato. Nel cinquantenario della sua istituzione si sta avviando una riflessione articolata da parte di molti soggetti e associazioni: ripercorrerne la storia per individuare principi ispiratori e impianto didattico è fondamentale per riflettere, oggi, sul tempo e sulle modalità per l’ apprendimento, almeno nel primo ciclo di istruzione. Il rapporto della scuola con la città è fondamentale, sotto il profilo strutturale e culturale (…)  nel tempo pieno si sono gettate le basi per la futura integrazione tra scuola e territorio, che ha portato ad un vero e proprio Progetto Educativo di Territorio. [1] Data la complessità del fenomeno, in questo contributo proverò a entrare solo nell’aspetto del rapporto tra la scuola e la comunità educativa territoriale, vissuto direttamente a metà degli anni settanta del secolo scorso a Torino, quando lavoravo alla scuola media G.Baretti in Barriera di Milano, quartiere storico della periferia operaia in quegli anni sottoposto all’impatto con una immigrazione massiccia e disordinata dal sud d’Italia, come ancora accade oggi con persone provenienti da altre terre. https://youtu.be/15TT5hLJ304 Continua a leggere

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Dare un valore all'apprendimento. Come cambiare rotta verso una valutazione formativa

di Daniele Scarampi Il termine “valutazione” ha le sue radici nel participio passato latino di valére, ovverosia quel vàlitus che rimanda a un concetto ben preciso: avere un prezzo, riconoscere un valore. Tale premessa non può che presupporre la prospettiva sistemica – globale, situata e omnicomprensiva – della valutazione, che rispecchia essenzialmente un processo formativo in itinere piuttosto che limitarsi alla rilevazione o alla semplice misurazione di singoli episodi didattici. In quest’ottica, valutazione, progettazione e azione didattica sostanziano un paradigma d’apprendimento che, come ben ha raccontato la scuola di Barbiana, dà piena cittadinanza a quei saperi che non si imparano tra banchi di scuola, ma stando a contatto con la realtà in cui si vive; un apprendimento che dal reale prende lo spunto affinché ognuno acquisisca gli strumenti necessari di base per poter essere un cittadino consapevole. Continua a leggere

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