Il bambino cui ballavano le letterine

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STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Il bambino cui ballavano le letterine
di Monica Barisone 

Quando lo incontrai, solo pochi sapevano cosa fossero i disturbi specifici di apprendimento, gli addetti ai lavori, mentre io non ne sapevo quasi nulla. Fabio era reduce da lunghissimi anni di incomprensioni e fraintendimenti con le insegnanti che ormai lo consideravano un pigro e arguto ribelle. I suoi genitori, invece, ne percepivano soprattutto la fatica e il disorientamento, non riconoscevano il loro bambino in quella fotografia che veniva loro mostrata. Qualcosa non tornava e non riuscivano ad arrendersi: volevano a tutti i costi aiutarlo.

Lo incontrai con preoccupazione perché la vicenda si presentava già come confusa e contrastante. Dopo qualche incontro, passato a rovistare tra le sue competenze relazionali, alla ricerca di qualche falla, dovetti arrendermi. Fabio era socievole, perspicace, simpatico e curioso e l’idea che me ne stavo facendo non si incastrava per nulla nella casella suggerita dagli insegnanti. Sapevo bene che proprio a causa di questa incongruenza anch’io non mi sarei arresa facilmente. A malincuore provai ad avventurarmi in un terreno non proprio di mia competenza e gli chiesi di spiegarmi con la massima accuratezza, cosa succedesse quando si approcciava a lettura, scrittura e far di conto. Con encomiabile pazienza iniziò a spiegarmi che, nonostante il suo impegno e la sua concentrazione, quando si accostava ad una parola, ad una frase, le letterine non volevano saperne di star ferme e piuttosto sceglievano di cambiare continuamente di posto, impedendogli di comporre una parola o una frase in modo definitivo.
Si trattava di una guerra di posizione da cui Fabio usciva stravolto, senza aver ben compreso il testo che stava leggendo o il problema che avrebbe dovuto risolvere. Avevo capito! Lui non era dispettoso, sfidante, provocatorio! Era costantemente ingaggiato in una lotta impari per cercare di acchiappare il senso di ciò che doveva risolvere, da mattina a sera! Capii che lui e la sua famiglia erano dei supereroi!

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Scuola e comunità locale

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Stefanel

di Raimondo Giunta

Il modello della scuola separata dal mondo, lontana dai turbamenti delle vicende quotidiane, se è esistito, ha compiuto il suo percorso e comunque ad ogni buon conto non avrebbe davanti a sè un grande futuro.

Con la nascita degli stati nazionali la scuola ha preso in carico il compito di legare le nuove generazioni ai valori e agli interessi delle nuove organizzazioni statuali. Da quel momento diventa luogo di riproduzione dei saperi e di formazione dei comportamenti ritenuti necessari per l’accesso ai ruoli di comando della società e per il mantenimento della sua coesione.

Pur separata ha coltivato un disegno egemonico sulla società; ha ritenuto di doversi considerare il suo “dovere essere”, di rappresentare il paradigma, l’esempio dei principi e dei valori che andavano ovunque praticati.

La scuola dell’educazione nazionale nasce nel seno della cultura illuministica e ne conserva ereditariamente i tratti, gli impulsi, le tensioni e le procedure.  E’ una scuola che non conosce i propri limiti e che crede di essere e rappresentare la “cultura”, di avere l’esclusiva della vera e unica educazione; di essere nella nazione la sola dispensatrice del sapere critico, razionale, dei valori estetici e spirituali.

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Intelligenza artificiale, chatGPT e l’inafferabilità dell’umano

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Aluisi Tosolini
Coordinatore del comitato scientifico Casco Learning

n questi ultimi mesi il dibattito sull’Intelligenza artificiale si è accesso con una fortissima fiammata che ha coinvolto anche l’opinione pubblica “generalista”, i quotidiani, le televisioni, i settimanali, e le radio.
Al centro del dibattito ChatGPT, il chatbot promosso da OpenAI e basato su intelligenza artificiale, lanciato il 30 novembre 2022 ha raggiunto un milione di utenti in 5 giorni e chiunque voglia può sperimentarlo, previa iscrizione partendo dall’ indirizzo https://chat.openai.com/chat .

Prima di ragionare sulle ricadute educative è bene cercare di capire bene di che cosa si tratta.
Proviamo a farlo con alcuni rapidi passaggi e link per l’approfondimento.

Che cos’è un chatbot?

La prima cosa da chiedersi è che cos’è un chatbot.

La definizione offerta da Oracle è la seguente: software che simula ed elabora le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. I chatbot possono essere semplici, come i programmi rudimentali che rispondono a una semplice interrogazione (query) con una singola riga, oppure sofisticati come gli assistenti digitali che apprendono e si evolvono per fornire livelli crescenti di personalizzazione quando raccolgono ed elaborano le informazioni.
Guidati da Intelligenza Artificiale (AI), con regole automatizzate, elaborazione in linguaggio naturale (NLP) e machine learning (ML), i chatbot elaborano i dati per fornire risposte a richieste di ogni tipo.
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“Scuola media unica”: sessant’anni portati male

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di Giovanni Fioravanti

La scuola media unica ha sessant’anni, la legge istitutiva li ha compiuti il 31 dicembre scorso. Anche la sua gestazione è stata lunga, circa altri sessant’anni prima di vedere la luce. Nel 1905 la Reale Commissione, istituita per volontà dell’allora ministro dell’istruzione Leonardo Bianchi, si era pronunciata a favore della scuola media unica, ma l’opposizione si manifestò subito soprattutto da parte liberale e socialista, tanto che si opposero Salvemini e Galletti, Croce, Gentile e Codignola. Poi come è andata la storia è ormai cosa nota.
Del resto nel dicembre del 1962 a votare contro la legge numero 1859  non furono solo missini e monarchici, ma anche i comunisti, sebbene con motivazioni differenti.

Ma di scuole di “mezzo” non ne abbiamo più, né inferiori né superiori. L’istruzione è ora organizzata per cicli: primo e secondo. Poi le scuole sono primarie e secondarie.

L’articolo 1 della legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 affidava alla scuola media unica il compito di concorrere “a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione” e a favorire “l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”.
Cinquant’anni dopo, nel 2012, le Indicazioni nazionali per il curricolo del Primo Ciclo, a proposito di finalità da affidare alla scuola, puntano direttamente allo scopo: “La finalità è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base”.

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Signor Ministro, Lei lavora troppo… e male

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di Mario Maviglia

Su queste stesse colonne, qualche settimana fa, abbiamo stigmatizzato il grande attivismo del Ministro del Merito Valditara (Signor Ministro, Lei lavora troppo!). Ora il Ministro ha superato se stesso con un altro audace e impavido intervento.
Ma andiamo con ordine. Qualche giorno fa, la Rete degli Studenti di Milano ha manifestato contro l’Inail che ha negato il risarcimento alla famiglia di Giuliano de Seta, morto durante un progetto di alternanza scuola-lavoro nel mese di settembre 2022. Gli studenti della stessa Rete in un comunicato apparso sui social hanno affermato che “le tre morti che si verificano ogni giorno sul lavoro, oltre ai tre studenti morti in stage, non sono morti bianche, bensì posseggono dei mandanti ben precisi: da Confindustria a Mario Draghi, dall’Inail a Valditara, tasselli che compongono il mosaico di un sistema ora più che mai schiavo del profitto e del tutto disinteressato al capitale umano utilizzato per generarlo.”

Questo comunicato non è piaciuto al Ministro del Merito che ha affermato: “Ho dato mandato ai miei avvocati di querelare i responsabili di queste dichiarazioni infamanti e gravemente diffamatorie. Con gli autori di questi comunicati non voglio aver nulla a che fare.”

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Un ministro meritologo. E molto altro

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Stefaneldi Aristarco Ammazzacaffè

Il sogno di una vita.

“E l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar e … rideva e cantava” (Gaber).
E Valditara studiava. Studiava soprattutto i primi passi, e anche i secondi, per dare concretezza alla scuola del Merito. Sembra addirittura che meditasse, già di prima di diventare ministro, di proporre all’Università Europea ‘Legionari di Cristo’ – di cui, come è noto, è promotore e preside – di istituire la facoltà di Meritologia.
E pensava.

Quest’idea quindi lo agitava da sempre. Infatti è da almeno tre legislature tre, da quando cioè è parlamentare, che desiderava diventare Ministro dell’Istruzione, soprattutto perché – udite! udite! –  voleva modificarne la denominazione.
Non gli piaceva quella adottata. Era monca e povera – diceva -. Sostanzialmente egli  mirava a integrarla con una parola che per lui era soprattutto un valore e una ragione di vita: MERITO. Tutto maiuscolo. E così passare alla Storia (ci teneva veramente tanto).

Col nuovo governo, che finalmente corona il suo sogno di diventare ministro, si presenta la grande l’occasione.
Ma non sapeva come centrare tale obiettivo. E questo gli creava depressione. Addirittura incubi notturni. Del tipo: sognare di essere davanti ad una commissione, formata tutta da gente di sinistra – povero! – dai volti accigliati e anche brutti (tra l’altro)  che lo interrogava in modo truce sulle competenze di ministro; e lui, in preda al terrore non riuscire ad aprire bocca. E sudava e stralunava.
Questo, almeno a dar retta ai suoi racconti. (Alcuni che ne sanno insinuano invece che non apriva bocca perché era a digiuno delle cose più elementari sul mondo della scuola. Sarà vero, non sarà vero? Nel dubbio, personalmente mi astengo).

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Didattica del recupero o didattica da recuperare?

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di Simonetta Fasoli

Ho letto in questi giorni in articoli dedicati alla scuola nell’ambito del territorio romano, spesso con toni comprensibilmente allarmati, dati e commenti circa l’avvenuto, sensibile incremento di corsi pomeridiani di recupero attivati nelle Scuole primarie. Ricorre il tema delle competenze linguistiche basilari (si parla di “comprensione del testo”) e logico-matematiche in vistosa carenza, per cui si rendono necessari tempi suppletivi (in orari pomeridiani) programmati dalle scuole.
Ferme restando la variabilità dei fatti e la complessità della casistica, che vietano giudizi sommari, penso sia opportuno, e perfino urgente, accompagnare la conoscenza dei dati con qualche considerazione e qualche spunto di riflessione. A partire dal concetto di “recupero” e dalle modalità con cui viene realizzato: spesso, infatti, si confondono i piani. Si devono recuperare i “contenuti” (nel senso più ampio) o non piuttosto gli strumenti di approccio? Nel primo caso, il riferimento sono gli obiettivi fissati; nel secondo sono i percorsi.

Nel primo caso, prevale un criterio quantitativo, per cui è sensato intervenire su un incremento del tempo scolastico. Nel secondo, è analizzata la qualità dell’apprendimento, che suggerisce di rivedere le metodologie del processo di costruzione della conoscenza.
Ma c’è una questione di fondo che, a mio parere, comprende entrambe le ipotesi e che potrei formulare così: più che di una didattica del recupero, parliamo del recupero della didattica!

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