di Diego Palma
(Presidente dell’Associazione La Voce della Scuola LIVE)
Era un classico lunedì di agosto. Fermo con gli allenamenti,
pensavo alla nuova stagione calcistica intanto che la vita scorreva come sempre. Giocavo con gli amici per strada come tutti i ragazzi della mia età. Seduto su un muretto, immaginavo il mio futuro.
Pensando mi sdraiai, addormentandomi e sognando la partita della vita. In quel mondo onirico riesco a dare sempre il meglio di me. Mi vedo controllare magnificamente la palla, superare con facilità gli avversari, correre verso la rete e segnare. Gol!
Le urla di gioia del pubblico sugli spalti rimbombano.
Mancano cinque minuti al termine della partita e l’ultima azione è un calcio d’angolo a nostro favore. La palla arriva al centro dell’area, mi avvito su me stesso per eseguire una perfetta rovesciata. L’impatto con il pallone è da manuale, il portiere spiazzato, immagino già l’esultanza mentre mi accingo a cadere sul campo di gioco. Ma mentre sognavo di toccare il suolo, mi svegliai a terra, spinto dai miei amici.
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di Raimondo Giunta
La parola ci aiuta a tenere a bada, a regolare la molteplicità delle cose che fanno parte del nostro mondo e delle nostre esperienze . Ci costringe a mettere ordine nelle nostre idee, a dare una direzione alla nostra volontà.
In questo modo crea lo spazio delle nostre relazioni e la possibilità, se lo si vuole, di metterci d’accordo, di comunicare, di dialogare. Nella parola scompare la particolarità, l’individualità della cosa; vi rimane attaccata la sua essenza, l’eidos, come dicevano i greci, l’immagine che ci facciamo della cosa e che per questo diventa il significato del nome che la indica.
La parola “orale” è immediata, fisica, contestuale; si accompagna alle emozioni e le provoca. E’ la parola della conversazione, dell’ascolto, della rabbia, della gioia, del pianto. La sussurri, ma la puoi anche gridare, mettendoci tutta l’anima. la Parola scritta è di suo astratta, riflessiva, malleabile modificabile, reversibile. E’ muta e per questo adatta al dialogo interiore. E’ la parola da leggere, che è nello stesso tempo un vedere e un ascoltare, anche se la pronunci in silenzio; ma richiede tempo, richiede la separatezza del raccoglimento; richiede attenzione: risorse tutte in via di estinzione nell’universo della chiacchiera multimediale e della nostra vita quotidiana.
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di Antonio Valentino
Un contributo stimolante di Maviglia e Bertocchi per rilanciare la dimensione teatrale del mestiere dell’insegnante
Nei percorsi formativi per il personale della scuola – e probabilmente non solo – il noto studioso austriaco di leadership e apprendimento, Michael Schratz, discostandosi dalle pratiche più comuni nel suo paese (e anche dal nostro), prospetta, già dagli inizi del secolo, un modello che prevede di partire non già dalla consapevolezza di non avere competenze adeguate, ma piuttosto dalla incompetenza non-consapevole – unconscious incompetence – (essere inconsapevoli di non avere le competenze richieste) per giungere alla prima tappa: la incompetenza consapevole – conscious incompetence – (sapere di non sapere).
Pertanto la prima preoccupazione del formatore dovrebbe essere quella di aiutare le persone a diventare consapevoli dei propri bisogni. Solo questa consapevolezza (della mancanza e dei suoi risvolti negativi) permette di procedere verso la competenza consapevole[1].
La tesi sostenuta è che “il lavoro dell’insegnante sia fortemente intriso di teatralità – spesso agita in modo del tutto inconsapevole da parte dei docenti – anche se dentro un quadro contraddistinto da una serie di condizionamenti e aspettative. Quadro nel quale, come ben sappiamo, e nel libro si richiama esplicitamente, ogni insegnante, “recita la sua propria parte – un po’ come fa un attore – in base ad un personale copione[2], più o meno elaborato e più o meno efficace, rispetto agli obiettivi perseguiti”.
Dove il termine copione traduce il cosa e il come viene rappresentato nella classe, ben assimilabile ad una scena definita ‘educativa’ per le sue specifiche caratteristiche.
Il convincimento, esplicitato già dalle pagine iniziali della prima delle due parti, redatta da Maviglia, è che l’acquisizione di uncopione più evoluto raffinato e flessibile passa necessariamente attraverso una specifica formazione; a partire dalle competenze proprie della comunicazione verbale e non verbale (tratto fondamentale del profilo docente). E ciò, nonostante gli studi e le ricerche che, almeno dagli anni ’70 del secolo scorso si sono susseguite meritoriamente nel panorama internazionale e anche nazionale[3].
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di Nicola PuttilliNel bel convegno organizzato da ANDIS a Jesolo lo scorso 29 ottobre il presidente di INVALSI Roberto Ricci ha ancora una volta ricordato come la scuola primaria italiana non sfiguri affatto nei confronti internazionali, mentre si registra una caduta verticale non appena il riferimento ricade sui dati relativi alla scuola secondaria di primo grado. Nell’intervento immediatamente successivo la prof.ssa Barbara Romano di Fondazione Agnelli (entrambe le relazioni sono visibili nell’area riservata del sito dell’associazione) ha illustrato in modo dettagliato numeri, condizioni e caratteristiche di questa crisi ormai più che ventennale, esito di una ricerca recentemente pubblicata.
Così come più che ventennale è l’istituzione dei primi istituti comprensivi, nati a metà degli anni ’90 come risposta al progressivo spopolamento di alcune specifiche e circoscritte aree del Paese (comuni montani, piccole isole, ecc.).
In poco più di un ventennio quella che era un’esperienza di nicchia legata a condizioni del tutto particolari è diventata la forma organizzativa largamente prevalente nella scuola di base, verosimilmente destinata ad ulteriori incrementi, fino a rendere di fatto residuali direzioni didattiche e scuole medie autonome.
Il tutto senza riferimenti normativi particolarmente significativi se si considera che quello più rilevante può essere considerato il DL 98 del 6.7.2011 dall’eloquente titolo “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” (neanche successivamente confermato dal Parlamento), scritto in tutta fretta dal governo Berlusconi in risposta alla famosa lettera a firma congiunta Commissione Europea – BCE, nel tentativo disperato di frenare la crisi economica dilagante.
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di Raimondo Giunta
A scuola, spesso e con diverse motivazioni, l’attenzione prevalente degli insegnanti è dedicata alle proprie discipline, che di fatto finiscono per dirigere il loro comportamento e per provocare, anche per sollecitazione esterna, l’assillo di non potere portare a compimento quanto stabilito all’inizio dell’anno scolastico.
Le prescrizioni curriculari in molti casi assorbono e condizionano la didattica e le modalità delle relazioni educative. Non sono pochi gli insegnanti che ne soffrono. Vorrebbero una scuola più vicina alla sensibilità e ai problemi degli alunni. Vorrebbero una scuola aperta al mondo e invece devono sbrigarsela con una miriade di carte, che irrigidiscono la libertà di movimento di cui si nutre la buona qualità dell’insegnamento.
La scuola non riesce a trovare le parole giuste per indicare le cose, gli esseri e le relazioni che popolano lo spazio di un istituto. Ha smesso di usare quelle di una volta, ma quelle nuove nascondono la complessità della vita dei processi educativi. Avendo dichiarato la guerra a tutto il lessico etico-affettivo della dedizione, della passione, della funzione sociale del lavoro del docente per costruire l’immagine di un professionismo a 24 carati (nelle regole, nelle procedure, nel rapporto di lavoro, nel linguaggio) non si è compreso che è diventato inafferrabile il mondo su cui si lavora e per cui si lavora.
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Nelle scorse settimane su queste pagine sono stati pubblicati due articoli, diversamente interessanti, sull’ultimo libro della prof.ssa Paola Mastrocola: Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della diseguaglianza, scritto, assieme al sociologo Luca Ricolfi.
Il primo, di Franco de Anna, già nel titolo: https://www.gessetticolorati.it/dibattito/2021/10/15/signora-mia-non-ce-piu-la-scuola-di-una-volta-la-ragione-astuta-del-sociologo-illustre-e-famiglia “Signora mia, non c’è più la scuola di una volta”, ne fa largamente intuire l’argomento e il suo punto di vista. Il secondo, di Mario Maviglia: “Che disastro la scuola progressista! Non ci sono più gli ignoranti di una volta”, parte dall’articolo di De Anna per riprendere e sottolineare alcuni aspetti che gli stanno a cuore. I due articoli, felicissimi nei titoli e stuzzicanti nei contenuti, mi hanno richiamato un ‘pezzo’ ironico-satirico di Aristarco Ammazzacaffè (“Ridatemi la mia vecchia cattedra”), – pubblicato su Scuolaoggi.org nientemeno che nell’agosto del 2007 – dedicato ad uno dei libri più recensiti dell’Autrice: La scuola raccontata al suo cane.
Col permesso dell’Autore, ora in pensione, se ne ripropone la pubblicazione (con qualche taglio per asciugare il ‘brodo’), perché aiuta a capire che il vertiginoso universo pedagogico e professionale, e anche politico e sociale, dell’Autrice viene da parecchio lontano. Nella nuova pubblicazione, se ne consolida volteggiando la sua formidabile weltanshauung (come la Nostra preferirebbe dire).
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Prima, un illustre giornalista, che, ogni tre per quattro, su la Repubblica, la cita, nei suoi articoli illuminanti sulla scuola, per ricordarci che, proprio la scuola, non è più, purtroppo, quella di una volta (come le stagioni: che peccato!); poi, addirittura Piero Citati, che, sullo stesso quotidiano, fa riferimento al suo-di lei libro: La scuola raccontata al suo cane, richiamandone moderno pensiero e piacevolezza. Se ne può dubitare?
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di Raimondo Giunta
Il discorso funebre di Pericle per gli opliti morti in battaglia nel primo anno della guerra del Peloponneso, riportato da Tucidide, è un inno al modello politico democratico della propria città, prima di essere un omaggio a quanti erano morti per la propria patria.
Giustamente citato e riprodotto ogni volta che si vuole distinguere la democrazia da qualsiasi altro regime politico.
“Mi dedicherò, invece, all’elogio di questi caduti, ma solo dopo aver chiarito in primo luogo sulla base di quali principi di comportamento siamo pervenuti a questa situazione, con quale regime politico e in virtù di quali caratteristiche personali il nostro impero è divenuto grande” (La guerra del Peloponneso II 36, 4).
Un regime in cui tutti si trovano in una condizione di parità e si può eccellere negli onori pubblici per meriti personali e non per l’appartenenza ad un determinato ceto; un regime in cui coesistono la tolleranza nei rapporti privati e la fedeltà alle magistrature e alle leggi, soprattutto se sono state concepite per difendere le vittime delle ingiustizie. Un regime che assicura allo spirito numerose occasioni di sollievo dalle fatiche con gare di diverso genere e con feste religiose. Per quanto riguarda l’educazione, non ci sono costrizioni per pervenire al coraggio e per diventare capaci di affrontare i pericoli. Ad Atene, afferma Pericle, si ama ciò che è bello nella semplicità e il sapere senza mollezze e chi non partecipa alla vita pubblica viene considerato un cittadino inutile.
“E noi stessi esprimiamo giudizi o discutiamo come si deve sulle questioni, dal momento che non riteniamo che le parole siano un ostacolo per l’azione, ma piuttosto che lo sia il non essersi informati attraverso la parola prima di affrontare l’azione che deve essere intrapresa” (Ibidem II, 40, 2).
Pericle fa della democrazia il regime che rende liberi e che è sostenuto da uomini che vogliono essere liberi.
Nella mente di Pericle quel modello politico era consapevolmente legato ad un modello educativo: ”In conclusione affermo che la nostra città, nel suo complesso, costituisce un modello di educazione per la Grecia e che nella mia opinione i nostri uomini, presi individualmente, mostrano una personalità sufficiente a ricoprire con disinvoltura i ruoli più diversi” (Ibidem II 41, 1) .
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di Gianfranco Scialpi
Quando si parla del cntratto scuola, “adeguamenti” e “aumenti” sono spesso utilizzati come sinonimi.
Facendo chiarezza, si comprende la realtà sconsolante nella quale si trova il docente italiano
Contratto scuola, facciamo chiarezza sui termini
Contratto scuola. Riguarda la categoria più numerosa del pubblico impiego. Purtroppo, il patto è regolato dal D. Lvo 29/93 che purtroppo impedisce di sognare cifre esagerate. Le dichiarazioni e il dibattito pre-contrattuale è viziato da una certa confusione sulla terminologia usata. In altri termini si presentano come sinonimi adeguamenti e aumenti. Il primo ha un riferimento molto preciso: il tasso d’inflazione programmata (D.Lvo29/93) da non confondere con quella reale, sempre maggiore. Il secondo invece fa riferimento a risorse superiori al costo della vita reale. Pertanto, per il pubblico impiego e quindi anche per la scuola, non parliamo di mancati aumenti, bensì di graduale perdita d’acquisto. Il concetto rimanda alla possibilità di acquistare un determinato numero di beni e servizi con un certo reddito. Il potere d’acquisto è correlato all’inflazione. Se i prezzi aumentano (inflazione reale) e il reddito rimane inalterato, allora la nostra possibilità di acquistare gli stessi beni si riduce. Da qui si comprende il graduale impoverimento dei docenti che purtroppo dura da quasi trent’anni. Si comprendono i confronti impietosi
Un lavoro condotto dal Centro Studi Nazionale della Gilda, spazza via ogni alibi. Abbiamo perso tanto. Si legge “In 10 anni gli stipendi dei docenti italiani sono calati mediamente del 7% rispetto all’andamento dell’inflazione. Tradotto in altri termini, significa che dal 2007 a oggi le buste paga mensili si sono alleggerite di circa 170 euro lordi.”
Impietoso diventa il confronto con i paesi europei. Si legge sul sito del sindacato Anief: “In Germania e in Francia le cose sono andate ben diversamene. Il lavoratore dipendente tedesco nel 2010 godeva già in media di una retribuzione lorda più alta di quello italiano, collocandosi a quota 35.621 e nel 2017 è salito di ben 3.825 euro quota 39.446 euro. Anche il lavoratore francese nel 2010 guadagnava di più del nostro – era a quota 35.724 – e nel 2017 porta a casa il 5,3 per cento in più collocandosi a 37.622 euro”.]]>
di Giovanni Fioravanti
(per leggere altri interventi dell’autore vai al suo sito Istruire il futuro)
Pare che le ricette per cambiare l’istruzione non manchino al pensiero ben pensante. Azzerare tutto e portare indietro la macchina del tempo, c’è chi invoca cattedre e predelle e chi il ritorno al riassunto nell’epoca degli abstract. Ben pensanti che neppure si preoccupano di visitare il sito della Fondazione Agnelli dedicato alla Scuola, giusto per tentare di aggiornare i loro archetipi al fine di diradare le nebbie che offuscano la loro navigazione.
Scrivere di istruzione richiederebbe di disporre di una buona cultura almeno in scienze dell’educazione, quelle che in tutto il mondo da decenni hanno soppiantato la pedagogia. Bisognerebbe conoscere la psicologia dell’apprendimento, un po’ di docimologia, un po’ di ricerca educativa, sempre di scarso interesse nel nostro paese persino per la formazione dei docenti dalle scuole medie in su.
Immaginare di trattare più di mezzo secolo di storia del nostro sistema formativo come se il tempo, il mondo, la società fossero stati pietrificati intorno ad esso, denuncia una concezione della scuola come corpo a se stante, come tempio incontaminato, come luogo degli otia studiorum che non si sporca le mani con le cose prosaiche come il lavoro e le altre necessità materiali. Chi osa aprirne le porte come pretenderebbero di fare l’Invalsi e le indagini Pisa dell’Ocse altro non è che un profanatore del tempio e dei suoi sacerdoti.
Se qualcuno l’ha dimenticato, a scuola si va con il corpo e la mente, il primo dovrebbe trovarsi a suo agio, la seconda andrebbe impiegata in un continuo allenamento. Raffaele Simone, il linguista, alcuni anni fa nel suo libro “Presi nella rete. La mente ai tempi del web” ha sottolineato come la tecnologia, modificando il nostro modo di comunicare, ha trasformato il nostro modo di usare il corpo e la mente.
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While a man’s looks may pull in Latinas for the purpose of marital life, the woman’s education and specialist knowledge may also make a difference. Many Latinas come from countries with poor education systems, so a man must look into going back to school to obtain an advanced degree and/or operate his discipline. If a man has no college degree, this individual should consider heading back to school and obtaining a higher-level degree. This will make certain that he is keen on her traditions and standard of living.
Like a man, you must https://alldating4u.com/blog/colombian-dating-culture understand that Latinas are not always comparable to their European counterparts. The majority of European women of all ages are more mature and blonde. Asian women of all ages are generally youthful and have lighter weight skin colors. As opposed, Arab American women are generally white and straight-haired. They are a lot like their Arab brothers and have straight hair. The important thing to remember would be that the right meet is out there; you will find thousands of Latina women awaiting you to arrive and marry them!
Latinas could be beautiful and eloquent. Some would prefer to marry a man of their home country, although some may want to get married to someone via a different region. In either case, the goal is always to have a long-term marriage with a good company. A Latina woman will be content if the man she is getting married to has very good intentions, appearance, and an authentic interest in the girl culture.
While Latinas are generally beautiful and caring, there are numerous differences among Latinas and European girls. Most Eu women happen to be older and also have golden frizzy hair. Asian women of all ages are youthful and have dark skin hues. Arab American ladies are usually white, straight-haired, and show similar to all their Arabic siblings. If you are looking for the perfect match, make sure you are genuine and genuine about your hobbies. There’s no point in aiming to impress somebody you don’t just like.
When Latinas are certainly more traditional than Western women, men looking for a spouse in the Carribbean and Latina America may find a more eye-catching woman. Whilst a few Latinas want to marry a guy from their homeland, others want to marry a guy who can give their as well as culture. If this is the https://www.boundless.com/immigration-resources/k-1-fiancee-visa-explained/ case, you have to consider the customs and lifestyle on the woman you are interested in.
Latinas are gorgeous and have an array of personality types. Some love to marry men off their own nation while others wish to marry a man out of a foreign country. Despite their different skills, Latinas are searching for a long term romantic relationship with a man who stocks and shares their ideals and way of life. Should you be looking for a partner from the Carribbean, make sure you will be respectful and honest.