Giocare alla guerra o educare alla pace?

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Stefaneldi Mario Maviglia

Nella recente Fiera del Levate di Bari l’Esercito Italiano ha allestito uno stand significativamente attrattivo, sotto lo slogan L’Esercito 4.0. Proiettati nel futuro con lo sguardo nel passato.
Particolarmente suggestive (a detta della stampa) sono apparse le attrazioni pensate per i bambini e i giovani. Gli organizzatori parlano di oltre 100 mila persone che hanno visitato lo stand. Lo scopo di questa iniziativa era evidentemente quello di promuovere l’arruolamento dei giovani, anche come prospettiva di lavoro per i ragazzi e le ragazze del Mezzogiorno.
Eppure queste manifestazioni appaiono quanto meno inopportune se si considera che in tante parti del mondo, anche a noi vicine, vi è una recrudescenza dei conflitti bellici e il ricorso alle armi sembra aver soppiantato la diplomazia e il dialogo quali strumenti per risolvere le controversie tra i Paesi.
Il fatto che a subirne le conseguenze mortali di queste contese giocate sul piano militare siano soprattutto i civili (e in modo particolare quelli delle classi popolari), rende ancor più odiosa questa deriva bellicista e guerrafondaia. Continua a leggere

Suprematismo 4.0

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di Marco Guastavigna

Mentre gli intellettuali organici al mercato della nostra accademia si scambiano inviti e citazioni per rafforzare il proprio poterucolo nel campo dell’epistemarketing, sul mercato della conoscenza e della logistica dell’istruzione le cose vanno ben oltre amenità quali la didattica conversazionale e l’arte dell’apprendere avvinti a ChatGPT “generalista”.
I servizi basati sulle macchine decisionali si moltiplicano e permeano l’intero ecosistema, per altro già del tutto energivoro.
E così gli accrocchi proliferano ogni giorno. L’ultimo parto di Alphabet è Illuminate, a cui si accede per ora solo via VPN con uscita negli Stati Uniti.

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Una certa idea di scuola dell’infanzia

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di Imma Lascialfari

Da insegnante di scuola dell’infanzia, con ormai molti anni di servizio macinati sul mio cammino di maestra convinta, appassionata e impegnata, mi sembra che nel tempo questa scuola abbia preso direzioni non del tutto positive. Da troppo tempo continuo ad assistere quasi impotente allo svilimento di questa scuola, dei suoi valori, nella quotidianità, nel fare pratico, a discapito inaccettabile dei bambini e del loro diritto ad una crescita più rispettosa di quella che vedo.
Da anni.

Questa istituzione così importante, così complessa, così cruciale, nel tempo sostanzialmente non ce l’ha fatta, tolte alcune sporadiche realtà virtuose; non è riuscita completamente ad elevarsi, a perseguire, a concretizzare, a realizzare, l’idea di bambino, l’idea di educazione esplicitata nei vari documenti che si sono succeduti.
A partire dai  Nuovi Orientamenti del ’91, svolta epocale, alle Indicazioni Nazionali del 2012 con la loro revisione del 2018, fino ai contributi più recenti delle Linee pedagogiche del sistema integrato 0-6. Lettera morta. Molti insegnanti non ne conoscono neanche i contenuti. O li hanno dimenticati. Le nuove generazioni di laureati non sembrano averli interiorizzati. Fatte salve ovviamente quelle realtà, troppo poche, dove invece questo non accade. Continua a leggere

C come  CANTIERE. Scuola trincea o scuola caserma?

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di Giancarlo Cavinato

 Il ministro Valditara cita spesso la parola ‘guerra’ parlando delle condizioni attuali della scuola dove si combatte ‘in trincea’. Ma in guerra la vittoria bisogna meritarla, Di qui l’intitolazione del Ministero al ‘merito’.

I pedagogisti della pedagogia istituzionale, Oury, Lapassade, parlavano piuttosto di ‘scuola caserma’. Riprendendo la domanda di Freinet nei ‘Detti di Matteo’: la scuola sarà caserma o cantiere?

Ci sembra che il ministro e la compagine di cui fa parte pensino propendere per una visione del primo tipo, ben descritta da Freinet: ‘la caserma: con la sua atmosfera particolare senza vita, in cui non ci si comporta affatto come nella vita, ove si rispetta quest’altra legge dell’ambiente completamente poggiato sulla cura d’ingannare l’autorità, di schivare e minimizzare i lavori obbligatori, di ammazzare il tempo contando i giorni, come lo scolaro conta le ore che mancano al temine delle lezioni! La caserma con i suoi vasti e uniformi edifici prospicienti tutti lo stesso cortile […] ‘

Se questa è l’immagine di scuola che nel profondo nutre il neoministro, è evidente che ‘sorvegliare e punire’ come scrive in un articolo su Repubblica Vanessa Roghi è il modo di tenere a freno le intemperanze della ‘condotta’ (che evidentemente è altro dal comportamento e altro ancora dall’individuo considerato nell’interezza del suo stare al mondo).

Freinet e il MCE hanno lavorato per decenni nel denunciare i frutti dello scolasticismo, della settorializzazione come separatezza scuola società.

Ora arriva un ministro che presume che le soluzioni sono semplici:

-non ammettere o ‘rimandare’ a settembre chi ha meno di sei o sei in ‘condotta’

-incarcerare i genitori dei renitenti all’obbligo che non mandano i figli a scuola

– far intervenire le forze dell’ordine per ‘bonificare’ i territori

‘A quando le orecchie d’asino?’ potremmo chiedere al ministro parafrasando ancora Freinet.

Eppure Freinet nel capitoletto ‘Un niente che è tutto’ aveva indicato la strada maestra

per un’educazione che valorizzi gli apporti, le propensioni, le risonanze profonde nei soggetti, la loro ricerca di significato delle attività.

‘Al reggimento la corvée per le patate è il prototipo e il simbolo del lavoro del soldato (potremmo azzardare che costituisce l’equivalente degli esercizi fini a se stessi a scuola). […] Ma il giovane soldato che ha sbucciato patate per tutta la mattina secondo il ritmo del soldato, la sera, va a trovare la sua ragazza che gli dice gentilmente: -Ora dobbiamo preparare la minestra…-

  • Lascia pure le patate, di queste me ne occupo io…-

C’é voluto così poco, ma quel poco è tutto.’

Gianni Rodari nella prefazione a ‘Un anno a Pietralata’ che costituisce il diario dell’esperienza nella borgata romana di Albino Bernardini descrive l’atteggiamento del maestro come ‘presenza di un ottimismo che non ha niente a che fare col sentimentalismo. ‘Per Bernardini non esiste la “cattiveria”(e quindi non ha senso né efficacia la sanzione punitiva e men che meno la repressione). Possono esistere cattive abitudini, e allora si tratta di spiegarsi come e perché si sono formate, e di creare con tenacia una situazione nuova, nella quale quelle stesse cattive abitudini si risolvano in atteggiamenti morali nuovi.’

Nell’incontro con i genitori dei 12 alunni di cui molti pluriripetenti Bernardini afferma: ‘io non voglio solo insegnare ai vostri figli a leggere e a scrivere: lo so, questo spetta a me solamente, ma anche educarli a vivere a scuola e fuori.’

Il MCE dal 1951 pratica una pedagogia intenta al decondizionamento, all’emancipazione da modelli violenti ed egoistici, passivi e subordinati.

Per educare cittadini/e.

Ma in una scuola in cui l’apprendimento passa attraverso nozioni esperienze regole che non possono essere verificate e quindi non stimolano processi mentali nuovi si produce meccanicità e ripetizione.  Spesso allora per fuoriuscire da routine e passività, da frustrazioni, vengono agite forme di trasgressione che generalmente non si riscontrano in una scuola attiva che stimola creatività e processi critici.

In una scuola della riproduzione sociale è facile che prevalgano imitazioni e riproduzioni di esempi e modelli desunti dal clima sociale esterno.

Le attuali misure repressive non fanno che sancire un clima sociale.

Non esistono problemi della famiglia e della scuola (con buona pace dei vari Ricolfi e Galimberti che aspirano a una scuola come istituzione chiusa nel rimpianto di un passato aureo ma privilegio di pochi) ma problemi di cattivo funzionamento della società che influiscono sulla famiglia e sulla scuola’ (Dino Zanella, segretario MCE, 1978).

 

 

 

Intelligenza artificiale e sviluppo economico sostenibile (qualche idea per l’educazione civica)

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di Rodolfo Marchisio

Le linee guida 2024 del MIM per la Ed. civica hanno, nella loro impostazione ideologica, tra le altre cose rovesciato l’attenzione dall’ambiente, i suoi problemi ormai forse irreversibili, la sostenibilità dello sviluppo economico allo sviluppo economico in primis.
Cfr. linee guida DM 35 2020. Il secondo filone di lavoro e riflessione è passato da

  1. Sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio

a 2. Sviluppo economico e sostenibilità. Lo sviluppo economico è il focus in tutto il documento: “parlo del lavoro perché il lavoro è bello” proclama il ministro – ovviamente per chi ce l’ha, chi non è precario, sottopagato o non ci muore- e conclude “con buona pace delle sinistre e delle ideologie marxiste-leniniste”. (?) E la sostenibilità diventa una appendice, una precauzione sempre meno rispettata.

Il discorso è coerente col documento che insiste sulle responsabilità individuali e sottace quelle sociali, di cittadinanza e politiche. Diciamo un documento allineato con le posizioni del governo, dove la responsabilità non è mai di chi governa ma di tutti gli altri (individui, magistratura, media etc…). Molto “di governo” e niente di “lotta”, di critica, di cittadinanza attiva.
Siamo rimasti ai diritti individuali, quelli della borghesia e del 700 (illuminismo, Riv. Francese ed americana). I diritti di prima generazione secondo Bobbio. Sono sempre più carenti i diritti sociali, quelli conquistati nell’800 dal movimento operaio, contadino contro la borghesia. I diritti di seconda generazione: lavoro, salute, istruzione. [1] Continua a leggere

L’appetito vien chattando

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di Marco Guastavigna

Lo ripeterò fino a nauseare chi legge: perché sia finalizzato e finalizzabile allo sviluppo umano, in modo equo, un dispositivo che modifica profondamente la logistica della conoscenza planetaria dovrebbe essere – by design – servizio pubblico a controllo democratico e totale sostenibilità, aperto e garantito come diritto umano. La questione è quindi assolutamente politica.
Gli approcci “a tunnel”, a partire dalla didattica, o i pipponi massimo-sistemisti non servono a nulla, se non a innescare compiaciuta autoreferenzialità. Più utile è giocare: fare imparando per capire, imparare facendo per decostruire.
Ecco    quindi il mio ultimo gioco, ad andamento serendipico.

Immagine realizzata con Midjourney


MarcoG
: Immagina un test per accertare il quoziente di intelligenza artificiale utilizzato in una scuola secondaria

ChatGPT: Per progettare un test che misuri il “quoziente di intelligenza artificiale” in una scuola secondaria, si potrebbe creare una valutazione che verifica non tanto l’intelligenza naturale degli studenti, quanto la loro capacità di comprendere e interagire con i concetti di intelligenza artificiale. Ecco una proposta per come potrebbe essere strutturato: Continua a leggere

E come emancipazione: quattro passi per una pedagogia dell’emancipazione

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di Giancarlo Cavinato

 La classe cooperativa

Freinet, leggiamo nella quarta di copertina della nostra pubblicazione ‘I 4 passi per una pedagogia dell’emancipazione’ del 2015, consiglia di non  applicare tutte le tecniche in una volta pensando così di formare una classe cooperativa. La fretta, l’eccesso di zelo, l’entusiasmo potrebbero condurre a una sconfitta con conseguenze negative per la conduzione della classe.

Nelle sue raccomandazioni, non tutte attuali  e condivisibili in toto, fra l’altro consiglia:

  • impegnatevi in una tecnica che potete dominare
  • per molto tempo, le pratiche tradizionali e le nuove pratiche nella vostra classe procederanno di pari passo
  • iniziate con il testo libero ma non scolarizzatelo facendolo passare come sostitutivo del tema, solo lasciando la libertà di scelta del soggetto quindi come esecuzione ‘a comando’ (veramente raccomanda anche di conservare il libro di testo ma su questo in Italia siamo andati avanti anche a livello normativo pur essendo l’adozione alternativa praticata in realtà limitate)
  • organizzate la cooperativa di classe il prima possibile (nel 1994 l’allora ministro Lombardi fece una convenzione con la Confcooperative trentina per l’istituzione della cooperativa di classe con nomina di un presidente e un segretario, il deposito di un libretto bancario, l’assemblea dei ‘soci’ e la scelta di attività a partire dalle classi quarte; forse, pur nel segno di un certo economicismo, la formula più vicina alla cooperativa di classe come la facevano Lodi, Ciari, i maestri di cooperazione educata. Dove lo sviluppo di attività remunerative- allevamenti, stampa e vendita di giornalini, realizzazione di spettacoli, mercatini   erano le condizioni per esperienze culturali più ampie- uscite, visite, acquisto di materiali comuni, di cui tutti potessero fruire coltivando lo spirito comunitario.

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