Quando Mario Lodi e Bruno Ciari si incontrarono

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Nel collage (in alto: Massimo Bondioli, Donatella Merlo, Enrico Bottero; in basso: Giorgio Testa e Pamela Giorgi)

 

 

 

di Massimo Bondioli (*)

Mario Lodi e Bruno Ciari si incontrarono la prima volta nel novembre del 1955 al Congresso della Cooperativa della Tipografia a Scuola (due anni dopo cambierà il nome in Movimento di Cooperazione Educativa) e il loro rapporto di amicizia e collaborazione durò fino alla morte di Ciari.

Addentrarsi nella conoscenza di questo rapporto vorrebbe dire toccare temi come la corrispondenza interscolastica, la Biblioteca di Lavoro, la comune visione del ruolo del MCE, l’azione da condurre sul terreno più direttamente politico e tanti altri che hanno segnato la ricerca didattica e il dibattito pedagogico del secolo scorso. Non è un caso che siano stati percepiti dagli insegnanti e dall’opinione pubblica più sensibile ai problemi dell’educazione come le figure più rappresentative del Movimento di Cooperazione Educativa.

Dato il tempo a disposizione, mi limiterò a 3 “spigolature” che ricavo dal lavoro di ricerca che ha accompagnato la scrittura della biografia di Mario Lodi (Mario Lodi e Piadena. Una vita tra educazione e impegno in un microcosmo padano, Editoriale Sometti, 2022). Continua a leggere

Le buone parole della scuola: EFFICACIA ED EFFICIENZA

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Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

Il modello della scuola efficace ed efficiente è quello che in un certo momento, dopo le riforme che hanno segnato il mondo dell’istruzione a partire dagli anni sessanta fino a tutti quelli degli anni ottanta del secolo passato, ha incominciato a mietere consensi tra i responsabili delle politiche scolastiche.
In poche parole, dandosi per risolto il problema dell’equità con l’irruzione in massa delle nuove generazioni nelle classi dell’istruzione secondaria e nei corsi dell’ università e ritenendo economicamente ingiustificabile un aumento costante delle spese per l’istruzione, si è cominciato a porre il problema di razionalizzare sia la spesa pubblica per l’istruzione, sia l’organizzazione del sistema scolastico e anche le stesse procedure didattiche per avere a parità di costi e di risorse impiegate migliori risultati.
Si è passati da una situazione in cui si pensava che ci fossero solo obblighi di fornire mezzi e risorse alla scuola per espanderla ed arricchirla ad una situazione in cui si è incominciato a pensare che la scuola debba essere obbligata a dare precise risposte in termini di risultati socialmente apprezzabili, su cui commisurare la bontà dei finanziamenti e delle politiche scolastiche.
Raggiungere i risultati sperati e programmati, utilizzando nel modo migliore i mezzi disponibili, dovrebbe far parte del buon senso e della buona amministrazione. La spesa pubblica dell’istruzione deve essere commisurata ai compiti che gli vengono assegnati e alle sue crescenti e nuove responsabilità; sicuramente non dovrebbe essere ridotta, anche se ragionevolmente può essere modificata nella sua composizione.
Una politica scolastica, d’altronde, concentrata solo sulla razionalizzazione dei costi e dell’impiego delle risorse può incidere negativamente sulla portata e sul significato sia dei problemi educativi, sia dei problemi di democrazia e di giustizia a scuola. Rimanendo solo in un ambito di economia dell’istruzione non è difficile perdere di vista le finalità che deve perseguire il sistema di istruzione; è facile dimenticare che l’istruzione è un bene comune che va tutelato e reso disponibile per tutti.
La spesa per l’istruzione non può essere giustificata solo per il contributo che darebbe alla costituzione e allo sviluppo del capitale umano di cui deve alimentarsi una società proiettata nella competizione mondiale dei mercati. Una considerazione del genere può giustificare l’espansione dei costi dell’istruzione, ma può anche alimentare il convincimento della necessità di una stretta subordinazione del sistema d’istruzione e formazione a quello economico. Una tendenza (mai allontanata…) che ridurrebbe il valore della cultura e del sapere e che comporterebbe una strumentalizzazione dei saperi a danno della ricchezza e varietà delle esigenze di sviluppo e di crescita della persona e della società. Continua a leggere

Le buone parole della scuola: EQUITA’

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Raimondo Giunta

E’ uno dei nodi più difficili da sciogliere nelle scelte di politica scolastica, perchè in genere si intende giocare la sfida dell’equità contro quella ricorrente dell’efficacia, come se non potesse essere garantito quanto è necessario in termini di qualificazioni elevate ed utili alla società, consentendo a tutti pari opportunità di formazione, non lasciando nessuno indietro.
E’ questo un problema che hanno fatto emergere la consapevolezza dell’importanza dell’istruzione nei processi di mobilità sociale e l’insofferenza verso tutte le forme di privilegio sociale, in qualche modo confermate dalla preclusione ad alcuni corsi di studio.
L’istruzione come bene comune è un principio di democrazia che si è fatto strada lentamente nella società ed ha alimentato nei decenni precedenti le lotte politiche tese a renderlo disponibile in una scuola aperta a tutti. L’universalizzazione del diritto all’istruzione e all’educazione è un bisogno della società; è un bisogno di ogni singola persona.
Molti sono stati i modi per affrontare il problema dell’equità a scuola.
La misura ricorrente e iniziale per fare della scuola un’istituzione equa è quella di abbattere ogni forma di barriera al diritto di accesso ad ogni corso di studio.
Non ci sono motivi per sostenerne le ragioni e anche per poterle camuffare. Continua a leggere

Meritocrazia, meritorietà, merito e scuola

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di Cinzia Mion

Il sociologo Luca Ricolfi si è rifatto vivo con un libro, ‘La rivoluzione del merito’, in cui riprende le sue vecchie tesi sostenendo “che le politiche egalitarie e iper-inclusive nella scuola abbiano danneggiato i figli dei ceti più poveri, privandoli dell’ opportunità di utilizzare il merito scolastico come strumento di competizione”(Tuttoscuola).
Rispolveriamo allora l’argomento che da un po’ di tempo ha ripreso fiato.
Che il nostro sia il paese delle raccomandazioni, delle clientele, del familismo amorale, delle caste, delle oligarchie, delle corporazioni e della mafie non abbiamo dovuto aspettare Roger Abravanel con il suo famoso saggio “Meritocrazia”, per scoprirlo!
Semmai lui ha rigirato il coltello nella piaga per farci sentire, giustamente, inadeguati, vergognosi e con una gran voglia di riscatto.
Siamo tutti d’accordo finché si invoca in Italia la carenza della valorizzazione del “merito”, al fine di attivare il cambiamento invocando un vero e proprio moto di orgoglio. Tale valorizzazione deve avvenire all’interno dell’economia italiana e deve inoltre far emergere la necessità di produrre leader eccellenti sia nel settore pubblico che in quello privato.
Siamo anche d’accordo che “il circolo vizioso del demerito” ha condotto ad una società basata sulla cooptazione anziché sulle competenze. Osserviamo anche che tale dinamica si fonda su fedeltà amicali e familiari, su vari “cerchi magici” che in cambio di sudditanza garantiscono privilegi, malcostume che come ben sappiamo sta maramaldeggiando dentro a partiti ed ora perfino nelle associazioni professionali .
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Intelligenza ri-generativa

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di Marco Guastavigna

Una cosa è sempre più evidente: bisogna urgentemente decostruire la visione “strumentale” dell’IA, che ha un approccio adattivo e subordinante.
Da una parte, infatti, valorizza una visione dei dispositivi fondata sull’ottimizzazione tecnocratica del modello socio-economico in atto, assolutizzandone categorie, obiettivi, compatibilità, principi e così via, che si fondano su competizione e profitto.
Dall’altra illude che sia possibile avere il controllo della situazione, usando in modo manipolatorio il concetto di strumento e dimenticando di conseguenza che i dispositivi hanno complementarità attiva all’agire umano: vincoli, regole di ingaggio, prerequisiti, monitoraggio, feedback, determinazione di modi di procedere e ritmi, fino alla sostituzione.

Il contesto italiano, inoltre, si caratterizza – a differenza della produzione culturale di altri Paesi – per assenza di posizionamento critico, soprattutto nel campo dell’istruzione. Anzi: c’è addirittura chi cerca di rinchiudere anche l’attivismo nel “sapere da scaffale” su cui esercitare il potere classificatorio tipico della sussunzione accademica, categorizzandolo come “etica hard”, contrapposta a una più blanda “etica soft”. (Floridi, 2022 – citato da Panciroli, Rivoltella, 2023).

Per fortuna, fuori dai patri confini è più frequente la vigilanza civile e deontologica, quella che caratterizza ad esempio l’ultimo lavoro di Dan McQuillan, “Resisting AI: An Anti-fascist Approach to Artificial Intelligence”. Continua a leggere

Grammatica valenziale: di che si tratta?

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Una delle attività formative di maggiore interesse fra quelle proposte dalla nostra associazione riguarda la grammatica valenziale.
Di recente la nostra esperta Daniela Moscato ha rilasciato alla rivista DIRE FARE INSEGNARE una intervista in cui spiega le basi di questo approccio ancora poco frequentato, precisandone i vantaggi didattici e alcuni possibili contesti di applicazione.

Fame di vita vera

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STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone 

La vitalità, attitudine a vivere in modo autonomo, serve ad affrontare con grinta difficoltà e imprevisti nella quotidianità, e consente di gustare appieno scoperte, sorprese, conoscenze. Ma cosa l’attiva? Quali trigger la innescano? Ho visto, piuttosto accidentalmente, un video in cui un medico asiatico rianimava un neonato…

Quasi ipnotizzata, ho osservato lui e la sua equipe compiere atti rapidissimi, senza fermarsi un attimo, sinché il bimbo non ha cominciato a reagire tossendo ed ha iniziato finalmente a piangere. La vita è esplosa in lui quasi come per incanto, una specie di on/off, prima non c’era e poi d’improvviso è stato, era vivo.

In un viaggio caotico in treno verso il mare ho visto due giovani, pieni di desiderio, arrotolati l’uno nell’altro, baciarsi avidamente: la vita pulsava di passione.
Quella stessa energia vitale sembrava animasse una piantagione di granturco verdissimo sotto il sole di mezzogiorno. Ma era vita vera, ci avrei giurato, anche quella nei piedi di due anziani per mano, con l’acqua di mare alle caviglie, alla luce della luna, dolcissimi, freschi come teenagers.

L’ho avvertita anche nelle foto inviatemi da una giovane paziente: mi rendicontava una piccola vacanza costruita nelle avversità della separazione, conflittuale, dei genitori. Mi descriveva angoli lacustri rintracciati con tenacia nei pressi dell’abitazione di una zia e mi ricordava con ardore d’essere in partenza per una vacanza studio in Scozia, impresa per cui aveva combattuto con i denti sino allo stremo delle forze. Che spettacolo!
Vitalità, energia, cercala dove ti pare. Ma cercala. Non smettere mai di cercarla. Il nostro cervello ne ha bisogno per portare il corpo là dove vuole andare, per realizzare i sogni di ogni giorno, per amare, creare, imparare, costruire. Anche questo nessuno ce lo insegna. Forse un tempo non era così necessario ma ora sembra davvero utile, quasi indispensabile, sapere dove e come recuperare vitalità, energia psichica. Continua a leggere