di Domenico Sarracino
La scuola è preposta da sempre alla preparazione alla vita delle nuove generazioni. Non era cosa da poco ieri e, in una situazione così liquida ed articolata come quella attuale, non lo è oggi. Bisogna ribadire un assunto determinante: la scuola non è un opificio in cui il processo produttivo, se bene organizzato, dà sempre risultati standardizzati, previsti e prevedibili. Anche in una scuola che fosse priva di carenze e perfettamente organizzata i risultati sarebbero sempre aperti ed esposti al rischio ed all’insuccesso, perchè essa ha a che fare con la vita che cambia, con il nuovo che si presenta, con ciò che freme e fermenta nella società…
Fare scuola è tentare e ritentare, cercare e sperimentare; è sempre una navigazione in mare aperto, in cui la rotta va continuamente controllata.
Fare scuola (quando non si cede al vivacchiare) è un mestiere difficile in partenza. Meriterebbe da parte di tutti ben altra attenzione e considerazione. Invece accade che da sempre ed in particolare negli ultimi tempi di essa si parli tanto, ma poco si fa soprattutto da parte di chi ha le più alte responsabilità; e la scuola resta quello che è; ora tirata di qua ora di là, sempre più fa pensare alla punizione di Sisifo, costretto da Zeus a fare tanta fatica per trascinare in su un masso destinato irrimediabilmente a ricadere in basso. E quel poco che fanno quelli che reggono il sistema-scuola è più per apparire che per esserci sul serio, è estemporaneità ed improvvisazione, fuoco d’artificio volto a dare fumo negli occhi e a far finta di fare, senza un disegno strategico, senza continuità, mezzi adeguati, coerenza; senza un disegno strategico che parta dallo stato reale delle cose.
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