Ancora dalla parte delle bambine

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Cinzia Mion

“Ancora dalla parte delle bambine” è un libro di Loredana Lipperini,  con prefazione di Elena Gianini Belotti.
Il significato del titolo del libro della Lipperini palesa che purtroppo tutto è ancora drammaticamente vero!
La scoperta che la Lipperini mette in luce provocandoci un risveglio brusco  consiste nel prendere atto che, lungi dal coltivare il progetto della propria autorealizzazione, molte bambine/ragazzine/adolescenti attuali hanno come modelli  le famose fatine Winx, le altrettanto famose bambole(si fa per dire ) Bratz e i filmati Sex and the city!

Di conseguenza che cosa sognano di essere le “nuove”bambine?”
“Le loro bambole sono sexy  e rispecchiano o (inducono) i loro sogni: diventare madri, ballerine, estetiste, mogli di calciatori…”recita il quarto di copertina.

Da un’intervista fatta ad un’aspirante miss Italia il libro citato riporta l’affermazione che il  desiderio più vivo  “è quello di sposare un miliardario…”
Che l’obiettivo sia il successo,  il quale servirà a portare ad un ottimo matrimonio, fa capire che niente è cambiato!  Soltanto  il mezzo per riuscirvi appare uno solo: l’avvenenza fisica.
Anche la laurea servirà a costituire “la pedagogia del sapere femminile come ornamento”

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Dalla parte delle bambine, un libro che ha sconvolto il mio modo di pensare e di essere

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di Maurizio Parodi

“Le radici della nostra individualità ci sfuggono; altri le hanno coltivate per noi, a nostra insaputa”

Dalla parte delle bambine è il libro che più di ogni altro ha sconvolto il mio modo di pensare e di essere.
Prima di incontrare, giovanissimo, Elena Gianini Belotti, credevo in una complementarità dei sessi, perciò dei ruoli anche sociali, di matrice cattolica, invero profondamente discriminante, giacché basata su stereotipi psicologici dei quali, a torto, si rivendicava la natura deterministicamente biologica.
Equivoco, ancora oggi alimentato da ideologie e da politiche subdole giacché in apparenza benevole, paternalistiche, ma nel profondo regressive e violente, dissolto dalla scoperta di come le differenze tra maschio e femmina siano per molta parte frutto di condizionamenti culturali che l’individuo subisce ancor prima di nascere e nel corso del suo sviluppo.
Forse una banalità per molti uomini e per molte donne che vivano in “occidente” ai giorni nostri, o forse no, visto che persino nei paesi formalmente più civili l'”uguaglianza” dei diritti, pur enfaticamente proclamata, è di fatto impedita dalla perdurante diseguaglianza delle reali opportunità, come dimostra, ancor prima della presenza femminile (ineguale) ai vertici delle stesse istituzioni politiche, la semplice distribuzione (ineguale) dell’impegno domestico, dai lavori di casa alla cura dei famigliari (laddove si può ben dire che il privato è politico).
Un rivelazione sconvolgente, appunto, per un giovane maschio degli anni settanta che ha segnato non solo la visione del mondo, l’impegno politico, bensì le relazioni tra pari, con le amiche e le compagne, anche di vita, così come i comportamenti quotidiani, le azioni solo apparentemente più prosaiche.
Una consapevolezza, attiva, vissuta anche sul piano professionale, in ambito pedagogico e didattico, sapendo che non si tratta di «formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene».
Grazie Elena: che la terra ti sia leggera!

Elena Gianini Belotti: la sua vicenda intellettuale, il suo lascito

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di Simonetta Fasoli

La recente scomparsa di Elena Gianini Belotti, dopo una lunga e intensa vita, ha comprensibilmente riacceso l’interesse per la sua opera e i frutti che ha disseminato: come dimostrano i tanti commenti che si sono subito avvicendati anche sui social. Emerge, nel ripercorrerne i passaggi, un ritratto ricco di sfaccettature e di “digressioni” che conservano comunque una profonda unità e coerenza di ispirazione. A cominciare dalla sua prolungata esperienza nel Centro Nascita Montessori, che diresse dal 1960 al 1980. Lo possiamo considerare un inizio significativo di cui, in qualche modo, recano tracce le diverse sue opere, che hanno spaziato dalla saggistica, alla narrativa, alla ricerca storica condotta con originalità di approccio.
E’ noto il suo esordio presso il pubblico più vasto, con il saggio Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita (1973). Un notevole successo editoriale, che evidentemente intercettava e portava a una sistematizzazione tematiche e problemi di quegli Anni Settanta che sarebbero stati segnati da un fervore intellettuale diffuso, anche nel campo dell’educazione e della riflessione di genere. Come indica con mirabile sintesi il sottotitolo del libro, si trattava di “sbanalizzare l’ovvio” dei modelli (femminili ma anche maschili) cui era ispirata l’educazione tradizionale, mostrandone la matrice culturale e mettendo in discussione ogni concezione “naturalistica”. Questo sullo sfondo di una riflessione sulla funzione decisiva dei primi anni di vita, che aveva certamente illustri precedenti ma che, nel caso di Gianini, si innesta sulla preziosa esperienza del Centro Nascita, a sottrarre alle sue posizioni qualsiasi rischio di ricostruzione puramente accademica. Con ciò si spiega, anche, l’impatto duraturo che il testo ha avuto sulle diverse generazioni di insegnanti, educatori/educatrici, genitori.
Seguono opere che ancora oggi possono stupire per acutezza di analisi e per attualità di prospettive, come (per citarne alcune) Prima le donne i i bambini e Non di sola madre, che è posteriore di dieci anni alla prima e più conosciuta opera. In tutte emerge e viene variamente articolata la sua appassionata e documentata ricerca sui modi e le categorie di interpretazione volti a de-costruire ogni “mistica” sul femminile e la maternità, giustamente individuata come veicolo di un potere patriarcale mai rassegnato alla propria progressiva irrilevanza: un potere di cui, si badi bene, sono vittime anche i maschi, tanto più in quanto lo esercitano secondo un determinismo culturale che non lascia margini a esperienze e a processi di individuazione.

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E’ ora di andare …

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di Carlo Baiocco

I ragazzi, nonostante i loro notevoli cambiamenti, nonostante siano generalmente sempre più demotivati, smarriti, disorientati, trascurati e sofferenti e, molte volte, malgrado anche i loro assenti, lamentosi, pretenziosi, iperprotettivi, invasivi ed intrusivi genitori, sono e restano pur sempre meravigliosi e combattivi, ma la Scuola ormai, ospitata spesso in strutture penose, fatiscenti e non a norma, spinta e ridotta a pie’ sospinto in vincoli, catene e macerie da sterili, ripetitivi, pressanti mansionari impiegatizi, da prepotenti, manichee standardizzazioni ipervalutative, da tassonomie fuorvianti e demagogiche, da sigle vuote ed insensate e da normative fortemente illiberali, dissennate e mortificanti ed abitata per lo più da dirigenti saccenti, presuntuosi, incapaci, inetti, evanescenti ed autoritari ed insegnanti sudditi proni, cortigiani imbelli e del tutto indifferenti allo sfascio, è ridotta pressoché ad un deserto di sentimenti oppure, sempre più spesso, ad una barbarie di sentimenti.

Quasi tutti tacciono, chi può fugge e chi non può vorrebbe fuggire!
È ora che chi, come me, ne ha conosciuto l'”età dell’Oro” e ci si dibatte, sia pure rannicchiato in buna nicchia in cui più nessuno, per indifferenza, deferenza e timore, ha l’ardire di rompergli i gabbasisi, si faccia finalmente da parte!… da brillante, aggiornato, preparato, attivo, fattivo, appassionato protagonista ad inquieto, ribelle, oppositivo antagonista ed, infine, a rassegnata comparsa scomparsa!
Il mio pregresso “curriculum scholae” è davvero vittorioso, assai vasto ed “alto”, ma il mio cuore, ora, è davvero assai perdente e straziato!

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La scuola che vorrei

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di Raimondo Giunta

L’erba voglio non cresce e non è mai cresciuta da nessuna parte e tantomeno a scuola. La scuola che volevo, però, mi ha aiutato nei tanti anni di servizio a superare le difficoltà del momento e a rendere migliore quella che abitavo.
La scuola è oggi in rotta di collisione con la vita quotidiana delle famiglie e dei giovani; gli orari, il calendario, la struttura fisica degli istituti sono espressione di un ordinamento, compatibile con altri ritmi di vita, con altre regole sociali, con altre tendenze dei rapporti umani. L’attuale struttura della scuola è lo specchio della società come era qualche decennio fa.

Alla radice del disagio scolastico, che può debordare in degrado, si trova questa crescente contraddizione tra quotidianità e scuola, bisogni riconosciuti della società e organizzazione scolastica.

La scuola italiana ancora oggi in moltissimi casi è fisicamente preordinata alla sola attività didattica delle lezioni. In molte scuole non si può fare nemmeno l’educazione fisica per mancanza di palestre; non si fa decentemente ricreazione per mancanza di cortili; sono entrati i laboratori, ma non ancora la didattica laboratoriale.  Se funzionasse bene, ma non è così, essa sarebbe funzionale solo ai compiti di istruzione, alla formazione intellettuale, ma oggi tutto questo, per quanto importante possa essere, non basta. I giovani in questo particolare momento della società hanno bisogno di qualcosa di più. Hanno bisogno di cura della persona, dell’attenzione a tutti gli aspetti non intellettuali della loro formazione(sensibilità/affettività/valori).

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Autonomia differenziata e equivoci culturali, politici, istituzionali

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disegno di Matilde Gallo, anni 10


di Franco De Anna

La questione della “autonomia differenziata” è oggi alla attenzione del dibattito politico, culturale,
istituzionale, perché ha assunto il significato di una rivendicazione esplicita da parte di alcune
Regioni italiane tra le più rilevanti sotto il profilo economico e sociale, che chiedono, sia pure con
differenze significative, un ampliamento della devoluzione e una estensione delle loro titolarità rispetto alla ripartizione con lo Stato
Una parte significativa della alleanza politica che supporta il Governo generato dall’ultima
consultazione elettorale dei cittadini italiani, si batte, e da tempo, per la costruzione di prospettive e strumenti di autonomia differenziata da riconoscere alle Regioni italiane.
La “rivendicazione” politica, è storica per il movimento della Lega e la sua ispirazione federalista
(almeno nella versione “originale”), ma acquista oggi significati e valori che occorre reinterpretare e ricollocare nella attualità politico culturale, sociale, economica, profondamente diversa dal contesto nel quale fu inizialmente formulata.
Basti ricordare che quella rivendicazione originale si inseriva nella “novità” costituita dall’intreccio tra Riforma Costituzionale (il Titolo V e in particolare art.117, il “nuovo” ruolo delle Regioni) e il processo della riforma della Pubblica Amministrazione rielaborata attraverso la cosiddetta “Legge Bassanini” (la Legge 59/97, con le sue successive “interpretazioni”, fino al 1999). (1)
Il contesto politico, culturale, istituzionale dei primi anni “interpretativi” di quell’intreccio tra
riforma PA e Riforma Costituzionale è oggi “strutturalmente” diverso, e dunque è necessario
rielaborare diversi significati che acquista l’attuale confronto.
O meglio “rileggere” i significati culturali, politici e istituzionali entro i processi “strutturali” che
hanno modificato la “materialità” delle condizioni sociali, economiche, produttive, che stiamo
attraversando.

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Disciplinarismo e pedagogia

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di Stefano Stefanel

Il dibattito sulla valutazione formativa, i richiami alla valorizzazione del merito, l’idea che lo studente migliore è quello che studia sulla carta e solo se autorizzato va sul web, il concetto di apprendimento inteso come forma guidata di conoscenza, i miliardi riversarti sul digitale ma collegati ad una cultura proibizionista sull’uso dei dispositivi di proprietà, il concetto vago di divari territoriali collegato ad azioni di recupero finanziate prima ancora di essere decise, la richiesta di finalizzare il sapere al proprio futuro anche se nessuno sa indicare quale sarà sono tutti elementi dell’attuale contemporaneità che cozzano contro lo scoglio da aggirare: la pedagogia.

In teoria disciplinarismo e pedagogia dovrebbero essere strettamente collegate: se voglio insegnare qualcosa devo avere a che fare con un contenuto e questo contenuto sta per forza dentro una disciplina, che, a sua volta, richiede un determinato metodo per essere insegnata, cioè la pedagogia dovrebbe servire per transitare contenuti (e abilità e competenze che ne seguono) dalla mente di un sapiente alla mente di un non sapiente. Difficilmente vado ad imparare qualcosa che già so, difficilmente qualcuno mi insegna ciò che pensa io sappia o ritenga io debba sapere (i prerequisiti).

Da oltre cento anni la pedagogia è stata considerata una “materia” a sé stante, non necessariamente collegata al suo compito: far apprendere. Infatti, in alcune scuole si studia la pedagogia come una forma di pensiero filosofico minore, interessante, ma con valore più storico-sociale che metodologico. Il problema, però, è un po’ più complesso e va a toccare le discipline così come sono state codificate e così come si sono imposte, le uni a scapito delle altre. Da questo punto di vista Le parole e le cose di Michel Foucault ha dimostrato che le discipline sono strumenti di potere (politico) e che talune hanno preso il sopravvento, mentre altre vivono nell’ombra. In Italia questa evidente stortura ha dato vita al costrutto artificiale delle “classi di concorso”, una struttura di sapere che è diventata struttura di potere con un valore economico molto forte, strettamente collegato ai posti di lavoro che è in grado di farsi riconoscere.

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