Case ricche, cuori vuoti

di Diego Palma presidente dell’associazione La Voce della Scuola Siamo stati rapiti e trasformati dal progresso, circondati, coccolati e viziati dalle comodità. Abbiamo sostituito il nostro intuito, con il continuo chiedere agli altri come fare e cosa dire, abbiamo perso le nostre personalità vivendo tutti giorni in vetrina appesi al giudizio altrui. Sovvertito i ruoli, soppresso le sane abitudini, il senso critico è offuscato da quello che ci propinano. Siamo diventati incapaci di amare, di riconoscere l’amore. Cerchiamo di proteggere ed aiutare chi ne ha bisogno per essere poi essere trattati con indifferenza. Non c’è più una coscienza politica, un ideale, un qualcosa a cui credere, per cui combattere. La scuola che costruisce la sua apologia, mentre nel frattempo lo stato distrugge la sua sovranità, il ruolo di docente e di discente, vengono messi in discussione nelle poche righe di un contratto che gioca al ribasso, come mercanzia i diritti vengono ridotti ad imposizione, intanto ci saranno le elezioni e le promesse vengono lanciate come ancora di salvezza di una categoria che ha macchiato in maniera indelebile la parola di “onorevole” – “politico”. Ci distraggono, costantemente con tutti i mezzi e strumenti che ci hanno fatto passare per indispensabili, smartphone, pc, tv ci allontanano. Il mondo ama condividere, mettere like ma non cerca più il confronto il dialogo … Ribadisco siamo, perché nessuno è escluso compreso me !!! Spero un giorno non dover vivere nel mondo di Matrix, imprigionato nel mio cyber profilo, condividendo byte di informazioni, per avere un like per considerarmi vivo. Io continuerò, finché posso a pensare che il mondo sia sano ed io il matto, quel matto che ogni giorno il sistema vuole curare … Oggi ringrazio Jonathan, perché mi ha fatto comprendere che non devo guarire dal mio essere io, e ringrazio Dio per tutti gli errori, per il cammino tortuoso, e perché mi ha dato il dono di vedere oltre l’apparenza, che non solo inganna ma uccide !!!  ]]>

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Verso la scuola del post-pandemia (purché non sia quella del pre-pandemia)

di Stefano Stefanel La pandemia che non vuole finire e che ricompare sempre sotto mutate sembianze, costringendo a rincorrere le emergenze, non ha permesso di trovare soluzioni a problemi vecchi e ha messo tutti davanti ad ostacoli nuovi. Se andiamo indietro nel tempo a due anni fa credo nessuno possa sostenere che la scuola, così com’era, funzionava perfettamente e non aveva bisogno di particolari interventi. Venivamo da vent’anni di riforme incompiute e di risultati certificati come non soddisfacenti e le strade che si aprivano non mostravano, comunque, porti sicuri. Due anni dopo ci siamo spostati da dove eravamo, ma i problemi si sono ingigantiti, senza che venisse in mente a nessuno una soluzione condivisa, un’idea chiara e distinta, una strada con un punto d’approdo certo. Il sistema scolastico italiano riesce ad individuare con chiarezza i suoi mali, ma stenta a trovare i rimedi; individua con altrettanta chiarezza i suoi punti di forza, ma non li fa diventare sistema, preferendo isolarli dentro una sorta di eguaglianza scambiata per equità. Continua a leggere

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Allarme rosso per infanzia e adolescenza

Per gentile concessione dell’autore e della Associazione Proteo Fare Sapere dal lui presieduta pubblichiamo uno stralcio di una più ampia riflessione disponibile nel sito della associazione stessa. di Dario Missaglia I medici, soprattutto coloro che si dedicano alla cura dell’infanzia e dell’adolescenza, la chiamano “pandemia secondaria”. Il concetto indica la vasta gamma di conseguenze psicologiche, relazionali, emotive, cognitive che risultano compromesse dal prolungarsi della pandemia. “Secondaria” dunque, non per importanza minore rispetto alla pandemia che produce ricoveri in terapia intensiva e decessi quotidiani, ma perché conseguenza  meno tangibile, visibile e quantificabile di quella primaria che ogni giorno invade le comunicazioni ufficiali. Una pandemia che sembra sfuggire la cronaca, forse per il significato anche politicamente “eversivo” che essa contiene. A differenza infatti della pandemia primaria, la secondaria non si sconfigge soltanto con il vaccino o i farmaci ma con scelte politiche, sociali ed educative che non vediamo all’ordine del giorno del governo. Basta scorrere i siti dedicati delle diverse associazioni, per rendersi conto che il livello di allarme è oramai altissimo e stridente con la realtà dichiarata. Perché, mentre grazie a una campagna vaccinale che si è fatta sempre più intensiva, sono diminuiti  i decessi, anche se crescono i contagi, sulla pandemia secondaria cala il silenzio delle fonti ufficiali. Ma la consapevolezza del fenomeno c’è perché oramai  innegabile. Ricerche condotte in tutto il mondo e con dovizia di dati e numeri anche in Europa (la nostra rubrica “Europanews” ne offre ampia documentazione), ci dicono che il prolungarsi di questa fase di pandemia, con il suo carico di ansie, paure, limitazioni, riaperture e nuove chiusure, ulteriori richiami di vaccino, incertezza sul futuro, sta producendo ferite gravi e profonde nel mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Solo per citare una fonte autorevole e istituzionale, l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, nel maggio scorso ha pubblicato il  rapporto su “Covid19 e adolescenza” in cui documenta ampiamente il processo di aggravamento delle condizioni dell’adolescenza: insonnia, abuso di alcool e medicinali, chiusura in se stessi, cyberbullismo, scatti violenti, crisi del rapporto genitoriale, stati d’ansia e depressione, episodi di autolesionismo e tentativi di suicidio. CLICCA QUI PER LEGGERE TUTTO L’ARTICOLO]]>

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“Come se niente fudesse”: la scomparsa di pluralismo e plurale e il decesso dell’analisi critica

 di Marco Guastavigna Giornata calda, oggi! Stamattina i miei tre nipoti tornano a scuola. Le due sorelle alla primaria dopo un periodo di quarantena, il terzo prima della sospensione dell’attività didattica per le festività. Stasera è annunciata una conferenza del “premier” – carica istituzionale assente nella Carta costituzionale, ma privilegiata da quella stampata e da vecchi e nuovi media, nonché dalla maggioranza dei loro consumatori – Draghi sulla “questione scuola”. I social (altro termine su cui andrebbe fatta chiarezza, visto che c’è chi associa all’aggettivo addirittura la parola “business”) ribollono. E io con essi. Tra i vari aggregatori di like, mi colpiscono in particolare due casi. Il primo è abbastanza breve, si intitola “Diventa anche tu pedagogista” e propone un gioco semantico obiettivamente divertente. Continua a leggere

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Ripensare la riapertura delle scuole in presenza

di Aluisi Tosolini Qualche giorno in 15 dirigenti scolastici abbiamo rivolto un appello al Presidente Draghi e al Ministro Bianchi chiedendo loro di ripensare la decisione di riaprire le scuole in presenza dal 7 gennaio. In 12 ore l’appello è stato firmato da 2200 colleghi. Non era e non è un invito a 15 giorni di vacanza in più. Credo che in questi ultimi due anni abbiamo dimostrato nei fatti quanto la Didattica Digitale Integrata sia e possa essere un significativo strumento di interazione educativa. Di certo molto meglio della situazione cui stiamo assistendo in questi tre giorni con un aumento impressionante di casi di studenti e docenti positivi e contatti stretti di positivi. Le regole per la gestione dei casi positivi, e dei contatti stretti, a scuola sono poi semplicemente NON applicabili. Continua a leggere

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Registro elettronico, tutto ciò che c'è da sapere

di Antonella Mongiardo Da diversi anni nelle scuole italiane è entrato in uso il registro elettronico, ma diversi aspetti di questo strumento vanno chiariti. Intanto è bene precisare che il R.E. non è obbligatorio, ma fortemente consigliato, perché sostituisce efficacemente il registro del docente, per la registrazione dei voti e di ogni altro aspetto dell’attività didattica, nonché per le comunicazioni tra scuola e famiglia. Sulla questione se il R.E. possa soppiantare anche il giornale di Classe, si può dire che, in presenza di una dematerializzazione non perfetta, la firma elettronica del docente è giuridicamente valida, ma non equivalente a quella autografa (anche in considerazione del fatto che si può apporre accedere al R.E. e apporre la spunta di frequenza da qualsiasi postazione) e il suo valore probatorio è liberamente valutabile in tribunale, nel senso che, in caso di contenzioso di qualsiasi natura, la decisione ultima spetterebbe al giudice. Per questa ragione, ogni scuola adotta una politica propria. Di questo e molto altro si parla nel vademecum realizzato da Antonella Mongiardo, dirigente scolastica presso l’IIS “L. Costanzo” di Decollatura (CZ). Clicca qui per scaricare il vademecum sul registro elettronico]]>

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Il valore educativo del dialogo

di Raimondo Giunta La scuola per certi aspetti è un luogo strano, dove chi sa fa le domande e chiede conto e ragione a chi non sa; ma dovrebbe essere il contrario e se lo fosse sarebbe, come affermava molti anni fa Guido Calogero, la scuola ideale, perché avremmo alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare. Diceva Dewey che ogni lezione dovrebbe essere la risposta ad una domanda. E’ proprio questo intreccio di domande e risposte il dialogo; è l’ascolto reciproco la buona educazione. Si domanda per apprendere, si domanda per insegnare e a nessuno dovrebbe essere vietato di porre domande, se si vuole che la relazione educativa sia una relazione dialogica. La scuola, come dice B.Rey, dovrebbe essere il luogo dove la verità di una parola non è relativa allo status di chi la pronuncia. “Le verità non derivano da un’autorità testuale o pedagogica, ma da dimostrazioni, argomentazioni e ricostruzioni. Questo modello di educazione è fondato sulla reciprocità e sulla dialettica” (J.Bruner). Il riconoscimento del valore della parola dell’alunno è il fondamento dell’educazione autentica e richiede l’attribuzione del potere di pronunciarla; richiede il riconoscimento del suo diritto di partecipare con spirito di iniziativa e responsabilità nel processo educativo. “Le persone si lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto, piuttosto che da quelle scaturite dalla mente altrui”(Pascal). Continua a leggere

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Quando la tipografia era una tecnologia avanzata. Célestin Freinet e le scuole in rete.

di Giovanni Fioravanti Ho voluto dare questo titolo per indicare la grande modernità del pensiero di Freinet. La riflessione pedagogica di Célestin Freinet si sviluppa tra le due guerre. Sono gli anni delle tre grandi crisi: quella della prima guerra mondiale, la crisi economica e sociale del 1929 e la seconda guerra mondiale. Sono anche gli anni del grande fermento pedagogico che ha caratterizzato la prima metà del secolo scorso, un fermento pedagogico che non si ripeterà più, e da cui l’Italia è tagliata fuori per via del fascismo, un ritardo che pagheremo a lungo e che ancora paghiamo. Un fermento pedagogico che nasce dalla convinzione che l’educazione è alla base della formazione di cittadini attivi, responsabili e consapevoli. A partire da John Dewey e il suo Credo Pedagogico, da Scuola e Società, Democrazia e educazione fino a Come pensiamo, un’opera su cui Freinet rifletterà a lungo per scrivere i suoi “Essai de psychologie sensible appliquée à l’éducation Continua a leggere

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C'era una volta il (vice)preside

di Rosolino Cicero Ho sempre chiamato PRESIDE i miei 6 capi di istituto incontrati da quando, nel lontano 2007, ho messo piede nella scuola statale. E dall’anno scolastico 2010/2011 – individuato dal ds protempore nel ruolo di collaboratore (primo?….vicario?…) – non mi sono mai sentito pienamente un “vice”. Già perché mentre con il preside esisteva formalmente riconosciuto il vicepreside, con l’istituzione del dirigente scolastico il legislatore non ha previsto un vicedirigente ma nessuno può negare che comunque nella realtà un “vice…qualcuno” c’è. Nonostante la scuola abbia assunto – in forza dell’attribuzione dell’autonomia – una propria personalità giuridica, tutti i miei dirigenti hanno continuato a sentirsi presidi e nelle relazioni mi hanno riconosciuto un loro “vice”. Continua a leggere

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C'era una volta il preside

di Raimondo Giunta Ho fatto sempre una grande fatica a immedesimarmi nel mestiere di preside e siccome non me l’ha prescritto il medico, ho cercato di farlo nel modo migliore possibile. L’ho praticato con dedizione e sempre l’ho vissuto con un certo distacco. Il mio disagio è cresciuto in modo esponenziale con la dirigenza scolastica, che tra i pochi non desideravo per vari motivi che cercherò di esporre. In nessun modo, poi, avrei cambiato un nome così bello e pregnante di significato, come quello di preside (prae-sedes, prae-sidium=chi sta davanti, chi è presidio etc) per uno dei tanti participi presenti che pretendono di diventare sostantivi… La dirigenza, peraltro, di tipo prevalentemente amministrativo, seppur colorata con tutte le forme di retorica aziendalistica, era l’espediente che si era trovato per sfuggire al contratto unico della scuola e dare ai presidi l’agognato, meritato e giustificato riconoscimento economico per le responsabilità che erano e sono in capo al ruolo di chi dirige e rappresenta una scuola. Continua a leggere

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