Saper scrivere, per mettere ordine nelle nostre idee

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di Raimondo Giunta

La parola ci aiuta a tenere a bada, a regolare la molteplicità delle cose che fanno parte del nostro mondo e delle nostre esperienze.
Ci costringe a mettere ordine nelle nostre idee, a dare una direzione alla nostra volontà. In questo modo crea lo spazio delle nostre relazioni e la possibilità, se lo si vuole, di metterci d’accordo, di comunicare, di dialogare. Nella parola scompare la particolarità, l’individualità della cosa; vi rimane attaccata la sua essenza, l’eidos, come dicevano i greci, l’immagine che ci facciamo della cosa e che per questo diventa il significato del nome che la indica.

La parola “orale” è immediata, fisica, contestuale; si accompagna alle emozioni e le provoca.
E’ la parola della conversazione, dell’ascolto, della rabbia, della gioia, del pianto. La sussurri, ma la puoi anche gridare, mettendoci tutta l’anima. la Parola scritta è di suo astratta, riflessiva, malleabile modificabile, reversibile. E’ muta e per questo adatta al dialogo interiore.

E’ la parola da leggere, che è nello stesso tempo un vedere e un ascoltare, anche se la pronunci in silenzio; ma richiede tempo, richiede la separatezza del raccoglimento; richiede attenzione: risorse tutte in via di estinzione nell’universo della chiacchiera multimediale e della nostra vita quotidiana.

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La giornata della libertà senza libertà

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Giuseppe Bagni

(per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare)

Non sorprende che il nuovo governo riproponga il mantra storico delle destre sul comunismo e la sua storia, sorprende che lo faccia il Ministro dell’istruzione che sarebbe tenuto a garantire la libertà di insegnamento e la qualità dell’apprendimento nella scuola.
Il ministro con la sua lettera ci offre un ottimo esempio di quello che non deve mai fare un insegnante: dare un giudizio sul passato e imporre una visione ufficiale della storia invece che garantire gli strumenti per saperla leggere.

La scuola, in un paese democratico, si fonda sul pluralismo delle idee, sulla piena libertà di esprimerle e metterle a confronto. Se proprio vuol scrivere di storia, il Ministro si ricordi che essa ci insegna che è caratteristico dei paesi non democratici proporre un’ideologia di Stato e avere ministri incaricati della propaganda.

Il professor Valditara lasci le lezioni agli insegnanti. Che se tratteranno del percorso accidentato e tortuoso della libertà nella storia parleranno della caduta del muro di Berlino come il momento di una svolta epocale, non dimenticando tutti i momenti che nella storia europea, e anche del nostro paese, hanno segnato l’avvento di regimi nemici della libertà e della democrazia.

Non possiamo non commentare le parole del Ministro, ma vorremmo evitare di commettere ancora una volta l’errore di inseguire l’agenda delle priorità che stabilisce il governo. Prima il nuovo Ministero del Merito, poi la Giornata della Libertà.
Non sono questi i problemi veri della scuola, tantomeno del Paese. Queste sono uscite identitarie alla pari del decreto “rave”, delle navi Ong e migranti, dell’ergastolo ostativo, del tetto al contante, delle trivelle libere, dei medici novax in corsia, e degli altri provvedimenti che arriveranno con la stessa logica.
Segnali di fumo per indicare il cambiamento, ma anche tanto fumo negli occhi che testimonia un’impotenza verso le emergenze e i problemi reali.

Ma vogliamo davvero parlare di “libertà”? Se il ministro permette, gli spieghiamo noi qual è la libertà che vogliono i nostri ragazzi e le nostre ragazze.
La libertà di immaginare un futuro dove realizzare le proprie aspettative, che liberi dalla prigionia di un presente fatto di lavoro precario senza un domani.
La libertà di vivere al sud e nelle tante altre zone “disagiate” del nostro Paese senza portarsi sulle spalle quel disagio per tutta la vita.
La libertà di crescere in Italia senza dover scappare all’estero per trovare uno straccio di lavoro dignitoso. Oggi gli italiani che se ne vanno sono più degli stranieri che arrivano e dei fuggiti dall’Italia 1,2 milioni hanno tra i 18 e i 34 anni.
La libertà di sentirsi a casa nella propria scuola, “meritevoli tutti” di essere accompagnati fino dove consentiranno le potenzialità di ciascuno e ciascuna.

Non serve loro una Giornata della Libertà, serve una prospettiva di libertà. La storia è importante, ma non festeggeranno la caduta di un muro del passato quando tanti se li trovano davanti nel presente e tanti ne troveranno nel futuro.

Portfolio e pregiudizio

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di Marco Guastavigna

Lo dico spesso, forse troppo: io ho avuto la fortuna di cimentarmi con un percorso formativo, culturale e professionale lontanissimo dalla mia laurea in Lettere, nel 1975, il cui unico (ed esclusivamente funzionale) passaggio tecnologico fu la battitura a macchina della tesi di laurea in bozza, con successiva normalizzazione in copisteria.

L’incontro con i dispositivi digitali avvenne dopo e per caso: a scuola c’erano un collega e uno studente dotati di Spectrum Sinclair e sotto casa aprì un negozio – siamo a metà degli anni ’80 – che vendeva Commodore 64. E così ho cominciato l’esplorazione, che continuo tuttora: cercare senso e significato con valenza intellettuale, politica e didattica analizzando e valutando aspetti operativi e cognitivi. E rifuggendo dagli slogan del pensiero unico della mistica dell’innovazione, la peggior forma di dominio tecnocratico possibile.

In quegli inizi accadde però un episodio che avrebbe dovuto mettermi sull’avviso su ciò che mi aspettava: ero in una scuola media, nell’aula degli audiovisivi, attigua a quella dove erano collocati un paio di C64 e alcuni Olivetti M24, quando entrò un’ausiliaria che non mi aveva mai visto prima. Vedendomi trafficare con quegli oggetti mi disse: “Lei deve essere il nuovo insegnante di educazione tecnica”. Non ricordo se delusi questa fortissima e limpida convinzione, ma l’aura che emanavo allora mi ha perseguitato per tutti i decenni successivi.

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La lingua italiana ai tempi del web

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di Rodolfo Marchisio

Di cosa si parla nel nostro percorso di formazione

Nel nostro percorso  di riflessione e discussione previsto sul tema Come il web cambia il nostro linguaggio, presentato nell’articolo La lingua italiana ai tempi del web ed esemplificato nell’articolo  Come il web cambia la nostra lingua intendiamo dialogare insieme sui temi di linguistica, cittadinanza, cultura digitale legati al campo di ricerca che proponiamo.

Partendo da 4 obiettivi ed approfondendo insieme i 4 filoni che si possono sviluppare anche in base all’interesse espresso dai partecipanti tramite il form d’iscrizione.

Premessa. La lingua cambia con l’avvento del web e questo cambiamento coinvolge:

Informazioni, conoscenze, pensieri, modo di ragionare e di agire
ma anche
percezioni, emozioni, sentimenti, relazioni, amicizie, modo di essere.

Questo significa che ci cambia sia come persone, nella nostra vita individuale, sociale e relazionale,
sia come cittadini negando o modificando comportamenti legati a diritti.
E che questi cambiamenti sono intrecciati fra loro e legati anche all’influenza del web.

Filoni 1. – Lingua (lessico, grammatica, linguistica) e informazione.  

  1. La lingua come gioco di costruzioni
  2. Semplificazione attuale della lingua italiana (ipotassi/paratassi)
  3. Scomparsa di modi e tempi del verbo e democrazia
  4. La riduzione del vocabolario
  5. La lingua dei giovani
  6. SMS, abbreviazioni, lapidi, Placiti cassinesi
  7. Neologismi, parole straniere, gergo social
  8. Decalogo dell’informazione – Paone
  9. Le regole della disinformazione – Choamsky
  10. Riflessioni sulla lingua – Ghemo

Filone 2- Lingua, democrazia e cittadinanza

  1. Il rapporto numero e qualità delle parole e democrazia
  2. Influenza del linguaggio sulle competenze chiave
  3. Alice nel paese delle meraviglie – le parole e il potere
  4. Le parole (anche online) sono “fatti” ed hanno conseguenze reali
  5. Come la lingua influenza il modo di pensare
  6. Parole e potere: le neo-lingue
  7. Post verità e percepito
  8. Svalutazione della conoscenza e della competenza
  9. Nuove competenze linguistiche digitali

Filone 3 – Come il web ha modificato la lingua italiana

  1. Parole chiave della lingua
  2. Accademia della Crusca – Video sul tema.
  3. Lingua del web: aggressività e mancanza linguaggi non verbali. Wallace.
  4. Il linguaggio del corpo ed il tono della voce
  5. Il linguaggio (e il gergo dei social)
  6. Emozioni ed emoticon
  7. Parole ombrello (digitale, libertà, democrazia)
  8. Post verità, fake news e parole dell’odio. L’odio in rete.

Filone 4- Scrivere e leggere online. La lingua del web

  1. Caratteristiche e regole della lingua online
  2. della Crusca: varie forme di comunicazione mediata dalla rete.
  3. Il mezzo influenza lo scritto: breve, semplificato nei SN, più lungo e complesso nei siti ufficiali
  4. Lettura spezzata o multimediale
  5. Il rapporto testo e interfaccia
  6. Lessico: nuove parole per nuove cose (hastag), anglicismi, sigle (FB), parole da azioni (cliccare).
  7. La famiglia del web (webmaster…)
  8. Vecchie parole, nuovi significati (Virale)
  9. Tormentoni e regionalismi.
  10. Linguistica e letteratura del coding
  11. Libro e/o e book
  12. Stili di lettura off e online
  13. Leggere e leggere online
  14. Lettura ipertestuale
  15. Scrivere e scrivere online
  16. Scrittura online. Regole, caratteristiche, consigli
  17. La disintermediazione: tutti scrittori. Si ma…
  18. Il nuovo linguaggio dei giovani multimediale dei giovani.
  19. I vantaggi della scrittura ipertestuale e della scrittura collettiva o a più mani.

Con questo articolo speriamo di fornire un possibile schema di riflessione e di dare ai partecipanti la possibilità di indicare i filoni per loro più interessanti, che possono indicare  in fondo al form per una migliore contestualizzazione del lavoro comune.

Alcuni link

https://accademiadellacrusca.it/
https://accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/parole-nuove/ https://accademiadellacrusca.it/ricerca?key=web&tipo=consulenza%20linguistica
https://concetticontrastivi.org/2022/10/27/la-dimensione-collettiva-dellinformazione/

 

 

 

Nei Collegi, ormai e sempre più spesso, voto contro

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di Carlo Baiocco

… poiché l’insegnamento, ahimè, è ormai ridotto ad uno stolto corollario di mere attività accessorie di un mansionario impiegatizio eletto addirittura, in modo vessatorio ed imbecille, a criterio di valutazione dei docenti, i quali fra l’altro non dovrebbero neanche resistere più di tanto; infatti … col pensiero unico del prossimo governo, continuando così, la Scuola, che ormai è in agonia ed al cui capezzale siedono ormai sudditi, prostrati, attoniti, avviliti, inquieti e rassegnati, avrà cessato anche di respirare! …….

… poiché non voglio avallare Pro-getti insulsi, fumosi, demagogici ed insensati che mi fanno Pro-gettare ovvero Pro-vomitare dal momento che favoriscono unicamente il dilagare di un’ignoranza grassa!

…poiché, nonostante la mia continua, viva, disperata ricerca, non ho ancora “interiorizzato” l’enorme importanza ed il senso profondo e sacrale delle tante Celestiali Divinità che Sapienti Demiurghi da tanti anni ci offrono: delle provvidi Prove Comuni “Oggettive; della radiosa “standardizzazione” dei “saperi” e della “valutazione”, della luminosa Didattica per “Competenze” e dell’ancor più radiosa “Alternanza Scuola-Lavoro”, che senz’altro schiudono a noi il “Sol dell’Avvenire” e, soprattutto, mondano ogni ignoranza; delle provvide “Griglie” di “Valutazione”; degli altamenti necessari ed insostituibili Bonus, FS, FdI, “RAV”, “PON”, “PDM” e Regionalizzazione.
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Il merito non si addice alla scuola

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di Mario Ambel

Il dibattito.

In fondo è naturale che in un paese afflitto da pratiche pervasive di nepotismo, clientele, piccoli e grandi privilegi e impunità di ogni tipo, il merito susciti un moto di interesse, assurgendo a simbolo salvifico di piccole e grandi ansie di riscatto. In un paese dove “merito” –  spesso proprio negli ambiti che se ne fanno paladini: l’accademia, la politica, il mercato del lavoro – si coniuga tendenzialmente assai più con privilegio (che sarebbe in realtà il suo contrapposto) che con equità (che gli si oppone per altri versi), il merito è l’emblema più rappresentativo del mito del contrasto ai privilegi di casta, attraverso la competizione sana e governata da regole certe e condivise e da condizioni paritetiche di partenza, così come l’eguaglianza è l’emblema più rappresentativo del mito della eguale dignità e integrità degli esseri umani, indipendentemente dalle condizioni di nascita, dai contesti di crescita e dagli esiti inevitabilmente diversificati che ne derivano. In fondo la navigazione umana nelle democrazie occidentali si muove fra questi due opposti, spesso in acque tempestose. Trovare un equilibrio soddisfacente non è certamente facile. Ma è di certo il dovere primo degli stati democratici fondati sul diritto e sull’eguaglianza della legge per tutti.
Mi interessa qui solo in parte ragionare attorno a che cosa sia, a come vada intesa e giudicata la categoria generale del “merito”, ovvero se sia una garanzia o un sovvertimento dei suoi complementari e antagonisti dialettici, il privilegio e l’eguaglianza.

Al riguardo esiste una ricca bibliografia e, a onor del vero, per onestà intellettuale, anche i fautori del merito devono riconoscere che, nella letteratura sul tema, le riserve, le preoccupazioni e le perplessità, anche tra i fautori, prevalgono di gran lunga sulle propensioni e men che meno sugli entusiasmi.
Non così nel dibattito politico e giornalistico, dove il merito, soprattutto dopo la vittoria del centrodestra, ha fatto rifiorire schiere di fautori, facendone persino uno strumento di lotta alle disuguaglianze sociali e “al classismo”. 

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Il merito e i diversi contesti. 

Tralasciando un attimo la politica, che ha un modo inevitabilmente di parte e spesso pregiudiziale di trattare concetti e prospettive, certo è considerevole la schiera degli intellettuali, degli opinion maker e dei maitre a penser che sui maggiori quotidiani, nelle riviste, sui social si sono schierati dall’una o dall’altra parte, a difesa o a condanna (nel complesso più a favore) dell’impiego del merito come principio ispiratore e categoria interpretativa delle finalità e delle pratiche della scuola pubblica. Perché di questo si tratta o si sarebbe dovuto trattare.

Può essere interessante analizzare la validità del merito come categoria giuridica, sociologica, psicologica, organizzativa, gestionale. Ma il mio è un problema diverso e potrei esprimerlo così: la categoria del merito, comunque la si intenda, è applicabile alla scuola? Direi di più: è pertinente con la scuola? Ovvero, mi chiedo se è applicabile alla scuola, ancor prima di valutare se il farlo crea vantaggi (come vorrebbero i fautori) o danni (come sostengono i detrattori).
Lo dico per ricordare che all’origine del contendere c’è la denominazione del Ministero dell’Istruzione e quindi la sua identità e i suoi fini e non quelle della convivenza civile  nel suo complesso, oppure di un condominio o di una azienda o di una squadra di calcio o di una compagnia teatrale o di una gara in un qualsiasi ambito che preveda alla fine vincitori e vinti e relativi premi e retrocessioni. Lo dico anche perché, a mio parere, non è opportuno applicare la categoria del “merito” in modo eguale a questi diversi contesti, a meno che la si consideri una sorta di valore universale, come il diritto alla vita, alla salute, alla libertà personale e che quindi sia applicabile in modo efficace e coerente a ogni contesto, salva la restrizione del non recar danno ad altri. E anche qui sarebbe interessante chiedersi se la categoria del merito, anche qualora equamente applicata, ancorché sia possibile, sia tale da recare o non recare (ulteriore) danno a chi “non è giudicato meritevole”.
E dunque questa è la prima questione da porre: la categoria del merito è universale e non contrattabile, non relativizzabile ai diversi contesti, oppure no? Perché talvolta si ha la sensazione che i difensori del merito ne facciano una sorta di categoria universale da cui discendano conseguenze applicabili indifferentemente a ogni contesto del consorzio umano. Ma così non è. Se, nel quadro di regole che governano il calcio professionistico, per esempio, è auspicabile che in campo scendano gli undici che in quel momento l’allenatore reputa più meritevoli di giocare e se è legittimo (o comprensibile) che quelli fra loro che rendono di più in termini economici alla società siano pagati meglio, non è detto che, nella squadra di dilettanti che giocano per il piacere di farlo e senza far molto conto sul risultato e i guadagni, non sia il caso che ogni tanto giochino anche i meno bravi e redditizi. Che magari, così, migliorano anche un po’. Dipende da che cosa ci si prefigge dallo scendere in campo.

Il seguito dell’articolo nel sito della rivista Insegnare

Come il web cambia la nostra lingua

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di Rodolfo Marchisio

Come il web cambia la nostra lingua.[1]

La lingua del web ed i linguaggi non verbali. Spunti per una riflessione sull’e-taliano.[2]

Lingua: aggressività e mancanza dei linguaggi non verbali nel web

 “Abbiamo avuto migliaia di anni di evoluzione per prendere confidenza con le interazioni umane in contesti faccia a faccia, ma appena due decenni per il mondo online diffuso su larga scala che ora è il luogo dove si svolge molta dell’interazione umana, con strumenti del tutto diversi.”
Quando si comunica online, la gente non solo sembra più brusca e aggressiva, in realtà lo è davvero.

A volte ci si dimentica che il tono, nelle comunicazioni più tradizionali, è veicolato con i segnali non verbali, le espressioni facciali, ma anche la postura del corpo, il contatto visivo, la voce, per esempio.
In assenza di questi segnali, online è più difficile esprimersi in maniera sottile, quindi le comunicazioni appaiono più brusche e aggressive”. Wallace, psicolinguista

Le comunicazioni online possono essere facilmente fraintese

Online, siamo insomma meno capaci di interpretare le comunicazioni testuali con precisione, anche quando il mittente pensa che il significato dovrebbe essere ovvio.
Questo accade con il sarcasmo, l’ironia, per esempio.
È molto difficile identificare con precisione un commento sarcastico in una e-mail (o in un messaggio scritto online NdA), una mancanza che può generare interpretazioni errate eclatanti.

Linguaggi non verbali in rete

Manca il contatto faccia a faccia, ma c’è anche

  •  la distanza fisica,
  • l’incertezza sul pubblico che ci vede e ci ascolta,
  • la percezione dell’anonimato (e della impunita NdA) Entrambi presunti.
  •  la mancanza di un feedback immediato e gli strumenti di comunicazione che usiamo si basano principalmente su testo e immagini.

” Al tempo stesso Internet è un motore senza precedenti d’innovazione, connessione e sviluppo umano“.

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