Sapevamo che la lettura e le valutazioni delle “indicazioni nazionali” avrebbero potuto essere fatte a livelli diversi, tra loro intrecciati, ma anche specifici: istituzionale, culturale, didattico e politico. Ricordo, a mo’ di premessa, che le indicazioni nazionali tali sono, non perché devono rispondere all’idea di Nazione della maggioranza, ma perché riguardano l’intero paese.
Ebbene. Rifacciamo il punto, a testo aperto.
a. In ottica istituzionale lo Stato “ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie”: “m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; e comunque “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” ex art. 117 della Costituzione. Ed è invece palese che una parte assai consistente di questo testo deborda da tale limite costituzionale, sia per quanto riguarda l’invasività su terreni che competono alla libertà professionale, all’autonomia delle scuole in quanto organismi istituzionali, dotati di autonomia di ricerca, di sperimentazione, al confronto e alla crescita culturale della e nella scuola, sia per quanto riguarda l’interpretazione e le linee di indirizzo su argomenti specifici, se elaborati con eccessivo ed evidente posizionamento di parte. Continua a leggere→
di Giancarlo Cavinato (Gruppo nazionale Lingua MCE)
Sul merito
Sto leggendo e trasecolo.
La maestra Iole nel 1956 ci faceva festeggiare il natale di Roma. Ingenuamente le chiedemmo il perché a Roma il Natale venisse festeggiato in aprile e non in dicembre come nel resto del mondo. Ci rispose che le nostre famiglie non ci preparavano ad essere ‘veri italiani’.
Disturba in particolare che un testo programmatico (perché ‘bisogna dire le cose come si parla: sono programmi’ cfr. Della Loggia, Perla, 2023) prescriva accanto alle cose da fare anche le cose da non fare: ad esempio nella parte di storia si raccomanda di non andare alle fonti e ai documenti in quanto ‘inutile’.
Troviamo nella premessa un accostamento eterogeneo di soggetti sotto l’etichetta ‘BES’ che conferma purtroppo e accentua la tendenza all’ipercategorizzazione e alla definizione di nuovi deficit che ha caratterizzato i recenti provvedimenti dei precedenti governi. Non c’è bisogno di ribadire qui quanto diventi causa di identificazione del soggetto e della famiglia con la carenza e di forme di discriminazione.
Si definisce una macrocategoria comprendente “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.
Un’omogeneizzazione di soggetti con provenienze, problematiche, bisogni e sensibilità diverse. Continua a leggere→
Se non ci fosse l’articolo 117 della Costituzione, quello che ad un certo punto dice che va fatta “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” la scuola italiana tornerebbe ai programmi ministeriali, centralizzati, diretti dal ministero e solo programmati dalle scuole. Come nel caso delle Linee guida sull’Educazione Civica anche la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali non parla alla scuola ma all’opinione pubblica, nel tentativo di farle scambiare il sovranismo reazionario per una posizione conservatrice.
In realtà la scuola è da sempre conservatrice, tant’è che tutte le riforme si sono infrante sull’impianto gentiliano del sistema scolastico italiano e hanno prodotto risultati parziali, rispetto agli obiettivi riformatrici programmati (autonomia scolastica di Berlinguer, riordino dei cicli di De Mauro, Riforma Moratti, Riforma Gelmini, Buona Scuola di Renzi e via enumerando).
Queste nuove Indicazioni Nazionalinon serviranno a molto come a molto (io dico: purtroppo) non sono servite quelle del 2012, perché la scuola italiana è avvolta nella conservazione dell’identico, scandito da libri di testo e classi di concorso che la fanno da padrone. Continua a leggere→
Riportiamo qui il capitolo “Perchè si studia la storia” del testo della Nuove Indicazioni Nazionali in quanto ci appare molto indicativo di scelte culturali e pedagogiche sottese all’intero documento.
Abbiamo chiesto a Notebook una analisi del testo. Ed ecco il risultato.
L’approccio descritto nei materiali didattici sembra oscillare tra l’intenzione di universalità e una focalizzazione sulla civiltà occidentale, il che solleva interrogativi sulla sua capacità di costruire una capacità critica veramente globale.
La nostra redazione ha evitato di fibrillare grazie al precedente reclutamento di assistenti digitali, che abbiamo immediatamente invitato a individuare i passaggi più affini alla loro identità professionale. Ecco i risultati, in tempo reale.
Tabella che riassume le ibridazioni tecnologiche per la scuola dell’infanzia, basata sulle nuove Indicazioni Nazionali
Tabella che riassume le ibridazioni tecnologiche per la scuola primaria, basata sulle nuove Indicazioni Nazionali:
Tabella che riassume le indicazioni sulle ibridazioni tecnologiche per la scuola secondaria di primo grado, basata sulle nuove Indicazioni Nazionali
Siamo però andati ben oltre, come testimonia questo documento
E’ stata pubblicata da poco la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo di istruzione.
Nei prossimi giorni interverremo con articoli e commenti.
Il Rettore dell’Università Bocconi di Milano Francesco Billari e l’Ordinaria dell’Università del Molise Cecilia Tomassini hanno pubblicato sul Corriere della sera del 6 marzo 2025 un interessante articolo dal titolo “Scuola, l’occasione demografica”. Nella prima parte dell’articolo vengono evidenziati alcuni problemi strutturali della scuola e dell’università italiana:
“il 38% degli uomini e il 33% tra le donne non ha ottenuto il diploma di scuola superiore”;
“nelle generazioni più giovani questa quota è ormai poco sopra 10%, ma rimaniamo tra i peggiori in Europa”;
“l’aumento della proporzione di diplomati al passare del tempo non ha risolto i problemi: quasi un maturando su due non raggiunge livelli soddisfacenti nella capacità di interpretare un testo scritto o non ha basi sufficienti in matematica”;
“rimane poi stagnante la proporzione di immatricolati che si iscrive all’università, attorno al 60%, preparando la strada per una quota di laureati che rimane tra le più basse nei paesi sviluppati”.
Poi i due docenti universitari osservano che “meno studenti significa che, a parità di costo complessivo, l’investimento pro-capite può aumentare. Alla minore quantità si potrebbe accompagnare così una maggiore qualità”. Dopo l’analisi viene scritta anche una petitio principii: “Bisogna essere scientifici e non ideologici, partendo dai dati e dalla ricerca sui sistemi scolastici.” I dati che vengono citati sono, ovviamente, corretti, ma la chiusa dell’articolo sembra uno di quei finali molto attesi dove lo spettatore viene però deluso dalla genericità della soluzione: “dobbiamo ripensare la scuola guardando ai modelli degli altri paesi, e trovando una nostra strada. Probabilmente, con una riforma radicale, a cent’anni da quella di Giovanni Gentile, che trasformi i bassi numeri della demografia in una qualità di uscita elevata dalle scuole secondarie e in disuguaglianze ridotte. Con più tempo, più investimenti sugli insegnanti che si mettono in gioco, e una maggiore centralità degli studenti. Guardando ai dati e non alle ideologie per valutare gli esiti.”
Le Rsu nella scuola hanno preso il via nel 2000.
Le elezioni, previste in un primo tempo per il 1999, furono rinviate di un anno per poter dare inizio all’avvio della stagione dell’autonomia con la nuova figura del Dirigente scolastico ( titolare tra l’altro della contrattazione di istituto) appena istituita con il decreto legislativo n.59 del 1998..
Una scelta giusta e motivata perché con le Rsu non solo i lavoratori nella scuola avrebbero finalmente trovato il modo di autorappresentarsi, tutelarsi, strutturarsi come forza vitale di partecipazione e protagonismo ma avrebbero anche costituito un giusto contrappeso ai nuovi poteri del Dirigente scolastico.
A distanza di 25 anni, una riflessione approfondita su questa esperienza , sarebbe credo di grande utilità per rafforzarla e valorizzarla ulteriormente, nell’interesse di tutte le figure professionali.
Gli insegnanti in particolare, dimostrarono con le loro scelte e una partecipazione al voto molto alta, che il tempo delle vestali della classe media era concluso: Potremmo dire oggi che si affermarono le nuove vestali della scuola della Costituzione: per una scuola democratica, liberatrice, per l’affermazione del diritto all’istruzione per tutti a cominciare dai più deboli. Continua a leggere→
Qualcuno – forse – già stava rimpiangendo Cinefuffa, la cui caratteristica è l’affidamento totale all’AI, per tutte le fasi di produzione di un video, dalla sceneggiatura alle riprese video.
Niente paura: eccoci qui!